<p class="western" align="justify"></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>Corte di Cassazione, III Sezione Penale, sentenza 14 aprile 2020, n. 12026</b></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>La Corte analizza la sentenza gravata in ordine alla responsabilità penale del ricorrente tanto per il reato di maltrattamenti in famiglia quanto per il reato di violenza sessuale.</b></i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>Con riferimento al primo crinale, la Corte, confortando la soluzione avallata dai giudici di appello e discostandosi da un proprio precedente differentemente orientato, osserva come il reato di maltrattamenti in famiglia sia configurabile anche in caso di reciprocità delle condotte, in difetto di una specifica disposizione normativa che preveda espressamente, riguardo al reato in esame, l’irrilevanza penale di condotte non unilaterali.</b></i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><a name="_GoBack"></a> <span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>Né potrebbe giungersi a conclusioni dissimili tenendo conto del fondamentale interesse alla </b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, il quale risulta vieppiù leso nell’ipotesi in cui questi risultino ascrivibili a più soggetti fra quelli partecipanti al consorzio familiare.</b></i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>Per quel che concerne, invece, il reato di violenza sessuale aggravata, la Corte assume la motivazione del Collegio di appello essere apodittica e imprecisa, non avendo quest’ultimo opposto ai rilievi del consulente tecnico della difesa argomenti idonei a svilire il giudizio tecnico da questo espresso.</b></i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</b></i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Tanto premesso, passando all'esame delle censure formulate da parte ricorrente, si ritiene, sotto il profilo della opportunità argomentativa, di dover precedere partendo dalle censure aventi ad oggetto la impugnazione della affermazione della penale responsabilità del Mu. in ordine al </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>reato di maltrattamenti in famiglia</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Sul punto, le doglianze del prevenuto hanno ad oggetto esclusivamente un preteso vizio di motivazione della sentenza impugnata, da cui non emergerebbero elementi idonei a comprovare la sussistenza del reato contestato.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>La censura non ha pregio.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>E', infatti, lo stesso ricorrente che osserva come la teste Mu. Ma., figlia dell'imputato e della persona offesa, abbia dichiarato di avere riscontrato negli anni la presenza di comportamenti aspramente aggressivi fra i due genitori, tanto da avere rilevato sia atteggiamenti fra i due reciprocamente violenti anche dal punto di vista fisico sia la presenza sulle braccia della madre di lividi; la stessa ha altresì aggiunto che il padre era, nei confronti della madre e nei confronti di lei stessa "ossessivo sulle faccende domestiche".</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Tali elementi, uniti anche alle convergenti dichiarazioni del figlio della persona offesa, Ca. Ma., il quale oltre a riferire di avere assistito personalmente ad episodi di vilipendio da parte dell'imputato e di violenza da parte di quello verso la madre, ha confermato il fatto che la madre gli aveva rivelato l'esistenza di ulteriori condotte violente e vessatorie tenute dall'imputato nei suoi confronti ed ai riscontri documentali forniti da talune certificazioni mediche rilasciate alla Ch. e da lei ricondotte a lesioni infertele dal prevenuto, implementano quel quadro - già, peraltro, tracciato da quanto riferito sul punto dalla stessa Ch. - di sistematica prevaricazione, fisica e morale, in cui si sostanzia il reato di maltrattamenti in famiglia.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Né vale osservare che, secondo quanto riportato dalla teste Mu. Ma., le condotte sarebbero state caratterizzate, almeno in parte, dalla reciprocità; si tratta, infatti, di rilievo non significativo ai fini della riscontrabilità o meno della rilevanza penale della condotta.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Osserva, infatti, il Collegio, pur consapevole della esistenza di un assai recente indirizzo giurisprudenziale diversamente orientato (cfr. infatti: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 31 gennaio 2019, n. 4935, secondo la quale: integra gli estremi del reato di maltrattamenti in famiglia la condotta di chi infligge abitualmente vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, a un'altra persona, che ne rimane succube, imponendole un regime di vita persecutorio e umiliante, che non ricorre qualora le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità e intensità equivalenti), che sia ragioni sistematiche che ragioni interpretative inducono a ritenere, senza pertanto dover qui esaminare il tema della intensità e gravità dei rispettivi comportamenti, che la condotta di chi, </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>sistematicamente</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i> infligga, con </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>atteggiamenti violenti ed umilianti</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>, vessazioni in danno di altro individuo componente della famiglia del soggetto agente ovvero nei confronti di persona con lui convivente o comunque sottoposta