Massima
Non tutti gli obblighi hanno natura civile vincolante, configurandosene taluni che, corrispondenti a peculiari doveri morali o sociali gravanti sul debitore, non formano oggetto ex ante di una pretesa giuridica da parte del creditore; il quale ultimo, tuttavia, può trattenere ex post la prestazione ricevuta laddove in concreto eseguita dal debitore. E’ la fattispecie delle c.d. obbligazioni naturali che – di fonte legale o giurisprudenziale – si atteggiano a tipiche, semitipiche e atipiche, senza che tuttavia a tale categorizzazione corrispondano reali differenze dal punto di vista del regime giuridico applicabile.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
La codificazione liberale all’art.1237 prevede la ripetibilità di quanto sia stato pagato senza essere dovuto, e – in caso di obbligazioni naturali – la non ripetibilità di quanto sia stato “volontariamente soddisfatto”: il che presuppone che il debitore (che vuole adempiere) sappia con certezza (e dunque sia consapevole) di non essere tenuto al pagamento in virtù di un obbligo giuridico. Peraltro la disciplina dell’obbligazione naturale si colloca nell’ambito della disciplina del pagamento, il che la avvicina ad una vera e propria obbligazione giuridica. Per quanto riguarda la parte speciale, viene esplicitamente ricondotto alla disciplina delle obbligazioni naturali il debito di giuoco, per il quale il creditore non ha azione, mentre il debitore adempiente non ha a propria volta azione di ripetizione (articoli 1802-1804).
1942
Il 16 marzo viene varato il r.d. n.267 recante la legge fallimentare che, all’art.64, commina l’inefficacia a taluni atti gratuiti compiuti dal fallito nei 2 anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, includendovi anche gli atti compiuti “in adempimento di doveri morali”.
Il codice civile (21 aprile), all’art.2034, prevede la non ripetibilità di quanto è stato spontaneamente (e non volontariamente) prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che a prestare sia stato un soggetto incapace. La spontaneità del pagamento, ad esclusione della volontarietà, indica che per il nuovo codice la ripetizione non è ammessa anche qualora il debitore sia convinto di adempiere ad una obbligazione civile vera e propria, e non già solo ad un dovere morale o sociale, e dunque anche quando non sia in realtà consapevole che potrebbe non adempiere senza subire conseguenze. La disciplina dell’obbligazione naturale si colloca nell’ambito della ripetizione dell’indebito, e non più nell’ambito della disciplina del pagamento, il che la allontana – quanto a natura giuridica – dalla obbligazione civile vera e propria. Altre norme importanti sono gli articoli 627, comma 2, c.c. in tema di fiducia testamentaria; l’art.1933 c.c. in tema di debiti di gioco; l’art.2940 c.c. in tema di debito prescritto, nonché gli articoli 1284 c.c. (interessi ultralegali informali) e 2231 c.c. (pagamento a professionisti non iscritti all’albo). Rilevante anche l’art.659 in tema di legato di debito che, almeno secondo una parte della dottrina, si rivela capace di convertire un debito naturale (ante legato) in un debito civile.
1971
Il 7 maggio esce la sentenza della II Sezione della Cassazione n. 1297 secondo la quale, in tema di legato di debito ex art.659 c.c., non è applicabile in via analogica l’art.2034 c.c., e dunque va considerato ripetibile quanto prestato a titolo di obbligazione naturale sulla scorta di legato disposto dal testatore, per l’appunto, al fine di soddisfare una obbligazione naturale. In sostanza, per la Corte laddove il testatore sia obbligato naturale di un terzo e disponga a favore di questi con un legato di debito ex art.659 c.c. facendo menzione di tale obbligazione, quanto prestato in esecuzione del lascito può essere oggetto di ripetizione (da parte dell’erede onerato), non potendosi assumere applicabile in via analogica l’art.2034 c.c., in quanto il legato di debito presuppone un debito civile del testatore, e non già una obbligazione “meramente” naturale.
1984
L’8 maggio esce la sentenza della sezione III della Cassazione n. 2800 che assume la promessa di pagamento inidonea a costituire una nuova obbligazione, sicché – in presenza di una obbligazione naturale gravante in capo ad un soggetto – il terzo promittente (promessa di pagamento) non può trasformare quella obbligazione naturale in un obbligo civilmente vincolante.
