<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il reato-inadempimento può essere “</em>semplice<em>”, quale fatto storico integrante una condotta lesiva dell’interesse penalmente tutelato dal legislatore; ma può anche essere peculiarmente qualificato, qui implicando - per motivi inerenti ai soggetti (attivo o passivo) che ne sono protagonisti, ovvero per cause avvinte al concreto atteggiarsi, nel caso di specie, della condotta inadempitiva – una pena maggiore o minore per l’inadempiente (reo) rispetto a quella “</em>basic<em>” irrogabile. In queste ipotesi, ciò che “</em>sta intorno<em>” qualifica peculiarmente – senza modificarne il nucleo - ciò che è “</em>al centro<em>”, salvo tuttavia dover attentamente verificare se gli elementi cui viene ricondotta tale qualificazione siano realmente “</em>intorno<em>” al ridetto nucleo o non siano, piuttosto, “</em>al centro<em>”, nel cuore della fattispecie penalmente rilevante ed identificantisi con il nucleo in parola (stante il diverso regime applicabile - su più fronti - rispettivamente, nel primo e nel secondo caso).</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Nel <strong>diritto romano</strong> si ritrovano già nelle <strong>XII Tavole</strong> le prime figure di <strong>reato circostanziato</strong>, con particolare riferimento <strong>(VIII Tavola) </strong>al <strong>furto</strong> avente ad oggetto le <strong>messi rubate avvalendosi della magia</strong>, ovvero al furto <strong>commesso di notte</strong>, capace quest’ultimo di legittimare il proprietario che colga il ladro in flagrante <strong>alla relativa uccisione</strong>, anche se disarmato. In un noto passo del <strong>giurista Saturnino</strong> contenuto in Digesto, Dig. 48.19.16.3, si distingue poi – con riguardo ad un <strong>medesimo fatto di reato</strong> – se è stato commesso <strong>da un libero o da uno schiavo</strong>, ovvero, sul crinale della <strong>vittima</strong>, se è stato commesso <strong>nei confronti del padrone, o di un familiare, ovvero di un estraneo</strong>, in ambito <strong>pubblico</strong> o in ambito <strong>privato</strong>, con un posto particolare assegnato anche all’<strong>età del soggetto agente</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1889</strong></p> <p style="text-align: justify;">La codificazione liberale <strong>Zanardelli</strong> (30 giugno) annovera le <strong>circostanze</strong> – generalmente intese – in seno al Titolo II del <strong>libro I</strong>, dedicato alle <strong>pene</strong> ed alla relativa <strong>commisurazione nel caso concreto</strong>. In particolare, le <strong>circostanze attenuanti</strong> eventualmente presenti autorizzano il giudice, ex <strong>art. 26</strong> ed in particolari <strong>casi meno gravi</strong>, a <strong>sostituire la pena detentiva</strong> in <strong>riprensione giudiziale</strong> (un particolare <strong>ammonimento</strong> impartito in pubblica udienza); più in generale, all’<strong>art.29</strong> – dopo aver sancito che lo <strong>stretto principio di legalità</strong> è alla base del <strong>potere del giudice</strong> non solo di <strong>aumentare</strong>, ma anche di <strong>diminuire</strong> e di <strong>commutare</strong> le pene (<strong>casi espressamente determinati dalla legge</strong>) – il codice prevede specificamente <strong>come aumentare o diminuire le pene</strong> in presenza di una <strong>circostanza legalmente prevista</strong>, e fissa <strong>precisi canoni per l’eventuale concorso tra più circostanze</strong>, stabilendo che in ogni caso <strong>sono valutate per ultime</strong>, nel preciso ordine che segue, l’<strong>età</strong>, lo <strong>stato di mente</strong> (che dunque viene ricondotto ad una <strong>circostanza</strong>), le c.d. <strong>attenuanti generiche</strong> previste dall’<strong>art.59</strong> (un caso di <strong>attenuazione <em>pro reo</em> del principio di legalità</strong> che governa gli aumenti e le dimunizioni di pena) e la <strong>recidiva</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Le circostanze trovano disciplina in via generale in una <strong>apposita <em>sedes materiae</em></strong>, agli <strong>articoli da 59 a 70</strong>, palesandosi ormai non più quali <strong>peculiari strumenti di commisurazione della pena</strong>, quanto piuttosto – e <strong>più a monte</strong> – quali <strong>peculiari qualificazioni del fatto tipico</strong>, capaci di accrescerne o di diminuirne la gravità, la <strong>pertinente commisurazione della pena</strong> rilevando ormai come <strong>mero effetto</strong>. Significativo in particolare l’<strong>art.59</strong>, che prevede <strong>l’imputazione “<em>oggettiva</em>”</strong> delle circostanze al soggetto agente sia che si tratti di <strong>attenuanti</strong>, sia che si tratti di <strong>aggravanti</strong>; importante anche <strong>l’art.157</strong>, nella cui originaria versione (comma 2) il <strong>tempo necessario a prescrivere il reato</strong> si determina con riguardo al <strong>massimo della pena stabilita</strong> per il delitto consumato o tentato, <strong>tenuto conto dell’aumento massimo di pena</strong> stabilito per le circostanze aggravanti e della <strong>diminuzione minima</strong> stabilita per quelle attenuanti. Di rilievo <strong>l’art.63, comma 3</strong>, che distingue le circostanze in <strong>autonome</strong> ed <strong>indipendenti</strong>, e l’<strong>art.69</strong>, in tema di c.d. <strong>bilanciamento tra circostanze</strong>. <strong>Non sono previste</strong> originariamente <strong>le c.d. circostanze attenuanti generiche</strong>, che erano invece presenti nel <strong>codice Zanardelli</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1944</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 settembre viene varato il <strong>decreto legislativo luogotenenziale n.288</strong>, il cui art.2 inserisce nel codice penale <strong>l’art.62.bis</strong>, reinnestando nel sistema le c.d. <strong>circostanze attenuanti generiche</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Viene varata la <strong>Costituzione repubblicana</strong> che, <strong>all’art.27</strong>, parla di <strong>responsabilità penale personale</strong>, con necessità di <strong>personalizzare nella misura maggiore possibile il trattamento sanzionatorio</strong>, parametrandolo alla <strong>effettiva responsabilità del soggetto agente</strong>, anche sulla scorta di un <strong>preciso coefficiente psicologico</strong>. Sotto altro versante, ai sensi dell’art.25, comma 2, della Costituzione nessuno può essere punito se non in forza di <strong>una legge</strong> che sia <strong>entrata in vigore prima del fatto commesso</strong>: ciò implica che, oltre a non poter essere puniti, non si può <strong>neppure essere “<em>più</em>” puniti</strong> da una <strong>legge retroattiva</strong> che preveda <strong>circostanze aggravanti</strong>, le quali ultime (come del resto le attenuanti) debbono essere ancorate ad un <strong>fatto storico commesso</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1974</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 giugno viene varata la <strong>legge n.220</strong> che consente di sottoporre a <strong>bilanciamento</strong> – così <strong>aumentando la discrezionalità del giudice</strong> – le circostanze <strong>eterogenee</strong> (aggravanti ed attenuanti) ad <strong>efficacia comune</strong> con quelle ad <strong>efficacia speciale</strong>. La riforma acuisce la necessità di <strong>distinguere</strong>, nei casi dubbi, le <strong>circostanze</strong> (bilanciabili) dagli <strong>elementi costitutivi del reato</strong> (non bilanciabili).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1981</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione, <strong>Gentilini</strong>, in tema di <strong>lesioni personali</strong>, che abbraccia - per distinguere le <strong>circostanze</strong> dagli <strong>elementi costitutivi della fattispecie - </strong> l’<strong>ambiguo</strong> criterio della <strong>c.d. accessorietà</strong>, onde si tratta di elemento (fattuale) costitutivo solo se è <strong>essenziale</strong> (e <strong>non accessorio</strong>) per la <strong>realizzazione della fattispecie criminosa</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1984</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 luglio viene varata la <strong>legge n.400</strong>, che modifica l’<strong>art.63, comma 3</strong>, del c.p. con la <strong>nuova distinzione</strong> tra circostanze <strong>autonome</strong> (<strong>pena di specie diversa</strong> da quella ordinaria del reato) e circostanze <strong>ad effetto speciale</strong> (variazione <strong>superiore ad un terzo</strong>), dimenticando tuttavia la categoria delle <strong>circostanze indipendenti</strong> (variazione di pena <strong>in misura indipendente</strong> rispetto a quella del reato semplice). Secondo una prima tesi (che sarà minoritaria) le circostanze indipendenti <strong>non trovano più disciplina nel codice</strong>, non potendo esse essere ricomprese in quelle <strong>ad effetto speciale</strong> di cui al novellato art.63. Se non che, <strong>non è stato modificato anche l’art.69, comma 4</strong>, c.p., che in sede di disciplina del bilanciamento continua a parlare ancora (ed anche) di <strong>circostanze indipendenti</strong>, fatto che fa supporre che tali circostanze <strong>esistano ancora</strong> per la legge penale; a diversamente opinare, occorrerebbe peraltro affermare, in modo del tutto <strong>irragionevole</strong>, che in presenza di <strong>circostanze indipendenti</strong> <strong>non si applicherebbe</strong> (come invece per le circostanze <strong>autonome</strong> e per quelle <strong>ad effetto speciale</strong>) il <strong>particolare regime di computo</strong> previsto dall’art.63, comma 3, nel caso in cui <strong>concorrano altre circostanze</strong> (il riferimento non è alla <strong>pena base del reato</strong>, ma alla <strong>pena stabilita per le circostanze anzidette</strong>). La dottrina più illuminata segnalerà anzi come nel caso di circostanze <strong>ad effetto speciale</strong>, poiché la variazione di pena <strong>è di tipo frazionario</strong> (anche se superiore ad un terzo), in caso di <strong>ulteriori circostanze</strong> è <strong>indifferente l’ordine</strong> con il quale si procede al computo della pena finale, mentre così non è <strong>proprio per le circostanze indipendenti</strong>, la cui variazione <strong>non ha una consistenza di tipo frazionario</strong> rispetto alla <strong>pena prevista per il reato base</strong>. Sotto altro profilo, la “<strong><em>dimenticanza</em></strong>” del legislatore farà dire a <strong>parte della dottrina</strong> che – dovendosi comunque ricomprendere le <strong>circostanze indipendenti</strong> tra quelle, espressamente previste, <strong>ad effetto speciale</strong> – esse sono <strong>solo quelle la cui variazione sia superiore ad un terzo</strong> rispetto alla pena base; a questa tesi si opporrà quella di chi assume <strong>irragionevole</strong> considerare “<strong><em>ad effetto comune”</em></strong> circostanze che, pur <strong>non superando il terzo</strong> in termini di variazione quantitativa, <strong>sono comunque “<em>indipendenti</em>”</strong> rispetto alla pena base del reato, con l’ulteriore difficoltà onde a questo tipo di circostanze, <strong>senz’altro non “<em>comuni</em>”,</strong> <strong>non sarebbe più applicabile</strong> né <strong>l’art.63, comma 3, 4 e 5 c.p.,</strong> né l’<strong>art.69, comma 4, in tema di bilanciamento (che continua a parlare di circostanze indipendenti). In sostanza, per la dottrina maggioritaria l’art.63 solo apparentemente avrà cancellato</strong> la figura delle circostanze “<strong><em>indipendenti</em></strong>”, in realtà <strong>ancora pienamente configurabile</strong> come dimostra proprio l’art.69, comma 4, c.p., che le <strong>annovera esplicitamente</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 febbraio vede la luce la <strong>legge n.19</strong> che, in tema di <strong>circostanze</strong>, opera una <strong>importante riforma</strong> in punto di <strong>criterio di imputazione delle aggravanti</strong>, novellando l’<strong>art.59, comma 1, del c.p</strong>.: mentre le circostanze <strong>attenuanti</strong> possono continuare ad essere imputate al soggetto agente <strong>a titolo oggettivo</strong>, quelle <strong>aggravanti</strong> possono essere imputate <strong>solo se se da lui conosciute</strong>, ovvero <strong>ignorate per colpa</strong> o <strong>ritenute inesistenti per errore determinato da colpa</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 ottobre viene varato il <strong>D.p.R. n.309</strong> in tema di sostanze stupefacenti, il cui <strong>art.74, comma 6</strong>, prevede che laddove <strong>l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti</strong> abbia ad oggetto <strong>fatti di lieve entità</strong>, si applica il <strong>regime sanzionatorio</strong> (più favorevole perché più mite) di cui <strong>all’art.416, comma 1 e 2, c.p.:</strong> si porrà il problema se questa norma costituisca <strong>titolo autonomo di reato</strong> o <strong>mera circostanza attenuante</strong>. Importante anche <strong>l’art.73</strong>, nella cui <strong>originaria formulazione</strong> i comma 1 e 4 costituiscono dei <strong>reati base</strong>, mentre il <strong>comma 5</strong> configura una <strong>circostanza attenuante ad effetto speciale</strong>, con <strong>regime sanzionatorio più mite</strong> quando <strong>il fatto è di lieve entità</strong>: trattandosi di circostanza, essa <strong>è bilanciabile</strong> ex art.69 c.p. con altre circostanze di segno opposto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">*L’11 luglio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione, <strong><em>Spanazzi</em></strong>, in tema di <strong>cessione di sostanze stupefacenti</strong> che abbraccia, per distinguere le <strong>circostanze</strong> dagli <strong>elementi costitutivi della fattispecie</strong>, l’<strong>ambiguo</strong> <strong>criterio della c.d. accessorietà</strong>, onde si tratta di <strong>elemento (fattuale) costitutivo</strong> solo se è <strong>essenziale</strong> (e <strong>non accessorio</strong>) per la realizzazione della fattispecie criminosa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione che, in tema di <strong>resistenza a pubblico ufficiale</strong>, qualifica come “<strong><em>ad effetto speciale</em></strong>” la <strong>circostanza prevista dall’art.339, comma 2, c.p.,</strong> che è in realtà una <strong>circostanza indipendente</strong>, così implicitamente abbracciando la tesi della <strong>configurabilità di tali circostanze pur dopo</strong> la novella del 1984 nella formulazione dell’art.63 c.p.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5081, <strong><em>Lanuto</em></strong>, che si occupa dell’<strong>art.609.ter, comma 1, c.p.,</strong> in tema di <strong>circostanze aggravanti</strong> dei <strong>reati sessuali</strong>. Secondo la Corte si tratta di un <strong>catalogo di aggravanti</strong> che <strong>non possono essere considerate ad effetto speciale</strong> ai fini della disciplina di cui all’<strong>art.63, comma 3, c.p.</strong> (computo in caso di altre circostanze), dal momento che per il <strong>reato base</strong> è prevista una <strong>pena edittale da 5 a 10 anni di reclusione</strong>, mentre per la fattispecie aggravata la pena edittale <strong>da 6 a 12 anni</strong>: si tratta di <strong>un aumento pari ad un quinto</strong>, con <strong>esclusione</strong> della configurabilità come aggravante, per l’appunto, ad effetto speciale. La sentenza pare collocarsi nel solco di quell’orientamento che – al cospetto di <strong>circostanze c.d. indipendenti</strong> (come appunto nel caso di specie) – tende a ricondurle <strong>tra quelle “<em>ad effetto speciale</em>”</strong>, ma solo laddove esse <strong>superino</strong>, in termini di variazione, <strong>un terzo</strong> rispetto alla pena base (e dunque non nel caso di specie).