<p style="text-align: justify;">Processo - Limiti alla giurisdizione esclusiva del GA sulle concessioni di pubblici servizi, giurisdizione del GO sulla domanda di risarcimento danni recati al concessionario, e nozione di opere idrauliche al fine dell'individuazione della giurisdizione</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, ordinanza 29 ottobre 2020 n. 23908</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>PRINCIPIO DI DIRITTO</em></strong><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Rientra nella giurisdizione del GO – non ricadendo nell’ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi configurata dall’art. 133, comma 1, lettera c), cod. proc. civ. – la domanda, inibitoria e risarcitoria da illecito scarico a mare di un rivo adibito a pubblica fognatura, promossa, nei confronti della P.A. e del suo concessionario, gestore del servizio idrico integrato, dal concessionario di un compendio demaniale destinato a porto turistico, allorché, a fondamento della proposta azione, siano denunciate una mera attività materiale e l’omissione di condotte doverose in violazione del generale principio del neminem laedere, e senza che vengano in rilievo atti e provvedimenti amministrativi di cui la condotta dell’amministrazione sia esecuzione.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><em> – Il sollevato conflitto negativo di giurisdizione investe le Sezioni Unite del compito di stabilire se spetti al giudice ordinario o al giudice amministrativo la controversia – promossa da Marina Porto Antico s.p.a., concessionaria di un compendio demaniale ubicato nel Porto Antico di Genova, nel quale ha realizzato e gestisce un porto turistico – avente ad oggetto l’accertamento dell’illiceità della gestione dello scarico a mare del rio Carbonara, adibito a pubblica fognatura, e delle relative immissioni, e la condanna dei convenuti – Mediterranea delle Acque s.p.a., gestore del servizio idrico integrato, il Comune e la Provincia di Genova (ora Città Metropolitana di Genova) – alla chiusura di tale scarico, fino alla riconduzione a legalità, al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento dei danni.</em></li> <li><em> – Occorre premettere che la giurisdizione va determinata sulla base della domanda e che, ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione compiuta dalla parte bensì il </em>petitum<em>sostanziale, il quale deve essere identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto in funzione della </em>causa petendi<em>, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati (Cass., Sez. Un., 14 gennaio 2020, n. 416).</em></li> <li><em> – Orbene, nel caso di specie, con la domanda introduttiva l’attrice – nel lamentare che lo scarico in mare del rio Carbonara “sversa dello specchio acqueo compreso all’intemo del compendio demaniale in concessione a Marina Porto Antico s.p.a. … rifiuti e liquami fognari di ogni genere, i quali determinano, oltre che un grave danno ambientale, l’assoluta invivibilità di una parte dell’area in concessione per i miasmi da essa esalati e per l’indecoroso spettacolo di galleggiamento sulla superficie marina”; e nell’agire, in via inibitoria e risarcitoria, al fine di ottenere: (a) “la chiusura di siffatto scarico diretto, fino alla sua riconduzione a legalità (b) “l’eliminazione delle emissioni odorose derivanti da ristagni di acque e materiali (c) “l’eliminazione dei sedimenti che lo scarico ha fatto affondare sul fondale dello specchio acqueo concesso a Marina Porto Antico”; (d) “il risarcimento dei danni conseguenti” – ha chiesto la tutela della propria situazione di diritto soggettivo, lesa dalla condotta non iure e contra ius dei convenuti.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Nel dedurre la sussistenza degli elementi di un “illecito civile” e la configurabilità di una “fattispecie di immissioni illecite”, Marina Porto Antico s.p.a. ha addebitato ai convenuti – a Mediterranea delle Acque, in quanto gestore del servizio idrico; al Comune, proprietario degli impianti e committente del servizio svolto da Mediterranea delle Acque; alla Provincia (poi Città Metropolitana), nella qualità di autorità d’ambito per la gestione del servizio idrico integrato – la violazione della normativa in materia di tutela dell’ambiente, oltre che la colpa consistente “nell’omessa attività di manutenzione del tratto terminale del rio Carbonara”, “nell’omessa corretta gestione degli impianti di sollevamento” e “nella carenza di controlli sul funzionamento delle acque e degli impianti”.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’atto di citazione di Marina Porto Antico s.p.a. non contiene alcuna censura né relativamente al programma comunale di attuazione delle reti fognarie (PARF), di pianificazione degli interventi di completamento delle reti fognarie e degli impianti di depurazione, né relativamente agli atti di approvazione della progettazione dell’opera di presa sul rio Carbonara.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Non essendo dedotta alcuna doglianza nei confronti degli atti amministrativi di progettazione del servizio di fognatura, nella controversia vengono in questione, non valutazioni discrezionali connesse all’esercizio di un potere amministrativo di organizzazione del servizio pubblico, quanto piuttosto apprezzamenti tecnici circa la diligenza adottata dal gestore del servizio idrico integrato e dagli enti locali (il Comune e la Città Metropolitana) nella gestione del servizio e nella manutenzione della pubblica fognatura e del relativo depuratore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In altri termini, la tutela è domandata per la lesione derivante da un comportamento della P.A. privo di qualsiasi interferenza con un atto autoritativo, facendosi valere l’illiceità della condotta del soggetto pubblico – del gestore del servizio idrico integrato, del Comune e della Città Metropolitana -, suscettibile di incidere su posizioni di diritto soggettivo del terzo concessionario del compendio demaniale danneggiato dallo scarico della pubblica fognatura.