Corte di Cassazione, Sez. II Penale, sentenza 21 marzo 2022 n. 9533
MASSIMA
Il delitto di riciclaggio di cui all’art. 648 bis c.p. è integrato non soltanto dalle condotte tipiche di sostituzione o trasformazione del bene di origine illecita ma, altresì, secondo la testuale dizione contenuta nella norma, “da ogni altra operazione diretta ad ostacolare l’identificazione” dell’origine delittuosa del bene. Nell’interpretare detta seconda parte dell’art. 648 bis c.p., comma 1, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di precisare che la disposizione di cui all’art. 648 bis c.p. pur configurando un reato a forma libera, richiede che le attività poste in essere sul denaro, bene od utilità di provenienza delittuosa siano specificamente dirette alla sua trasformazione parziale o totale, ovvero siano dirette ad ostacolare l’accertamento sull’origine delittuosa della res, anche senza incidere direttamente, mediante alterazione dei dati esteriori, sulla cosa in quanto tale.
L’acquisizione del possesso di un cane che si sia “smarrito” può essere fatta rientrare fra le ipotesi di “caso fortuito” di cui all’art. 647 c.p., dovendo tale ultima disposizione essere coordinata con l’art. 925 c.c. che prevede l’acquisto della “proprietà” dell’animale mansuefatto da parte di chi se ne sia impossessato qualora l’animale non sia stato reclamato entro venti giorni da quando il proprietario ha avuto conoscenza del luogo ove esso si trova (l’art. 925 c.c. concerne l’ipotesi di allontanamento spontaneo di animali che, senza interventi di terzi, si inseriscano in fondi altrui permanendovi non reclamati). Purtuttavia non può non considerarsi che gli animali “mansuefatti” cui fa riferimento la norma codicistica sono quelli che hanno acquisito una consuetudo revertendi mentre sono esclusi da tale fattispecie gli animali domestici (fra i quali rientra certamente il cane), la cui proprietà non può acquistarsi per occupazione.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- I ricorsi non possono trovare accoglimento.
- Osserva la Corte che il motivo, comune ai due ricorsi, relativo alla violazione dell’art. 97 c.p.p., comma 4 è manifestamente infondato.
Deve, infatti, in questa sede darsi continuità all’orientamento secondo cui “Il difensore che abbia ottenuto la sospensione o il rinvio della udienza per legittimo impedimento a comparire ha diritto all’avviso della nuova udienza solo quando non ne sia stabilita la data già nella ordinanza di rinvio, posto che, nel caso contrario, l’avviso è validamente recepito, nella forma orale, dal difensore previamente designato in sostituzione, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, il quale esercita i diritti ed assume i doveri del difensore sostituito e nessuna comunicazione è dovuta a quest’ultimo” (Cass. Pen. Sez. Un. 8285, 28/2/2006, Grassia; conf. Cass. Pen. Sez. 3, 30466, 13/5/2015, Calvaruso; Cass. Pen. Sez. 5, 26168, 11/5/2010, Terlizzi).
Nel caso in esame essendo stato designato in udienza un sostituto del legale di fiducia, secondo quanto è dato evincere dal verbale in atti, il quale ha avuto contezza della data di rinvio nessun avviso andava comunicato al difensore dell’imputato.
- Gli ulteriori motivi del ricorso a firma dell’Avv. Angelo Battista Mario Marras, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi, contengono censure in parte prive di fondamento ed in parte manifestamente infondate.
3.1. Osserva la Corte che decisione gravata (la cui struttura motivazionale – concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni – si salda con quella con quella dei giudici di primo grado), sfugge a qualsivoglia censura di vizio di motivazione, non palesandosi, in particolare, alcun deficit argomentativo o passaggio ex se contraddittorio o alcun elemento di prova che si presenti slegato o non coordinato rispetto agli altri ovvero disancorato dal contesto complessivo.
I giudici di merito hanno chiarito le ragioni per cui doveva ritenersi dimostrato che l’imputato, al fine di ostacolare la individuazione della provenienza delittuosa del cane di razza pastore tedesco a pelo lungo chiamato (OMISSIS) contraddistinto con il microchip (OMISSIS) sottratto al proprietario M.P., aveva sostituito il microchip apponendovi quello con il numero (OMISSIS) corrispondente ad un pastore tedesco a pelo corto già di proprietà dell’imputato di nome (OMISSIS), così risultando integrato il reato di riciclaggio.
La corte territoriale ha evidenziato come numerosi dati istruttori deponevano nel senso della sostituzione del microchip del cane di proprietà della parte civile, valutando unitariamente una serie di elementi indiziari quali: la condotta dell’animale che aveva manifestato di riconoscere i padroni signori M., estrinsecando chiari segni di affetto; il fatto che si era avvicinato al recinto allorquando era stato chiamato con il suo nome “(OMISSIS)”; i comportamenti anomali dell’imputato allorquando il M. aveva mostrato di avere riconosciuto il cane suddetto culminati con l’affermazione tale cane era in vendita per un prezzo esorbitante; il fatto che il veterinario, in un primo momento, dopo accurate indagini non aveva rinvenuto alcun microchip sull’animale trovato presso il canile dell’imputato; la ricomparsa di un microchip poche ore dopo detta visita la sparizione dell’animale dopo che l’imputato era stato edotto dalle forze dell’ordine della necessità di ulteriori accertamenti, cane asseritamente fuggito nonostante si trovasse in un canile con muri alti almeno due metri; gli esiti dell’esame del DNA sul pelo dell’animale nella disponibilità dell’imputato effettuati tramite comparazione con il sangue dei genitori del cane lago che avevano confermato trattarsi del pastore tedesco di proprietà del M..
