<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 05 maggio 2021 n. 92</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, dell’art. 16, comma l, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, e dell’art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio; va poi dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, dell’art. 16, comma l, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, e dell’art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. n. 122 del 2013, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.– I giudizi devono essere riuniti in ragione della loro connessione oggettiva, per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.– In tutti i procedimenti l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, per essere le ordinanze di rimessione motivate per relationem, in punto di non manifesta infondatezza, alla precedente ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. del 2017 della stessa Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Liguria, avente ad oggetto le medesime norme.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sebbene sia consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per il quale l’autonomia di ciascun giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, quanto ai requisiti necessari per la sua valida instaurazione, e il conseguente carattere autosufficiente della relativa ordinanza di rimessione, impongono al giudice a quo di rendere espliciti, facendoli propri, i motivi della non manifesta infondatezza, non potendo limitarsi ad un mero richiamo a quelli evidenziati in altre ordinanze di rimessione emanate nello stesso o in altri giudizi (ex plurimis, sentenze n. 88 e n. 83 del 2018, n. 170 del 2015, n. 103 del 2007; ordinanze n. 85, n. 64 e n. 19 del 2018, n. 156 del 2012 e n. 33 del 2006), l’eccezione non è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Quanto all’ordinanza iscritta al n. 63 reg. ord. del 2020, è sufficiente evidenziare che la stessa solleva la questione di legittimità costituzionale anche con riguardo ad un profilo che non veniva in rilievo nell’ordinanza di rimessione iscritta al n. 71 reg. ord. del 2017, ossia quello delle conseguenze, assunte come vieppiù irragionevoli, dell’applicazione delle norme censurate nell’ipotesi di promozione cosiddetta alla vigilia, profilo che è adeguatamente argomentato dal giudice a quo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Con riferimento agli altri atti di promovimento, che hanno contenuto analogo, l’eccezione dell’Avvocatura generale deve essere parimenti respinta poiché – se è vero che la Corte dei conti effettua un espresso rinvio alla motivazione sulla non manifesta infondatezza all’indicata ordinanza di rimessione, iscritta al n. 71 reg. ord. del 2017 – nel testo degli stessi sono comunque ripercorse, seppur sinteticamente, le argomentazioni poste a fondamento del dubbio di legittimità costituzionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.– Ancora in via preliminare, va considerato che, nei giudizi di cui alle ordinanze di rimessione iscritte al n. 63 e al n. 67 reg. ord. del 2020, la Corte dei conti deve fare applicazione dell’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, che proroga il blocco stipendiale per l’anno 2014, perché i ricorrenti sono cessati dal servizio rispettivamente a decorrere dal 31 dicembre 2014 e dal 22 maggio 2014, ossia proprio nel corso dell’anno che ha visto prorogata – per quel che rileva in questa sede – la disciplina legale limitativa degli incrementi retributivi e, dunque, di una disposizione di rango secondario nella gerarchia delle fonti normative.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il predetto art. 1 ha infatti natura regolamentare, come espressamente previsto dalla disposizione di legge (art. 16, comma 1, lettera b, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito) che ha autorizzato il Governo a emanarla, e, quindi, costituisce una norma subprimaria, priva di «forza di legge» ai sensi dell’art. 134 Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tale natura subprimaria della disciplina posta dal regolamento citato potrebbe far dubitare dell’ammissibilità delle questioni sollevate dal giudice rimettente, in quanto verrebbe in rilievo il limite del sindacato accentrato di costituzionalità posto dall’art. 134 Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tuttavia, come è stato già chiarito da questa Corte rispetto alla stessa disposizione, nella fattispecie in esame sussiste uno stretto nesso di specificazione qualificata, che lega la norma primaria e quella subprimaria, sicché può ben dirsi che la norma regolamentare costituisce il «completamento del contenuto prescrittivo» della norma primaria (sentenza n. 200 del 2018).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.– Le questioni sollevate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, con le ordinanze iscritte al n. 65, al n. 66 e al n. 67 reg. ord. del 2020 sono manifestamente infondate.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa Corte (sentenza n. 200 del 2018), infatti, ha già esaminato e dichiarato non fondate le analoghe questioni di costituzionalità sollevate con l’ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. del 2017, alla quale – come sopra osservato – ha fatto integrale riferimento la Corte rimettente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nella richiamata pronuncia la Corte ha ritenuto non fondata la prospettata violazione dell’art. 3 Cost. ponendo in evidenza che «[u]na volta sterilizzati ex lege, per effetto della disposizione censurata, gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall’applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Anche le ordinanze di rimessione hanno ad oggetto le medesime previsioni normative – le quali rinvengono la propria ratio nella finalità di contenimento e razionalizzazione della spesa per il pubblico impiego (ex multis, sentenze n. 178 del 2015, n. 154 del 2014 e n. 310 del 2013) – e la dedotta censura fa parimenti riferimento alla asserita lesione del principio di eguaglianza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In mancanza di argomentazioni nuove e diverse, vanno dichiarate manifestamente infondate le questioni attualmente sollevate dalla Corte rimettente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.