<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Laddove sia difficile far rientrare una causa di esclusione dell’antigiuridicità nel quadro delle scriminanti codificate, il principio del </em>favor rei<em> legittima l’isolamento per via pretoria di cause di giustificazione non codificate: è quanto accade con la c.d. scriminante sportiva che, non potendo essere incasellata nello schema del consenso dell’avente diritto, né tampoco in quello dell’esercizio di un diritto, finisce con l’essere annoverata - per l’appunto - quale scriminante atipica, in un contesto di generale valorizzazione dello sport quale bacino di sviluppo della persona umana.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;">Nel diritto romano il problema della scriminante sportiva, almeno in una prima fase, non si pone in nessun modo, considerato come la violenza nello “<em>sport</em>” e nei giochi rappresenti un autentico strumento di divertimento per gli spettatori. Tuttavia nella codificazione di Giustiniano si rinvengono taluni passi in cui, con riguardo al pugile ed ai relativi allenamenti e competizioni sportive, viene esclusa la operatività della <em>Lex Aquilia de damno</em> (e della conseguente <em>actio iniuriarum</em>) nel caso in cui un altro pugile sia percosso o rimanga financo ucciso.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1889</strong></p> <p style="text-align: justify;">La codificazione liberale Zanardelli agli articoli 49 e 50 disciplina già le c.d. scriminanti, con particolare riguardo a legittima difesa, stato di necessità e adempimento del dovere; tuttavia la scarsa diffusione dello sport non pone ancora il problema della c.d. scriminante sportiva.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Le scriminanti trovano disciplina in via generale agli articoli 50 e seguenti del codice penale, senza tuttavia che venga riservato un posto specifico alla scriminante sportiva, che si profila dunque come atipica, ovvero (alternativamente) come potenzialmente riconducibile ad una delle ipotesi codificate.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Viene varata la Costituzione repubblicana che, all’art.2, parla di sviluppo della personalità dell’uomo, come singolo e come parte di formazioni sociali: è l’alveo costituzionale all’interno del quale verrà poi col tempo posizionata l’attività sportiva, da assumersi come tale – e dunque quale specifico mezzo di sviluppo della personalità umana – in veste di attività “<em>autorizzata</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1981</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 giugno esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n. 9367 in tema di colpa per omesso impedimento dell’evento ex art.40, comma 2, c.p.: quella sul reato omissivo improprio colposo è la norma applicabile ad ipotesi che lambiscono l’attività sportiva, per essere ad essa in qualche modo connesse, come dimostra il caso dell’insufficiente od omesso controllo da parte di una società sportiva sull’idoneità fisica dell’atleta, poi morto per infarto, prima dello svolgimento di una gara (ipotesi analoga è quella della organizzazione di gare o competizioni automobilistiche, laddove muoia uno spettatore o un pilota). In queste fattispecie non si pone tuttavia la questione della rilevanza della c.d. scriminante sportiva, pure invocata dalla difesa.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 aprile esce la sentenza della V sezione della Cassazione, caso Lolli, che si occupa di definire il c.d. rischio consentito, nel cui ambito è ancora esclusa la responsabilità penale del soggetto sportivo agente: si tratta di un’area, di un perimetro comportamentale che in primo luogo è strettamente connesso all’attività sportiva, e dunque inerente alla stessa; tale area comportamentale è tuttavia più ampia di quella dettata dalle regole della singola attività sportiva, sicché è ben possibile che tali regole risultino in concreto violate dallo sportivo, senza che tuttavia questi abbia concretamente superato il perimetro del rischio consentito, che è connesso alle azioni di gioco e dunque deve assumersi ancora “<em>normale</em>” nei rapporti (sportivi) che si instaurano tra i contendenti nella gara.