CORTE DI GIUSTIZIA U.E., SEZ. V – sentenza 27 novembre 2019 (causa C‑402/18)
La direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dev’essere interpretata nel senso che:
– essa osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita al 30% la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi;
– essa osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Sulla questione pregiudiziale
Sulla ricevibilità
22 Il governo italiano dubita che il giudice del rinvio abbia adeguatamente descritto il contesto giuridico nel quale si colloca la questione sottoposta.
23 Inoltre, la C.M. Service sostiene che la questione sollevata sarebbe irricevibile, in quanto sarebbe irrilevante ai fini della soluzione della controversia oggetto del procedimento principale. In particolare, a prescindere dalla risposta che la Corte fornirà a tale questione, il giudice del rinvio dovrebbe in ogni caso dichiarare che l’offerente ha violato l’offerta prescelta nella procedura oggetto di detta controversia, poiché detto offerente, nel presentare tale offerta, si era impegnato a rispettare i limiti del 30% e del 20% cui fa riferimento il giudice del rinvio nella sua questione.
24 In primo luogo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego della Corte di statuire su una domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti manifestamente che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non presenta alcun nesso con la realtà o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura teorica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le sono sottoposte, il che implica che il giudice nazionale definisca il contesto di fatto e di diritto nel quale si collocano le questioni da esso sollevate o che esso, quanto meno, chiarisca le ipotesi di fatto sulle quali tali questioni si fondano (sentenza del 28 marzo 2019, Idi, C‑101/18, EU:C:2019:267, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).
25 Nel caso di specie, gli elementi di fatto e di diritto menzionati nell’ordinanza di rinvio consentono di comprendere i motivi in base ai quali il giudice del rinvio ha proposto la domanda di pronuncia pregiudiziale di cui trattasi.
26 In secondo luogo, per quanto riguarda il carattere asseritamente irrilevante della questione sollevata, occorre ricordare che la controversia oggetto del procedimento principale verte sulla legittimità dell’offerta prescelta dall’amministrazione aggiudicatrice nell’ambito della procedura di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui trattasi nel procedimento principale. Orbene, come risulta dall’ordinanza di rinvio, con il prezzo proposto in tale offerta – prezzo che ha consentito a quest’ultima di essere prescelta – sono stati superati i limiti del 30% e del 20%, previsti dalla normativa nazionale in esame nel procedimento principale e la cui compatibilità con il diritto dell’Unione è oggetto della questione posta dal giudice del rinvio. Ne consegue che, come dichiara del resto il giudice del rinvio, la soluzione della controversia di cui quest’ultimo è investito dipende necessariamente dalla risposta che la Corte fornirà a tale questione.
27 Pertanto, la questione pregiudiziale è ricevibile.
Sulla prima parte della questione
28 Con la prima parte della sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 49 e 56 TFUE, la direttiva 2004/18 e la direttiva 2014/24 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita al 30% la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi (in prosieguo: il «limite del 30%»).
29 In via preliminare, occorre ricordare che la direttiva applicabile è, in linea di principio, quella in vigore alla data in cui l’amministrazione aggiudicatrice sceglie il tipo di procedura da seguire, risolvendo definitivamente la questione se sussista o meno l’obbligo di indire preventivamente una gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico. Sono, al contrario, inapplicabili le disposizioni di una direttiva il cui termine di recepimento sia scaduto dopo tale data (sentenza del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti, C‑213/13, EU:C:2014:2067, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).
30 A tal riguardo si deve osservare che la direttiva 2004/18 è stata abrogata dalla direttiva 2014/24, con effetto dal 18 aprile 2016. L’articolo 90 della direttiva 2014/24 dispone che gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a quest’ultima direttiva entro il 18 aprile 2016, fatte salve talune eccezioni.
31 Di conseguenza, alla data del bando di gara oggetto del procedimento principale, ossia al 24 dicembre 2015, la direttiva 2004/18 era ancora applicabile, sicché occorre interpretare la prima parte della questione sollevata come volta, segnatamente, all’interpretazione di quest’ultima e non a quella della direttiva 2014/24.
32 Occorre altresì rilevare che, poiché il valore dell’appalto oggetto del procedimento principale al netto dell’IVA è superiore alla soglia rilevante prevista all’articolo 7, lettera b), della direttiva 2004/18, è con riferimento a quest’ultima che si deve rispondere alla prima parte della questione sottoposta.