</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.1483, alla cui stregua <strong>l’art.74, comma 6</strong>, del D.p.R. 309.90 <strong>non è circostanza attenuante</strong>, ma <strong>autonoma fattispecie di reato</strong>, <strong>meno grave</strong> rispetto alle <strong>fattispecie più gravi</strong> previste dai comma 1 e 2 della medesima disposizione. Il legislatore non si limita infatti, nel comma 6, a prevedere <strong>una pena più mite</strong> laddove l’associazione per delinquere sia finalizzata ad un <strong>narcotraffico di lieve entità</strong>, ma <strong>rinvia <em>tout court</em> all’art.416, comma 1 e 2, c.p.,</strong> con un richiamo <strong>non già soltanto alla pena</strong>, ma piuttosto e più in radice <strong>al fatto tipico</strong>, che deve proprio per questo assumersi <strong>autonomo</strong> (e non già mera circostanza attenuante), implicando un <strong>minor allarme sociale</strong>, quale <strong>semplice associazione per delinquere</strong>. Si porrà tuttavia il problema di vedere se scatta, anche per questa <strong>ipotesi più lieve</strong>, <strong>l’automatismo custodiale</strong> (sul piano cautelare), discendente dall’art. 275, comma 3, c.p.p., il quale richiama l’art.51, comma 3.bis, del c.p.p. ed i fatti in esso previsti, tra i quali appunto quelli puniti dall’art.74 del D.p.R. n.309.90, <strong>senza alcuna differenza</strong> tra fattispecie <strong>più gravi e meno gravi</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 luglio esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong>, <strong><em>Fedi</em></strong>, che si occupa di verificare se la fattispecie di cui all’<strong>art.640.bis c.p.</strong> (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) configuri effettivamente una <strong>aggravante</strong>, come parrebbe evincibile dalla rubrica, ovvero una <strong>fattispecie autonoma di reato</strong>. La Corte chiarisce che <strong>pur utilizzando la rubrica l’espressione “<em>aggravata</em>”</strong> (<em>nomen iuris</em>), ciò non può assumersi <strong>indizio univoco né decisivo</strong> per assumere <strong>circostanziale</strong> l’elemento della finalizzazione (della truffa) al conseguimento di erogazioni pubbliche. Nondimeno, la Corte <strong>non condivide</strong> in ogni caso la giurisprudenza che vi scorge una <strong>ipotesi di fattispecie autonoma di reato</strong>, e non piuttosto di <strong>circostanza aggravante</strong>. Perno dell’iter logico abbracciato dalla Corte è la <strong>descrizione della fattispecie</strong> da parte del legislatore, che opera un <strong>rinvio al fatto-reato previsto dall’art.640 del codice per la truffa “<em>base</em>”,</strong> cui <strong>aggiunge</strong> – a titolo <strong>integrativo</strong> – un <strong>oggetto materiale specifico</strong> della condotta di chi truffa, vale a dire la <strong>erogazione</strong> da parte dello Stato, delle Comunità europee o di altri soggetti pubblici, e la <strong>pertinente disposizione patrimoniale pubblica</strong> che <strong>ne discende</strong> a valle del contegno di <strong>induzione in errore</strong>. La Corte mostra in tal modo di aderire al <strong>criterio c.d. strutturale</strong> della <strong>modalità di descrizione della fattispecie</strong>, imperniantesi sul <strong>come la fattispecie viene concretamente descritta</strong> dal legislatore. La norma incriminatrice reca un <strong>precetto primario</strong> che descrive il <strong>comportamento oggetto di sanzione penale</strong>, ed è osservando tale descrizione che vanno di volta in volta <strong>risolti i casi dubbi</strong> tra <strong>circostanze</strong> ed <strong>elementi costitutivi</strong> (se del caso, di un reato autonomo): laddove il <strong>fatto incriminato</strong> venga <strong>descritto nella fattispecie A</strong>, e <strong>la fattispecie B si limiti ad una mera descrizione <em>per relationem</em></strong> del fatto medesimo, la fattispecie B deve assumersi <strong>circostanziale</strong> rispetto alla fattispecie A; si è invece al cospetto di un <strong>autonomo titolo di reato</strong> laddove <strong>non vi sia il ridetto rinvio descrittivo <em>per relationem</em></strong> ad altra fattispecie, provvedendo il legislatore ad una <strong>descrizione autonoma e completa di un fatto</strong>, perché tale, diverso. Le SSUU contestano quella dottrina che ritiene che vi sarebbero anche casi in cui la <strong>tecnica della descrizione con rinvio</strong> viene adoperata dal legislatore in ipotesi in cui la <strong>fattispecie che rinvia è</strong>, in realtà, <strong>certamente un autonomo titolo di reato</strong> (vengono portati gli esempi dell’<strong>inadempimento colposo di contratti di fornitura in tempo di guerra</strong>, ex art.251, comma 2, c.p., che rinvia alla <strong>fattispecie dolosa</strong>; dei <strong>delitti colposi contro la salute pubblica</strong>, ex art.452 c.p., che del pari richiamano le <strong>parallele fattispecie dolose</strong>; degli <strong>atti osceni colposi</strong> ex art.527, comma 3, c.p. (oggi depenalizzati), che pure <strong>rinviano descrittivamente alla pertinente fattispecie dolosa</strong>): in questi casi, per la Corte è infatti il <strong>mutamento del titolo di imputazione soggettiva</strong> del reato a far sì che, <strong>nonostante il rinvio <em>per relationem</em></strong> alla descrizione del fatto materiale, si sia al cospetto di <strong>ipotesi di reato autonomo</strong> rispetto al <strong>reato base</strong>. Anche il fatto che l’art.640.bis si trovi in un <strong>articolo separato</strong> (c.d. <strong>criterio topografico</strong>) rispetto alla <strong>fattispecie base</strong> di cui all’art.640 <strong>non può recare ineluttabilmente seco</strong> la relativa configurabilità come <strong>fattispecie autonoma di reato</strong>, come dimostra: a) da un lato il fatto che vi sono <strong>altre ipotesi di fattispecie circostanziale</strong> contenute in <strong>articoli diversi</strong> rispetto alla figura base, come nei casi di cui agli <strong>articoli 292.bis e 293 c.p.</strong> (oggi abrogati), la cui rubrica parla espressamente di circostanze aggravanti in relazione a taluni <strong>delitti contro la personalità dello Stato</strong>; b) dall’altro il fatto che esistono <strong>figure criminose</strong> in cui, pur essendo <strong>il fatto descritto nel medesimo articolo della fattispecie base</strong>, si tratta <strong>certamente di autonomo titolo di reato</strong>, come nelle fattispecie di <strong>favoreggiamento personale </strong>previste all’art.378, comma 1 e 3, c.p. Infine, per le SSUU <strong>neppure può assumersi affidabile ed appagante</strong> il c.d. <strong>criterio teleologico</strong>, orientato alla <strong>osservazione del bene tutelato</strong> dalla norma incriminatrice, sicché si sarebbe al cospetto di una <strong>autonoma fattispecie di reato</strong> ogni qual volta <strong>muti il bene tutelato dalla norma incriminatrice</strong>; da un punto di vista logico, per la Corte deve prima verificarsi <strong>quali siano gli elementi essenziali e quali quelli accidentali</strong> (circostanziali) di una fattispecie, e <strong>solo poi acclarare</strong> se gli elementi essenziali – tra i quali, per l’appunto, il <strong>bene (interesse) tutelato</strong> - <strong>siano per avventura mutati</strong>, onde il criterio non è utile, <strong>a monte</strong>, per verificare appunto se si tratta di <strong>circostanza</strong> o di <strong>fattispecie autonoma di reato</strong>; peraltro, proprio nell’ipotesi di cui all’art.640.bis c.p. il <strong>criterio del c.d. bene tutelato</strong> (o criterio teleologico) appare del tutto <strong>inappagante</strong>, sol che si consideri come in realtà il bene tutelato, tanto nella <strong>truffa base</strong> quanto in <strong>quella disegnata dal ridetto art.640.bis</strong>, resti il <strong>patrimonio del soggetto passivo</strong> della truffa (il che peraltro confermerebbe trattarsi di <strong>circostanza</strong>, e <strong>non </strong>di <strong>autonomo titolo di reato</strong>). Piuttosto, nel caso dell’art.640.bis c.p. il patrimonio del soggetto passivo (pubblico) va inteso <strong>non già nel tradizionale senso statico</strong> del <strong>compendio di cespiti nella disponibilità del soggetto passivo</strong> medesimo, quanto piuttosto <strong>nell’ottica dinamica e funzionale</strong> della <strong>corretta allocazione delle risorse pubbliche</strong>, <strong>alterata</strong> dal contegno truffaldino del soggetto agente, con il risultato non già tanto di una <strong>riduzione del patrimonio pubblico</strong>, quanto piuttosto di uno <strong>sviamento delle risorse pubbliche</strong> dal <strong>vincolo di destinazione</strong> ad esse impresso, senza che questo <strong>escluda la natura circostanziale</strong> della norma.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 5 marzo esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.11938, che ribadisce come <strong>l’art.74, comma 6</strong>, del D.p.R. 309.90 <strong>non sia circostanza attenuante</strong>, ma <strong>autonoma fattispecie di reato</strong>, <strong>meno grave</strong> rispetto alle fattispecie <strong>più gravi</strong> previste dai comma 1 e 2 della medesima disposizione. Il legislatore <strong>non si limita</strong> infatti, nel comma 6, a prevedere una <strong>pena più mite</strong> laddove <strong>l’associazione per delinquere sia finalizzata ad un narcotraffico di lieve entità</strong>, ma <strong>rinvia <em>tout court</em> all’art.416, comma 1 e 2, c.p.,</strong> con un richiamo <strong>non già soltanto alla pena</strong>, ma piuttosto e più in radice <strong>al fatto tipico</strong>, che deve proprio per questo assumersi <strong>autonomo</strong> (e non già mera circostanza attenuante), implicando un <strong>minor allarme sociale</strong>, quale <strong>semplice associazione per delinquere</strong>. Resta tuttavia il problema di vedere se <strong>scatta</strong>, anche per questa <strong>ipotesi più lieve</strong>, l’<strong>automatismo custodiale</strong> (sul piano <strong>cautelare</strong>), discendente dall’art. 275, comma 3, c.p.p., il quale richiama l’art.51, comma 3.bis, del c.p.p. ed i <strong>fatti in esso previsti</strong>, tra i quali appunto <strong>quelli puniti dall’art.74</strong> del D.p.R. n.309.90, <strong>senza alcuna differenza</strong> tra fattispecie più gravi e meno gravi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3348 che, con riferimento alla <strong>violenza sessuale di gruppo</strong> di cui all’<strong>art.609.<em>octies</em> c.p.,</strong> conclude trattarsi <strong>non di una circostanza aggravante</strong>, ma di una <strong>fattispecie autonoma di reato</strong>. La Corte <strong>abbandona</strong> in questo arresto il <strong>criterio strutturale</strong> della “<strong><em>modalità di descrizione della fattispecie</em></strong>”, applicando il quale – stante il <strong>richiamo <em>per relationem</em></strong> contenuto nella norma stessa <strong>all’art.609.bis c.p.,</strong> si sarebbe dovuto concludere per la <strong>natura di circostanza aggravante</strong> – onde abbracciare il <strong>criterio c.d. teleologico</strong> facente perno <strong>sul bene (interesse) giuridico protetto</strong> e sulla relativa <strong>offesa perpetrata dal soggetto agente</strong>: pur essendo il bene (interesse) giuridico tutelato dalla norma penale <strong>lo stesso </strong>tanto nell’<strong>art.609.bis</strong> quanto nell’<strong>art.609.<em>octies</em></strong>, <strong>diverse sono le modalità dell’offesa</strong> arrecata al bene medesimo, il che fa propendere la Corte proprio per <strong>l’opzione ermeneutica</strong> della <strong>fattispecie autonoma di reato</strong>. Il legislatore ha riservato un <strong>trattamento sanzionatorio più grave all’art.609.<em>octies</em></strong> in quanto la <strong>simultanea partecipazione di più persone</strong> al fatto offensivo conferisce al medesimo <strong>un peculiare disvalore</strong>, con un <strong>grado di lesività più intenso</strong> discendente da una <strong>maggiore capacità di intimidazione della vittima</strong>; vi è <strong>pericolo tangibile di reiterazione</strong> degli atti sessuali violenti da parte dei <strong>vari partecipi</strong>, dovendosi assumere <strong>sviluppate e incrementate le capacità criminali dei singoli</strong>. La <strong>liberà sessuale</strong> della vittima deve assumersi <strong>naturalmente assistita</strong> da un <strong>ineliminabile senso di autodeterminazione</strong> che viene <strong>maggiormente compresso</strong> da un <strong>fatto violento con più partecipi</strong>, in quanto la <strong>forza di reazione</strong> della vittima stessa <strong>viene eliminata o grandemente ridotta</strong>, con effetti fisici e psicologici di gran lunga <strong>potenziati</strong>. Di qui la <strong>natura autonoma</strong> della fattispecie di reato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 dicembre viene varata la <strong>legge n. 251</strong>, c.d. <strong>ex Cirielli</strong>, che <strong>modifica l’art.157, comma 2, c.p.,</strong> onde – ai fini della individuazione del <strong>termine di prescrizione del reato</strong> – si ha ormai riguardo <strong>solo alle circostanze</strong> <strong>aggravanti</strong> per le quali la legge stabilisce una <strong>pena di specie diversa</strong> <strong>da quella</strong> <strong>ordinaria</strong> del reato e delle <strong>circostanze ad effetto speciale</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 novembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.36606 che si occupa del <strong>furto in abitazione</strong>, disciplinato dall’<strong>art.624.bis c.p.:</strong> per la Corte si tratta <strong>non già di una circostanza aggravante</strong>, ma di una <strong>fattispecie autonoma di reato</strong>. La Cassazione sembra in questo arresto <strong>abbandonare</strong> il criterio <strong>(c.d. strutturale)</strong> della <strong>modalità di descrizione della fattispecie</strong>, utilizzato nel <strong>2002</strong> per qualificare <strong>l’art.640.bis c.p.</strong>, affidandosi piuttosto alla <strong><em>ratio</em> della disposizione</strong> che, come tale, appare fare luogo appunto ad una <strong>fattispecie autonoma di reato</strong> più che ad una <strong>mera circostanza</strong>. Secondo la Corte, più in specie, <strong>l’abrogazione dell’art. 625, n. 1 c.p.</strong> e la <strong>contestuale previsione della fattispecie di reato</strong>, <strong>non aggravata</strong>, di furto in appartamento, di cui all’art. 624 bis, deve assumersi essere stata indotta proprio dalla <strong>maggiore gravità del fatto</strong> e dal <strong>maggiore allarme sociale</strong> suscitato dallo stesso, con la conseguente esigenza di <strong>escludere</strong>, da punto di vista <strong>sanzionatorio</strong>, il <strong>bilanciamento</strong> tra la <strong>preesistente circostanza aggravante</strong> ed eventuali circostanze attenuanti, onde la nuova previsione normativa costituisce <strong>fattispecie autonoma di reato</strong> rispetto a quella di <strong>furto base</strong> disciplinata dall’art. 624 c.p.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 20 settembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.42639 che ribadisce come l’<strong>art.74, comma 6</strong>, del D.p.R. 309.90 <strong>non sia circostanza attenuante</strong>, ma <strong>autonoma fattispecie di reato</strong>, <strong>meno grave</strong> rispetto alle <strong>fattispecie più gravi</strong> previste dai <strong>comma 1 e 2</strong> della medesima disposizione. Il legislatore <strong>non si limita</strong> infatti, nel <strong>comma 6, a prevedere una pena più mite</strong> laddove l’associazione per delinquere sia finalizzata ad un <strong>narcotraffico di lieve entità</strong>, ma <strong>rinvia <em>tout court</em> all’art.416, comma 1 e 2</strong>, c.p., con un <strong>richiamo non già soltanto alla pena</strong>, ma piuttosto e più in radice <strong>al fatto tipico</strong>, che deve proprio per questo assumersi <strong>autonomo</strong> (e non già mera circostanza attenuante), implicando un <strong>minor allarme sociale</strong>, quale <strong>semplice associazione per delinquere</strong>. Resta tuttavia il problema di vedere se scatta, anche per questa ipotesi più lieve, <strong>l’automatismo custodiale</strong> (sul piano <strong>cautelare</strong>), discendente dall’<strong>art. 275, comma 3, c.p.p.,</strong> il quale richiama l’<strong>art.51, comma 3.bis, del c.p.p.</strong> ed i fatti in esso previsti, tra i quali appunto quelli puniti dall’<strong>art.74 del D.p.R. n.309.90</strong>, <strong>senza alcuna differenza</strong> tra fattispecie più gravi e meno gravi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 settembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.34830, che ribadisce come la <strong>violenza sessuale di gruppo</strong> di cui all’<strong>art.609.octies c.p.