1986
Il 29 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 7064, che – in tema di promessa di pagamento – ritiene che essa non possa configurare una obbligazione naturale, potendo solo confermare un preesistente rapporto fondamentale.
1989
Il 20 gennaio esce la sentenza della sezione III della Cassazione n. 285 che si occupa della fattispecie del convivente more uxorio che versi in precarie condizioni economiche: laddove il partner gli somministri denaro, egli adempie ad una obbligazione naturale, con effetto di soluti retentio in capo al convivente che le riceve; né il solvens può dedurre in compensazione quanto pagato (che non può appunto ripetere, e che non costituisce dunque un credito) rispetto ad altri debiti che abbia nei confronti del partner accipiens.
2003
Il 13 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3713 che torna ad occuparsi delle prestazioni patrimoniali di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro; se è corretto parlare di obbligazione naturale in ottica fisiologica, si è al di fuori dello schema dell’obbligazione naturale (con connessa possibilità di ripetere la prestazione operata) laddove esclusivo effetto della prestazione sia quello di arricchire il partner, in difetto di qualsivoglia rapporto di proporzionalità tra il dovere morale o sociale gravante sul partner solvens (in via reciproca rispetto al proprio convivente), e le somme concretamente erogate a quest’ultimo.
2011
Il 12 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 15301 che si occupa del caso in cui un soggetto abbia fatto ad un terzo, mentre era in vita, una promessa unilaterale di remunerazione. Se il soggetto promittente muore, per la Corte non si configura in capo agli eredi alcun obbligo di pagamento vincolante laddove non vi sia la prova di pattuizioni ovvero di versamenti periodicamente eseguiti dal de cuius, la cui promessa si atteggia a (mera) obbligazione naturale che, come tale, non è trasmissibile agli eredi. Si tratta infatti di una promessa (unilaterale) che – in difetto di adempimento – non è vincolante giuridicamente per gli eredi, e ciò per il motivo onde – trattandosi di promessa di pagamento – essa non può costituire un debito, ma può solo confermare un preesistente rapporto fondamentale. Una obbligazione originariamente naturale non può per la Corte divenire vincolante per il de cuius (né tampoco per suoi eredi) a cagione del fatto che egli la ha trasfusa in una promessa remunerativa di pari importo, che resta per l’appunto obbligo naturale incoercibile.
2013
Il 20 giugno esce la sentenza della VI sezione penale della Cassazione n. 33131 alla cui stregua non è configurabile il dolo necessario ad integrare il delitto di ricettazione nel comportamento di chi riceve beni di provenienza delittuosa nell’ambito di un rapporto familiare o di rapporti obbligazionari (siano essi civili o naturali) da un congiunto, con la consapevolezza non dell’illecita provenienza degli stessi, ma solo della qualità criminale del congiunto medesimo (nella fattispecie una persona, in costanza di una stabile relazione sentimentale, aveva ricevuto dal compagno denaro e titoli di credito). In sostanza, prestazioni irripetibili perché erogate nell’ambito di un rapporto di convivenza in adempimento di obbligazioni naturali (che da tale rapporto derivano) non possono far affiorare il dolo da ricettazione dell’accipiens per il solo fatto che il convivente è un criminale.