33 Obiettivo di tale direttiva, come risulta in sostanza dal suo considerando 2, è che l’aggiudicazione degli appalti pubblici rispetti, segnatamente, la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, nonché i principi che ne derivano, in particolare la parità di trattamento, la non discriminazione, la proporzionalità e la trasparenza, e che sia aperta alla concorrenza.
34 In particolare, a tal fine, detta direttiva prevede espressamente, al suo articolo 47, paragrafi 2 e 3, e al suo articolo 48, paragrafi 3 e 4, la possibilità per gli offerenti di fare affidamento, a determinate condizioni, sulle capacità di altri soggetti al fine di soddisfare determinati criteri di selezione degli operatori economici.
35 Inoltre, ai sensi dell’articolo 25, primo comma, della direttiva 2004/18, l’amministrazione aggiudicatrice può chiedere o può essere obbligata da uno Stato membro a chiedere all’offerente di indicare, nella sua offerta, le parti dell’appalto che intende subappaltare a terzi, nonché i subappaltatori proposti.
36 Ne consegue che la direttiva 2004/18 sancisce la facoltà, per gli offerenti, di ricorrere al subappalto per l’esecuzione di un appalto (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 2016, Wrocław – Miasto na prawach powiatu, C‑406/14, EU:C:2016:562, punti da 31 a 33).
37 Tuttavia, qualora i documenti dell’appalto impongano agli offerenti di indicare, nelle loro offerte, le parti dell’appalto che essi hanno eventualmente l’intenzione di subappaltare e i subappaltatori proposti, conformemente all’articolo 25, primo comma, della direttiva 2004/18, l’amministrazione aggiudicatrice ha il diritto, per quanto riguarda l’esecuzione di parti essenziali dell’appalto, di vietare il ricorso a subappaltatori dei quali non sia stata in grado di verificare le capacità in occasione della valutazione delle offerte e della selezione dell’aggiudicatario (sentenza del 14 luglio 2016, Wrocław – Miasto na prawach powiatu, C‑406/14, EU:C:2016:562, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).
38 Tale non è, però, la portata di una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che impone un limite al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità degli eventuali subappaltatori e il carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe. Sotto tutti questi profili, una normativa che preveda un limite come quello del 30% risulta incompatibile con la direttiva 2004/18 (v., per analogia, sentenza del 14 luglio 2016, Wrocław – Miasto na prawach powiatu, C‑406/14, EU:C:2016:562, punto 35).
39 Una tale interpretazione è conforme all’obiettivo dell’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, obiettivo perseguito dalle direttive in materia a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma anche delle amministrazioni aggiudicatrici. Essa è altresì idonea a facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, cui tende del pari la direttiva 2004/18, come indicato al suo considerando 32 (v., in tal senso, sentenza del 10 ottobre 2013, Swm Costruzioni 2 e Mannocchi Luigino, C‑94/12, EU:C:2013:646, punto 34).
40 L’interpretazione esposta al punto 38 della presente sentenza non è rimessa in discussione dall’argomento dedotto dal governo italiano, in base al quale il limite del 30% è giustificato in considerazione delle circostanze particolari prevalenti in Italia, dove il subappalto ha da sempre costituito uno degli strumenti di attuazione di intenti criminosi. Limitando la parte dell’appalto che può essere subappaltata, la normativa nazionale renderebbe la partecipazione alle commesse pubbliche meno appetibile per le organizzazioni criminali, circostanza che sarebbe idonea a prevenire il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa nelle commesse pubbliche e a tutelare così l’ordine pubblico.
41 È vero che, come deriva, segnatamente, dai criteri di selezione qualitativi previsti dalla direttiva 2004/18, in particolare dai motivi di esclusione dettati al suo articolo 45, paragrafo 1, che il legislatore dell’Unione ha inteso evitare, mediante l’adozione di tale disposizione, che gli operatori economici condannati con sentenza definitiva per una o più delle ragioni elencate in tale disposizione partecipino a una procedura di aggiudicazione di un appalto.
42 Del pari, il considerando 6 della direttiva 2004/18 prevede che nessuna disposizione di quest’ultima dovrebbe vietare di imporre o di applicare misure necessarie, segnatamente, alla tutela dell’ordine, della moralità e della sicurezza pubblici, a condizione che dette misure siano conformi al trattato CE, mentre il considerando 43 della medesima direttiva precisa che gli appalti pubblici non dovrebbero essere aggiudicati, in particolare, a operatori economici che hanno partecipato a un’organizzazione criminale.