</strong> configuri una <strong>fattispecie autonoma di reato</strong>, e <strong>non</strong> già una <strong>circostanza aggravante</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.25213 che, <strong>andando in contrario avviso</strong> rispetto ai precedenti della V e della VI sezione, afferma l’art.74, comma 6, del D.p.R. 309.90 configurare una <strong>mera fattispecie attenuata</strong>, e <strong>non già una figura autonoma di reato</strong>, il richiamo all’art.416 c.p. valendo <strong>solo <em>quoad poenam</em></strong>, e <strong>non già <em>quoad factum</em></strong>, e quindi <strong>disciplinando solo</strong> (in misura più attenuata) il <strong>regime sanzionatorio</strong> previsto per il <strong>reato base di narcotraffico</strong>. La Corte sembra muoversi secondo il <strong>criterio strutturale</strong> al fine di verificare se si è in presenza di una <strong>circostanza</strong> o di un <strong>elemento costitutivo del reato</strong>, proprio laddove afferma che gli <strong>elementi strutturali del delitto di narcotraffico restano gli stessi</strong>. Peraltro i <strong>reati-fine programmati</strong> devono intendersi <strong>specializzanti</strong> (perché di <strong>lieve entità</strong>) rispetto a <strong>quelli programmati nella fattispecie base dell’art.74</strong>. Inoltre, proprio il fatto che si è al cospetto di una <strong>circostanza attenuante</strong> implica, per la Corte, che ai soggetti agenti <strong>vanno applicati</strong>, in <strong>concorso formale</strong>, <strong>tanto l’art.416 c.p.</strong> (richiamato <strong>solo <em>quoad poenam</em></strong>) quanto <strong>l’art.74, comma 6</strong>, D.p.R. 309.90, considerato il <strong>diverso oggetto di tutela</strong> assunto dalle due norme ed il fatto che <strong>l’ambito di applicabilità soggettiva dell’art.74</strong> si configura <strong>più ampio</strong> di quello disegnato <strong>dall’art.416 c.p.</strong> Trattandosi peraltro di <strong>mera ipotesi circostanziale attenuata</strong>, tale opzione ermeneutica reca seco la <strong>applicazione automatica</strong> della <strong>misura custodiale</strong> prevista dall’art.275, comma 3, c.p.p.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 luglio esce la sentenza della <strong>Corte costituzionale</strong> n.<strong>231</strong>, onde va assunta la <strong>illegittimità costituzionale</strong> dell’articolo 275, comma 3, secondo periodo del codice di procedura penale, nella parte in cui - nel prevedere che quando sussistono <strong>gravi indizi di colpevolezza</strong> in ordine al delitto di cui all’art. 74 del <a href="http://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2014/06/04/testo-unico-sulla-droga-ed-aprile-2014">D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309</a> è applicata la <strong>custodia cautelare in carcere</strong>, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che <strong>non sussistono esigenze cautelari</strong> – <strong>non fa salva</strong>, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti <strong>elementi specifici</strong>, in relazione al <strong>caso concreto</strong>, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte <strong>con altre misure</strong>. Secondo la Corte – che si riferisce al reato di <strong>associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga</strong> – giusta esame comparativo delle diverse fattispecie già sottoposte in passato al relativo vaglio, il delitto in parola va considerato <strong>in diversa guisa</strong> rispetto al delitto di <strong>associazione di tipo mafioso di cui all’art.416 bis c.p.,</strong> l’unico per il quale è ammessa una <strong>presunzione assoluta di inadeguatezza delle misure cautelari alternative</strong> alla restrizione in carcere. La presa di posizione della Corte si riferisce tanto alle <strong>ipotesi base di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico</strong>, quanto all’<strong>ipotesi meno grave</strong> (e dubbia dal punto di vista della relativa natura quale <strong>circostanza attenuante</strong> od <strong>autonoma ipotesi di reato</strong>) dell’<strong>associazione finalizzata al narcotraffico di lieve entità </strong>(comma 6).</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 settembre esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n.34475, che risolve il contrasto interpretativo intorno all’<strong>art.74, comma 6</strong>, D.p.R. 309.90, optando per la tesi della <strong>figura autonoma di reato</strong> con riguardo all’<strong>associazione finalizzata al narcotraffico di lieve entità</strong>, che <strong>non può</strong> dunque assumersi <strong>mera circostanza attenuante</strong>. La Corte utilizza all’uopo il <strong>criterio teleologico</strong>: laddove l’art.74, comma 6, <strong>rinvia all’art.416, comma 1 e 2</strong>, c.p., lo fa <strong><em>quoad factum</em></strong> (e <strong>non già meramente <em>quoad poenam</em></strong>), muovendo dal presupposto onde si tratta di <strong>fattispecie con minor disvalore penale</strong> (<strong>più lieve aggressione</strong> all’interesse penalmente tutelato), di natura <strong>derogatoria</strong> (proprio a fronte di tale minor disvalore) rispetto alla <strong>fattispecie base</strong> dell’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Peraltro, anche ove non fosse intervenuta la Corte costituzionale <strong>a dichiarare illegittimo l’automatismo applicativo</strong> della misura custodiale in questa fattispecie autonoma meno grave, la relativa non applicabilità sarebbe comunque discesa <strong>dall’interpretazione (restrittiva) costituzionalmente orientata</strong> delle pertinenti disposizioni, alla luce degli articoli 3, 13 e 27 della Costituzione in tema di <strong>eguaglianza davanti alla legge</strong>, di <strong>inviolabilità della libertà personale</strong> e di <strong>presunzione di non colpevolezza</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 dicembre viene varato il <strong>decreto legge n.146</strong>, il cui articolo 2, comma 1, lettera a) incide sull’<strong>art.73, comma 5</strong>, del D.p.R. 309.90 in tema di stupefacenti, onde – nella nuova formulazione – salvo che il fatto costituisca <strong>più grave reato</strong>, chiunque commette <strong>uno dei fatti previsti</strong> da tale articolo che, per i <strong>mezzi</strong>, la <strong>modalità</strong> o le <strong>circostanze dell'azione</strong> ovvero per <strong>la qualità e quantità delle sostanze</strong>, e' <strong>di lieve entità</strong>, e' punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000. La formulazione della norma fa affiorare il dubbio che si tratti effettivamente <strong>ancora di una circostanza attenuante</strong> o, piuttosto, di una <strong>nuova e diversa fattispecie incriminatrice “<em>circostanziata</em>”,</strong> ma comunque <strong>autonoma</strong> rispetto alle fattispecie base di cui all’art.73 ridetto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 febbraio viene varata la legge n.10, che converte in legge il decreto n.146.13.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 marzo esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.10514 che si occupa del novellato art.73, comma 5, del D.p.R. 309.90 in tema di stupefacenti, configurato non più come circostanza attenuante, ma come illecito autonomo (meno grave) rispetto alla fattispecie base, sulla scorta della convergenza di tutta una pluralità di indici, taluni riconducibili alla lettera della norma, come ad esempio il fatto che la rubrica dell’art.2 del decreto legge 146.13 parla esplicitamente di “<em>delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità</em>”; il fatto che la norma muova dalla clausola di sussidiarietà (“<em>salvo che il fatto costituisca più grave reato</em>”); il fatto che la norma, piuttosto che dire “<em>si applicano le pene</em>” si esprima nel senso onde il colpevole “<em>è punito</em>”; il fatto che l’<em>incipit</em> sia “<em>chiunque commette</em>”, tipico della fattispecie incriminatrice assai più che della circostanza. Ulteriori indizi vengono ritratti dal modo in cui si esprime, anch’esso novellato sul punto, l’art.380, comma 2, lettera h) del c.p.p., che non fa più riferimento alla “<em>circostanza prevista dal comma 5”, ma ai “delitti di cui al comma 5”, in modo analogo a quanto fa il precedente art.19, comma 5, del medesimo c.p.p. Secondo la pronuncia, anche se si tratta di indizi diversi, nessuno dei quali risolutivo ove isolatamente preso, tutti assieme essi appaiono capaci di far assumere ormai la fattispecie come incriminazione autonoma rispetto alle fattispecie base.</em></p> <p style="text-align: justify;">*Il 24 marzo esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.13903, che ribadisce come il novellato art.73, comma 5, del D.p.R. 309.90 in tema di stupefacenti si configuri non più come circostanza attenuante, ma come illecito autonomo (meno grave) rispetto alla fattispecie base, sulla scorta della convergenza di tutta una pluralità di indici, taluni riconducibili alla lettera della norma, come ad esempio il fatto che la rubrica dell’art.2 del decreto legge 146.13 parla esplicitamente di “<em>delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità</em>”; il fatto che la norma muova dalla clausola di sussidiarietà (“<em>salvo che il fatto costituisca più grave reato</em>”); il fatto che la norma, piuttosto che dire “<em>si applicano le pene</em>” si esprima nel senso onde il colpevole “<em>è punito</em>”; il fatto che l’<em>incipit</em> sia “<em>chiunque commette</em>”, tipico della fattispecie incriminatrice assai più che della circostanza. Ulteriori indizi vengono ritratti dal modo in cui si esprime, anch’esso novellato sul punto, l’art.380, comma 2, lettera h) del c.p.p., che non fa più riferimento alla “<em>circostanza prevista dal comma 5”, ma ai “delitti di cui al comma 5”, in modo analogo a quanto fa il precedente art.19, comma 5, del medesimo c.p.p. Secondo la pronuncia, anche se si tratta di indizi diversi, nessuno dei quali risolutivo ove isolatamente preso, tutti assieme essi appaiono capaci di far assumere ormai la fattispecie come incriminazione autonoma rispetto alle fattispecie base.</em></p> <p style="text-align: justify;">*Il 26 marzo esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.14288, che ribadisce come il novellato art.73, comma 5, del D.p.R. 309.90 in tema di stupefacenti si configuri non più come circostanza attenuante, ma come illecito autonomo (meno grave) rispetto alla fattispecie base, sulla scorta della convergenza di tutta una pluralità di indici, taluni riconducibili alla lettera della norma, come ad esempio il fatto che la rubrica dell’art.2 del decreto legge 146.13 parla esplicitamente di “<em>delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità</em>”; il fatto che la norma muova dalla clausola di sussidiarietà (“<em>salvo che il fatto costituisca più grave reato</em>”); il fatto che la norma, piuttosto che dire “<em>si applicano le pene</em>” si esprima nel senso onde il colpevole “<em>è punito</em>”; il fatto che l’<em>incipit</em> sia “<em>chiunque commette</em>”, tipico della fattispecie incriminatrice assai più che della circostanza. Ulteriori indizi vengono ritratti dal modo in cui si esprime, anch’esso novellato sul punto, l’art.380, comma 2, lettera h) del c.p.p., che non fa più riferimento alla “<em>circostanza prevista dal comma 5”, ma ai “delitti di cui al comma 5”, in modo analogo a quanto fa il precedente art.19, comma 5, del medesimo c.p.p. Secondo la pronuncia, anche se si tratta di indizi diversi, nessuno dei quali risolutivo ove isolatamente preso, tutti assieme essi appaiono capaci di far assumere ormai la fattispecie come incriminazione autonoma rispetto alle fattispecie base.</em></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 giugno esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.23350, che si occupa della nuova fattispecie di cui all’art.73, comma 5 del D.p.R. 309.90, assumendola come ipotesi (autonoma, e non già circostanza) di “<em>piccolo spaccio</em>”. La fattispecie ha luogo quando sono stati superati i limiti tabellari di sostanza detenibile, e tuttavia, valutati nel relativo insieme gli elementi normativi afferenti all’azione (mezzi, modalità e circostanze) e all’oggetto del reato (quantità e qualità della sostanza drogante), si è al cospetto non già solo – come è ovvio – di ipotesi scolastiche di minima gravità, ma anche di condotte illecite in cui il disvalore appare apprezzabile, ma che tuttavia possono essere definite lievi se si pone attenzione alla dimensione economica assunta dal fenomeno nel caso concreto, al volume del commercio che lo ha compendiato, al valore della sostanza trattata e agli introiti che ne sono stati ritratti dal soggetto agente.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 31418 alla cui stregua la circostanza di cui all'<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/10/28/dei-delitti-contro-la-persona#art609ter">art. 609-ter, comma 1, n. 1, c.p.</a> in tema di violenza sessuale, stabilendo la pena in misura indipendente da quella ordinaria prevista dall'<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/10/28/dei-delitti-contro-la-persona#art609bis">art. 609-bis c.p.</a>, ha natura di circostanza aggravante ad effetto speciale, con la conseguenza che di essa deve tenersi conto nel calcolo (allungato) della prescrizione ai sensi dell’art.157 c.p., come novellato dalla c.d. Ex-Cirielli.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 giugno esce la sentenza delle SSUU n.28953 che si pronuncia sulla questione di diritto se, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, le circostanze c.d. indipendenti che comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo rientrino – o meno - nella categoria delle circostanze ad effetto speciale, affermando in particolare che, ai ridetti fini (tempo necessario a prescrivere ex art.157 c.p. novellato dalla c.d. Ex-Cirielli), dette circostanze indipendenti - aumento di pena non superiore ad un terzo (nella specie, quella di cui all’art. 609-ter, primo comma, cod. pen.) - non rientrano nella categoria delle circostanze ad effetto speciale, e sono dunque irrilevanti ai fini del computo della prescrizione. La Corte parte dal presupposto onde tra le circostanze c.d. indipendenti va annoverata appunto quella contemplata dall'<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/10/28/dei-delitti-contro-la-persona#art609ter">art. 609-ter c.p.</a> in tema di violenza sessuale; secondo una prima opzione ermeneutica abbracciata dalla maggioritaria giurisprudenza di legittimità, tale fattispecie configura da un lato una circostanza indipendente, e dall’altro una circostanza ad effetto (meramente) comune (e non ad effetto speciale), ai sensi dell'<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/12/09/del-reato#art63">art. 63, comma 3, c.p.</a>, e ciò in quanto l'aumento - sia pure determinato in misura indipendente rispetto ad entrambi i margini della pertinente cornice edittale - non è comunque superiore ad un terzo rispetto alla pena ordinaria, con la conseguenza onde l'”<em>indipendenza</em>” e dunque l’autonomia della determinazione della pena (pur innegabile) non può assumersi avere rilevanza ai fini del tempo necessario a prescrivere, l'<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/09/03/della-estinzione-del-reato-e-della-pena#art157">art. 157, comma 2, c.p.</a> facendo riferimento esclusivamente alla pena prevista per le circostanze ad effetto speciale “<em>pure</em>”, additate dall'<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/12/09/del-reato#art63">art. 63, comma 3, c.p.</a>, come quelle che importano un aumento o una diminuzione di pena superiore ad un terzo, oltre che per quelle autonome, per le quali la legge stabilisce una pena diversa (vengono richiamati i precedenti della Sezione I, n. 5081.99; della Sezione III, n. 10487.13 e n. 41699.14); secondo invece una diversa e più recente impostazione, la circostanza aggravante ex <a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/10/28/dei-delitti-contro-la-persona#art609ter">art. 609-ter c.p.</a> farebbe luogo ad una vera e propria circostanza ad effetto speciale (oltre che indipendente), con conseguente rilevanza ai fini della determinazione del termine di prescrizione (viene richiamata la recentissima sentenza della III Sezione n. 31418/16). Le Sezioni Unite, registrato il ridetto contrasto interpretativo, aderiscono al primo e maggioritario orientamento muovendo dalla considerazione onde il legislatore del 1984 - nel riformulare il testo dell'<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/12/09/del-reato#art63">art. 63, comma 3, c.p.