<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte costituzionale, sentenza 14 febbraio 2020, n. 19</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 456, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.– La questione posta in riferimento all’art. 24 Cost. è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.1.– La sospensione del procedimento con messa alla prova può essere richiesta dall’imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, già nella fase delle indagini preliminari (previa formulazione dell’imputazione da parte del pubblico ministero). Per la richiesta formulata dopo la chiusura delle indagini preliminari, l’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen. contempla termini finali diversificati in ragione dei diversi riti, termini che coincidono con quelli previsti per il giudizio abbreviato e per il patteggiamento, e che nel giudizio immediato sono di quindici giorni dalla notifica del relativo decreto (artt. 464-bis, comma 2, e 458, comma 1, cod. proc. pen.). Da queste due disposizioni del codice di rito deriva anche che, in caso di mancata presentazione entro tale termine della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, l’imputato decade dalla relativa facoltà.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.2.– Come già più volte affermato da questa Corte, la sospensione del procedimento con messa alla prova, di cui agli artt. 168-bis e seguenti del codice penale, si configura come un istituto di natura sia sostanziale, laddove dà luogo all’estinzione del reato, sia processuale, consistente in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio (sentenze n. 131 del 2019, n. 91 del 2018, n. 201 del 2016 e n. 240 del 2015).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La giurisprudenza costituzionale è, altresì, costante nell’affermare, come ricordato dal rimettente, che la richiesta di riti alternativi «costituisce anch’essa una modalità, tra le più qualificanti (sentenza n. 148 del 2004), di esercizio del diritto di difesa» (ex plurimis, sentenze n. 201 del 2016 e n. 237 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 219 del 2004 e n. 497 del 1995).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Da tali premesse questa Corte ha tratto la conclusione per cui, «quando il termine entro cui chiedere i riti alternativi è anticipato rispetto alla fase dibattimentale, sicché la mancanza o l’insufficienza del relativo avvertimento può determinare la perdita irrimediabile della facoltà di accedervi, “[l]a violazione della regola processuale che impone di dare all’imputato (esatto) avviso della sua facoltà comporta [...] la violazione del diritto di difesa” (sentenza n. 148 del 2004)» (sentenza n. 201 del 2016).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.3.– La medesima conclusione deve essere ribadita con riferimento alla presente questione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Come nel procedimento per decreto, oggetto della sentenza n. 201 del 2016 da ultimo citata, anche nel giudizio immediato il termine entro cui chiedere i riti alternativi a contenuto premiale è anticipato rispetto al dibattimento, così che l’eventuale omissione del relativo avviso può «determinare un pregiudizio irreparabile, come quello verificatosi nel giudizio a quo, in cui l’imputato […], non essendo stato avvisato, ha formulato la richiesta in questione solo nel corso dell’udienza dibattimentale, e quindi tardivamente» (sentenza n. 201 del 2016).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tali affermazioni non possono che essere ribadite in riferimento alla disciplina delineata dall’art. 456, comma 2, cod. proc. pen., il quale va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Ne discende – come già da tempo precisato da questa Corte con riferimento all’omesso o inesatto avviso della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato nel decreto che dispone il giudizio immediato (sentenza n. 148 del 2004), e come esattamente ritenuto dal giudice a quo – che l’omissione dell’avviso qui in considerazione non potrà che integrare una nullità di ordine generale ai sensi dell’art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.– Resta assorbita la censura relativa all’art. 3 Cost.</em></p>