43 Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, va riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione di misure destinate a garantire il rispetto dell’obbligo di trasparenza, il quale si impone alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico. Infatti, il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni dell’obbligo summenzionato (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, Impresa Edilux e SICEF, C‑425/14, EU:C:2015:721, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).
44 Più nello specifico, la Corte ha già dichiarato che il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo, che può giustificare una restrizione alle norme fondamentali e ai principi generali del Trattato FUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, Impresa Edilux e SICEF, C‑425/14, EU:C:2015:721, punti 27 e 28).
45 Tuttavia, anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella oggetto del procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo.
46 In proposito occorre ricordare che le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute a rispettare nel corso di tutta la procedura i principi di aggiudicazione degli appalti di cui all’articolo 2 della direttiva 2004/18, tra i quali figurano, in particolare, i principi di parità di trattamento, di trasparenza e di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 23 dicembre 2009, Serrantoni e Consorzio stabile edili, C‑376/08, EU:C:2009:808, punto 23).
47 Orbene, in particolare, come ricordato al punto 38 della presente sentenza, la normativa nazionale oggetto del procedimento principale vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto per una quota parte che superi una percentuale fissa dell’importo dell’appalto pubblico di cui trattasi, sicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori. Inoltre, un tale divieto generale non lascia spazio alcuno a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore (v., per analogia, sentenza del 26 settembre 2019, Vitali, C‑63/18, EU:C:2019:787, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
48 Ne consegue che nell’ambito di una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale, per tutti gli appalti una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati dev’essere realizzata dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che tale limite al ricorso al subappalto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto di cui trattasi (v., per analogia, sentenza del 26 settembre 2019, Vitali, C‑63/18, EU:C:2019:787, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
49 Orbene, l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano potrebbe essere raggiunto da misure meno restrittive, come l’approccio consistente nell’obbligare l’offerente a fornire nella fase dell’offerta le identità degli eventuali subappaltatori, al fine di consentire all’amministrazione aggiudicatrice di effettuare verifiche nei confronti dei subappaltatori proposti, perlomeno nel caso degli appalti che si ritiene rappresentino un maggior rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. D’altronde, dagli elementi forniti alla Corte risulta che il diritto italiano già prevede numerose misure finalizzate espressamente a impedire l’accesso alle gare d’appalto pubbliche alle imprese sospettate di appartenenza mafiosa o di essere comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese.
50 L’interpretazione esposta al punto 38 della presente sentenza non è rimessa in discussione neanche dall’argomento fatto valere dal governo italiano, secondo cui i controlli di verifica che l’amministrazione aggiudicatrice deve effettuare in forza del diritto nazionale sarebbero inefficaci. Infatti, una tale circostanza che, come pare risultare dalle osservazioni stesse di detto governo, discende dalle modalità specifiche di tali controlli, nulla toglie al carattere restrittivo della misura nazionale oggetto del procedimento principale. Peraltro, il governo italiano non ha in alcun modo dimostrato, nell’ambito della presente causa, che norme come quelle che comporterebbero le verifiche di cui al precedente punto, unitamente all’applicazione dei possibili motivi di esclusione dei subappaltanti ai sensi dell’articolo 45 della direttiva 2004/18, non possano essere attuate in modo tale da raggiungere l’obiettivo perseguito dalla normativa nazionale oggetto del procedimento principale.
51 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima parte della questione sottoposta dichiarando che la direttiva 2004/18 dev’essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita al 30% la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.
Sulla seconda parte della questione
52 Con la seconda parte della sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 49 e 56 TFUE, la direttiva 2004/18 nonché la direttiva 2014/24 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione.
53 Per le ragioni esposte ai punti da 29 a 32 della presente sentenza, si deve rispondere anche alla seconda parte della questione sottoposta soltanto alla luce della direttiva 2004/18.
54 A tal riguardo occorre ricordare, come risulta dal punto 36 della presente sentenza, che la direttiva 2004/18 sancisce la possibilità, per gli offerenti, di ricorrere al subappalto per l’esecuzione di un appalto pubblico.
55 Nel caso di specie, la normativa nazionale oggetto del procedimento principale impone di limitare, per tutti gli appalti, i prezzi che possono essere corrisposti ai subappaltatori incaricati di svolgere prestazioni oggetto di un appalto pubblico, non essendo ammesso nei confronti di tali prestazioni un ribasso superiore al 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione (in prosieguo: il «limite del 20%»).