2016
Il 25 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1266 alla cui stregua le unioni di fatto, quali formazioni sociali rilevanti ex art. 2 Cost., sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale riconoscibili a ciascun convivente nei confronti dell’altro, che affiorano anche nei rapporti di natura patrimoniale e si configurano come adempimento di un’obbligazione naturale ove siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza; ne consegue per la Corte che, in un tale contesto, l’attività lavorativa e di assistenza svolta in favore del convivente more uxorio assume una siffatta connotazione quando sia espressione dei vincoli di solidarietà ed affettività di fatto esistenti, alternativi a quelli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, quale il rapporto di lavoro subordinato, benché non possa escludersi che, talvolta, tale attività lavorativa e di assistenza trovi giustificazione proprio in quest’ultimo (rapporto di lavoro subordinato), del quale deve tuttavia per la Corte fornirsi prova rigorosa, con configurabilità che costituisce valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata. Nella fattispecie, la Corte finisce – confermando la sentenza impugnata – con il negare la natura di prestazione oggetto di una obbligazione naturale al contributo lavorativo della donna all’azienda del convivente, in quanto fonte di arricchimento esclusivo dello stesso (in luogo di quello dell’intera famiglia cui detto apporto lavorativo era preordinato). La Corte precisa che al termine di un periodo di convivenza more uxorio può essere stabilito un compenso economico a favore di un partner solo se questi ha svolto a favore dell’altro prestazioni (come tali ripetibili) che esulano dai normali doveri materiali e morali, nei quali rientra invece il lavoro domestico il cui assolvimento non dà luogo a risarcimento alcuno, costituendo obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. (e conseguente irripetibilità delle prestazioni rese), conformemente al dettato di cui all’art. 2 Cost.
Il 19 settembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 18280 che – con riguardo anche all’obbligazione naturale – si occupa delle c.d. liberalità d’uso, non rientranti come tali nel novero delle donazioni (come espressamente stabilito dal comma 2 dell’art. 770 c.c.) non essendo per conseguenza sottoposte ad oneri formali, a collazione, a revocazione e a riduzione, compendiandosi in quelle attribuzioni patrimoniali spontanee che si è soliti fare in occasione di servizi resi (come nel tipico caso delle mance) o, più in generale, in conformità agli usi (come nel caso dei regali di Natale fatti a parenti e amici), quali atti conformi al costume sociale (assai più che atti adempitivi di doveri sociali), non qualificabili come donazioni perché proprio la conformità agli usi ne esclude il profilo soggettivo in termini di spirito di liberalità. E’ proprio, tuttavia, l’insussistenza dell’animus donandi (quand’anche non generalmente condivisa) ad aggravare l’indagine ermeneutica dell’interprete intesa a rintracciare i confini tra la liberalità d’uso e quegli atti adempitivi di doveri morali o sociali che caratterizzano le obbligazioni naturali. Per la Corte, la liberalità d’uso – a differenza dell’atto adempitivo di obbligazione naturale – trova fondamento negli usi invalsi a seguito dell’osservanza di un certo comportamento nel tempo, e dunque di regola in occasione di quelle festività, ricorrenze, occasioni celebrative che inducono comunemente a elargizioni, soprattutto in considerazione dei legami esistenti tra le parti. Per la dottrina non va trascurato di porre l’attenzione anche al profilo della proporzionalità tra la liberalità e le condizioni economiche dell’autore dell’atto, criterio che tuttavia è comune anche alle obbligazioni naturali, nonché all’animus solvendi, palesantesi nell’equivalenza economica tra servizi resi e liberalità, e l’effettiva corrispondenza agli usi, da intendersi quali costumi familiari e sociali, in difetto di tali presupposti dovendosi parlare di obbligazione naturale assai più che di donazione d’uso.
Il 30 settembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 19578 alla cui stregua la liberalità fatta per riconoscenza nei confronti del beneficiario (c.d. donazione rimuneratoria) differisce dall’obbligazione naturale ex art. 2034, 1º comma, c.c.; la sussistenza di quest’ultima postula infatti per la Corte, a differenza della fattispecie di donazione remuneratoria, una duplice indagine finalizzata ad accertare: a) se ricorra un dovere morale o sociale, in rapporto alla valutazione corrente nella società, e b) se tale dovere sia stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente carattere di proporzionalità ed adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso.
Il 22 dicembre esce la sentenza delle SSUU n.26650 alla cui stregua, seguendo precedente giurisprudenza a sezioni semplici, nel caso di un pagamento effettuato da un Ente pubblico in base ad un titolo risultato mancante o nullo, non può invocarsi l’irripetibilità ai sensi dell’art. 2034 c.c. (e dunque l’Ente pubblico può ripetere le somme erogate, nel caso di specie a titolo di emolumenti non dovuti), atteso che i fini pubblici oggettivamente perseguiti dall’Ente non consentono di attribuire rilevanza alle (spontanee) finalità soggettive e personali di chi concretamente dispone le erogazioni avvalendosi di fondi dell’Ente medesimo.
