<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, ordinanza 7 maggio 2020 n. 86</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal senatore Gregorio De Falco.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Considerato che il senatore Gregorio De Falco, nella qualità di membro del Senato della Repubblica, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato – per violazione degli artt. 3, 24, 48, 51, 57, 66, 72 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge n. 848 del 1955 – nei confronti del Senato della Repubblica «e, se dichiarato ammissibile», della senatrice Emma Pavanelli, in relazione agli atti sopra indicati;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che in questa fase del giudizio la Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che il conflitto è stato sollevato da un singolo parlamentare, nei confronti del Senato della Repubblica e di un altro parlamentare, per asserita lesione delle proprie prerogative costituzionali;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che la legittimazione del singolo parlamentare è stata riconosciuta da questa Corte a tutela delle attribuzioni costituzionali di cui agli artt. 67, 68, 69, 71, primo comma, e 72 Cost., «inerenti al diritto di parola, di proposta e di voto, che gli spettano come singolo rappresentante della Nazione, individualmente considerato, da esercitare in modo autonomo e indipendente, non rimuovibili né modificabili a iniziativa di altro organo parlamentare» (ordinanza n. 17 del 2019; nello stesso senso anche ordinanze n. 60 del 2020, n. 275 e n. 274 del 2019);</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che nella medesima ordinanza n. 17 del 2019 questa Corte ha precisato che il singolo parlamentare può ritenersi legittimato a sollevare conflitto di attribuzione solo quando siano prospettate «violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari […] rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione» e, di conseguenza, è necessario che, a fondamento della propria legittimazione, il parlamentare «alleghi e comprovi una sostanziale negazione o un’evidente menomazione della funzione costituzionalmente attribuita al ricorrente, a tutela della quale è apprestato il rimedio giurisdizionale innanzi a questa Corte ex art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953»;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che nessuna delle anzidette attribuzioni costituzionali viene in rilievo nel caso di specie, né è sufficiente a fondare la legittimazione del ricorrente la rivendicazione di un generico interesse del singolo parlamentare alla legittimità del procedimento di assegnazione del seggio rimasto vacante;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che per contro il senatore ricorrente si duole della menomazione di attribuzioni che – per sua stessa affermazione – dovrebbero competere a un organo terzo (l’Ufficio elettorale regionale o quello centrale), in luogo del quale lo stesso ricorrente non è legittimato a far valere la denunciata lesione delle attribuzioni;</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che, in ogni caso, le censure mosse dal ricorrente attengono a «violazioni o scorrette applicazioni dei regolamenti parlamentari e delle prassi di ciascuna Camera», che, per costante giurisprudenza di questa Corte, «non possono trovare ingresso nei giudizi per conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato» (ordinanza n. 17 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 379 del 1996 e ordinanza n. 149 del 2016);</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.</em></p>