</a> - ha inciso in modo penetrante sulla catalogazione delle circostanze ed ha fornito una precisa definizione di quelle c.d. “<em>ad effetto speciale</em>”, additandole (tassativamente) come quelle che implicano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo; sotto altro profilo – prosegue la Corte - l'<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/09/03/della-estinzione-del-reato-e-della-pena#art157">art. 157, comma 2, c.p.</a>, nel testo novellato dalla <a href="http://www.altalex.com/documents/leggi/2007/04/30/legge-ex-cirielli-attenuanti-generiche-recidiva-usura-e-prescrizione">Legge n. 251 del 2005</a> (c.d. Ex-Cirielli), afferma che per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell'aumento massimo di pena previsto per l'aggravante. Per la Corte, il combinato disposto degli <a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/09/03/della-estinzione-del-reato-e-della-pena#art157">articoli 157 e 63 c.p.</a> assume un significato univoco e non controvertibile, tanto laddove individua circostanze rilevanti o irrilevanti ai fini del calcolo del tempo per prescrivere, quanto laddove assume rilevanti all’uopo le sole circostanze aggravanti autonome e le circostanze aggravanti ad effetto speciale sulla base dell'aumento di pena (superiore ad un terzo) che comportano, e ciò stante come l'<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/09/03/della-estinzione-del-reato-e-della-pena#art157">art. 157 c.p.</a> novellato abbia scolpito una regola – le circostanze sono di norma irrilevanti ai fini del calcolo del tempo per prescrivere - ed una eccezione, alla cui stregua sono computabili a fini prescrizionali le (sole) circostanze aggravanti autonome e quelle aggravanti ad effetto speciale, con esclusione dunque delle circostanze c.d. indipendenti. Le SSUU sembrano peraltro adombrare anche una rilevanza in materia del principio di tassatività, tenuto conto da un lato che l’art.63, comma 3, e l’art.157, comma 2, c.p. individuano in modo preciso le circostanze (aggravanti) ad effetto speciale che implicano un allungamento dei termini prescrizionali; e dall’altro che il detto allungamento si risolve in una opzione di politica criminale <em>contra reum</em>, con conseguente inestensibilità a fattispecie che non siano quelle per l’appunto tassativamente previste dal legislatore penale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.205, secondo la quale è da assumersi incostituzionale - per violazione degli artt. 3, 25, comma 2, e 27, comma 3, Cost. - l’art. 69, comma 4, c.p., come sostituito dall’art. 3, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (“<em>Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione</em>”), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 219, comma 3, l.fall. sulla recidiva di cui all’art. 99, comma 4, c.p.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione, n.42574, che si riferisce ad un’ipotesi di rapporto tra maltrattamenti in famiglia e lesioni personali. Nel caso di specie era stata contestata con apposito motivo di ricorso l’applicazione dell’aggravante del nesso teleologico quanto al delitto di lesioni personali, laddove il fatto di lesioni giudicate guaribili in sette giorni doveva per la difesa considerarsi elemento costitutivo delle condotte maltrattanti; in ogni caso, avrebbe dovuto essere esclusa l’aggravante del nesso teleologico, presupponente la distinzione tra le azioni costitutive dei diversi reati. La Corte in proposito rammenta il proprio insegnamento costante onde non appare configurabile la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen. in relazione al reato di lesioni personali lievi commesso in attuazione della condotta propria del delitto di maltrattamenti in famiglia, atteso che il nesso teleologico necessario per la sussistenza della suddetta aggravante esige che le azioni esecutive dei due diversi reati che pone in relazione siano distinte (vengono richiamati i precedenti della VI sezione n. 23827.13 e n. 5738.16), essendo stato più in specie già affermato in proposito che - nel caso di reato di lesione personale, commesso in occasione del delitto di maltrattamenti - i due fatti non possono essere ritenuti automaticamente aggravati dalla circostanza del nesso teleologico, prevista dall’art. 61, n. 2 cod. pen., essendo necessario accertare sul piano oggettivo che le azioni costitutive dei due reati siano distinte e, su quello soggettivo, la volontà dell’agente di commettere il reato-mezzo in direzione della commissione del reato scopo (viene richiamata la pronuncia della VI sezione n. 3368.16). Al riguardo, nella specie per la Corte la sentenza impugnata nulla ha dedotto, limitandosi ad affermare, tautologicamente, che tutte le azioni accessorie al delitto di maltrattamenti dovevano (apoditticamente) considerarsi avvinte dal nesso teleologico con detto reato, "<em>la cui condotta si sviluppa ad ampio raggio</em>", mentre le fattispecie concorrenti si ponevano come promanazione materiale di atti autonomamente iniqui ed antigiuridici, ma consentiti dal contesto ambientale determinato dalla condotta maltrattante. In sostanza, l’abitualità dei maltrattamenti in famiglia normalmente “<em>assorbe</em>” le lesioni personali lievi (che ne compendiano degli elementi costitutivi), salvi i casi in cui si dimostri l’autonomia tra le due fattispecie, ipotesi (di concorso di reati) nelle quali può rilevare anche il c.d. nesso teleologico come circostanza aggravante.</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 dicembre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.54297, che premette come nella fattispecie in esame risulti essere priva di controversia la circostanza che l'imputato è stato trovato in possesso di un passaporto falso intestato ad un terzo, al quale aveva sostituito la pagina dati e apposto la propria effigie. Tanto premesso in fatto, per la Corte deve ritenersi corretta la deduzione del P.G. ricorrente, secondo cui l'ipotesi di cui al comma 2 dell'art. 497 bis c.p. integra un reato autonomo rispetto all'ipotesi del mero possesso prevista dal comma 1, essendo la descrizione della condotta che differenzia le due fattispecie essa stessa elemento costitutivo del reato, non relegabile al ruolo di elemento circostanziale. Sul punto, è sufficiente per la Corte richiamare il percorso argomentativo sviluppato nella sentenza della Sez. 5, n.18535 de115/02/2013, che - dopo aver premesso che i due commi di cui all'art. 497 bis c.p. puniscono diversamente, in ragione del diverso grado di gravità, la condotta del mero possesso di un (falso) documento valido per l'espatrio, da un lato, e la condotta, ben più allarmante sul piano delle falsità personali per la connotazione organizzativa che la caratterizza, costituita dalla previa contraffazione del documento stesso ad opera dello stesso detentore, o del concorso da parte di costui alla falsa formazione del documento o, infine, dalla detenzione fuori dai casi di uso personale - ha evidenziato come l'art. 497 bis c.p., comma 2 costituisca un reato autonomo rispetto a quello del comma 1, posto che, sebbene la pena sia indicata con un sistema di computo <em>per relationem</em> rispetto a quella del comma 1 nel senso che "<em>è aumentata</em>" - elemento in genere ritenuto indicativo del rapporto circostanziale dell'una fattispecie rispetto all'altra - la struttura delle due fattispecie si rivela ontologicamente distinta. Invero, chiosa ancora la Corte, le SSUU nella sentenza n. 26351 del 10/07/2002, <em>Fedi</em>, hanno ritenuto che l'unico criterio idoneo a distinguere le norme che prevedono circostanze da quelle che prevedono elementi costitutivi della fattispecie è il criterio strutturale della descrizione del precetto penale. Orbene, nel caso in esame vi è, tra la fattispecie di cui al comma 1 e le altre, una immutazione degli elementi essenziali delle condotte illecite descritte, in quanto il riferimento è ad eventi che esprimono, ciascuno, una realtà fenomenica distinta e indipendente La ipotesi del comma 2 punisce infatti la condotta della "<em>fabbricazione di documento falso</em>", in sè del tutto distinta da quella del "<em>possesso</em>" di cui al comma 1 e non certo in rapporto di progressione criminosa per aggiunta, costituendone semmai il presupposto e l'antefatto naturale (così testualmente Sez. 5, n. 18535 del 15/02/2013). A tali argomenti, aggiunge la Corte di avere più volte evidenziato come integri il reato di cui all'art. 497 bis, comma 2, cod. proc. pen. - e non quello meno grave di cui al comma 1 della stessa norma - il possesso, come ,nella fattispecie, di una carta d'identità recante la foto del possessore con false generalità, essendo evidente, in tal caso, la partecipazione di quest'ultimo alla contraffazione del documento (Sez. 2, n. 15681 del 22/03/2016).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 marzo esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.11889 che si occupa di immigrazione clandestina, assumendo di dover rimettere alla SSUU della Corte la decisione se le fattispecie in tema di favoreggiamento di cui all’art.12, comma 3, del decreto legislativo n.286 del 1998 costituiscono circostanze aggravanti del delitto di cui al comma 1, ovvero figure autonome di reato (in questa seconda ipotesi, chiedendo anche di chiarire se si configuri una fattispecie autonoma con foggia di reato di pericolo, o a consumazione anticipata, perfezionantesi per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, ovvero una fattispecie di reato di danno, con necessità di effettivo ingresso illegale dell’immigrato).</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 marzo esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.12631, che si pronuncia in tema disastro e di naufragio di natante. Per la Corte va osservato che la prevalente giurisprudenza configura come reato autonomo (e non come circostanza aggravante) la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 449 cod. pen. Al riguardo la Corte ritiene, condivisibilmente, che tale ipotesi criminosa si caratterizza - tanto da meritare un trattamento sanzionatorio particolarmente severo - in ragione della particolarità del disastro, riguardante le strade ferrate, le navi e gli aeromobili adibiti al trasporto di persone (Sez. 4, n. 36639 del 19/06/2012, R.C. in proc. Castelluccio e altro; n. 27851 del 04/03/2004, Del Bono), nonché per la tecnica di tipizzazione, che individua specifiche ed autonome ipotesi colpose che si distinguono nettamente rispetto a quelle indicate nel comma 1 dello stesso articolo, tanto che non si saprebbe neppure individuare una fattispecie di base aggravata dal capoverso (Sez. 4, n. 1544 del 18/1/2012, Tedesco ed altri).</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 giugno esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.26857, alla cui stregua – in tema di guida in stato di ebbrezza e omicidio o lesioni “<em>stradali</em>” – vanno preliminarmente puntualizzati taluni aspetti che appare opportuno richiamare circa la portata del divieto del <em>bis in idem</em>, da ritenersi vero e proprio cardine di civiltà giuridica, poiché preclude di addebitare all'imputato lo stesso fatto storico più volte, e ciò dal punto di vista sia sostanziale che processuale: infatti, chiosa la Corte, la portata del principio compendiato nel noto brocardo del divieto del <em>bis in idem</em> è espressione di un cardine generale di civiltà dell'ordinamento processuale penale che trova espressione positiva non soltanto nel divieto di un secondo giudizio (art. 649 cod. proc. pen.) ma anche nelle norme poste per disciplinare i conflitti positivi di competenza (art. 28 e ss. cod. proc. pen.) e l'ipotesi di una pluralità di sentenze per il medesimo fatto (art. 669 cod. proc. pen.). Va precisato, per la Corte, che a livello di diritto penale sostanziale analoga esigenza di garanzia è espressa dalle norme variamente invocate dai ricorrenti nel caso di specie (artt. 84 e 15 cod. pen.), che definiscono il reato complesso e che consacrano i tradizionali principi di specialità e di assorbimento (o di consunzione), esplicativi della necessità, avvertita da un moderno ordinamento democratico, di non addebitare all'imputato più volte lo stesso fatto storico, purché esso sia il momento di emersione di una unica contrapposizione cosciente e consapevole (ergo: colpevole) dell'individuo alle regole che disciplinano la vita dei consociati: si tratta del c.d. "<em>ne bis in idem sostanziale</em>", che però, come noto (viene richiamata sul punto la parte motiva di Sez. 4, n. 46441 del 03/10/2012, Cioni), ha una portata meno forte di quello processuale, con esso esprimendosi solo una linea di tendenza dell'ordinamento. Il momento di sintesi, chiosa ancora la Corte, di cui è espressione l'art. 84 cod. pen., quale esigenza di non addebitare, in buona sostanza, lo stesso fatto per due volte all'imputato non è disciplinato, però, da regole predeterminate, assolute ed astratte, ma dipende dal concreto atteggiarsi delle contestazioni elevate dal Pubblico Ministero, ben potendo accadere che una determinata "<em>vicenda di vita</em>" si atteggi nella modulazione delle accuse da parte del titolare dell'azione penale talora ad elemento costitutivo dell'illecito, talaltra a semplice circostanza aggravante. Tanto premesso, il ricorso, sotto il profilo segnalato nel secondo motivo, appare alla Corte nel caso di specie fondato. Alla persuasività delle considerazioni di principio già svolte, deve aggiungersi avere la Corte già avuto modo di precisare quanto segue (in una vicenda in cui si contestava all'imputato sia il previgente omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale sia la guida in stato di ebbrezza alcoolica, fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 41 del 2016, sostenendosi da parte della difesa che la contravvenzione fosse assorbita nel delitto, lettura non condivisa però nell'occasione dalla S.C.): a seguito dell'entrata in vigore della L. 23 marzo 2016, n. 41, e quindi a decorrere dal 25 marzo 2016, è stato introdotto, tra gli altri, l'art. 589-bis cod. pen., in virtù del quale "<em>Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni</em>" e, inoltre, "<em>nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto</em>" [...]. Precedentemente – prosegue la Corte - dall'entrata in vigore della L. 24 luglio 2008, n. 125, l'art.589 cod. pen. disponeva, tra l'altro, che, in ipotesi di omicidio colposo, "<em>Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni</em>" e che "<em>Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici</em>" [...] La formulazione della novella del 2016 ha per la Corte, evidentemente, ricondotto le ipotesi aggravate al momento della "<em>guida</em>", individuando esplicitamente, come agente, chiunque si ponga "<em>alla guida di un veicolo a motore</em>"; ciò, a differenza delle ipotesi-base (artt. 589-bis, comma 1, e 590-bis, comma 1, cod. pen., per le quali destinatario del precetto è "<em>chiunque cagioni per colpa</em> [ ] <em>con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale</em>....)". In altri termini le nuove fattispecie aggravate sono applicabili solo al "<em>conducente di un veicolo a motore</em>" e non anche, per esempio, a chi cagioni la morte (o le lesioni) di un pedone guidando una bicicletta in stato di ebbrezza. In caso di applicazione della nuova legge citata, lo schema del reato complesso potrebbe, in vero, emergere dalla nuova formula normativa, tanto per l'esplicita qualificazione in termini di circostanze aggravanti dei commi dell'art. 589-bis cod. pen. successivi al primo quanto per la più evidente (anche se non perfetta) coincidenza tra le ipotesi in questione e quelle previste dal codice della strada. Occorre allora, ad avviso del Collegio, dare continuità al - condivisibile - ragionamento che si è testualmente richiamato, ed affermare che, a seguito della introduzione, ex art. 1, commi 1 e 2, della legge n. 41 del 2016, delle innovative fattispecie autonome dell'omicidio stradale e delle lesioni personali stradali gravi o gravissime (sulla natura di reati autonomi e non già di ipotesi aggravate, si richiama la recentissima sentenza di Sez. 4, n. 29721 del 01/03/2017, Venni), non può più aderirsi alla interpretazione, sinora diffusa, secondo cui si ha concorso di reati, e non un reato complesso, in caso di omicidio colposo qualificato dalla circostanza aggravante della violazione di norme sulla circolazione stradale, quando detta violazione dia, di per sé, luogo ad un illecito contravvenzionale (Sez. 4, n. 1880 del 19/11/2015, dep. 2016, P.G. in proc, Greco; Sez. 4, n. 46441 del 03/10/2012, Cioni; Sez. 4, n. 3559 del 29/10/2009, dep. 2010, Corridori; Sez. 5, n. 2608 del 15/01/1997, Schiavone). Può quindi per la Corte affermarsi in conclusione il principio di diritto onde, nel caso in cui si contesti all'imputato di essersi, dopo il 25 marzo 2016 (data di entrata in vigore della legge n. 41 del 2016), posto alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza e di avere in tale stato cagionato, per colpa, la morte di una o più persone - ovvero lesioni gravi o gravissime alle stesse - dovrà prendersi atto che la condotta di guida in stato di ebbrezza alcoolica viene a perdere la propria autonomia, in quanto circostanza aggravante dei reati di cui agli artt. 589-bis, comma 1, e 590-bis, comma 1, cod. pen., con conseguente necessaria applicazione della disciplina sul reato complesso ai sensi dell'art. 84, comma 1, cod. pen., ed esclusione invece dell'applicabilità di quella generale sul concorso di reati. La stessa soluzione dovrà naturalmente, per la Corte, valere nel caso di guida in stato di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanza stupefacenti o psicotrope (artt. 589-bis, comma 2, e 590-bis, comma 2, cod. pen.).