2017
Il 14 dicembre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 30114 onde il pagamento spontaneo di interessi in misura ultralegale costituisce adempimento di una obbligazione naturale e determina l’irripetibilità ex art. 2034 c.c. delle somme pagate a tale titolo; ciò tuttavia, precisa la Corte, a condizione che consegua ad una pattuizione che determini anche la misura di tali interessi ultralegali, dovendosi altrimenti escludere che possa configurarsi un dovere morale e sociale che ne giustifichi l’adempimento, con il precipitato onde devono essere assunti ripetibili gli interessi ultralegali addebitati da una banca sul conto corrente del cliente per propria esclusiva iniziativa e senza alcuna autorizzazione da parte del cliente medesimo.
2018
Il 3 aprile esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 8169; la Corte muove dalla propria precedente affermazione onde la nozione di negozio contrario al buon costume comprende (oltre ai negozi che infrangono le regole del pudore sessuale e della decenza) anche i negozi che urtano contro i principi e le esigenze etiche della coscienza collettiva, elevata a livello di morale sociale, in un determinato momento ed ambiente, palesando per altro verso che sono irripetibili, ai sensi dell’art. 2035 cod. civ., i soli esborsi fatti per uno scopo contrario al buon costume, ma non pure le prestazioni fatte in esecuzione di un negozio illegale per contrarietà a norme imperative (sentenza 18 giugno 1987, n. 5371, in linea con l’insegnamento delle Sezioni Unite, sentenza 17 luglio 1981, n. 4414). Più di recente, la Corte rammenta di aver precisato — in una fattispecie diversa, ma tuttavia assimilabile a quella odierna — che chi ha versato una somma di denaro per una finalità truffaldina o corruttiva non è ammesso a ripetere la prestazione, perché tali finalità, certamente contrarie a norme imperative, sono da ritenere anche contrarie al buon costume (sentenza 21 aprile 2010, n. 9441). Nondimeno, nella sentenza, n. 35352 del 2010 la II Sezione Penale della Corte ha invece stabilito che la natura illecita del patto intercorso con la vittima di una truffa non impedisce la condanna dell’imputato alla restituzione della somma di denaro versatagli dalla vittima, perché solo la prestazione contraria al buon costume sarebbe assoggettata alla soluti retentio, mentre l’illiceità della causa del contratto per contrarietà all’ordine pubblico determinerebbe l’applicazione della disciplina dell’indebito oggettivo (con conseguente ripetibilità da parte della vittima di quanto versato). La Corte riafferma ora che, diversamente da quanto attestato dalla citata sentenza penale, gli approdi ai quali è già pervenuta la giurisprudenza civile della Corte medesima, applicandoli al caso in esame — consegna di una somma di denaro ai fini di un interessamento (vero o presunto) per l’ottenimento di un posto di lavoro — che, mentre configura certamente un negozio contrario a norme imperative, e quindi illecito, integra anche gli estremi del negozio contra bonos mores, posto che è contrario al concetto di buon costume comunemente accettato il comportamento di chi paghi del denaro per ottenere in cambio un posto di lavoro (e ciò a prescindere dall’esito, magari anche negativo, della trattativa immorale). Nella ipotesi scandagliata, per il Collegio la Corte d’Appello in sede di merito è pervenuta alla non condivisibile conclusione onde se la condotta, oltre ad essere immorale, è anche illecita per contrarietà all’ordine pubblico, non si applicherebbe il regime dell’art. 2035 c.c; deve invece ribadirsi per la Cassazione che la contemporanea violazione, da parte di una medesima prestazione, tanto dell’ordine pubblico quanto del buon costume, attingendo appunto ad un livello di maggiore gravità, deve ricevere il trattamento previsto per la prestazione che sia soltanto lesiva del buon costume, con la conseguenza onde il pagamento oggetto del giudizio odierno non può, come ha sostenuto la Corte d’appello, essere inquadrato nell’ipotesi dell’indebito oggettivo (ripetibile), imponendo all’opposto l’applicazione dell’art. 2035 cod. civ. (irripetibilità), secondo il noto brocardo romanistico per cui in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis.