56 In udienza, la Commissione europea ha chiarito che la posizione da essa sostenuta nelle sue osservazioni scritte dinanzi alla Corte, secondo cui il limite del 20% potrebbe essere ritenuto compatibile con la libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento, si fondava sull’interpretazione delle constatazioni operate dal giudice del rinvio, in base alle quali tale limite consente una valutazione caso per caso della questione relativa all’effettiva necessità di applicare detto limite per evitare il dumping sociale.
57 A tale proposito, occorre ricordare la giurisprudenza costante secondo la quale la Corte deve prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dell’Unione e i giudici nazionali, il contesto di fatto e di diritto nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dall’ordinanza di rinvio. Di conseguenza, a prescindere dal modo in cui la Commissione abbia inteso il diritto nazionale, l’esame del presente rinvio pregiudiziale deve essere compiuto facendo riferimento all’interpretazione di tale diritto operata dal giudice del rinvio (v., per analogia, sentenza del 29 ottobre 2009, Pontin, C‑63/08, EU:C:2009:666, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).
58 Orbene, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il limite del 20% si impone in modo imperativo, a pena di esclusione dell’offerente dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto. Inoltre, da tale domanda discende che detto limite è definito in modo generale e astratto, indipendentemente da qualsiasi verifica della sua effettiva necessità, nel caso di un dato appalto, al fine di assicurare ai lavoratori di un subappaltatore interessati una tutela salariale minima. Il medesimo limite si applica altresì a prescindere dal settore economico o dall’attività interessata e indipendentemente da qualsiasi presa in considerazione delle leggi, dei regolamenti o dei contratti collettivi, tanto nazionali quanto dell’Unione europea, in vigore in materia di condizioni di lavoro, che sarebbero normalmente applicabili a detti lavoratori.
59 Ne consegue che il limite del 20% è idoneo a rendere meno allettante la possibilità offerta dalla direttiva 2004/18 di ricorrere al subappalto per l’esecuzione di un appalto, dal momento che tale normativa limita l’eventuale vantaggio concorrenziale in termini di costi che i lavoratori impiegati nel contesto di un subappalto presentano per le imprese che intendono avvalersi di detta possibilità. Orbene, un tale effetto dissuasivo contrasta con l’obiettivo, ricordato al punto 39 della presente sentenza e perseguito dalle direttive in materia, dell’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile e, in particolare, dell’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
60 Nessuno degli obiettivi fatti valere dinanzi alla Corte nell’ambito della presente causa consente di giustificare un limite al ricorso al subappalto come il limite del 20%.
61 In primo luogo, è vero che l’obiettivo della tutela dei lavoratori impiegati nel contesto di un subappalto può, in linea di principio, giustificare talune limitazioni al ricorso al subappalto (v., in tal senso, sentenza del 18 settembre 2014, Bundesdruckerei, C‑549/13, EU:C:2014:2235, punto 31).
62 È altresì vero che la direttiva 2004/18 prevede espressamente, al suo articolo 26, la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di esigere condizioni particolari in merito all’esecuzione di un appalto, le quali possono basarsi in particolare su considerazioni sociali.
63 Tuttavia, anche supponendo che i requisiti in materia di prezzi prescritti dalla normativa nazionale di cui trattasi possano essere qualificati come «condizioni particolari in merito all’esecuzione di un appalto», segnatamente come «considerazioni sociali», «precisate nel bando di gara o nel capitolato d’oneri», ai sensi dell’articolo 26 della direttiva 2004/18, ciò non toglie che, conformemente a quest’ultima disposizione, siffatti requisiti possono essere imposti solo purché siano compatibili con il diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 18 settembre 2014, Bundesdruckerei, C‑549/13, EU:C:2014:2235, punto 28).
64 Orbene, non si può ritenere che una normativa nazionale, come quella descritta ai punti 55, 58 e 59 della presente sentenza, riconosca ai lavoratori una tutela tale da giustificare un limite al ricorso al subappalto come il limite del 20%.
65 Infatti, un tale limite eccede quanto necessario al fine di assicurare ai lavoratori impiegati nel contesto di un subappalto una tutela salariale. Infatti, come ricordato ai punti 55 e 58 della presente sentenza, il limite del 20% non lascia spazio ad una valutazione caso per caso da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dal momento che si applica indipendentemente da qualsiasi presa in considerazione della tutela sociale garantita dalle leggi, dai regolamenti e dai contratti collettivi applicabili ai lavoratori interessati.