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="4"> <li><em> – La controversia non ricade in nessuna ipotesi di giurisdizione esclusiva che abiliti il giudice amministrativo a conoscere di diritti soggettivi: in particolare, non rientra nella fattispecie delineata dall’art. 133, comma 1, lettera c), cod. proc. amm., che riguarda «le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità».</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Nel ricostruire la portata di tale disposizione, occorre infatti muovere della premessa che il codice del processo amministrativo ha inteso circoscrivere la giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi alle sole ipotesi in cui l’amministrazione agisca attraverso la spendita di potere autoritativo, così recependo il dictum della Corte costituzionale espresso dalla sentenza n. 204 del 2004.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Con tale pronuncia, la Corte costituzionale – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998, nella parte in cui prevedeva che fossero devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi» anziché le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n. 241 del 7 agosto 1990, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore – ha affermato che “la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l’esistenza del potere autoritativo: art. 11 della legge n. 241 del 1990)”.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="5"> <li><em> – Nella specie si è al di fuori del raggio di applicazione di questa ipotesi di giurisdizione esclusiva perché il danno lamentato dall’attrice non si riconnette all’esercizio di un potere pubblico da parte dell’amministrazione o del concessionario, ma si ricollega a comportamenti materiali configurati come illeciti civili o illecite immissioni, anche per non avere i soggetti pubblici coinvolti osservato condotte doverose.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>E – come insegna la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 204 del 2004, cit.) – la giurisdizione esclusiva non può radicarsi sul dato, puramente oggettivo, del normale coinvolgimento nella controversia di quel generico pubblico interesse che è </em>naturaliter<em> presente nel settore dei pubblici servizi: se così fosse, verrebbe a mancare il necessario rapporto di </em>species<em> a </em>genus<em> che l’art. 103 Cost. esige allorché contempla, come “particolari”, rispetto a quelle nelle quali la pubblica amministrazione agisce quale autorità, le materie devolvigli alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="6"> <li><em> – Tale conclusione è in linea con gli approdi di questa Corte regolatrice, essendosi affermato che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non “tutte” le controversie relative a concessioni di pubblici servizi, ma solo quelle attinenti a materie in cui la P.A. agisce come autorità (Cass., Sez. Un. 7 gennaio 2014, n. 67); ciò sul rilievo che, anche nelle ipotesi in cui risulta, in particolari materie, normativamente attribuita al giudice amministrativo, la giurisdizione deve ritenersi non estesa ad ogni controversia in qualche modo concernente la materia devoluta alla relativa giurisdizione esclusiva, ma soltanto alle controversie che abbiano in concreto ad oggetto la valutazione di legittimità di provvedimenti amministrativi, espressione di pubblici poteri (Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2011, n. 4614). In altri termini, affinché il giudice amministrativo possa conoscere di diritti soggettivi è necessario che la controversia rientri in concreto nella giurisdizione esclusiva, la quale, tuttavia, non è configurabile quando non siano implicati poteri amministrativi, in mancanza dei quali non sono predicabili neppure interessi legittimi (Cass., Sez. Un., 5 marzo 2020, n. 6324).</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Si è così statuito che, poiché nell’attuale assetto costituzionale, successivamente alla sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, la giurisdizione esclusiva non è estensibile alle controversie nelle quali la P.A. non esercita alcun potere pubblico, va riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario in tutte le controversie in cui si denunzino comportamenti configurati come illeciti ex art. 2043 cod. civ., e a fronte dei quali, per non avere la P.A. osservato condotte doverose, la posizione soggettiva del privato non può che definirsi di diritto soggettivo, restando escluso il riferimento ad atti e provvedimenti, di cui la condotta dell’amministrazione sia esecuzione, quando essi non costituiscano oggetto del giudizio, per essersi fatta valere in causa unicamente l’illiceità della condotta dell’ente pubblico, suscettibile di incidere sulla incolumità e i diritti patrimoniali del terzo (Cass., Sez. Un., 18 ottobre 2005, n. 20117; Cass., Sez, Un., 20 ottobre 2006, n. 22521).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Muovendo in questa prospettiva, si è affermato (Cass., Sez. Un., 8 maggio 2017, n. 11142) che, in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti, nonostante sussista la giurisdizione esclusiva amministrativa, già in virtù dell’art. 33, comma 2, lettera e), del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dalla legge 7 luglio 2000, n. 205, ed oggi dell’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm., appartiene alla giurisdizione ordinaria la domanda del privato che si dolga delle concrete modalità di esercizio del relativo ciclo produttivo, assumendone la pericolosità per la salute o altri diritti fondamentali della persona e chiedendo l’adozione delle misure necessarie per eliminare i danni attuali e potenziali e le immissioni intollerabili, atteso che la condotta contestata integra la materiale estrinsecazione di un’ordinaria attività di impresa, allorquando non siano dettate particolari regole esecutive o applicative tecniche direttamente nei provvedimenti amministrativi, sicché non risulta in alcun modo coinvolto il pubblico potere.