</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 giugno esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.27425 che si occupa dei rapporti tra omicidio stradale e lesioni personali stradali, indagando la natura di reati autonomi, ovvero di circostanze aggravanti rispetto alle fattispecie “<em>ordinarie</em>” di omicidio e di lesioni personali. La questione che si pone attiene in particolare alla qualificazione giuridica dell'art.590 bis, comma 1, c.p., se sia circostanza aggravante ovvero fattispecie autonoma di reato. Il Tribunale di Brescia – premette la Corte - ha ritenuto trattarsi di una circostanza aggravante, che dunque non ha mutato il regime di procedibilità a querela del reato di lesioni personali colpose occorse in ambito stradale. Ha osservato sul punto che, a fronte degli argomenti formali a sostegno della tesi della natura di fattispecie autonoma di reato, quali l'autonoma collocazione della norma e la previsione di una distinta sanzione edittale, nonché l'intestazione della stessa legge n.41 del 2016 ("<em>Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali</em>"), vi sarebbero altri argomenti di ordine sistematico ed ermeneutico, che invece militerebbero nel senso della collocazione della norma nell'ambito delle circostanze aggravanti. Primo tra questi, il rilievo che l'intero "<em>micro-sistema</em>" delle lesioni si impernia su 2 fattispecie base, l'art.582, comma 1. cod.pen. per l'ipotesi dolosa, e l'art.590, comma 1, cod.pen., per quella colposa, alle quali sono applicabili varie circostanze, tra cui quelle contenute nell'art.590 bis cod.pen. Una seconda considerazione per il Tribunale è che il riconoscimento della natura di fattispecie autonoma condurrebbe poi all'elusione della disciplina dell'arresto in flagranza, avendo l'art.5, comma 1, della legge n.41 del 2016 introdotto l'arresto facoltativo per il delitto di lesioni colpose stradali gravi o gravissime ex art.590 bis, commi 2, 3, 4 e 5 cod.pen., ed il comma 6 ha previsto poi che "<em>il conducente che si fermi e, occorrendo, presti assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi immediatamente a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando dall'incidente derivi il delitto di lesioni personali colpose, non è soggetto all'arresto stabilito per il caso di flagranza di reato</em>". Orbene, osserva il giudice di merito, se si intendessero le lesioni colpose stradali ex art.590 bis cod.pen. quali fattispecie autonoma, come da rubrica intitolata "<em>lesioni personali stradali</em>", l'art.189, comma 8, codice della strada non potrebbe essere applicato al delitto che esso menziona, perché la fattispecie ex art.590 cod.pen. non ammette in nessun caso l'arresto; inoltre, la stessa disposizione non sarebbe applicabile neppure alle lesioni personali stradali, trattandosi di fattispecie autonoma non espressamente richiamata. Soltanto qualificando l'art.590 bis cod.pen. come un catalogo di circostanze aggravanti del delitto ex art.590 cod.pen., le lesioni stradali rientrerebbero nel più ampio novero delle lesioni personali colpose, con conseguente piena operatività della previsione ex art.189, comma 8, del codice della strada. Gli argomenti sviluppati nella sentenza impugnata non sono tuttavia per la Corte corretti e sono piuttosto smentiti da una serie di rilievi, primo fra tutti il dato testuale: la legge n.41 del 2016 è intitolata "<em>Introduzione del reato di omicidio stradale e di lesioni personali stradali</em>" ed indica chiaramente la volontà del legislatore di introdurre nel sistema due nuove figure di reato, che descrivono condotte specifiche e specializzanti rispetto alle generiche fattispecie base di cui agli artt.589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni colpose) cod.pen., e che sono state autonomamente disciplinate, con l'evidente intento di operare un efficace contrasto ai reati che conseguono a condotte di guida caratterizzate dalla violazione delle regole prudenziali della circolazione stradale e provocano un sempre crescente numero di vittime. Dunque, sotto il profilo testuale, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Brescia, appare alla Corte assai significativo che la disciplina in esame sia stata introdotta nel codice penale con articoli autonomi, rubricati ciascuno con il titolo del relativo reato - e segnatamente l'art. 589-bis "<em>omicidio stradale</em>"e l'art. 590-bis "<em>lesioni personali stradali</em>" - e con previsione di distinte pene edittali. Va inoltre sottolineato (come già statuito da questa Sez.4, con sent. n.29721 del 1/3/2017, in proc. Venni e n.42346 del 16/5/2017, in proc. Tosolini) che nell'ambito di tali figure criminose sono previste delle specifiche circostanze aggravanti ed attenuanti. Le prime sono richiamate dall'art.590-quater cod.pen., che, nel disciplinare il computo delle circostanze, menziona esplicitamente le circostanze aggravanti di cui agli artt.589-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, 589-ter, 590-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, chiaramente escludendo la natura circostanziale delle ipotesi incriminatrici di cui al comma primo degli artt.589-bis e 590-bis cod.pen. Una circostanza attenuante specifica è inoltre prevista dal settimo comma dei predetti articoli del codice penale, che prevede una diminuzione della pena fino alla metà qualora l'evento non sia esclusiva conseguenza dell'azione od omissione del colpevole. La previsione di specifiche circostanze che aggravino o attenuino le pene edittali dei reati stradali colposi in esame è indubitabilmente indicativa – chiosa ancora la Corte - nella natura autonoma e non circostanziale di tali fattispecie incriminatrici. Va infine rilevato che la legge n.41 del 2016 ha apportato modifiche all'art.222 del Codice della Strada, qualificando espressamente come "<em>reati</em>" - e non come circostanze aggravanti - le fattispecie criminose di omicidio e lesioni stradali, facendo derivare dalla condanna o dal patteggiamento "<em>per i reati di cui agli artt.589-bis e 590-bis cod.pen</em>." la revoca della patente di guida. Deve allora per la Corte ribadirsi, concludendo l'analisi della nuova normativa, che l'art.590-bis delinea una figura autonoma di reato e non una circostanza aggravante ad effetto speciale del delitto previsto e punito dall'art.590 cod.pen. e pertanto non necessita di querela di parte ai fini della relativa procedibilità.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 luglio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.32028, giusta la quale vengono tracciati i contorni dell’aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, la quale viene assunta sussistere nel caso in cui le espressioni usate rivelino appunto una volontà discriminatoria fondata sull’appartenenza etnica o religiosa della vittima, palesandosi ciò configurabile sia nel caso in cui sia stato palesato un pregiudizio razziale da parte del soggetto agente, sia nel caso in cui la relativa condotta, globalmente valutata, risulti idonea a dare luogo al concreto pericolo di comportamenti discriminatori.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 settembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.40982, alla cui stregua, risolvendo la pertinente questione interpretativa, le fattispecie previste nell’art.12, comma 3, del decreto legislativo n.286.98 in tema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina configurano circostanze aggravanti (e non figure autonome di reato) rispetto alla fattispecie delittuosa “<em>base</em>” di cui al comma 1, da qualificarsi come reato di pericolo a consumazione anticipata. L'interrogativo sulla natura della previsione dell'art. 12, comma 3 T.U. imm. – afferma la Corte - è stata risolto in senso differente dalla giurisprudenza di legittimità parallelamente alle modifiche ripetutamente ad essa apportate dal legislatore. Il testo originario dell'art. 10 legge 6 marzo 1998, n. 40, trasfuso nell'art. 12 del d. Igs. 25 luglio 1998, n. 286, puniva al primo comma «<em>chiunque compia attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni della presente legge</em>» e, al terzo comma, contemplava alcune ipotesi sanzionate più severamente e cioè il fine di lucro, il concorso di tre o più persone, l'ingresso di cinque o più persone, l'utilizzazione di servizi di trasporto internazionale o di documenti contraffatti, la finalità di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione, l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento. Si era ripetutamente affermato che le ipotesi previste dall'art. 12, comma 3 T.U. imm. non configuravano ipotesi autonome di reato ma circostanze aggravanti ad effetto speciale rispetto all'ipotesi semplice del reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina delineata nel primo comma (Sez. 1, n. 44644 del 21/10/2004, Ren; Sez. 1, n. 5360 del 04/12/2000, dep. 2001, Vishe). Analoga qualificazione – prosegue la Corte - era stata, in precedenza, attribuita all'art. 3, comma 8 decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416, conv., con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, che costituiva l'antecedente storico dell'art. 12 T.U. imm. e che era costruito in maniera analoga: si erano qualificate entrambe le ipotesi citate nella seconda parte della disposizione (fatto commesso a fine di lucro ovvero da tre o più persone in concorso tra di loro) come circostanze aggravanti ad effetto speciale e non titoli autonomi di reato (Sez. 1, n. 1761 del 25/03/1998, Zarli; Sez. 1, n. 6227 del 27/11/1996, dep. 1997, Musletag; Sez. 1, n. 5647 del 09/11/1995, Wen Jang Jiang). La legge 30 luglio 2002, n. 189, aveva apportato modifiche sia al primo che al terzo comma dell'art. 12 T.U. imm.: la condotta del primo comma veniva descritta come «<em>atti diretti a procurare l'ingresso</em> [...]», con la sostituzione del verbo «<em>favorire</em>» con «<em>procurare</em>». Il terzo comma assumeva una struttura analoga a quella attualmente vigente, con la riserva iniziale («<em>Salvo che il fatto costituisca più grave reato</em>») e la ripetizione della condotta descritta al primo comma; il comma disponeva un aumento di pena per più ipotesi descritte separatamente: per il caso di dolo specifico di profitto, anche indiretto e, nella seconda parte, per il concorso di tre o più persone, l'utilizzo di servizi internazionali di trasporto o di documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente detenuti. Erano poi dettate due aggravanti (così espressamente qualificate dal legislatore nel comma 3-quater) ai commi 3-bis e 3-ter, alcune delle quali riproducevano quelle già contemplate nella norma originaria. In sostanza, alcune ipotesi aggravate venivano separate dalle altre e quella relativa alla finalità di «<em>lucro</em>» veniva specificata ed ampliata. La rilevanza attribuita alla condotta connotata dal dolo specifico di profitto era ulteriormente accentuata dalla nuova riforma operata dal decreto legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2004, n. 271, che aveva soppresso il secondo periodo del terzo comma, "<em>trasferendo</em>" le fattispecie ivi previste (concorso di tre o più persone, utilizzo di servizi internazionali di trasporto o di documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente detenuti) in una separata lettera c-bis) del comma 3-bis: in definitiva, delimitando il contenuto del comma 3 alla sola ipotesi suddetta. La norma così riformata era stata interpretata nel senso di attribuire natura di reato autonomo e non di mera circostanza aggravante al delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina caratterizzato dal fine di profitto (Sez. 1, n. 7157 del 22/01/2008, Karpeta; Sez. 1, n. 11578 del 25/01/2006, Rufai Kuku). In particolare, si sottolineava la tecnica usata dal legislatore che, anziché rinviare per la descrizione del precetto al primo comma, aveva riformulato completamente la disposizione (indicando sia il precetto che la sanzione), così da confezionare, anche graficamente, una ipotesi di reato del tutto autonoma; ancora, si rimarcava la circostanza che i successivi commi 3-bis e 3-ter facevano distintamente riferimento alle ipotesi di reato rispettivamente previste dai commi 1 e 3 (il riferimento è al testo del comma 3-bis ulteriormente modificato dal d.l. n. 241 del 2004: «<em>Le pene di cui ai commi 1 e 3 sono aumentate se</em> [...1», mentre il comma 3-ter si applicava ai «<em>fatti di cui al comma 3</em>»); si individuava, inoltre, la chiara <em>ratio legis</em> del legislatore della novella, che aveva voluto colpire in modo più severo i casi contrassegnati dal fine di lucro, connotati da maggiore gravità e pericolosità sociale, ed anche altamente riprovevoli alla coscienza collettiva, imponendo un livello sanzionatorio non riducibile per effetto delle attenuanti; ancora, si riteneva coerente con la natura di reato autonomo il divieto di bilanciamento di circostanze stabilito dal comma 3-quater solo per le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter. La norma attualmente vigente, da ultimo riformata dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, ha lasciata intatta la struttura dell'art. 12, comma 1 T.U. imm., modificando profondamente la parte successiva dell'articolo: la condotta dettata dal dolo specifico di profitto, anche indiretto, è ora contemplata nell'aggravante ad effetto speciale di cui al comma 3-ter, unitamente a quella contrassegnata dal fine di sfruttamento lavorativo, sessuale, di prostituzione o di minori; tuttavia, l'effetto di impedire una eccessiva riduzione della pena è stato mantenuto con il divieto di bilanciamento dettato dal comma 3-quater. Il comma 3 contempla, ora, cinque diverse ipotesi (alcune delle quali già previste nelle precedenti versioni della norma) punite con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona. Le condotte punite sono descritte unitariamente mediante la riproduzione letterale di quella contemplata dal primo comma e il loro elenco è introdotto con la locuzione «<em>nel caso in cui: a)</em> [...]». È presente anche la riserva iniziale «<em>Salvo che il fatto costituisca più grave reato</em> [...]».Il comma 3-bis disegna un'aggravante «<em>se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma</em>», soggetta al divieto di bilanciamento stabilito dal comma 3- quater. Secondo Sez. 1, n. 40624 del 25/03/2014, Scarano, non mass. sul punto – prosegue la Cortte - la descrizione delle ipotesi specializzanti contenute nel comma 3 fa ritenere che la norma descriva un reato autonomo, non una aggravante; si sottolinea che i fatti descritti sono evocativi di una effettiva violazione della disciplina di controllo dell'immigrazione. La Corte ritiene «<em>infelice</em>» la tecnica normativa di riproporre la descrizione di una condotta «<em>di base</em>» analoga a quella del primo comma, ma sostiene che la qualificazione come fattispecie autonoma e l'attribuzione al delitto della natura di reato di evento «<em>consente il recupero di ragionevolezza sistematica</em> [...] <em>anche in chiave di interpretazione costituzionalmente orientata</em>». Ulteriore conferma della natura autonoma della fattispecie del terzo comma è tratta – rammenta la