– Infondata è anche la questione di legittimità costituzionale delle medesime norme censurate, sollevata dall’ordinanza iscritta al n. 63 reg. ord. del 2020, in riferimento all’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento, assunta come irragionevole rispetto alle ipotesi già scrutinate, a carico dei militari che abbiano beneficiato, nel periodo del “blocco” retributivo, della speciale promozione cosiddetta “alla vigilia”, contemplata dall’art. 1076, comma 1, cod. ordinamento militare, all’epoca vigente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Quest’ultima previsione normativa, abrogata dall’art. 1, comma 258, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», ma applicabile ratione temporis alla fattispecie che è oggetto dell’indicata ordinanza di rimessione iscritta al n. 63 reg. ord. del 2020, stabiliva – riproducendo a propria volta l’art. 1 della legge 22 luglio 1971, n. 536 (Norme in materia di avanzamento di ufficiali e sottufficiali in particolari situazioni) – che «[g]li ufficiali delle Forze armate iscritti in quadro di avanzamento o giudicati idonei una o più volte ma non iscritti in quadro, i quali, rispettivamente, non possono conseguire la promozione o essere ulteriormente valutati perché raggiunti dai limiti di età per la cessazione dal servizio permanente o perché divenuti permanentemente inabili al servizio incondizionato o perché deceduti, sono promossi al grado superiore, in aggiunta alle promozioni previste, dal giorno precedente a quello del raggiungimento dei limiti di età o del giudizio di permanente inabilità o del decesso [...]. Nel primo caso gli ufficiali promossi sono collocati in ausiliaria applicandosi i limiti di età previsti per il grado rivestito prima della promozione; nei restanti casi gli ufficiali promossi sono collocati nella riserva o in congedo assoluto, a seconda dell’idoneità».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Dai lavori preparatori della legge n. 536 del 1971 si evince che l’istituto speciale della promozione “alla vigilia” era volto ad attenuare la rigidità del meccanismo di sviluppo della carriera militare che si caratterizzava, stante la struttura piramidale del relativo apparato, per un numero particolarmente limitato di posti nelle qualifiche superiori della scala gerarchica.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ciò comportava che alcuni ufficiali permanessero in determinati gradi per prolungati periodi di tempo e che, in caso di raggiungimento dei limiti di età o di sopravvenuta inidoneità o di decesso, non avessero la possibilità di conseguire la promozione al grado superiore per mancanza di posti, pur essendo stati valutati con giudizio favorevole.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La promozione “alla vigilia” era dunque volta a porre un correttivo alla rigidità delle norme di avanzamento in carriera dei militari, al verificarsi di eventi che ponevano termine all’attività di servizio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Caratteristica di tale forma speciale di promozione era che la stessa non incideva sul numero degli ufficiali superiori o di quelli generali, poiché gli interessati appena promossi, con efficacia dal giorno precedente all’attribuzione della qualifica superiore, erano contemporaneamente posti in congedo per limiti di età o per inabilità permanente o comunque cessava il servizio per decesso. Il provvedimento aveva quindi effetti stipendiali per un solo giorno sì da fissare ad un livello più elevato l’“ultima retribuzione”, rilevante per la quantificazione del trattamento pensionistico.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.– Queste essendo le linee essenziali dell’istituto della promozione “alla vigilia”, abrogato dalla legge di stabilità per l’anno 2015, la questione sollevata dall’ordinanza iscritta al n. 63 reg. ord. del 2020 non è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va osservato, infatti, che l’ampiezza della formula utilizzata dall’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, laddove per delineare il perimetro di applicazione e la portata del blocco retributivo fa riferimento alle «progressioni in carriera comunque denominate», comporta che rientra nella relativa disciplina anche quella contemplata dall’abrogato art. 1076, comma 1, cod. ordinamento militare, in quanto non è prevista per tale ipotesi alcuna deroga al meccanismo generale del blocco.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Anche la promozione “alla vigilia” rappresenta una progressione in carriera ancorché di efficacia limitata ad un solo giorno e quindi, non essendo eccettuata dal generale regime di blocco della progressione economica in tutto il pubblico impiego, rientra anch’essa nell’ampia nozione di «progressioni in carriera comunque denominate», con conseguente assoggettamento alla disciplina limitativa censurata nella parte in cui ha previsto che esse hanno effetto, per gli anni del blocco, «ai fini esclusivamente giuridici».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Le ricadute sul trattamento pensionistico in caso di collocamento in quiescenza nel periodo del blocco sono già state esaminate da questa Corte nella richiamata pronuncia (sentenza n. 200 del 2018), secondo cui la «circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente “promosso” sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica – senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza – per l’incidenza del “fluire del tempo” che costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53 del 2017, n. 254 del 2014)».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Investita della medesima questione, anche con riferimento all’ulteriore prolungamento per un anno del blocco retributivo (art. 1, comma 256, legge n. 190 del 2014), questa Corte (sentenza n. 167 del 2020) ha dato continuità a tale orientamento ribadendo che la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale della regola dell’invarianza della retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di progressione di carriera è generalizzata e non consente di porre utilmente a raffronto il trattamento pensionistico, spettante ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quinquennio in questione, con quello riconosciuto ai dipendenti collocati in quiescenza dopo la scadenza di tale periodo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Non può quindi ritenersi che l’applicazione della disciplina censurata concreti una violazione dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento con specifico riferimento alla promozione “alla vigilia”. E anzi il fatto che il legislatore non abbia sottratto questa fattispecie al blocco evita che possa esservi un trattamento differenziato tra i militari che nel periodo del blocco hanno conseguito la promozione per merito, esercitando le mansioni della qualifica superiore fino al collocamento in quiescenza, avvenuto nel periodo del blocco, e quelli ai quali nello stesso periodo è stata attribuita la qualifica superiore senza l’esercizio delle relative mansioni, come trattamento di miglior favore al momento del collocamento in quiescenza, o della sopravvenuta inabilità al servizio, o del decesso, in applicazione dell’art. 1076, comma 1, cod. ordinamento militare.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Pertanto, va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, dell’art. 16, comma l, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, e dell’art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. n. 122 del 2013.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Emilio Barile La Raia</em></strong></p>