Il 15 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 11766 che, in caso di atto di ricognizione di debito tra conviventi more uxorio afferma gravare sull’autore della dichiarazione l’onere di provare l’inesistenza, l’invalidità o l’estinzione del rapporto fondamentale.
Il 7 giugno esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n.14732 che ribadisce l’orientamento secondo cui l’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicchè non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale. E’, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza. Pertanto, i contributi, in lavoro o in natura, volontariamente prestati dal partner di una relazione personale per la realizzazione della casa comunque non sono prestati a vantaggio esclusivo dell’altro partner e pertanto non sono sottratti alla operatività del principio della ripetizione di indebito.
2019
Il 3 gennaio esce la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria n. 10 che qualifica come adempimento di un’obbligazione naturale le attribuzioni patrimoniali e le prestazioni lavorative in favore del convivente effettuate nel corso di un’unione di fatto.
2020
Il 30 gennaio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 2077 che si allinea al recente indirizzo interpretativo secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti Esso, pertanto, è suscettibile di revocatoria, a norma dell’art. 64 lfall., salvo che si dimostri l’esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del “solvens” di adempiere unicamente a quel dovere mediante l’atto in questione.
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Il 3 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 2392 che ribadisce il consolidato principio secondo cui un’attribuzione patrimoniale a favore del convivente “more uxorio” configura l’adempimento di un’obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens. Peraltro, l’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un ‘obbligazione naturale. È, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.
Questioni intriganti
A cosa fa eccezione l’obbligazione naturale?
- al principio per cui, laddove non sussista il presupposto di un rapporto obbligatorio giuridicamente rilevante, quanto prestato può essere oggetto di azione di ripetizione;
- lo palesa la stessa collocazione dell’art.2034 all’interno della disciplina della ripetizione di indebito.
Quali sono le caratteristiche dell’obbligazione naturale?
- sul versante del debitore, è obbligo a contenuto variabile che agisce quale valvola di sicurezza dell’ordinamento giuridico, dovendosi adeguare al giudizio di doverosità morale e sociale del tempo in cui viene ad esistenza;
- sul versante del creditore, è obbligo imperfetto o quiescente, in quanto il creditore non può agire per la prestazione ma può trattenere la prestazione eventualmente operata dal debitore senza che quegli possa ripetergliela.
Quale è la natura giuridica dell’obbligazione naturale?
- si tratta di una vera e propria obbligazione di natura giuridica, seppure imperfetta: si tratta di una species del genus delle obbligazioni, che presenta la caratteristica di non essere coercibile nei confronti del debitore; in questa scia vi è chi parla di rapporto che affiora come giuridico con l’adempimento, di obbligazione giuridica quiescente, di debito senza responsabilità (dottrina recessiva);
- si tratta di una obbligazione di natura non giuridica: essa si compendia in un fatto giuridico ovvero nel dovere morale (dovere etico che vincola il soggetto personalmente considerato) o sociale (dovere avvertito come tale dalla collettività), che è fatto “giuridico” proprio perché dal relativo adempimento discendono conseguenze giuridiche (soluti retentio). Esiste una giusta causa solvendi, pur in difetto di una giusta causa obligandi e ciò in quanto il vincolo è ancora fuori dall’area della giuridicità (rapporto sociale irrilevante), ma funge da giusta causa solvendi, sicché con l’adempimento esso fa il suo ingresso nell’area della giuridicità (dottrina e giurisprudenza maggioritarie).
Quale è la natura giuridica dell’atto di adempimento di un obbligo naturale?