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Parimenti, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo sulla domanda risarcitoria proposta in materia urbanistica ed edilizia, si è riconosciuto che occorre distinguere il caso nel quale il privato pretenda il risarcimento del danno derivante dalla illegittima progettazione e deliberazione dell’opera pubblica, nel quale, ponendosi in discussione la legittimità dell’esercizio del potere pubblico, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, da quello in cui lo stesso lamenti la cattiva esecuzione dell’opera pubblica, contestando le modalità esecutive dei lavori, nel quale la giurisdizione spetta al giudice ordinario, venendo in rilievo la violazione del generale dovere di </em>neminem laedere<em> (Cass., Sez. Un., 21 settembre 2017, n. 21975; e cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 25 marzo 2020, n. 7529).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Espressione del medesimo orientamento è Cass., Sez. Un., 5 marzo 2020, n. 6324, cit., con cui questa Corte regolatrice ha individuato la ragione della devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario delle controversie relative alle domande proposte da investitori e azionisti nei confronti delle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e Consob) per i danni conseguenti alla mancata, inadeguata o ritardata vigilanza su banche e intermediari nel fatto che, in esse, non veniva in rilievo la contestazione di poteri amministrativi, ma l’omissione di comportamenti doverosi posti a tutela del risparmio che non investono scelte e atti autoritativi, essendo tali autorità tenute a rispondere delle conseguenze della violazione dei canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonché delle norme di legge e regolamentari relative al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza, quali espressione del principio generale del </em>neminem laedere<em>.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="7"> <li><em> – Va pertanto dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>E ciò sulla base del seguente principio di diritto: «</em><strong><em>Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario – non ricadendo nell’ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi configurata dall’art. 133, comma 1, lettera c), cod. proc. civ. – la domanda, inibitoria e risarcitoria da illecito scarico a mare di un rivo adibito a pubblica fognatura, promossa, nei confronti della P.A. e del suo concessionario, gestore del servizio idrico integrato, dal concessionario di un compendio demaniale destinato a porto turistico, allorché, a fondamento della proposta azione, siano denunciate una mera attività materiale e l’omissione di condotte doverose in violazione del generale principio del neminem laedere, e senza che vengano in rilievo atti e provvedimenti amministrativi di cui la condotta dell’amministrazione sia esecuzione</em></strong><em>».</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="8"> <li><em> – Così individuato il giudice munito di giurisdizione, deve escludersi che la controversia ricada nella competenza del Tribunale regionale delle acque pubbliche, ai sensi dell’art. 140, lettera e), del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, approvato con il regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Secondo tale disposizione, appartengono in primo grado alla cognizione del TRAP «le controversie per risarcimenti di danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione e da qualunque provvedimento emesso dall’autorità amministrativa a termini dell’art. 2 del testo unico 25 luglio 1904, n. 523, modificato con l’art. 22 della legge 13 luglio 1911, n. 774».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa Corte (Cass., Sez. I, 14 febbraio 2004, n. 2899) ha precisato che, in tema di acque pubbliche, la nozione di “opere idrauliche”, prevista, in particolare, dal citato art. 140, lettera e), del testo unico, non comprende tutti gli impianti che abbiano una qualsiasi attinenza con le acque pubbliche, ma è riferibile solo a quelli che rivelino una diretta influenza sul decorso, la disciplina o l’utilizzazione delle stesse, sì da incidere su interessi pubblici connessi al loro regime, traendone la conseguenza che non è qualificabile come opera idraulica un depuratore di acque luride, il quale, in quanto destinato a ricevere i liquami trasportati dalle fogne ed a consentire un migliore e meno nocivo smaltimento dei medesimi, costituisce parte integrante del sistema fognario, ancorché per effetto dell’immissione delle acque depurate in un corso fluviale, possa indirettamente implicare una eliminazione o riduzione dell’inquinamento di quest’ultimo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Da tanto consegue che – come ha rilevato esattamente il pubblico ministero – la presente controversia, la quale attiene al cattivo funzionamento del servizio di sversamento e depurazione destinato a ricevere i liquami trasportati dalle fogne, risulta estraneo all’ambito per il quale è delineata la competenza del Tribunale regionale delle acque pubbliche.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="9"> <li><em> – Al giudice ordinario va rimessa anche la regolamentazione delle spese per l’attività difensiva svolta in questa sede dalle parti – il Comune di Genova, Allianz s.p.a. e Marina Porto Antico – che hanno depositato memorie.