<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Recentemente, la Sezione I ter del T.A.R. per il Lazio si è pronunciata in tema di D.A.SPO, rigettando il ricorso di un soggetto con il quale quest’ultimo aveva impugnato il provvedimento del Questore della Provincia di Roma, che gli negava l’accesso alle manifestazioni sportive (divieto di accedere, per due anni, all’interno degli stadi e di tutti gli impianti sportivi di tutto il territorio nazionale ove si disputano incontri di calcio a qualsiasi livello). Nel motivare la reiezione il T.A.R. per il Lazio prendeva le mosse dalle seguenti ragioni di</p> <p style="text-align: justify;">FATTO E DIRITTO</p> <p style="text-align: justify;">Il ricorrente deduceva che il provvedimento era stato emanato a seguito della sua partecipazione alla manifestazione in forma statica del partito politico –Omissis-, alla quale l’esponente aveva aderito in via autonoma, non sapendo che in relazione alla stessa non era stato dato preavviso all’autorità di pubblica sicurezza. In occasione della manifestazione il ricorrente era stato identificato e denunciato per i reati di travisamento e di porto di oggetti atti ad offendere.</p> <p style="text-align: justify;">Il soggetto inibito evidenziava che, nonostante i comportamenti posti a fondamento della misura ablatoria personale riguardassero una manifestazione di carattere eminentemente politico, l’Amministrazione aveva emanato un provvedimento che concerneva il divieto di partecipare a manifestazioni con carattere sportivo.</p> <p style="text-align: justify;">Il provvedimento veniva censurato per i seguenti motivi: violazione dell’art. 6 della l. n. 401/1989 (la possibilità di comminare il D.A.SPO è prevista soltanto in relazione ed in occasione di eventi verificatisi durante manifestazioni sportive); violazione degli artt. 3, 13, 16, 23, 24 e 27 Cost.; violazione dell’art. 6 del T.U.E.; violazione degli artt. 12 e 67 del T.F.U.E.; violazione degli artt. 12, 47, 48, 49 della C.E.D.U.; violazione dell’art. 27 della Direttiva 2004/58/CE; violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990; violazione del principio di proporzionalità; difetto di istruttoria e di motivazione (non era stato effettuato un giudizio in concreto sulla pericolosità sociale del prevenuto); ingiustizia grave e manifesta; irragionevolezza e difetto di prevedibilità nell’applicazione della misura (il provvedimento precludeva al ricorrente la possibilità di partecipare a manifestazioni sportive ma non a manifestazioni del tipo di quella in occasione della quale erano state poste in essere le condotte sottese all’emanazione della misura di prevenzione).</p> <p style="text-align: justify;">L’Amministrazione, nel costituirsi, produceva due relazione dettagliate dalle quali emergeva che il ricorrente era stato effettivamente deferito all’A.G. per i reati di travisamento e di porto di oggetti atti ad offendere. In merito, invece, al requisito della pericolosità sociale la Questura precisava che il ricorrente aveva preso parte a due incontri calcistici all’estero ed era stato pertanto deferito all’A.G.</p> <p style="text-align: justify;">La Sezione I ter affermava che il ricorso era infondato e conseguentemente andava respinto per i seguenti motivi.</p> <p style="text-align: justify;">Il T.A.R. per il Lazio riteneva sussistente la pericolosità del soggetto inibito, in quanto risultante dalla documentazione prodotta dall’Amministrazione: il ricorrente prendeva parte al corteo non autorizzato, brandendo un tubo ed indossando oggetti atti ad ostacolare il proprio riconoscimento, comportamenti indice di un temperamento violento e pericoloso per l’ordine pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Ne conseguiva il venir meno delle censure relative al difetto di istruttoria, all’ingiustizia grave e manifesta, alla proporzionalità e all’irragionevolezza del provvedimento.</p> <p style="text-align: justify;">Sul punto l’A.G. richiamava anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sent. n. 866/2019) alla cui stregua è sufficiente, ai fini dell’emanazione del D.A.SPO, una dimostrazione fondata su elementi di fatto gravi, precisi e concordanti, secondo un ragionamento causale di tipo probabilistico, improntato su di un’elevata attendibilità.