Sul versante della categoria di atto:
- è atto giuridico in senso stretto, per il quale non occorre la capacità di agire, ma è sufficiente la capacità naturale: solo l’incapace naturale può ripetere la prestazione, mentre per il principio di auto-responsabilità non potrà ripetere il pagamento chi lo ha operato consapevolmente, anche se per errore, non essendosi al cospetto di un negozio giuridico e dunque non rilevando mai i vizi della volontà (tesi recessiva);
- è atto negoziale ad effetti reali, espressione di autonomia privata e di potere di autoregolamento dei propri interessi, anche se attraverso una vicenda di attuazione, in quanto si perfeziona con l’esecuzione della prestazione (con foggia di negozio reale); il debitore dispone liberamente di un interesse ritenuto meritevole di tutela dal sistema (art.1322 c.c.), con un adempimento che è attuativo di una causa esterna (il dovere morale o sociale cui si adempie). Poiché è atto negoziale, soggiace al regime dei negozi e dunque anche alla impugnabilità per vizi della volontà, con particolare riferimento al dolo e alla violenza; per quanto concerne l’errore, se esso cade sull’esistenza dell’obbligazione naturale (si crede che esiste, e invece non esiste), la prestazione è assunta ripetibile, mentre se cade sulla natura civile (l’obbligazione esiste e viene ritenuta civile, mentre è solo naturale) la prestazione è assunta irripetibile. Inoltre, chi è incapace di agire può ripetere quanto prestato (tesi maggioritaria).
Sul versante della natura gratuita o onerosa dell’atto:
- è atto a titolo gratuito, in quanto il creditore che riceve la prestazione (e che può ritenerla) non opera alcuna controprestazione; anche in tema di revocatoria fallimentare, gli atti compiuti dal fallito nei 2 anni antecedenti al fallimento in adempimento di doveri morali vengono assoggettati alla disciplina degli atti gratuiti dall’art.64 della legge fallimentare;
- è atto a titolo oneroso, come palesa l’animus solvendi del debitore naturale il quale adempie, e non dona (anche se il dovere è morale o sociale);
- è atto neutro, la cui onerosità o gratuità sarebbe predicabile in ragione di valutazioni da operare caso per caso, onde la prestazione a favore del convivente more uxorio potrebbe assumersi gratuita, mentre il pagamento di un debito (originariamente civile) prescritto potrebbe assumersi onerosa.
Che differenza si riscontra tra i doveri morali e sociali previsti al comma 1 e al comma 2 dell’art.2034?
- al comma 1 sono previsti, in modo atipico, i doveri morali o sociali, che vengono tuttavia intesi in senso cumulativo come doveri morali e sociali, corrispondendo alla d. morale sociale; non sono doveri “morali o sociali” né quelli imposti dal galateo o dalla cortesia personale, né quelli legati alla morale individuale, scevra da qualunque profilo di socialità;
- al comma 2 sono previsti, in modo tipico, gli altri doveri previsti dalla legge al cospetto dei quali il regime è il medesimo del comma 1 con equiparazione quoad effectum (incoercibilità mediante azione e soluti retentio); secondo l’opinione più accreditata, anche questi sono doveri morali o sociali, tipizzati dalla legge; secondo altra opinione, si tratta di doveri che in futuro potrebbero non essere più considerati tali dal punto di vista morale o sociale, ma per i quali gli effetti giuridici restano i medesimi. Si tratta in sostanza della disposizione fiduciaria testamentaria ex art.627, comma 2, c.c.; del debito di giuoco ex art. 1933 c.c. e del debito prescritto ex art.2940 c.c..
Nell’ambito delle obbligazioni naturali previste dalla legge (gli “altri doveri per i quali la legge non accorda azione”) che distinzione ulteriore può essere fatta?
- le obbligazioni naturali tipiche: la disposizione testamentaria fiduciaria (art.627, comma 2, c.c.); il debito di gioco (art.1933 c.c.); il debito prescritto (art.2940 c.c.); le prestazioni effettuate al convivente more uxorio (secondo l’interpretazione giurisprudenziale accreditata); l’adempimento di un’obbligazione annullata per incapacità di una delle parti; la volontaria esecuzione di una disposizione testamentaria nulla;
- le obbligazioni naturali semitipiche: il pagamento al professionista non iscritto all’albo (art. 2231 c.c.); il pagamento di interessi superiori al saggio legale ma pattuiti non in forma scritta (art.1284 c.c.).
Quali problemi pone l’adempimento da parte di un terzo dell’obbligazione naturale?