alla di lui autorità o affidata alla sua cura, così da rendergli mortificante ed in generale insostenibile il regime di vita, sia tale da costituire reato anche nel caso in cui le condotte poste in essere non siano unilaterali ma siano </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>reciproche</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Un argomento in tal senso di carattere sistematico – prosegue la Corte – deriva dal fatto che, laddove il legislatore penale ha ritenuto di applicare un regime di "compensazione" fra condotte in linea astratta penalmente rilevanti ove rivolte reciprocamente - in applicazione del principio, derivato dalla giuscivilistica matrimoniale di Papiniano, e poi transitato sempre nel medesimo ambito materiale nella canonistica e quindi generalizzato nel diritto comune, secondo il quale </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;">paria delicta mutua pensatione dissolvuntur</span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i> (cfr.: Dig. XXIV, 3, 39), ovvero, come altrimenti successivamente detto, </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;">si et stipulator et promissor dolo eorum impeditus fuerit, neutri praetor succurrere debebit, ab utraque parte dolo compensando</span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i> (secondo la lezione del Domat, Le leggi civili nel loro ordine naturale, Lib. II, Tit. X) - ciò ha fatto in termini espressi, costituendo una tale ipotesi una deroga alla regola generale, secondo la quale il diritto penale non consente in linea di principio il ricorso a forme di sostanziale autotutela tramite compensazione.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>In tal senso - infatti, non potendosi far rientrare, se non in termini molto ampi, in tale categoria né la disciplina sulla legittima difesa né quella dettata dall'art. 393-bis cod. pen. in tema di reazione legittima del privato agli atti arbitrari commessi dal rappresentante della Pubblica amministrazione, atteso che in tali ipotesi non vi è una valutazione di reciproca irrilevanza penale delle condotte poste in essere ma solo di quella di "reazione" - si veda, invece, la eccezionale disciplina che era contenuta nell'art. 599, comma 1, cod. pen., secondo la quale, anteriormente alla avvenuta depenalizzazione del reato di ingiurie, era in facoltà del giudice, in caso di reciproche offese all'onore o al decoro di altra persona presente o comunque nei casi indicati dall'art. 594 cod, pen., dichiarare la non punibilità del fatto, anche di colui che aveva per primo infranto il precetto indicato (cfr. Corte di cassazione, Sezione V penale, 17 febbraio 2014, n.7401) ove le offese fossero state reciproche.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>La natura eccezione della disposizione – osserva puntualmente la Corte – fa ritenere che la applicazione di un analogo principio - il quale prevedeva, peraltro, solo una facoltà del giudice, da applicare a seguito di prudente apprezzamento della specifica fattispecie sottoposta al suo esame, e aveva come effetto la sola non punibilità della condotta e non la sua totale irrilevanza penale - non possa prescindere, per essere anche altrove applicata, da una </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>espressa disposizione normativa</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i> che lo preveda.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Disposizione che, </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;">primo visu</span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>, </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>non è riscontrabile in materia di maltrattamenti in famiglia</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Né appare giustificato ritenere, come parrebbe affermarsi nella citata sentenza n. 4935 del 2019, che, essendo il reato integrato non in presenza di fatti che mettano in pericolo solo la incolumità personale, la libertà o l'onore dei componenti della famiglia (ovvero degli altri soggetti tutelati dalla disposizione precettiva), ed essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile, di cui la parte offesa diventi succube, una siffatta condizione di soggezione non sarebbe ravvisabile ove le condotte fossero reciproche, non potendo in tale modo dirsi che vi è un soggetto che maltratta ed uno che è maltrattato né che l'agire dell'uno sia teso - anche dal punto di vista soggettivo - ad imporre all'altro un regime di vita persecutorio ed umiliante.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>La aporia logica insita in una tale ragionamento – osserva la Corte – consiste nel fatto che, a volerlo seguire, si finirebbe sia con l'escludere la tutela penale del generale interesse pubblico - pur riconosciuto sussistente nella citata sentenza di questa Corte n. 4935 del 2019 quale autonomo bene tutelato dalla disciplina in questione - alla </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i> agiti all'interno di essa, e ciò, paradossalmente, proprio laddove siffatto interesse fosse maggiormente leso non da uno solo ma da più soggetti fra quelli partecipanti al consorzio familiare - consorzio, attesa la sua fondamentale funzione, definito, non casualmente principium urbis et quasi seminarium rei publicae (Ciceronis de officiis, I, 54) - i cui diritti sono riconosciuti a livello costituzionale ai sensi dell'art. 29 della Costituzione, sia col far discendere la rilevanza penale di una condotta vessatoria e violenta endofamiliare dal solo fatto che la stessa sia rivolta o meno in danno di soggetto che si opponga ad essa usando analoghi mezzi di quelli indirizzati a suo danno, quasi che la possibilità di tenere un atteggiamento reattivo escluda in radice la natura persecutoria ed umiliante del regime di vita </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;">ex adverso</span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i> imposto.