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio giudicante riteneva parimenti infondate le censure incentrate sulla violazione della normativa costituzionale, sovranazionale e unionale.</p> <p style="text-align: justify;">Preliminarmente, per il T.A.R, erano opportune alcune considerazioni in merito all’istituto del D.A.SPO: si tratta di una misura non repressiva bensì di prevenzione e di precauzione di polizia (strumenti ante o comunque praeter delictum); trattasi altresì di una misura interdittiva atipica, che si correla ad una valutazione di inaffidabilità del soggetto che spetta all’Amministrazione, chiamata ad un apprezzamento discrezionale nel bilanciamento tra interesse pubblico (ordine e sicurezza dei cittadini) e interesse privato (libertà di accedere agli stadi).</p> <p style="text-align: justify;">In considerazione di quanto sopra, per la Sezione I ter erano destituite le censure fondate sul parallelismo tra il D.A.SPO e le misure sanzionatorie o di prevenzione tout court. Per il Collegio, non era necessario che la Questura motivasse l’emissione del provvedimento sulla base di una comprovata pericolosità sociale, proprio in ragione della natura atipica del D.A.SPO (ed in ogni caso la pericolosità sociale del prevenuto, nel caso di specie, era emersa chiaramente dagli episodi contestati).</p> <p style="text-align: justify;">Per il T.A.R. anche le altre censure in merito al vizio di violazione di legge, ed in particolare quelle concernenti la l. n. 401/1989 (art. 6 comma 1 lettera c)), erano prive di pregio ed andavano respinte.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio giudicante rappresentava anzitutto che la disciplina ratione temporis applicabile era quella di cui al D.L. 22/08/2014 convertito con modificazioni dalla l. 17/10/2014 n. 146 e al successivo D.L. 4/10/2018 n. 113 convertito con modificazioni dalla l. 1/12/2018 n. 132.</p> <p style="text-align: justify;">La disposizione prevedeva che il D.A.SPO potesse essere comminato a danno di coloro che risultavano denunciati per alcuno dei reati di cui all’art. 4 primo e secondo comma, dalla legge 18 aprile 1975 n. 110 ovvero di cui all’art. 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152.</p> <p style="text-align: justify;">Proprio in virtù della formulazione della norma, il Collegio riteneva legittima l’imposizione del divieto anche con riferimento ai fatti di reato espressamente indicati dalla disposizione e posti in essere al di fuori di manifestazioni sportive: deponeva in tal senso sia il chiaro dettato normativo, sia l’intentio legis, in piena conformità ai parametri indicati dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale.</p> <p style="text-align: justify;">Sempre a sostegno della suddetta tesi, il T.A.R. richiamava da un lato, l’inciso aggiunto dal Legislatore all’art. 6 della l. n. 401/1989 con il D.L. 14 giugno 2019, a tenore del quale: “anche se il fatto è stato commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive”; e dall’altro, l’art. 1 del D.L. n. 53/2019 (“nel più ampio quadro dell’attività di prevenzione dei rischi per l’ordine e l’incolumità pubblica).</p> <p style="text-align: justify;">Secondo il Collegio emergeva, in sintesi, dall’evoluzione legislativa, una chiara volontà del legislatore diretta ad ampliare la platea dei potenziali destinatari del divieto di accesso dei luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive. Ne conseguiva che erano da respingersi i motivi di ricorso inerenti l’asserita violazione dell’art. 6 della l. n. 401/1989.</p> <p style="text-align: justify;">Per la Sezione I ter era inoltre privo di pregio il motivo inerente l’asserito difetto di prevedibilità della misura: la giurisprudenza si era più volte pronunciata conformemente al provvedimento impugnato (Cassazione penale 27284 del 2010; Cassazione penale sez. III, 28/06/2016, n. 41501).</p> <p style="text-align: justify;">In conclusione, alla luce delle ragioni sopra esposte, il T.A.R. per il Lazio rigettava integralmente il ricorso con conseguente liquidazione delle spese secondo il principio della soccombenza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><em>Alessandro Piazzai </em></p>