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 febbraio esce la sentenza della IV sezione n. 2765 onde, se si inquadrasse l’attività sportiva nell’orbita precettiva della scriminante dell’esercizio del diritto, essa non coprirebbe pratiche sportive non ufficialmente organizzate, e dunque a livello amatoriale. Occorre far riferimento ad una scriminante non codificata muovendo dal presupposto per cui si fronteggiano due distinti interessi, vale a dire quello individuale alla incolumità fisica (eventualmente vulnerato da percosse o lesioni) e quello generale e collettivo a che possa essere svolta l’attività sportiva come strumento di sviluppo della personalità. Con specifico riguardo al karate, disciplina sportiva a violenza necessaria, per la Corte occorre distinguere le ipotesi di competizioni ufficiali da quelle in cui l’incontro ha finalità di esibizione o di allenamento, dovendosi in quest’ultimo caso modulare di più la carica agonistica, diversamente incorrendo in sanzione penale: il perno della repressione penale, per la Corte, è in questi casi da rinvenirsi nel controllo dell’ardore agonistico e nella maggior cautela richiesta agli atleti, con conseguente riduzione dell’area scriminata in ipotesi di percosse o lesioni (ovvero omicidio).</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 giugno esce la sentenza della V sezione n. 8910, che si occupa dell’atleta che abbia cagionato lesioni in un contrasto di gioco nel pieno rispetto, nondimeno, delle norme cautelari che disciplinano la singola attività sportiva: quest’ultima è disciplinata da regole previste dalla singola Federazione sportiva, finalizzate a minimizzare od escludere il rischio, sul piano delle probabilità, di eventi lesivi. Si tratta di regole cautelari che, ove pienamente rispettate dall’atleta, gli consentono – anche laddove abbia cagionato lesioni all’avversario - di andare esente dalla responsabilità penale.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 giugno esce la sentenza della IV sezione n. 24942 che delinea e precisa la figura del c.d. rischio consentito, al superamento del quale il contegno dello sportivo assume rilevanza penale. Tale superamento – che implica punizione per lesioni - si verifica quando chi agisce pone coscientemente a repentaglio l’incolumità fisica dell’antagonista, al cui “<em>consenso</em>” occorre in effetti guardare. Il rischio è “<em>consentito</em>” perché l’antagonista consente anche eventuali percosse o lesioni, ma a determinate condizioni: egli si attende un comportamento agonistico che può anche essere rude, ma che in ogni caso non deve esorbitare da quei doveri di lealtà che segnano il confine tra mero ardore agonistico e disprezzo della altrui integrità fisica.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 maggio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 19473 che ribadisce come la scriminante sportiva non sia riconducibile ad alcuna causa di giustificazione tipica, dovendosi piuttosto assumere come scriminante atipica (non codificata): più in specie, l’interesse primario di natura pubblica che connota l’attività sportiva impone di configurare una causa di giustificazione che, nondimeno, non può essere tra quelle già previste dal sistema, ed in particolare non è identificabile con il consenso dell’avente diritto ex art.50 c.p., in quanto taluni beni giuridici fondamentali come la salute (o, in casi limite, financo la vita) non sottendono interessi disponibili da parte del singolo. La Corte scende poi maggiormente in profondità, rappresentando come sia in qualche modo invocabile – di base – l’art.51 c.p. sull’esercizio del diritto, facendone applicazione anche laddove in realtà non sembra essere stato esercitato un diritto per essere lo sportivo incorso in una violazione delle regole del gioco: la relativa azione si configura come sportivamente illecita, ma non ancora idonea a lambire la soglia della rilevanza penale, laddove pur violandosi le regole dello sport si sia rimasti nell’ambito del c.d. rischio consentito. Quando la soglia del rischio consentito non è stata superata, anche percosse o lesioni non conformi alle regole del gioco non implicano una responsabilità penale in capo a chi le ha commesse. All’interno dell’area del rischio consentito – che non coincide con quella delle regole precauzionali proprie del singolo sport – va allora distinta per la Corte l’ipotesi in cui si siano violate le regole della disciplina sportiva, ma non sia ravvisabile né colpa e né dolo, da quelle in cui vi sia dolo (si violano le regole del gioco – che è solo un’occasione - per ledere intenzionalmente un contendente, lontano dall’azione di gioco) ovvero colpa (si violano le regole del gioco nel