<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 7 febbraio 2020 n. 13 </strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1-bis, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), sollevate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione prima, con l’ordinanza indicata in epigrafe.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.– Ai fini dell’odierno scrutinio, è necessario ricostruire nei suoi tratti salienti gli antecedenti di fatto del giudizio principale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il rimettente è chiamato a rendere un parere vincolante su un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che oggi, dopo le innovazioni apportate dall’art. 69, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile), si atteggia come «un rimedio giustiziale, che è sostanzialmente assimilabile ad un “giudizio”, quantomeno ai fini dell’applicazione dell’art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953» (sentenza n. 73 del 2014, punto 2. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 133 del 2016, punto 3.4.1. del Considerato in diritto).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nel giudizio principale è impugnata la variante, adottata il 28 novembre 2014, del piano di governo del territorio del Comune di Sondrio, a sua volta approvato con delibera del Consiglio comunale del 6 giugno 2011.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Le questioni vertono sulla scelta di sottrarre le aree di nuova edificazione poste all’interno di un àmbito territoriale denominato “tessuto urbano consolidato” «all’applicazione della disciplina più restrittiva (quella che impone una distanza minima pari all’altezza dell’edificio più alto)».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.– Occorre, preliminarmente, esaminare le eccezioni di inammissibilità formulate nell’atto di intervento.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.– La Regione Lombardia ha eccepito l’inammissibilità delle questioni alla luce dell’incerta individuazione sia della disposizione censurata sia dell’intervento caducatorio richiesto a questa Corte.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’eccezione deve essere disattesa.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il rimettente ha individuato in modo inequivocabile il tema del decidere, che attiene alla distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto, prescritta nelle zone territoriali omogenee C tra edifici antistanti, uno almeno dei quali con parete finestrata. A questa Corte il Consiglio di Stato ha richiesto una declaratoria di illegittimità costituzionale della disciplina che consente l’indiscriminata disapplicazione delle previsioni imperative dettate dall’art. 9, primo comma, numero 3), del d.m. n. 1444 del 1968.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Le censure si incentrano sul primo enunciato dell’art. 103, comma 1-bis, della legge regionale n. 12 del 2005, e non sulla disciplina della distanza minima tra fabbricati, pari a dieci metri.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Non dispiegano, pertanto, alcuna influenza le innovazioni successive all’ordinanza di rimessione, recate dall’art. 4, comma 1, lettera k), della legge regionale n. 18 del 2019, che ha specificato, solo per la distanza minima pari a dieci metri, i requisiti di legittimità di eventuali deroghe.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.– Ad avviso della Regione Lombardia, le questioni sarebbero inammissibili anche per carente motivazione in ordine alle ragioni di contrasto con i parametri costituzionali evocati.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Neppure tale eccezione è fondata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il rimettente ha ricostruito in maniera circostanziata la giurisprudenza di questa Corte che, sin dalla sentenza n. 232 del 2005, ha ricondotto la disciplina delle distanze alla materia «ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato, e ha riconosciuto il potere delle Regioni, titolari della competenza concorrente nella materia «governo del territorio», di dettare discipline derogatorie in strumenti urbanistici funzionali a un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio (fra le molte, sentenze n. 50 e n. 41 del 2017, n. 231, n. 185 e n. 178 del 2016).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio e a una razionale pianificazione urbanistica circoscrive rigorosamente la competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici e ne vincola anche le modalità di esercizio (da ultimo, sentenza n. 41 del 2017, punto 4.1. del Considerato in diritto).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>È pertinente anche il richiamo, operato dal rimettente, all’art. 9, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del 1968, che rappresenta «[i]l punto di equilibrio tra la competenza legislativa statale in materia di “ordinamento civile” e quella regionale in materia di “governo del territorio”» (sentenza n. 6 del 2013, punto 3.2. del Considerato in diritto) e consente di fissare distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale nel solo caso di «gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il Consiglio di Stato non manca di soffermarsi anche sulle previsioni dell’art. 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, che hanno recepito la giurisprudenza di questa Corte e, nel confermare la vincolatività delle distanze legali stabilite dal d.m. n. 1444 del 1968, consentono di derogarle entro limiti puntuali, «nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il rimettente ha dunque avvalorato le censure con una esaustiva ricostruzione del quadro normativo di riferimento e della costante giurisprudenza di questa Corte.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>6.– La Regione Lombardia ha eccepito l’inammissibilità delle questioni in ragione dell’inadeguata motivazione in punto di rilevanza.