Corte - dal testo del comma 3-ter che fa riferimento in modo distinto alle ipotesi dei due commi. La natura di fattispecie autonoma di reato della previsione dell'art. 12, comma 3, T.U. imm. è affermata anche da Sez. 1, n. 45734 del 31/03/2017, Bouslim, secondo cui, tuttavia, si tratta di un reato di pericolo o "<em>a consumazione anticipata</em>", che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l'ingresso dello straniero nel territorio dello Stato in violazione della disciplina di settore, non richiedendo l'effettivo ingresso illegale dell'immigrato in detto territorio. La riforma operata dalla legge n. 94 del 2009 non avrebbe radicalmente mutato la natura autonoma del reato che «<em>anziché come in precedenza differenziarsi per il fine di profitto, adesso si caratterizza per la previsione di specifiche condotte</em>»; la locuzione «<em>nel caso in cui</em> [...]» avrebbe la funzione di prevedere «<em>una gamma di situazioni che in precedenza configuravano circostanze aggravanti</em>». Non vi sarebbe, quindi, «<em>una diversità di struttura tra l'ipotesi di immigrazione clandestina prevista dal primo comma della norma e quella introdotta nel terzo comma con la modifica attuata da ultimo con la legge 94 del 2009</em>». Avverso tale orientamento, rammenta ancora la Corte, Sez. 1, n. 14654 del 29/11/2016, dep. 2017, Yankura, sostiene che le fattispecie disciplinate dall'art. 12, comma 3, T.U. imm. costituiscono circostanze aggravanti del delitto di cui all'art. 12, comma 1 e non figure autonome di reato. Secondo il Collegio, in assenza di espresse indicazioni legislative, il canone principale di differenziazione per individuare la natura circostanziale o autonoma di una <em>figura criminis</em> è rappresentato dal criterio di specialità dettato dall'art. 15 cod. pen., in quanto gli elementi circostanziali si pongono in rapporto di <em>species</em> ad <em>genus</em> al cospetto della fattispecie base del reato, costituendone una specificazione. Adottando come canone interpretativo il criterio strutturale, emerge la natura circostanziale della fattispecie del terzo comma rispetto a quella del primo comma: «<em>Il profilo descrittivo della condotta, invero, replica esattamente l'ipotesi base, con una tecnica di normazione abbastanza insolita</em>»; infatti, gli elementi strutturali, essenziali della condotta enucleata nel comma 1, non mutano ed il fatto-base «<em>risulta integrato "per aggiunta" esclusivamente attraverso l'inserimento dei dati specializzanti, elencati avvalendosi della tecnica di enumerazione letterale progressiva</em>». Rispetto alla fattispecie base, quella del terzo comma, quindi, si pone «<em>in rapporto di specialità per aggiunta con riferimento ai nuclei fattuali indicati che accentuano la lesività della condotta base, con conseguente previsione di un trattamento sanzionatorio di maggiore asprezza</em>»: una «<em>tecnica di incriminazione tipicamente selettiva degli elementi circostanziali</em> [che] <em>delimitando connotazioni accessorie del fatto (circum-stant) ne incrementano il disvalore o lo attenuano, a seconda della diversa natura (aggravante o attenuante</em>)». Secondo la pronuncia, rafforzerebbero l'orientamento anche l'incorporazione del fatto in un'unica norma incriminatrice e il significato teleologico della norma, che è posta a presidio del medesimo bene giuridico sia nelle ipotesi del primo che del terzo comma. La soluzione sarebbe preferibile anche sulla base di considerazioni differenti: la non frammentazione di un nucleo offensivo identico in più ipotesi di reato, attraverso aspetti accessori, e il principio di <em>favor</em>, atteso che la natura autonoma del reato impedisce il bilanciamento delle circostanze. Le ulteriori aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter non ostacolano l'interpretazione adottata, corrispondendo ad una tecnica già utilizzata, ad esempio, per l'art. 416-bis cod. pen.; i riferimenti ai «<em>fatti di cui ai commi 1 e 3</em>» e ai «<em>reati di cui al comma 3</em>» contenuti nella norma non sono considerati decisivi, avendo carattere meramente formale. Il divieto di bilanciamento tra le circostanze limitato alle sole circostanze di cui ai commi 3-bis e 3-ter non dimostra la natura autonoma della fattispecie del comma 3, ma corrisponde alla scelta del legislatore di attuare un trattamento di maggior rigore nei soli casi in concorrano congiuntamente più circostanze di tale comma o le ipotesi previste dal comma 3-ter. Operato questo preciso <em>excursus</em> giurisprudenziale, le Sezioni Unite con questa importante pronuncia ritengono corretta tale seconda seconda linea interpretativa, abbracciando appunto a tesi circostanziale. Esse premettono che, come risulta con evidenza dagli artt. 61, 62 e 84 cod. pen., non esiste alcuna differenza ontologica tra elementi costitutivi, o essenziali, ed elementi circostanziali del reato: il legislatore, infatti, può rendere elementi costitutivi del reato ipotesi che, altrimenti, sarebbero considerate circostanze comuni ovvero considerare «<em>fatti che costituirebbero, per se stessi, reato</em>» come «<em>circostanze aggravanti di un solo reato</em>». Di conseguenza, la risposta in ordine al dubbio sulla natura di una fattispecie è data esclusivamente dalla ricostruzione della volontà del legislatore che, nella sua discrezionalità, tenta di articolare la valutazione penale di determinate condotte in maniera più aderente alle loro concrete manifestazioni, che mutano anche nel tempo: le numerose riforme della norma in commento sono frutto di questo tentativo, che ha tenuto conto del mutamento del fenomeno del favoreggiamento dell'immigrazione clandestina nel corso degli ultimi decenni. Ciò premesso, in mancanza di una manifestazione espressa della volontà del legislatore di introdurre, con l'art. 12, comma 3 T.U. imm., circostanze aggravanti o fattispecie autonome di reato (manifestazione che, invece, si rinviene per le ipotesi descritte nell'art. 12, commi 3-bis e 3-ter T.U. innm., che il successivo comma 3-quater qualifica esplicitamente come «<em>aggravanti</em>»), occorre per la Corte ricavare tale volontà da indici significativi, elaborati da giurisprudenza e dottrina in mancanza di indicazioni normative sui criteri di distinzione. Le Sezioni Unite hanno ribadito negli anni – chiosa ancora la Corte - che il criterio principale (anche se non unico) è quello strutturale, attenendo alla struttura del precetto o della sanzione: il modo in cui la norma descrive gli elementi costitutivi della fattispecie o determina la pena è indicativo della volontà di qualificare gli elementi come circostanza o come reato autonomo; ciò, del resto, è coerente con la discrezionalità del legislatore oggetto della premessa. Nel valutare la struttura della fattispecie penale di cui all'art. 640-bis cod. pen. con riferimento a quella di cui all'art. 640 cod. pen., Sez. U, n. 26351 del 26/06/2002, <em>Fedi</em>, Rv. 221663 rilevava che «<em>nel caso dell'art. 640-bis la fattispecie è descritta attraverso il rinvio al fatto-reato previsto nell'art. 640, seppure con l'integrazione di un oggetto materiale specifico della condotta truffaldina e della disposizione patrimoniale (le erogazioni da parte dello Stato, delle Comunità europee o di altri enti pubblici). Una siffatta struttura della norma incriminatrice indica la volontà di configurare soltanto una circostanza aggravante del delitto di truffa</em>» In effetti, «<em>la descrizione della fattispecie</em> [...] <em>non immuta gli elementi essenziali del delitto di truffa, né quelli materiali né quelli psicologici, ma introduce soltanto un oggetto materiale specifico - tradizionalmente qualificato come accidentale e cioè circostanziale - laddove prevede che la condotta truffaldina dell'agente e la disposizione patrimoniale dell'ente pubblico riguardino contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo. Tra reato-base e reato circostanziato intercorre quindi un rapporto di specialità unilaterale, per specificazione o per aggiunta, nel senso che il secondo include tutti gli elementi essenziali del primo con la specificazione o l'aggiunta di elementi circostanziali</em>». Analogamente Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, <em>Rico</em>, ribadiva che, anche a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 4-bis, legge 21 febbraio 2006, n. 49, l'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 configurava una circostanza attenuante ad effetto speciale e non un reato autonomo, in quanto la norma era correlata ad elementi (i mezzi, le modalità, le circostanze dell'azione, la qualità e quantità delle sostanze) che non incidevano sull'obiettività giuridica e sulla struttura delle fattispecie previste come reato, ma attribuivano ad esse una minore valenza offensiva. L'evoluzione normativa seguita alla declaratoria di illegittimità costituzionale della legge n. 49 del 2006, sancita con la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, è indicativa della discrezionalità del legislatore nella scelta di introdurre circostanze del reato o fattispecie autonome di reato: infatti, come è noto, il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10 ha introdotto una fattispecie autonoma di reato, pur mantenendo i medesimi elementi distintivi rispetto all'ipotesi base di cui all'art. 73, comma 1 T.U. stup. Infine, Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011, dep. 2012, <em>Casani</em>, ha applicato il medesimo criterio strutturale per stabilire che la fattispecie di accesso abusivo ad un sistema informatico protetto commesso dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico ufficio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, costituisce una circostanza aggravante del delitto previsto dall'art. 615-ter, comma primo, cod. pen. e non un'ipotesi autonoma di reato. Si affermava che «<em>circostanze del reato sono quegli elementi che, non richiesti per l'esistenza del reato stesso, laddove sussistono incidono sulla sua maggiore o minore gravità, così comportando modifiche quantitative o qualitative all'entità della pena: trattasi di elementi che si pongono in rapporto di </em>species<em> a </em>genus<em> (e non come fatti giuridici modificativi) con i corrispondenti elementi della fattispecie semplice in modo da costituirne, come evidenziato da autorevole dottrina, una specificazione, un particolare modo d'essere, una variante di intensità di corrispondenti elementi generali</em>»; richiamando S.U., <em>Fedi</em>, si rilevava che «<em>nei casi previsti dall'art. 615-ter, comma secondo, n. 1, cod. pen. non vi è immutazione degli elementi essenziali delle condotte illecite descritte dal primo comma, in quanto il riferimento è pur sempre a quei fatti- reato, i quali vengono soltanto integrati da qualità peculiari dei soggetti attivi delle condotte, con specificazioni meramente dipendenti dalle fattispecie di base</em>». Il criterio strutturale, soggiunge allora la Corte venendo alla questione ad essa sottoposta, ben si attaglia alla fattispecie dell'art. 12, comma 3 T.U. imm.; in effetti, in conseguenza della ripetizione della descrizione della condotta presente nel primo comma, risulta evidente che gli elementi essenziali della condotta medesima non mutano, mentre le ipotesi descritte dalle lettere da a) ad e) riguardano elementi ulteriori, che non sono necessari per la sussistenza del reato e che, secondo la valutazione del legislatore, rendono più grave la condotta posta in essere. Le considerazioni favorevoli ad una considerazione dell'ipotesi come fattispecie autonoma di reato non appaiono decisive. La tecnica legislativa di riprodurre integralmente la descrizione della condotta presente nella fattispecie del primo comma è, senza dubbio, insolita ma ottiene lo stesso risultato che avrebbe prodotto un rinvio <em>per relationem</em>: non pare, quindi, un indizio inequivoco della volontà del legislatore di creare una diversa fattispecie autonoma. Come esattamente rileva Sez. 1, <em>Yankura</em>, la mancata estensione del divieto di bilanciamento delle circostanze di cui al comma 3-quater alle ipotesi del terzo comma non è affatto indice della relativa natura di fattispecie autonoma di reato, ben potendo essere conseguenza di una ragionata scelta del legislatore di sanzionare più severamente determinate ipotesi rispetto ad altre. Il riferimento distinto ai «<em>fatti di cui ai commi 1 e 3</em>» contenuto nel comma 3-ter non dimostra la natura di fattispecie autonoma dei due commi, ben potendo applicarsi ai fatti di cui al primo comma così come aggravati ai sensi del terzo comma. Infine, la costruzione di aggravanti di fattispecie già aggravate, riscontrabile nei commi 3-bis e 3-ter non è affatto inusuale nella variegata produzione legislativa. D'altro canto, il richiamo operato da Sez. 1, <em>Scarano</em> alla giurisprudenza di legittimità che aveva affermato la natura di fattispecie autonoma di reato dell'art. 12, comma 3 T.U. imm. nel testo vigente prima delle modifiche operate dalla legge n. 94 del 2009 non sembra alla Corte calzante: come già evidenziato, l'art. 12, comma 3 T.U. imm., così come riformato dalla legge n. 189 del 2002 e dal d.l. 241 del 2004, aveva un contenuto nettamente differente da quello attuale: una sola ipotesi era stata enucleata ed essa, per di più, si differenziava da quella del primo comma su un elemento essenziale, il dolo, che si pretendeva essere specifico con riferimento al profitto. Non vi è dubbio che - come si è anticipato - a sostegno della natura di fattispecie autonoma della previsione erano stati addotti argomenti ancora utilizzabili rispetto alla norma attualmente vigente: la tecnica legislativa, con la riformulazione completa della disposizione del primo comma, i riferimenti distinti ai due commi presenti in quelli successivi, il divieto di bilanciamento delle circostanze previsto solo per le aggravanti di cui ai commi successivi; tuttavia – prosegue la Corte - l'interpretazione allora adottata faceva leva soprattutto sulla chiara volontà del legislatore di colpire più severamente le condotte connotate dal fine di profitto in conseguenza di un "<em>salto di qualità</em>" rispetto alle ipotesi di favoreggiamento disinteressato dell'immigrazione clandestina. Si deve ricordare che, nel testo originario introdotto dalla legge n. 189 del 2002, le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter si applicavano soltanto alle pene e ai fatti di cui al terzo comma (scelta, poi, abbandonata nel 2004), cosicché si stagliavano chiaramente due ipotesi di reato: quella del primo comma, punita poco severamente (non era previsto minimo edittale né per la pena detentiva né per quella pecuniaria) e per la quale non erano contemplate aggravanti; quella del terzo comma, punita molto più severamente e per la quale erano previste ulteriori aggravanti e veniva formulato il divieto di bilanciamento tra circostanze. In sostanza, venivano individuati due fenomeni differenti, privi di punti di contatto, tanto che non appariva casuale la collocazione, subito dopo il primo comma, della previsione (ancora vigente) secondo cui «<em>Fermo restando quanto previsto dall'art. 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato</em>»: norma che - come sembra evidente - non coinvolge in alcun modo le condotte di favoreggiamento professionale o comunque per profitto dell'immigrazione clandestina. Benché, come premesso, il contrasto in ordine alla necessità, per la consumazione dell'ipotesi di cui all'art. 12, comma 3, T.U. imm., che l'ingresso clandestino nel territorio dello Stato avvenga effettivamente sia sorto nell'ambito dell'interpretazione che qualifica il predetto comma come fattispecie autonoma di reato, fin qui sconfessata, è opportuno ribadire per le SSUU che il delitto in oggetto è un reato di pericolo o a consumazione anticipata e non un reato di evento. Sez. 1, Scarano, rammenta la Corte, afferma che le condotte descritte ai commi 3 e 3-bis T.U. imm. implicano l'effettivo ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, in violazione della disciplina di settore, presupposto invece non richiesto ai fini dell'integrazione dell'ipotesi di reato di cui all'art. 12, comma primo, che si configura come delitto a consumazione anticipata.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 novembre esce la sentenza delle Sezioni Unite n. 51063 che, affrontando il tema del reato di spaccio di stupefacenti, con particolare riferimento all’ipotesi di lieve entità, richiama gli importanti approdi giurisprudenziali sulle differenze tra circostanze ed elementi costituivi del reato.