contesto dell’azione di gioco in cui si opera in modo del tutto imprudente e sprezzante dell’incolumità altrui, al solo scopo di garantirsi un risultato positivo nella gara). La Corte chiarisce tuttavia che proprio il “<em>rischio consentito</em>” esclude la possibilità di una automatica coincidenza tra illecito sportivo e illecito penale: la violazione delle regole sportive non implica sanzione penale (in virtù dell’effetto scriminante del rischio consentito) laddove non abbia carattere volontario e si ponga piuttosto come sviluppo fisiologico di un’azione che induce involontariamente alla violazione delle regole di gioco a cagione della concitazione, dell’ansia del risultato e dunque, in ultima analisi, della <em>trance</em> agonistica.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 ottobre esce la sentenza della IV sezione n.33577, che opera una distinzione tra attività sportiva professionistica ed attività meramente amatoriale, con necessità in questa ultima evenienza, per gli sportivi, di controllare di più e meglio il proprio ardore agonistico e di osservare una maggiore prudenza durante la gara, al fine di scongiurare la lesione di beni personali altrui costituzionalmente rilevanti.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 33864, che sconfessa l'ordinanza nella specie impugnata laddove sostiene che le condotte di violenza tenute nei campi di gioco o nelle immediate adiacenze dai tesserati a federazioni sportive - e tali sono i due intimati nella fattispecie esaminata dalla Corte - non sarebbero perseguibili con le misure previste dall'art. 6 della legge n. 401/1989 e succ. modif. (c.d. DASPO), ma sarebbero assoggettabili esclusivamente alle sanzioni specifiche (squalifiche, inibizioni e quant'altro) applicabili dai competenti organi della giustizia sportiva. A dire della Corte la tesi, in una formulazione così ampia, è errata poiché si pone quale inammissibile applicazione al (diverso) fenomeno delle turbative nello svolgimento di manifestazioni sportive del principio generale per il quale lo svolgimento di attività sportive può divenire causa di giustificazione (generica o specifica) per condotte astrattamente costituenti reato: un principio che tuttavia è valido solo per condotte che abbiano l'effetto di offendere, come oggetto giuridico, l'integrità fisica o morale dei soggetti coinvolti nell'attività sportiva, la pertinente causa (atipica) di giustificazione coprendo soltanto quell'attività che si possa ritenere connessa strettamente, specie sotto il profilo dell'elemento soggettivo, alle finalità del gioco. Una condotta – prosegue la Corte - non rispettosa delle regole del gioco ma comunque finalisticamente inserita nel contesto di un'attività sportiva ed intimamente connessa alla pratica dello sport, è ben diversa da quella tenuta in ipotesi in cui la gara agonistica costituisca soltanto l'occasione dell’azione violenta, con conseguente affermazione del principio onde le misure adottabili ai sensi dell'art. 6 della legge n. 401/1989, con riferimento a turbative nello svolgimento di manifestazioni sportive, si applicano nei confronti di tutti i soggetti indicati nel I comma dello stesso art. 6, anche se trattasi di tesserati di federazioni sportive ed indipendentemente da ogni altro provvedimento di competenza degli organi della disciplina sportiva, senza che possa essere invocata la operatività della scriminante sportiva quando il decreto del Questore sia stato emesso a tutela dell'ordine pubblico, posto in pericolo dalle condotte degli intimati e la cui materialità é del tutto avulsa dall'esplicazione di attività agonistica ritraendo dal contesto sportivo – per l’appunto - una mera occasione all'origine del comportamento illecito.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 febbraio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n. 7768 che si occupa dell’ipotesi in cui la lesione dell’incolumità fisica dell’avversario abbia luogo per violazione delle regole sportive e dunque in un’area in cui potrebbe operare il c.d. rischio consentito: in queste ipotesi, oltre ai casi di dolo (volontaria lesione altrui in occasione del gioco) rilevano in senso non scriminante le ipotesi di colpa, che la Corte chiarisce. Si ha colpa non scriminante quando la condotta, che pure è finalizzata a sviluppare un’azione di gioco, si ponga in cosciente e volontaria violazione del regolamento sportivo (colpa specifica), e si appalesi del tutto sproporzionata ed estranea alle finalità del gioco medesimo, oltre che contraria ai principi base di lealtà e correttezza.