- non è scontato che il terzo possa adempiere, visto che l’art.2034 esclude per l’obbligazione naturale effetti diversi dalla impossibilità di ripetere quanto prestato, sicché potrebbe essere esclusa la possibilità per il terzo di adempiervi (anche se la dottrina maggioritaria lo ritiene ammissibile);
- essendo l’obbligazione solo naturale (e non civile), il debitore non si arricchisce dell’adempimento del terzo, perché la relativa prestazione in realtà non è coercibile da parte del creditore; il terzo adempiente non può dunque normalmente agire in via di regresso, che potrà dunque agire in via di regresso nei relativi confronti, ma potrebbe eventualmente farlo quale negotiorum gestor, laddove la relativa ingerenza possa dirsi utilmente intrapresa (art.2031, comma 1, c.c.);
- in tema di delegazione, dal momento che il debitore delegato non può opporre al creditore delegatario l’inesistenza dell’obbligazione giuridica nel rapporto di valuta (tra delegante e delegatario: art.1271, comma 3, c.c.), questo consente al debitore delegante di avvalersi dello strumento della delegazione per far adempiere al terzo la propria obbligazione naturale verso il creditore delegatario, non potendo appunto il nuovo debitore delegato eccepire al creditore delegatario la consistenza solo naturale (e non già civile) dell’obbligazione del vecchio debitore delegante nata dal rapporto di valuta.
Cosa distingue l’adempimento di una obbligazione naturale dal una donazione rimuneratoria o da una donazione d’uso?
- a) la donazione d’uso (art.770, comma 2, c.c.) è un atto donativo conforme al costume sociale e – avendo alla propria base il solo spirito di liberalità – non si atteggia ad adempimento di un dovere morale o sociale;
- b) la donazione rimuneratoria (art.770, comma 1, c.c.) è anch’essa adempitiva di un dovere morale o sociale legato ad una forma di riconoscenza, ma vi prevale lo spirito di liberalità rispetto al vero e proprio dovere morale o sociale; quest’ultimo è invece la causa solvendi dell’obbligazione naturale, laddove lo spirito di liberalità sparisce per far posto alla volontà di adempiere ad un atto che si avverte fortemente dovuto (anche se non coercibile dal creditore), nei limiti tuttavia della proporzionalità e dell’adeguatezza.
Come si estingue l’obbligazione naturale?
- secondo la tesi più rigorosa, esclusivamente con l’adempimento, come dimostra il fatto che la fattispecie “non produce altri effetti” diversi dal pagamento solutorio ed irripetibile (art.2034, comma 2, c.c.);
- secondo la tesi più liberale, con l’adempimento, con la datio in solutum e con la compensazione volontaria, che presentano una natura solutoria maggiormente spiccata; non hanno invece efficacia estintiva la compensazione legale o giudiziale, la remissione e la novazione.
Cosa significa che la fattispecie dell’obbligazione naturale non produce altri effetti diversi dalla soluti retentio in capo al creditore?
- che il creditore non può pretendere l’adempimento del dovere morale e sociale;
- in caso di inadempimento, non possono essere attivati i rimedi previsti per l’inadempimento dell’obbligazione civile;
- non possono essere invocate misure cautelari a tutela del credito naturale;
- il credito naturale non può essere assistito né da garanzie reali, né da garanzie personali (anche se parte della dottrina ammette la fideiussione naturale, il cui effetto sarebbe quello, in caso di adempimento del fideiussore, di autorizzare il creditore a ritenere la prestazione ricevuta come se la avesse adempiuta il titolare del dovere morale o sociale);
- il riconoscimento del debito “naturale” è improduttivo di effetti, dovendosi escludere anche gli effetti processuali di inversione dell’onere della prova, in quanto il creditore naturale non può comunque pretendere la prestazione naturale.
Il credito / debito naturale è trasmissibile a terzi?
- per quanto riguarda gli atti tra vivi, il credito naturale è intrasmissibile in quanto si configura come aspettativa di fatto all’adempimento di un dovere morale o sociale;
- per quanto riguarda gli atti mortis causa, del pari è intrasmissibile l’aspettativa di fatto che compendia la pretesa naturale, mentre sul versante del debitore naturale, la relativa morte – pur non consentendo la trasmissione dell’originario dovere morale o sociale – può comportare per gli eredi l’insorgenza di un nuovo ed autonomo dovere morale o sociale collegato a quello del proprio dante causa.