</p> <p style="text-align: justify;">Un primo indice “esterno” è la volontà del legislatore storico, desumibile dai lavori preparatori della legge in oggetto, da valutare insieme alla titolazione della norma oggetto di attività ermeneutica.</p> <p style="text-align: justify;">Indicatori altrettanto convincenti dell'avvenuta mutazione genetica della fattispecie si ritraggano anche dalle modifiche apportate nel testo della norma. Innanzitutto il ricorso alla locuzione "<em>chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo</em>" in sostituzione della previgente "<em>quando.....i fatti previsti dal presente articolo</em>", rivela l'adozione di scelte lessicali tradizionalmente riservate alla configurazione di una autonoma figura di reato. In secondo luogo, l'introduzione nell'incipit del testo normativo di una espressa clausola di riserva relativamente indetermina ("<em>Salvo che il fatto costituisca più grave reato</em>") è scelta incompatibile con l'intenzione di conservare la qualificazione circostanziale, evidenziando invece in maniera inequivocabile la volontà di prevedere una figura delittuosa autonoma.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 6955 che richiama il principio espresso dalle SU n. 3394/92 secondo cui il semplice uso o porto fuori della propria abitazione di un giocattolo riproducente un'arma sprovvisto di tappo rosso non è previsto dalla legge come reato. L'uso o porto fuori della propria abitazione di un tale giocattolo assume però rilevanza penale soltanto se mediante esso si realizzi un diverso reato del quale l'uso o porto di un'arma rappresenti elemento costitutivo o circostanza aggravante, come avviene quando il giocattolo riproducente un'arma, sprovvisto di tappo rosso, sia usato nella commissione dei delitti di rapina aggravata. Ai fini della sussistenza del reato di rapina aggravata, per la realizzazione dell'effetto intimidatorio, che l'agente si propone per il conseguimento del suo scopo è pertanto sufficiente un'arma giocattolo, priva del dispositivo di identificazione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 13801 che, ai fini dell’applicazione dell’art. 131 bis c.p., valuta la non applicabilità della circostanza del danno di particolare tenuità in quanto tale attenuante è applicabile anche al delitto tentato quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato al compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 aprile esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 14360 onde ove l'aggravante speciale della recidiva concorra con altra aggravante speciale e sia ritenuta meno grave ex art. 63 c.p., comma 4, ad essa si applica integralmente la norma di cui al citato articolo. Di conseguenza, il giudice, può e non deve aumentare la pena prevista per l'aggravante speciale più grave ma, ove ritenga di aumentarla, è vincolato al limite di cui al combinato disposto dell'art. 63 c.p., comma 4, e art. 64 c.p., comma 1</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 aprile esce la sentenza n. 88 della Corte Costituzionale che, dopo aver ribadito l’autonomia del Legislatore nel fissare i limiti edittali, richiama il proprio consolidato orientamento secondo cui solo in caso di trattamenti sanzionatori manifestamente sproporzionati e di sperequazioni punitive di particolare gravità, la Consulta è intervenuta a riequilibrare la risposta sanzionatoria dell'ordinamento. Ma ciò è avvenuto considerando la coerenza interna del regime sanzionatorio e l'offensività della condotta.</p> <p style="text-align: justify;">Proprio in tema di bilanciamento di circostanze la Corte è intervenuta più volte a riequilibrare situazioni sperequate che vedevano condotte ritenute dal legislatore di minore offensività, le quali in ragione del divieto di prevalenza di specifiche circostanze attenuanti finivano per essere sanzionate in modo sproporzionato.</p> <p style="text-align: justify;">In passato è stata ritenuta la legittimità, in generale, della tecnica legislativa del divieto di prevalenza o equivalenza delle circostanze attenuanti su specifiche circostanze aggravanti in ragione di speciali esigenze di contrasto di condotte particolarmente lesive dell'integrità delle persone (sentenze n. 194 e n. 38 del 1985).</p> <p style="text-align: justify;">È vero che il giudizio di bilanciamento delle circostanze consente al giudice di apprezzare meglio lo specifico disvalore della condotta penalmente sanzionata. Ma quando ricorrono particolari esigenze di protezione di beni costituzionalmente tutelati, quale il diritto fondamentale e personalissimo alla vita e all'integrità fisica, ben può il Legislatore dare un diverso ordine al gioco delle circostanze richiedendo che vada calcolato prima l'aggravamento di pena di particolari circostanze. Come già evidenziato in orecedenti pronunce (sentenza n. 251 del 2012), "<em>deroghe al bilanciamento ... sono possibili e rientrano nell'ambito delle scelte del legislatore</em>" e sono sindacabili dalla Corte "<em>soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio</em>" (sentenza n. 68 del 2012).</p> <p style="text-align: justify;">Questa "anomalia sanzionatoria" (sentenza n. 179 del 2017) si è verificata in ipotesi di particolari attenuanti cui il legislatore stesso ha assegnato un essenziale ruolo di riequilibrio della fattispecie penale.</p> <p style="text-align: justify;">Talvolta, quando il reato base, in ragione della sua formulazione, ha una portata ampia, il legislatore ritaglia ipotesi di minore gravità. È ciò che si è verificato per i fatti di "spaccio" di sostanze stupefacenti "di lieve entità", circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), prima della sua trasformazione in reato autonomo. La stessa tecnica legislativa ricorre per i fatti di ricettazione "di particolare tenuità" (attenuante prevista dall'art. 648, secondo comma, cod. pen.); per i fatti di minore gravità di abusi sessuali riconducibili alla nozione di violenza sessuale (art. 609-bis, terzo comma, cod. pen.); per i fatti di bancarotta fraudolenta, bancarotta semplice e ricorso abusivo al credito quando hanno cagionato un "danno patrimoniale di speciale tenuità" (art. 219, terzo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, recante "Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa").</p> <p style="text-align: justify;">Con riferimento a queste particolari circostanze attenuanti la Corte ha ritenuto che il divieto, applicato a esse, della prevalenza di tutte le circostanze attenuanti sull'aggravante della recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen., divieto introdotto nell'art. 69, quarto comma, cod. pen., conducesse a sanzionare condotte di minore offensività con pene non proporzionate. Ha, quindi, dichiarato, di volta in volta, l'illegittimità costituzionale di tale ultima disposizione nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza di ciascuna di tali specifiche attenuanti in comparazione con l'aggravante privilegiata della recidiva reiterata (sentenze n. 251 del 2012, n. 105 e n. 106 del 2014, e n. 205 del 2017). Il legislatore può schermare l'ordinario bilanciamento di circostanze del reato, secondo i criteri dell'art. 69 cod. pen., ma non fino al punto di sanzionare condotte di minore gravità con pene eccessive perché sproporzionate rispetto al canone della necessaria offensività.</p> <p style="text-align: justify;">Ma nella fattispecie oggetto di scrutinio da parte della Corte, l'attenuante ad effetto speciale che viene in gioco non attiene all'offensività. Sia l'omicidio stradale che le lesioni personali stradali, ove ricorra l'attenuante di cui al settimo comma degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen., offendono comunque, anche nell'ipotesi così attenuata, il bene della vita e quello dell'integrità personale. L'attenuante speciale non identifica una fattispecie di minore offensività, ma si colloca sul piano del tutto distinto dell'efficienza causale dove opera il principio non già di proporzionalità, bensì quello di equivalenza delle concause dell'evento.</p> <p style="text-align: justify;">Maggiore, pertanto, è la discrezionalità del legislatore nel dimensionare l'incidenza di tale, eccezionale e del tutto particolare, attenuante nel calcolo della pena. È vero che il minimo della pena per il reato base (due anni di reclusione per l'omicidio stradale comune) è raddoppiato (quattro anni di reclusione) ove ricorrano a un tempo la suddetta circostanza aggravante (guida in stato di ebbrezza alcolica di cui al secondo comma dell'art. 589-bis cod. pen.) e l'attenuante dell'efficacia causale non esclusiva dell'azione o dell'omissione del colpevole di cui al settimo comma dell'art. 589-bis cod. pen. (in ragione del concorso della colpa della parte offesa o di altre concause). Ma tale differenziale sanzionatorio può dirsi rientrare nella discrezionalità del legislatore, esercitata nel limite della non irragionevolezza.</p> <p style="text-align: justify;">Il maggior rigore conseguente al divieto di bilanciamento di tale circostanza attenuante a effetto speciale trova ragione nel più incisivo contrasto di condotte altamente pericolose e che da tempo ‒ come già rilevato ‒ creano diffuso allarme sociale per il grave pregiudizio che arrecano alla sicurezza stradale, quale appunto la guida di veicoli a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.</p> <p style="text-align: justify;">Altresì, per il reato di lesioni personali stradali vi è analogo - in vero anche più accentuato - differenziale sanzionatorio. Ma anche in tal caso la condotta di chi, alla guida di un veicolo a motore, attraversa un'intersezione con il semaforo disposto al rosso, così commettendo il reato di lesioni personali stradali gravi, aggravate da tale circostanza cosiddetta privilegiata (come nel giudizio pendente innanzi al Tribunale ordinario di Torino), pone gravemente in pericolo l'incolumità altrui e parimenti può dirsi non irragionevole l'esercizio della discrezionalità del legislatore nell'escludere che l'attenuante in esame (quella del settimo comma dell'art. 590-bis cod. pen.) possa essere valutata dal giudice come equivalente o prevalente rispetto a tale aggravante.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa sono le circostanze del reato?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di <strong>elementi accessori</strong> della <strong>fattispecie penale</strong>, che <strong>si aggiungono come tali</strong> ai relativi <strong>elementi costitutivi</strong>, collocandoglisi “<strong><em>intorno</em></strong>”;</li> <li>il reato è dunque già – nei relativi <strong>elementi essenziali</strong> - <strong>strutturalmente perfetto</strong> rispetto agli <strong>elementi circostanziali</strong>, che gli risultano <strong>meramente accidentali ed accessori</strong>;</li> <li>sul crinale degli <strong>effetti</strong>, la presenza di <strong>circostanze</strong> fa sì che <strong>muti la gravità dell’inadempimento-reato</strong> dal punto di vista di <strong>chi lo ha commesso</strong> (soggettivo) o di <strong>come lo ha commesso</strong> (oggettivo), mutando per conseguenza anche <strong>l’entità della pena</strong> comminata al reo, in senso sia <strong>quantitativo</strong> che – talvolta – <strong>qualitativo</strong>; in sostanza, <strong>muta la c.d. cornice edittale</strong> della pena comminabile, con effetti sia dal punto di vista della <strong>prescrizione del reato</strong> (art.157 c.p.) sia dal punto di vista <strong>schiettamente processuale</strong> (ad esempio, art.4 c.p.p. in tema di <strong>competenza</strong>);</li> <li>il <strong>fatto-inadempimento-reato</strong>, siccome <strong>concretamente atteggiantesi</strong>, presenta un <strong>determinato disvalore</strong> tanto nella relativa <strong>versione base</strong>, o <strong>semplice</strong>, quanto nelle ipotesi in cui alla versione base <strong>si aggiungano altri elementi</strong>;</li> <li>attraverso le circostanze, il fatto-inadempimento-reato <strong>viene cucito</strong> dal punto di vista <strong>individuale</strong> su <strong>chi lo ha commesso</strong> e su <strong>come lo ha commesso</strong>, recando seco anche una evidente <strong>individualizzazione e personalizzazione</strong> della <strong>responsabilità penale</strong>;</li> <li>in forza del <strong>principio di legalità</strong>, la circostanza è lo strumento con il quale <strong>la legge determina</strong> – <strong>individualizzandola</strong> – la <strong>pena comminabile</strong> rispetto al <strong>fatto inadempimento reato</strong> siccome <strong>concretamente posto in essere</strong>, dovendosi la discrezionalità del giudice muoversi <strong>nello spazio edittale</strong> dalla legge medesima tracciato;</li> <li>in tal modo il <strong>principio di legalità</strong> garantisce la <strong>piena legittimità</strong> della <strong>efficacia di extra-edittalità</strong> spiegata dalle circostanze;</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si categorizzano le circostanze del reato?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>aggravanti</strong> se la pena di cui alla fattispecie base <strong>viene aumentata</strong>, ed <strong>attenuanti</strong> se viene <strong>diminuita</strong>;</li> <li><strong>comuni</strong> se sono riferibili ad <strong>ogni genere di reato</strong> (articoli 61 e 62 c.p.), e <strong>speciali o specifiche</strong> se possono afferire <strong>solo a determinate fattispecie</strong>; per le circostanze comuni la afferibilità a ciascuna singola fattispecie di reato base dipende ovviamente anche <strong>dalla compatibilità strutturale</strong>;</li> <li>ai sensi <strong>dell’art.70 c.p.</strong>, <strong>oggettive</strong> se più avvinte agli <strong>elementi oggettivi del reato</strong>, e <strong>soggettive</strong> laddove maggiormente calibrate sui <strong>soggetti</strong>, rispettivamente, <strong>autore e vittima</strong> del fatto inadempimento reato; <strong>miste</strong> (categoria dottrinale) laddove vi siano presenti <strong>tanto elementi oggettivi che soggettivi</strong>, con la conseguenza onde, dal momento che <strong>ai sensi dell’art.118</strong> le circostanze soggettive <strong>non si estendono</strong> ai compartecipi, nel dubbio il <strong>principio del <em>favor rei</em></strong> impone di assumere le <strong>circostanze aggravanti miste</strong> come <strong>soggettive</strong> (e dunque <strong>non estensibili</strong>);</li> <li>ai sensi dell’<strong>63, comma 3</strong>, c.p. <strong>ad effetto comune</strong> se la <strong>variazione</strong> di pena dipende – a livello <strong>frazionario</strong> - dalla <strong>pena ordinaria</strong> del reato; <strong>autonome</strong> se si applica una <strong>pena di specie diversa</strong> rispetto a quella prevista per il reato base; <strong>indipendenti</strong>, se la pena che si applica <strong>è della stessa specie</strong> di quella del reato base, ma <strong>determinata in modo indipendente</strong> (<strong>non frazionario</strong>) rispetto a quella (<strong>non vi è più traccia</strong> di questa categoria nel <strong>novellato art.63, comma 3</strong>, c.p., ma la si ritrova <strong>tuttora intatta all’art.69, comma 4</strong>, c.p.); <strong>ad effetto speciale</strong>, se la variazione della pena indotta dalla circostanza, rispetto al <strong>reato base</strong>, è <strong>di tipo frazionario ma superiore ad un terzo</strong>; nel caso delle circostanze <strong>autonome</strong> e di quelle <strong>ad effetto speciale</strong>, in presenza di <strong>altre circostanze</strong> la variazione della pena <strong>non opera sulla pena ordinaria</strong> del reato, ma <strong>sulla pena stabilita per la circostanza</strong>, rispettivamente, <strong>autonoma o ad effetto speciale</strong> o anche, per taluni, <strong>indipendente</strong> (trattasi di regime importante ai fini della <strong>competenza</strong> ex art.4 c.p.p. ed ai fini dell’applicazione delle <strong>misure cautelari</strong> ex art.278 c.p.p.);</li> <li><strong>intrinseche</strong>, se sono <strong>strettamente legate alla condotta</strong> del soggetto agente (come nel caso dell’aver adoperato sevizie), ed <strong>estrinseche</strong>, laddove avvinte in misura <strong>più evanescente</strong> alla <strong>condotta</strong> del soggetto agente (come nell’ipotesi in cui il soggetto agente <strong>aggravi </strong><em>ex post</em><strong> le conseguenze</strong> del fatto inadempimento reato);</li> <li><strong>antecedenti</strong>, se <strong>precedono</strong> la condotta dell’agente (ad esempio nella <strong>colpa con previsione</strong>), <strong>concomitanti</strong>, se <strong>accompagnano</strong> la ridetta condotta (ad esempio <strong>nell’uso di sevizie</strong>), e <strong>susseguenti</strong>, se <strong>seguono</strong> la condotta in parola (tipico il caso della <strong>riparazione integrale del danno</strong> prodotto dal fatto inadempimento reato);</li> <li><strong>definite</strong>, se il legislatore <strong>tassativamente definisce gli elementi</strong> in presenza dei quali scatta la <strong>variazione sanzionatoria</strong>, e <strong>indefinite</strong>, o <strong>generiche</strong>, o <strong>libere</strong>, o ancora <strong>arbitrarie</strong> ovvero <strong>innominate</strong>, laddove sia presente <strong>un palmare <em>deficit</em> di tassatività</strong> in punto di <strong>descrizione degli elementi</strong> in presenza dei quali muta la quantità del regime sanzionatorio che colpisce il reo; in questo ultimo caso, si tratta di fattispecie nelle quali <strong>aumenta grandemente la discrezionalità</strong> <strong>del giudice</strong> non già solo in punto di <strong>quantificazione</strong> del trattamento sanzionatorio ma, ancora più a monte, in punto di <strong>identificazione</strong> – sul crinale <strong>fattuale</strong> – degli <strong>elementi circostanziali</strong>, come nelle fattispecie in cui il legislatore si esprime additando i “<strong><em>casi di particolare gravità</em></strong>” o i “<strong><em>casi più gravi</em></strong>”; in queste ipotesi – laddove si tratti di <strong>circostanze aggravanti</strong> - la previsione normativa entra <strong>in rotta di collisione con il principio di tassatività della fattispecie</strong> e, per il relativo tramite, <strong>con l’art.25, comma 2, Cost.;</strong> frizione <strong>non predicabile invece</strong> quando si abbia a che fare con <strong>circostanze attenuanti</strong>, come dimostra la previsione delle <strong>d. attenuanti generiche</strong> prevista dall’<strong>art.62.bis c.p..