66 A tal riguardo, dagli elementi di cui dispone la Corte risulta che il diritto italiano prevede che il subappaltatore sia tenuto, così come l’aggiudicatario, a rispettare pienamente, nei confronti dei propri dipendenti, per le prestazioni effettuate nell’ambito del subappalto, il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionali e territoriali vigenti per il settore e per la zona in cui le prestazioni vengono effettuate. In base ai medesimi elementi, l’aggiudicatario è anche responsabile in solido del rispetto, da parte del subappaltatore, di detta normativa.
67 Dagli elementi forniti alla Corte risulta altresì che, nel caso di specie, il subappalto di cui trattasi comporta il ricorso a cooperative sociali che beneficiano, in forza della normativa italiana applicabile a queste ultime, di un regime preferenziale in materia di fiscalità, di contributi, di retribuzione e di previdenza sociale, e che tale normativa mira proprio a facilitare l’integrazione nel mercato del lavoro di talune persone svantaggiate, rendendo possibile il versamento ad esse di un corrispettivo meno elevato di quello che si impone nel caso di altri soggetti che effettuano prestazioni analoghe. Spetta però al giudice del rinvio effettuare le verifiche necessarie in proposito.
68 In secondo luogo, un limite al ricorso al subappalto come il limite del 20% non può essere giustificato neppure dall’obiettivo consistente nel voler garantire la redditività dell’offerta e la corretta esecuzione dell’appalto.
69 Certamente, non è escluso che un tale obiettivo possa giustificare talune limitazioni al ricorso al subappalto (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2017, Borta, C‑298/15, EU:C:2017:266, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).
70 Tuttavia, anche supponendo che il limite del 20% sia tale da raggiungere detto obiettivo, un tale limite generale e astratto è, in ogni caso, sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito, dal momento che esistono altre misure meno restrittive che faciliterebbero il raggiungimento di quest’ultimo. Potrebbe essere presa in considerazione in particolare una misura consistente, da un lato, nel richiedere che gli offerenti indichino, nella loro offerta, la quota parte dell’appalto e i lavori che essi hanno intenzione di subappaltare e l’identità dei subappaltatori proposti e, dall’altro lato, nel prevedere la possibilità, per l’ente aggiudicatore, di vietare agli offerenti di sostituire subappaltatori se tale ente non abbia potuto verificare previamente l’identità, la capacità e l’affidabilità dei nuovi subappaltatori proposti (v., per analogia, sentenza del 5 aprile 2017, Borta, C‑298/15, EU:C:2017:266, punto 57).
71 Occorre peraltro osservare che, nel caso di specie, dagli elementi forniti alla Corte risulta che esistono già nel diritto italiano – circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare – talune misure, alcune delle quali coincidenti almeno in parte con quella descritta al precedente punto, che mirano a consentire all’amministrazione aggiudicatrice di verificare la capacità e l’affidabilità del subappaltatore prima che egli effettui le prestazioni subappaltate.
72 Potrebbe del pari contribuire al raggiungimento dell’obiettivo esposto al punto 68 della presente sentenza l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 55 della direttiva 2004/18 relative alla verifica delle offerte anormalmente basse rispetto alla prestazione, le cui disposizioni rendono possibile, per un determinato appalto e alle condizioni previste a tal fine, il rigetto da parte dell’amministrazione aggiudicatrice delle offerte così qualificate.
73 In terzo luogo, non si può neanche ritenere che la compatibilità del limite del 20% con il diritto dell’Unione possa fondarsi sull’argomento fatto valere dalla Commissione, volto a dimostrare che tale limite si giustifica alla luce del principio della parità di trattamento degli operatori economici. Secondo tale istituzione, la corresponsione di prezzi ridotti ai subappaltatori, lasciando invariata la remunerazione del contraente principale indicata nell’offerta, comporterebbe una riduzione sostanziale dei costi per l’offerente e aumenterebbe in tal modo il profitto che egli ricava dall’appalto.
74 A tal riguardo, è sufficiente rilevare che la mera circostanza che un offerente sia in grado di limitare i propri costi in ragione dei prezzi che egli negozia con i subappaltatori non è di per sé tale da violare il principio della parità di trattamento, ma contribuisce piuttosto a una concorrenza rafforzata e quindi all’obiettivo perseguito dalle direttive adottate in materia di appalti pubblici, come ricordato al punto 39 della presente sentenza.
75 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla seconda parte della questione posta dichiarando che la direttiva 2004/18 deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione.
Sulle spese
76 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.