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Con riferimento, pertanto, alla affermazione della penale responsabilità del Mu. in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia, non potendo sostenersi esistere alcun dubbio in relazione alla valenza maltrattante delle molteplici condotte attribuite all'imputato, la sentenza impugnata è risultata esente dai vizi ad essa attribuita e, pertanto, sul punto il ricorso deve essere rigettato.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Fondato è, viceversa, il motivo di impugnazione avente ad oggetto la motivazione della sentenza impugnata in relazione al punto in cui si è affermata la penale responsabilità dell'imputato riguardo al </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>reato di violenza sessuale</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>, aggravata, in quanto lo stesso avrebbe compiuto atti sessuali a carico della donna, in assenza del suo consenso, che la stessa non sarebbe stata in condizione comunque di esprimere in quanto profondamente assopita a causa della sedazione in lei indotta dalla assunzione, ad uso terapeutico, di taluni medicinali narcolettici.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Si osserva, infatti che - a fronte del rilievo, formulato in sede di gravame dalla difesa del Mu. onde dimostrare che, diversamente da quanto sostenuto dalla persona offesa, si sarebbe trattato di episodi verificatisi con il consenso della Ch., secondo il quale non era attendibile la versione della persona offesa, la quale, onde negare la sussistenza di qualsivoglia suo consenso alle congiunzioni carnali con l'imputato che costituiscono la condotta relativa al reato di violenza sessuale contestato a questo, ha affermato che il marito in tali occasioni profittava della sua condizione di alterazione dello stato di coscienza e di sedazione derivanti appunto dalla assunzione di farmaci sonniferi - la Corte territoriale ha ritenuto che fossero inconferenti i rilievi riportati dal consulente di parte della difesa del prevenuto, volti a dimostrare che anche la assunzione dei farmaci in questione, la cui denominazione commerciale ed il principio attivo sono concordemente indicati sia dal consulente in questione che nella sentenza impugnata, non avrebbe potuto determinare uno stato di incoscienza talmente profondo da consentire, nella inconsapevolezza della donna, il perpetrarsi degli episodi di violenza sessuale da quella subiti secondo le modalità dalla medesima descritti.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Ritiene al riguardo il Collegio che la Corte territoriale ha opposto ai rilievi del citato consulente tecnico della difesa del prevenuto argomenti non idonei a svilire il giudizio tecnico da questo espresso.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>La Corte territoriale, infatti, ha opposto il dato, in sé privo di significato, che il predetto consulente sia uno specialista in medicina del lavoro e delle assicurazioni e non uno specialista in psicologia o psichiatria.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Il rilievo infatti, oltre ad essere sviluppato dalla Corte in termini non convincenti, posto che, semmai, ove si fosse voluto individuare una specialità medica che avrebbe potuto attribuire una peculiare attitudine scientifica in tema di valutazioni della idoneità di un farmaco ad incidere sullo stato di coscienza del soggetto che lo abbia assunto e sulla intensità di tali effetti, la scelta più corretta, oltre a quella relativa ad un medico legale e, come il consulente del Mu., delle assicurazioni, sarebbe stata quella di indicare un farmacologo e non uno psicologo od uno psichiatra atteso che non è compito di costoro occuparsi specificamente degli effetti che le sostanze chimiche contenute nei medicinali hanno su chi li assume, è anche formulato in termini apodittici, posto che la Corte subalpina non ha svolto alcuna ragionata censura al contenuto delle conclusioni raggiunte dal consulente della difesa, limitandosi a dubitare, per i motivi sopra esposti, della congruità della sua qualificazione professionale e della sua competenza tecnica.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>La Corte torinese è, quindi, autonomamente giunta alla affermazione che i medicinali assunti dalla persona offesa hanno effetti ipnotici e sedativi, si da avere determinato nella Ch. uno "stato di sonno ben più profondo rispetto a quello di chi non assume alcun farmaco di tale genere, consentendo (...) all'imputato di perpetrare le pratiche sessuali (sic) di cui all'imputazione approfittando dello stato di semi-incoscienza della moglie", la quale, ciononostante, aveva mantenuto memoria delle violenze subite tanto da riferirne successivamente con dovizia di particolari.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Il dato – chiosa ancora la Corte – che priva di effettivo significato siffatte affermazioni, rivelandone la manifesta illogicità, è offerto dalla circostanza che non soltanto la Corte di merito non ha dimostrato affatto di conoscere il dosaggio con il quale i medicinali in questione erano assunti dalla donna, dato evidentemente fondamentale ai fini della valutazione degli effetti che tali medicinali possono cagionare, ma ha anche espressamente desunto la sostanza di tali effetti, con valutazione del tutto autoreferenziale, sulla base delle semplice lettura fatta dal giudice di primo grado del foglietto illustrativo, privatamente reperito sulla rete internet, che correda le singole confezioni con cui vengono messi in commercio i medicinali in questione.