</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;">Processo - Beneficio della sospensione condizionale della pena e possibilità di usufruire da parte di chi già ne abbia goduto una volta</p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, ordinanza 30 ottobre 2020 n. 229</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 165, comma secondo, del codice penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge 11 giugno 2004, n. 145 (Modifiche al codice penale e alle relative disposizioni di coordinamento e transitorie in materia di sospensione condizionale della pena e di termini per la riabilitazione del condannato), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Considerato che il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 165, comma secondo, del codice penale, nella parte in cui subordina la possibilità di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena a chi già ne abbia goduto una volta, alla condizione che egli necessariamente <strong>risarcisca il danno o provveda alle restituzioni</strong>, senza assegnare alcuna rilevanza al caso in cui <strong>ciò non sia possibile</strong>;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che, secondo il rimettente, la norma censurata, per il fatto di prevedere che l’unica condotta riparatoria imponibile al condannato a pena condizionalmente sospesa che abbia già usufruito di tale beneficio in passato consista nel risarcimento del danno o nell’obbligo delle restituzioni, determinerebbe una disparità di trattamento, sia perché escluderebbe dal novero delle misure imponibili condotte non economicamente onerose ma espressive di una medesima esigenza di ravvedimento, sia perché gli imputati subirebbero in tal modo un trattamento processuale diverso a seconda del loro censo;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che la questione è manifestamente inammissibile;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che il censurato art. 165, comma secondo, cod. pen., nel testo modificato dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge 11 giugno 2004, n. 145 (Modifiche al codice penale e alle relative disposizioni di coordinamento e transitorie in materia di sospensione condizionale della pena e di termini per la riabilitazione del condannato), prevede che «[l]a sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all’adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente»;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che il comma primo dell’art. 165, anch’esso modificato dalla legge n. 145 del 2004 (art. 2, comma 1, lettera a) dispone che «[l]a sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna»;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 145 del 2004, dall’originario testo del comma secondo dell’art. 165 cod. pen., è stato eliminato l’inciso per cui l’imposizione di uno degli obblighi di cui all’art. 165, comma primo, cod. pen. al condannato a pena condizionalmente sospesa, che abbia già usufruito del beneficio in passato, è obbligatoria «salvo che ciò sia impossibile»;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che l’eliminazione di tale riserva valutativa per il giudice non può che essere funzionalmente e sistematicamente correlata alla modifica contemporaneamente disposta dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 145 del 2004, che, come visto, ha introdotto all’art. 165, comma primo, cod. pen., accanto a quelle già previste, la condotta riparatoria consistente nella «prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa»;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che pertanto, alla luce di tali <strong>modifiche normative</strong>, al giudice che si trovi a concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena a chi ne abbia già usufruito residua sempre la facoltà di imporre al condannato, ove per le più diverse ragioni non possa porre a suo carico l’obbligo al risarcimento del danno o alle restituzioni e sempre che il condannato stesso non si opponga, la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che, peraltro, l’esercizio di tale facoltà per il giudice appare reso ulteriormente agevole dall’orientamento giurisprudenziale consolidato del giudice di legittimità, secondo il quale la richiesta del beneficio della sospensione condizionale della pena da parte di chi ne abbia già usufruito, tanto più se (come nel caso che ha dato origine al presente giudizio) formulata nel procedimento di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, implica la non opposizione del condannato alla subordinazione del beneficio all’adempimento di uno degli obblighi di cui all’art. 165, comma primo, cod. pen., ivi compresa la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenze 24 aprile-7 maggio 2018, n. 19882 e 20 febbraio-14 aprile 2020, n. 12079);</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che, alla luce di ciò, per il fatto di non aver considerato la possibilità di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena, a chi ne abbia già usufruito in passato, all’obbligo consistente nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, il giudice rimettente muove da un presupposto interpretativo palesemente erroneo, che, in ragione dell’incompleta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, pregiudica alla radice l’iter logico che lo conduce a ritenere la questione non manifestamente infondata, determinandone così la manifesta inammissibilità (tra le molte, ordinanze n. 42 del 2020, n. 59 del 2019, n. 202 del 2018, n. 88 e n. 79 del 2017);</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che restano assorbiti gli ulteriori profili di inammissibilità.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em><strong>Emilio Barile La Raia</strong></em></p>