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il rimettente non avrebbe argomentato in alcun modo in ordine alla necessità di applicare una disposizione che riguarda specificamente la fase di adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’eccezione è fondata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>6.1.– La disposizione censurata esclude l’applicazione delle previsioni del d.m. n. 1444 del 1968 e puntualizza che tale disapplicazione opera «[a]i fini dell’adeguamento, ai sensi dell’articolo 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’art. 26, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 dispone che i Comuni deliberino l’avvio del procedimento di adeguamento dei piani regolatori generali vigenti entro un anno dall’entrata in vigore della medesima legge, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia del 16 marzo 2005, n. 11, e destinata a entrare in vigore, in difetto di previsioni di segno diverso, il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>I Comuni sono poi obbligati ad approvare tutti gli atti inerenti ai piani di governo del territorio in conformità ai princìpi enunciati dalla nuova «Legge per il governo del territorio» e secondo il procedimento che tale legge delinea.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’art. 26, comma 3, della stessa legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, nella formulazione originaria, disciplinava i tempi di adeguamento dello strumento urbanistico generale, quando fosse stato approvato prima dell’entrata in vigore «della legge regionale 15 aprile 1975, n. 51 (Disciplina urbanistica del territorio regionale e misure di salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico)» (art. 25, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005). Era previsto il termine più celere di sei mesi dall’entrata in vigore della nuova «Legge per il governo del territorio» e si stabiliva che, successivamente, fossero approvati tutti gli atti di piano di governo del territorio.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Dopo le novità apportate dall’art. 1, comma 1, lettera f), della legge della Regione Lombardia 10 marzo 2009, n. 5 (Disposizioni in materia di territorio e opere pubbliche - Collegato ordinamentale), l’art. 26, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 oggi regola l’avvio del procedimento di approvazione del piano di governo del territorio, che deve essere deliberato dai Comuni entro il 15 settembre 2009.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>6.2.– Il Consiglio di Stato, sin dalle premesse dell’ordinanza di rimessione, evidenzia che è stata impugnata la variante adottata con delibera del Consiglio comunale di Sondrio 28 novembre 2014, n. 81, e destinata a modificare il piano di governo del territorio, a sua volta approvato con delibera del Consiglio comunale 6 giugno 2011, n. 40.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>6.3.– A fronte di una variante risalente al novembre 2014 e relativa a un piano di governo del territorio già approvato nel giugno 2011, il rimettente non illustra le ragioni che rendono necessaria l’applicazione di una disciplina volta a regolare la sola fase transitoria di adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti, modulata secondo precise scansioni temporali, e non la revisione dei piani di governo del territorio già approvati.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La disposizione censurata, pur posteriore alla «Legge per il governo del territorio» del 2005, si colloca in un orizzonte temporale definito, legato all’adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti e alla successiva transizione ai piani di governo del territorio, che si configurano come i nuovi strumenti di pianificazione urbanistica previsti dalla legislazione regionale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In tal senso depone l’univoco dettato letterale, che richiama l’adeguamento, secondo le cadenze predeterminate dall’art. 26, commi 2 e 3, della legge regionale n. 12 del 2005, e postula un nesso di strumentalità della disapplicazione rispetto all’adeguamento stesso.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Sull’elemento temporale e sulla correlazione finalistica con l’adeguamento, che integrano requisiti imprescindibili della disposizione sospettata di incostituzionalità, il rimettente non offre ragguagli di sorta. Il Consiglio di Stato non dimostra che il provvedimento impugnato, posteriore alla fase transitoria di adeguamento, rinviene il suo fondamento nella disciplina sottoposta al vaglio di questa Corte e contraddistinta da presupposti applicativi rigorosi.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Né a tali carenze possono supplire – secondo la giurisprudenza di questa Corte – le argomentazioni del Comune di Sondrio e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, menzionate dalla parte privata nella memoria illustrativa depositata in vista dell’udienza. Peraltro, tali argomentazioni, che negherebbero l’applicabilità della distanza pari all’altezza del fabbricato più alto, non soltanto non sono state vagliate dal giudice a quo, ma neppure si cimentano con gli elementi di ordine testuale addotti dalla Regione Lombardia in merito all’interpretazione della disposizione censurata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il giudice a quo, nella parte conclusiva dell’ordinanza, si limita a indicare che la rilevanza delle questioni di costituzionalità sarebbe innegabile, poiché l’applicazione della legge regionale «è decisiva ai fini della decisione della controversia in esame». Le indicazioni tratteggiate, tuttavia, non superano la valutazione che è demandata a questa Corte con riguardo al presupposto della rilevanza (fra le molte, sentenza n. 208 del 2019, punto 3.1. del Considerato in diritto).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La motivazione del rimettente incorre, pertanto, nel profilo di inammissibilità eccepito dalla Regione Lombardia.</em></p>