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Tale indicazione, precisa la Corte, oltre a fondarsi inammissibilmente sulla scienza privata del giudice, il quale ha reperito di propria iniziativa gli elementi di giudizio e li ha valutati - pur trattandosi di elementi esulanti sia dalla scienza giuridica sia dall'immediato apprezzamento di un fatto naturale - sulla base di suoi personali criteri di giudizio (sulla illegittimità del ricorso alla scienza privata in sede giudiziaria ove l'attività autonoma del giudice non si limiti al riscontro di un fatto, ma comporti l'espressione di un giudizio fondato su specifiche competenze tecniche, cfr. : Corte di cassazione, Sezione IV penale, 6 dicembre 2017, n. 54795; idem Sezione VI penale, 5 luglio 2010, n.25383), è altresì </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>viziata</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>in quanto è dovere del giudice disporre una nuova perizia</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>, nel caso in cui sia necessario svolgere una indagine che presupponga particolari cognizione scientifiche, ove egli non condivida, intendendo discostarsene, le conclusioni cui sia pervenuto il precedente perito (Corte di cassazione, Sezione I penale, 25 giugno 1985, n. 6381; nel senso della necessità della perizia anche laddove vi sia contrasto fra il contenuto di due consulenze di parte: Corte di cassazione, Sezione I penale, 4 aprile 1995, n. 3633), essendo, in particolare, inibito al giudice di disattendere i risultati di una perizia sulla sola base della propria scienza personale, derivante (proprio come in questo caso) da incerti e generici elementi non specialistici, essendo, invece, tenuto a risolvere i dubbi ed i punti critici mediante l'esame dell'ausiliario o la nomina di altro perito (Corte di cassazione, Sezione II penale, 4 marzo 2015, n. 9358).</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>D'altra parte è altrettanto costante l'affermazione di questa Corte, secondo la quale sebbene, in virtù del principio del libero convincimento, attingibile da qualsiasi atto legittimamente acquisito al processo, il giudice del merito può trarre argomenti di convinzione dalla relazione del consulente tecnico di parte, così come può non condividerne le conclusioni, privilegiando quelle rassegnate dal perito d'ufficio, tuttavia, ove intenda privilegiare le seconde rispetto alla prime (ed il principio deve valere a fortiori ove esista solo una consulenza di parte che non venga recepita dall'organo giudicante) egli deve, in tal caso, provvedere alla </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>esposizione sintetica delle ragioni che lo hanno indotto a non ritenere valido il parere del tecnico di parte</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i> (Corte di cassazione, Sezione III penale, 26 marzo 2018, n. 13997; idem Sezione V penale, 25 febbraio 2015, n. 8527).</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Principio – conclude la Corte – che non può ritenersi rispettato, come già dianzi rilevato, ove siffatta esposizione di fondi su </i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i><b>dati non specifici</b></i></span></span><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>, quali quelli desumibili esclusivamente dal foglietto illustrativo delle caratteristiche del medicinale nell'occasione usato, e malcerti, in quanto neppure supportati da elementi di giudizio fondamentali quali la quantità di principio attivo assunto dal paziente in questione.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>La sentenza impugnata che ha, invece, fondato, nella sostanziale assenza di ulteriori elementi di riscontro a quanto riferito sul punto dalla persona offesa, in buona parte la valutazione della responsabilità del Mu. in ordine alla imputazione di violenza sessuale sulla confutazione delle risultanze cui era pervenuto il consulente di parte, operata sulla base di argomentazioni del tutto scisse dai principi sopra esposti, deve essere, pertanto, annullata in relazione al punto ora controverso, rimanendo assorbiti sia i motivi di impugnazione concernenti la possibilità o meno di riconoscere in favore del prevenuto le circostanze attenuanti generiche, la cui valutazione risulta essere stata rimessa in giuoco dall'accoglimento del ricorso concernente la ritenuta inadeguatezza della motivazione sulla penale responsabilità dell'imputato per uno, peraltro il più grave, dei reati a lui contestati, sia, ovviamente, sul trattamento sanzionatorio.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Alla definitività della pronunzia riguardante, invece, la affermazione della penale responsabilità del Mu. in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia, segue, risultando essere il prevenuto dipendente della Amministrazione della Difesa in qualità di appartenente all'Arma dei carabinieri, la comunicazione, ai sensi dell'art. 154-ter disp. att. cod. proc. pen., a detta Amministrazione del dispositivo della presente sentenza.</i></span></span></p> <h2 class="western" align="justify"><a name=":23u"></a> <span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;"><i>Francesca Senia</i></span></span></h2>