<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, III Sezione Penale, sentenza 24 giugno 2021, n. 24644</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><em> Il ricorso, essendone risultati infondati o inammissibili i motivi posti alla base, deve essere a sua volta rigettato.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Riguardo al primo motivo si rileva che lo stesso è sostanzialmente ripetitivo del motivo di impugnazione di fronte alla Corte di appello di Reggio Calabria con il quale erano state contestate le <strong>modalità di acquisizione in sede di indagini preliminari dei files contenenti le immagini pedopornografiche</strong> la cui acquisizione e detenzione è stata contestata al ricorrente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In tal senso, pertanto, si rileva come la doglianza, atteso che nel presentarla il ricorrente non si è, in sostanza, confrontato con la motivazione della Corte di merito, limitandosi a riproporre le medesime censure da questa già esaminate e non contestando puntualmente le ragioni che avevano condotto la Corte calabrese a disattendere il motivo di impugnazione (e cioè la non irripetibilità degli accertamenti compiuti sui supporti informatici nella disponibilità del M. da parte della Polizia giudiziaria, i quali non sono stati manomessi a seguito delle indagini ma hanno conservato le loro originarie caratteristiche di struttura, contenuto ed accessibilità, di tal che nessuna violazione del diritto di difesa è riscontrabile nel loro svolgimento, potendo il ricorrente dimostrare di avere raggiunto, svolgendo analoghe indagini, risultati diversi da quelli della Pg e, comunque, lui più favorevoli), si palesi in realtà aspecifica in quanto non indirizzata a segnalare un effettivo difetto della sentenza impugnata ma volta a rimettere in discussione, senza alcun apporto di elementi di novità, un profilo decisionale già esaminato in sede di merito.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Riguardo al secondo motivo di impugnazione, con il quale la difesa dell’imputato si è doluta, con riferimento alla ritenuta violazione di legge, del fatto che a carico di quello sia stata considerata sussistenza la <strong>circostanza aggravante della ingente quantità del materiale pedopornografico acquisito e detenuto</strong>, si rileva che si tratta di doglianza infondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Premesso, infatti, che la nozione di ingente quantità non è nozione i cui confini siano rigidamente definiti in sede normativa, si rileva che, in ogni caso la stessa è stata ritenuta ravvisabile ogni qual volta, a prescindere dal numero dei files aventi il carattere pedopornografico detenuti dal soggetto, questi fossero, a loro volta, costituiti da <strong>un significativo numero di immagini</strong> (Corte di cassazione, Sezione III penale, 30 agosto 2017, n. 39543, nella quale la caratteristica della ingenza è stata ravvisata nella detenzione di oltre un centinaio di immagini del tipo di quelle ora in questione; Corte di cassazione, Sezione III penale, 31 agosto 2016, n. 35866, nella quale la predetta aggravante è stata ravvisata allorché la detenzione aveva ad oggetto un filmato ed un compendio di circa altre 300 immagini ferme).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel caso in esame, osserva la Corte, a carico del M. è stata rinvenuta una quantità di immagini aventi contenuto pedopornografico superiore di molto ai limiti di cui sopra, in relazione alla quale non vi è dubbio che la scelta della Corte territoriale di confermare la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto ricorrere la circostanza aggravante, sia stata la più corretta.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Deve, peraltro, osservarsi come con maggior rigore, sul punto, debba essere esaminato il caso della detenzione di filmati, che il M. aveva in numero non certamente irrisorio, aventi contenuto pedopornografico, essendo di comune esperienza che da essi, attraverso la estrapolazione dei singoli <strong>frames</strong>, cioè di quelle parti elementari del filmato che nella cinematografia digitale hanno sostituito i fotogrammi della cinematografia tradizionale, sia possibile ricavare un numero moto elevato di immagini diverse, pur partendo da un unico file di provenienza, in tal modo, evidentemente <strong>moltiplicando gli effetti dannosi della possibile diffusione delle immagini stesse</strong>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La affermazione che, ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 600-quater c.p. le immagini debbano essere immediatamente fruibili dall’agente e che, pertanto, dal novero delle stesse debbano essere escluse quelle già <strong>cancellate o comunque non immediatamente accessibili</strong> è frutto di una personale ricostruzione ermeneutica del ricorrente, posto che la norma non fa assolutamente riferimento ad una contestualità temporale della detenzione ed indubbiamente ciò che è stato cancellato o, comunque, volontariamente accantonato in parti anche non più facilmente accessibili della memoria elettronica degli strumenti informatici se è stato acquisito dall’agente e da questi, sia pure per il solo tempo del suo accantonamento o cancellazione, detenuto vale ad integrare gli estremi del reato contestato, ove tali operazioni siano state, come nel caso di specie appare essere non contestato, <strong>consapevolmente eseguite</strong>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Con riferimento al terzo motivo di impugnazione, riguardante la <strong>dosimetria sanzionatoria</strong>, contestata con riferimento alla mancata indicazione dei criteri che hanno presieduto alla sua determinazione, sì rileva che il M. è stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, tenuto conto del fatto che a carico dello stesso erano state riconosciute talune circostanze aggravanti; al riguardo ha osservato la Corte di Reggio Calabria che i motivi di impugnazione formulati sul punto dalla ricorrente difesa avevano avuto, appunto, ad oggetto la ricorrenza di tali aggravanti, fattore questo che, una volta confermata la loro sussistenza da parte della Corte territoriale, ha giustificato la conferma della sanzione a suo tempo irrogata, non essendo stata siffatta determinazione contestata, secondo la non criticata ricostruzione della Corte reggina, sotto altri e diversi profili.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il ricorso del M. deve, pertanto essere rigettato ed il ricorrente, visto l’art. 616 c.p.p., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p>