In ordine alla configurabilità del reato contestato deve essere ricordato che il delitto di riciclaggio di cui all’art. 648 bis c.p. è integrato non soltanto dalle condotte tipiche di sostituzione o trasformazione del bene di origine illecita ma, altresì, secondo la testuale dizione contenuta nella norma, “da ogni altra operazione diretta ad ostacolare l’identificazione” dell’origine delittuosa del bene.
Nell’interpretare detta seconda parte dell’art. 648 bis c.p., comma 1, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di precisare che la disposizione di cui all’art. 648 bis c.p. pur configurando un reato a forma libera, richiede che le attività poste in essere sul denaro, bene od utilità di provenienza delittuosa siano specificamente dirette alla sua trasformazione parziale o totale, ovvero siano dirette ad ostacolare l’accertamento sull’origine delittuosa della res, anche senza incidere direttamente, mediante alterazione dei dati esteriori, sulla cosa in quanto tale (Sez. 2, n. 47088 del 14/10/2003, Rv. 227731).
Appare, allora, evidente, trattandosi di reato a forma libera, che correttamente è stato riconosciuto a carico del ricorrente il delitto di riciclaggio, dopo che i giudici di merito hanno debitamente ricostruito le modalità di sostituzione da parte del medesimo del microchip – che è indubbiamente elemento identificativo dell’animale e del suo proprietario – al fine di non rendere individuabile la provenienza delittuosa dell’animale.
Quanto al reato presupposto pur ipotizzando che il cane si fosse allontanato da solo, nella specie sarebbe comunque ravvisabile la fattispecie di furto, essendo il cane del M., secondo quanto incontroverso, dotato di segni che ne rendevano individuabile il proprietario in ogni caso (vedi Sez. 5, Sentenza n. 1710 del 06/10/2016 Ud. (dep. 13/01/2017) Rv. 268910) ed anche a voler ricondurre il fatto alla fattispecie ex art. 647 c.p., come sottolineato dai giudici di merito, resta il reato presupposto, risultando del tutto ininfluente in tal senso la depenalizzazione, solo sopravvenuta (conf. ex multis Cass. Pen. Sez. 2, 32775, 30/6/2021, Briglia; Cass. Pen. Sez. 2, 18710, 15/12/2016, Giordano).
A fronte della ricostruzione della condotta delittuosa in esame, operata in modo conforme da entrambi i giudici di merito con argomentazioni che non appaiono nè carenti nè illogiche né contradittorie, la tesi del ricorrente (il quale nega sostanzialmente la valenza dei suddetti elementi indiziari, offrendone una lettura parziale e fortemente parcellizzata) non mira a contestare la logicità dell’impianto argomentativo delineato nella motivazione della decisione impugnata, ma si risolve nella contrapposizione, a fronte del giudizio espresso dai giudici di merito, di una alternativa ricostruzione dei fatti, evidentemente sottratta alla delibazione di questa Suprema Corte in ragione dei limiti posti alla cognizione di legittimità dall’art. 606 c.p.p..
Né può ritenersi fondata la censura di mancato coordinamento con la normativa specifica di cui all’art. 925 c.c. che prevede che l’animale diventi di appartenenza di chi se ne è impossessato se non reclamato entro venti giorni dal momento in cui il proprietario ha conoscenza del luogo in cui l’animale si trova.
Va premesso che tale censura risulta oggetto di specifica articolazione solo con l’odierno ricorso, con quanto ne consegue in termini di ammissibilità per i profili in fatto che involge.
Deve, comunque, rilevarsi che la tesi appare, in ogni caso, priva di fondamento alcuno.
Questo Collegio non ignora il precedente orientamento secondo cui l’acquisizione del possesso di un cane che si sia “smarrito” può essere fatta rientrare fra le ipotesi di “caso fortuito” di cui all’art. 647 c.p., dovendo tale ultima disposizione essere coordinata con l’art. 925 c.c. che prevede l’acquisto della “proprietà” dell’animale mansuefatto da parte di chi se ne sia impossessato qualora l’animale non sia stato reclamato entro venti giorni da quando il proprietario ha avuto conoscenza del luogo ove esso si trova (Sez. 2, Sentenza n. 18749 del 05/02/2013 Ud. (dep. 29/04/2013) Rv. 255762 – 01).
Purtuttavia non può non considerarsi che gli animali “mansuefatti” cui fa riferimento la norma codicistica sono quelli che hanno acquisito una consuetudo revertendi mentre sono esclusi da tale fattispecie gli animali domestici (fra i quali rientra certamente il cane), la cui proprietà non può acquistarsi per occupazione; a quest’ultimo proposito va segnalato che, in passato, con riferimento ai cavalli, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che tali animali non appartengono alla categoria degli animali mansuefatti, per la rivendicazione dei quali, da chi li abbia presi, è fissato il termine utile di venti giorni dall’art. 925 c.c. (vedi Cass. Civ. 14 dicembre 1950 n. 2723).
Deve aggiungersi la considerazione che, come segnalato dalla P.G., in ogni caso la norma concerne la diversa ipotesi di allontanamento spontaneo di animali che, senza interventi di terzi, si inseriscano in fondi altrui permanendovi non reclamati laddove i giudici di merito hanno ampiamente argomentano sui plurimi ed insistenti comportamenti posti in essere, nella immediatezza, dal M., per il ritrovamento e recupero dell’animale, anche con l’ausilio della forza pubblica, recupero non riuscito solo per effetto delle condotte ostruzionistiche e fraudolente del P..
- Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere rigettati con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.