</strong> Né potrebbe ragionevolmente affermarsi che il principio di tassatività della fattispecie penale afferisca si <strong>soli elementi costitutivi</strong> della fattispecie medesima, lasciando fuori gli <strong>elementi circostanziali</strong>, essendovi comunque <strong>implicata la libertà personale</strong> del soggetto agente.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Da cosa vanno distinte le circostanze del reato?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>dagli <strong>elementi costitutivi</strong> del reato medesimo, che ne “<strong><em>costituiscono</em></strong>” appunto il <strong>nucleo essenziale di perfezionamento</strong> come <strong>fatto inadempimento reato</strong>; dal punto di vista <strong>ontologico</strong>, diventa spesso <strong>difficile</strong> capire se un elemento della fattispecie <strong>ne è parte costitutiva</strong>, ovvero <strong>meramente accessoria</strong>; l’esempio classico è quello dell’<strong>abuso d’ufficio ex art.323 c.p.,</strong> che si compendia - a livello “<em>basic</em>” di <strong>elemento costitutivo</strong> - nell’<strong>abuso dei poteri inerenti alla pubblica funzione</strong> da parte dell’pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio; quel medesimo abuso di poteri che – rispetto ad altre fattispecie – implica invece <strong>mera circostanza aggravante comune</strong> ai sensi dell’art.61, n.9 c.p.);</li> <li>dalle c.d. <strong>circostanze di esclusione della pena</strong> di cui all’<strong>59, comma 1, c.p.,</strong> in quanto la circostanza <strong>in senso tecnico</strong> <strong>muta</strong> la pena, <strong>non la esclude</strong>;</li> <li>dalle c.d. <strong>circostanze improprie</strong>, vale a dire gli <strong>indici di gravità del reato</strong> ed i connessi <strong>criteri di commisurazione della pena ex art.133 c.p.</strong>, che si riferiscono in realtà <strong>al reato base</strong> ed operano <strong>all’interno della cornice edittale</strong> di tale reato base, <strong>senza</strong> poterne implicare un <strong>mutamento</strong> o comunque una <strong>estensione</strong>;</li> <li>dai <strong>mutamenti della pena pecuniaria</strong> ex <strong>133 bis, comma 2</strong>, c.p., tanto in aumento che in diminuzione, funzionali ad <strong>adeguare la sanzione pecuniaria</strong> alle <strong>condizioni economiche del reo</strong>; in questo caso tuttavia si discute in quanto: d.1) il fatto che il <strong>mutamento della pena pecuniaria</strong> venga applicato <strong>dal giudice</strong> quando egli <strong>ha già complessivamente valutato il disvalore</strong> del fatto sospinge nel senso di <strong>escludere</strong> che si sia in presenza di una circostanza in senso tecnico; d.2) il fatto, tuttavia, che la pena <strong>muti in via extraedittale</strong> porta invece ad <strong>accostare</strong>, anche tecnicamente, la fattispecie alle vere e proprie circostanze.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa impone di distinguere nettamente la circostanza dall’elemento costitutivo del reato’</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il <strong>bilanciamento</strong>: la circostanza – ai sensi del <strong>novellato (1974) art.69 c.p.</strong> - può essere <strong>bilanciata</strong> con un’altra circostanza di senso opposto di qualsiasi tipo (le aggravanti con le attenuanti, e viceversa), ma <strong>non</strong> con un <strong>elemento costitutivo del reato</strong>;</li> <li><strong>l’imputazione</strong>: gli <strong>elementi costitutivi</strong> devono essere <strong>coperti dal dolo</strong> (ed eccezionalmente dalla <strong>colpa</strong>), mentre le circostanze, se <strong>attenuanti</strong>, vengono <strong>imputate a livello oggettivo</strong> (e dunque anche se <strong>non conosciute</strong> dal soggetto agente) e se <strong>aggravanti</strong>, vengono imputate se <strong>colposamente non conosciute</strong> o <strong>assunte insussistenti per errore colposo</strong>;</li> <li>il <strong>concorso di persone</strong>: se si tratta di <strong>elementi costitutivi</strong>, si applica <strong>l’art.116 o l’art.117 c.p.</strong> (<strong>muta il titolo del reato</strong>, e si fa riferimento per l’appunto ai relativi <strong>elementi costitutivi</strong>); se si tratta di <strong>circostanze</strong>, la norma che viene in rilievo è <strong>l’art.118 c.p.,</strong> trattandosi di reato in concorso con riferimento al quale <strong>si valutano in modo differente le circostanze</strong> (elementi accessori) relative ai <strong>singoli soggetti agenti partecipi</strong>;</li> <li>la <strong>territorialità</strong>; se si tratta di <strong>elemento costitutivo</strong> della fattispecie, può configurarsi un fatto inadempimento reato <strong>almeno in parte commesso in Italia</strong> (“<strong><em>parte</em></strong>” dell’azione od omissione), con <strong>punibilità appannaggio del giudice italiano</strong>; se invece si tratta di <strong>mera circostanza</strong> (elemento accessorio), la punibilità resta appannaggio del <strong>giudice dello Stato in cui il fatto è stato commesso</strong>;</li> <li>il <strong>tentativo</strong>: mentre il <strong>tentativo circostanziato di delitto</strong> viene generalmente <strong>ammesso</strong> (la circostanza <strong>è accessoria al tentativo</strong> di delitto), il <strong>tentativo di delitto circostanziato</strong> viene da parte della dottrina assunto <strong>inconfigurabile</strong> (la circostanza è qui <strong>accessoria al delitto</strong> del cui tentativo si tratta), onde se si tratta di <strong>circostanza</strong> (e non di elemento costitutivo), potrebbe essere <strong>difficile</strong> assumere <strong>configurabile il tentativo</strong> in determinate fattispecie, in quanto non si tratterebbe di tentativo <strong>di delitto</strong> (<strong>elemento costitutivo</strong>), ma di tentativo <strong>di delitto circostanziato</strong> (<strong>circostanza</strong>);</li> <li>la <strong>prescrizione</strong>: se si tratta di <strong>circostanze</strong> (e non di elementi costitutivi), esse – se <strong>aggravanti</strong> – incidono sul <strong>termine di prescrizione del reato</strong> solo se prevedono pene <strong>di specie diversa</strong> da quella prevista dalla legge in via ordinaria, ovvero se sono <strong>ad effetto speciale</strong> (legge 251.05, c.d. ex-Cirielli).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si distinguono gli elementi costitutivi del reato dagli elementi (accessori) circostanziali?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>criterio della <strong>accessorietà</strong>: un elemento <strong>è circostanziale se accessorio</strong>, mentre <strong>è costitutivo se è essenziale</strong> nel contesto della fattispecie di fatto inadempimento reato. E’ tuttavia <strong>difficile</strong>, nei casi specifici, capire se un elemento <strong>è essenziale</strong> ovvero <strong>meramente accessorio</strong> rispetto alla fattispecie tipica;</li> <li>criterio della <strong>specialità</strong>: un elemento <strong>è circostanziale se è speciale</strong> rispetto alla <strong>fattispecie base</strong> della pertinente figura criminosa, sicché si hanno <strong>elementi della fattispecie incriminatrice costitutivi</strong> (<strong><em>genus</em></strong>) ed altri <strong>elementi che li specificano</strong> (<strong><em>species</em></strong>) quali <strong>peculiari ipotesi di essi</strong>, specie in termini di “<strong><em>variante di intensità</em></strong>”; in sostanza, mentre il reato semplice <strong>è la fattispecie base</strong>, il reato circostanziato <strong>ne è una sottofattispecie specializzante</strong>; quando invece vi è <strong>incompatibilità o esclusione reciproca</strong>, si è al cospetto di <strong>due reati autonomi</strong>, e dunque degli <strong>elementi costitutivi dell’uno e dell’altro</strong>, e <strong>non già</strong> di una <strong>circostanza</strong> rispetto ad un <strong>reato base</strong>; quando una <strong>fattispecie</strong> è <strong>elemento costitutivo di altra fattispecie</strong> (come lo è il furto rispetto alla rapina), si ha <strong>rapporto di specialità</strong>, ma <strong>non circostanza</strong>, che invece ricorre quando una fattispecie <strong>è sottofattispecie dell’altra</strong>. Proprio il fatto che esistono anche <strong>figure di reato che sono autonome</strong>, e tuttavia <strong>specializzanti</strong> rispetto ad altre (del pari autonome) porta ad assumere tale criterio come <strong>poco appagante</strong>, potendo essere <strong>difficile verificare</strong>, nei singoli casi, se si è al cospetto di una <strong>mera sottofattispecie</strong> (elemento circostanziale), ovvero di una <strong>fattispecie speciale</strong> ed <strong>autonoma</strong> (elemento costitutivo);</li> <li>criterio della <strong>struttura normativa</strong>: un elemento è <strong>circostanziale</strong> se è <strong>contenuto</strong> – nell’ambito della fattispecie penalmente rilevante – <strong>in un precetto di natura “<em>secondaria</em>”</strong> che si rivolge <strong>al giudice</strong> al fine di consentirgli <strong>la concreta determinazione della pena</strong>, mentre è <strong>costitutivo</strong> se – nell’ambito della <strong>struttura logica della norma</strong> – si rivolge, come <strong>precetto di natura “<em>primaria</em>”,</strong> ai <strong>consociati</strong>, rappresentando <strong>ciò che va o non va fatto</strong>, pena la sanzione. E’ tuttavia <strong>difficile</strong>, nei casi specifici, capire se l’elemento di che trattasi, nell’ambito della fattispecie, è previsto <strong>da un precetto primario</strong>, ovvero <strong>secondario</strong>;</li> <li>criterio del <strong>bene (interesse) giuridico offeso</strong>: un elemento è <strong>circostanziale</strong> se <strong>non altera il profilo dell’offesa</strong> all’interesse penalmente tutelato, mentre laddove è idoneo ad <strong>incidere sul <em>vulnus</em> a tale interesse</strong> si tratta piuttosto di <strong>elemento costitutivo</strong>. E’ tuttavia <strong>difficile in concreto</strong> verificare il <strong><em>discrimen</em></strong>, anche perché distinguere tra <strong>elementi che offendono</strong> il bene (interesse) penalmente tutelato ed <strong>elementi che sono solo “<em>circostanti</em>”</strong> rispetto a tale offesa presuppone <strong>l’operazione preliminare di circoscrivere l’offesa</strong>, talvolta impedita proprio dalla <strong>difficoltà di distinguere</strong> gli <strong>elementi costitutivi</strong> da <strong>quelli circostanziali</strong>;</li> <li><strong>criterio del <em>favor rei</em></strong>: nel dubbio, si deve ritenere che un elemento <strong>sia essenziale e costitutivo</strong> piuttosto che <strong>circostanziale</strong>, anche perché nel primo caso occorre <strong>normalmente il dolo</strong>, mentre nel secondo il <strong>criterio di imputazione</strong> appare <strong>meno favorevole al reo</strong>: si tatta di una <strong>opzione ermeneutica garantista</strong>, che ha perso vigore da quando (legge 19.90) le circostanze aggravanti <strong>non sono più imputate al reo</strong> a titolo <strong>oggettivo</strong>, ma a titolo <strong>ormai soggettivo</strong> (legato alla colpa). Peraltro, si tratta di un criterio distintivo che – ispirato al garantismo – <strong>non vale</strong> al fine di distinguere gli <strong>elementi costitutivi</strong> dalle <strong>circostanze attenuanti</strong> (piuttosto che aggravanti); e che, per una sorta di eterogenesi dei fini, potrebbe risultare <strong>più penalizzante per il soggetto attivo</strong>, <strong>sottraendolo</strong> al <strong>potenziale giudizio di bilanciamento</strong> (laddove, nel dubbio, vede appunto un <strong>elemento costitutivo</strong> piuttosto che una circostanza). Si è nel tempo fatta strada anche una <strong>tesi giustapposta</strong>, onde nel dubbio deve assumersi essere in presenza di <strong>circostanze</strong>, e non già di elementi costitutivi, per i quali sarebbe prevista la “<strong><em>espressa</em></strong>” <strong>previsione nella legge incriminatrice</strong> (art.1 c.p. e art.25, comma 2, Cost.): la dottrina più accreditata ha tuttavia risposto che tali disposizioni <strong>valgono in egual misura</strong> tanto per gli <strong>elementi costitutivi</strong> che per <strong>quelli circostanziali</strong>, esprimendo il <strong>fondamentale principio di legalità</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste il c.d. reato circostanziato?</strong></p> <ol> <li style="text-align: justify;">si tratta di una <strong>figura forgiata dalla dottrina penalistica</strong> recente;</li> <li style="text-align: justify;">in sostanza, le circostanze presenti fanno luogo ad una <strong>fattispecie incriminatrice nuova ed autonoma</strong></li> <li style="text-align: justify;">si ha allora una <strong>fattispecie incriminatrice base “<em>indipendente</em>”</strong> ed una o più <strong>fattispecie incriminatrici circostanziate</strong> che sono “<strong><em>dipendenti</em></strong>”, dal punto di vista sistematico, rispetto alla fattispecie base;</li> <li style="text-align: justify;">muovendo da questo presupposto, non si parla più di <strong>concorso di circostanze</strong>, ma di <strong>concorso</strong>, in qualche modo, <strong>di reati</strong>, ovvero di <strong>fattispecie incriminatrici circostanziate</strong> (dipendenti);</li> <li style="text-align: justify;">vi possono essere <strong>ricadute sistematiche di tipo semplificatorio</strong>, come nel caso del c.d. <strong>delitto circostanziato</strong>, il cui <strong>tentativo</strong> è <strong>pianamente ammissibile</strong> nel caso in cui le circostanze non vengano per l’appunto intese quali <strong>elementi accessori</strong> rispetto ad una fattispecie base, quanto piuttosto quali <strong>elementi costitutivi di una fattispecie incriminatrice diversa, autonoma e dipendente</strong>, il <strong>delitto circostanziato</strong> appunto (e non già il delitto + le circostanze), che nella forma tentata diventa <strong>tentativo di delitto circostanziato</strong>. Sul crinale del c.d. <strong>bilanciamento </strong>peraltro, non ci si trova più al cospetto di molteplici<strong> circostanze</strong> rispetto al reato base (bilanciabili), ma di <strong>più delitti circostanziati in concorso tra loro </strong>(<strong><em>ex lege</em></strong> <strong>eccezionalmente capaci di bilanciarsi</strong> in termini di <strong>concreta dosimetria della pena)</strong>.</li> </ol>