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 febbraio esce la sentenza della Cassazione n. 7536 che torna sull’area del c.d. rischio consentito, da considerarsi quale perimetro di una scriminante atipica e non codificata rispondente all’interesse primario che l’ordinamento riconnette alla pratica sportiva. Una volta violate le regole tecniche della singola disciplina sportiva, per la Corte la singola condotta va valutata in concreto al fine di verificare se essa è scriminata, ponendo attenzione all’elemento psicologico dell’agente: quest’ultimo può utilizzare il gioco come occasione e pretesto del quale approfittare per ledere volontariamente l’incolumità altrui (dolo), ovvero può far luogo ad un’azione fisica che parte con una estrinsecazione legittima per poi evolvere, a cagione della carica agonistica, in modo sproporzionato e volontariamente lesivo delle regole cautelari sportive, con finalizzazione alla vittoria ad ogni costo.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 marzo esce la sentenza della Cassazione n. 11260 che, con riguardo ad una ipotesi in cui, durante una partita di calcio, un giocatore infligge ad un altro un pugno allo zigomo lontano dall’azione di gioco, assume non applicabile la cosiddetta scriminante del rischio consentito. L’azione di gioco non può – secondo la Corte - ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell’incontro (viene richiamata la precedente Cass., 42114/11). Più in specie, nel gioco del calcio, da ritenersi uno sport “<em>a violenza eventuale</em>”, il rischio sportivo deve intendersi fisiologicamente coessenziale alla partecipazione alla gara stessa. Tuttavia ricorre l’ipotesi di lesioni personali dolose in caso di accertata volontarietà o di preventiva accettazione del rischio di pregiudicare l’altrui incolumità, ovvero di lesioni personali semplicemente colpose, allorché la violazione consapevole della regola cautelare risulti finalizzata al conseguimento – in forma illecita e dunque, antisportiva – di un determinato obiettivo agonistico.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.42114 alla cui stregua, in tema di competizioni sportive, non è applicabile la cosiddetta scriminante del rischio consentito qualora nel corso di un incontro di calcio l'imputato colpisca l'avversario con un pugno al di fuori di un'azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l'azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero di movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche (blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area ecc.). Per la Corte l'area del rischio consentito è delimitata in rapporto all'osservanza delle regole tecniche del gioco praticato, la violazione delle quali, peraltro, va valutata in concreto, con riferimento all'elemento psicologico dell'agente, il cui comportamento può essere - pur nel travalicamento di quelle regole - colposo ossia involontaria evoluzione dell'azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, consapevole e dolosa intenzione di ledere l'avversario, approfittando delle circostanze del gioca (viene richiamata la precedente sentenza 19473 del 2005).</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 marzo esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.9559 che – in un caso in cui un calciatore ha provocato ad un altro lesioni gravi (frattura della tibia sinistra) interrompendone l’azione di gioco – opera un interessante riepilogo della giurisprudenza in materia di scriminante sportiva, concludendo con una esemplificazione schematica onde: a) solo nelle discipline a violenza necessaria o indispensabile la scriminante copre azioni dirette a ledere l'incolumità del competitore, salvo il rigoroso rispetto della disciplina cautelare di settore, ivi inclusa la speciale cautela nell'affrontare incontri tra atleti aventi capacità e/o forza fisica impari; in ogni caso, la scriminante non opera se resti accertato che lo scopo dell'agente non era quello di prevalere sul piano sportivo, ma di arrecare, sempre e comunque, una lesione fisica o, addirittura, procurare la morte del contendente; b) occorre il rispetto della regola della proporzionalità dell'ardore agonistico al rilievo della vicenda sportiva, pur dovendo trovare mitigazione, un tale limite, nell'inevitabile coinvolgimento psico-fisico procurato dalla contesa sportiva, idoneo ad allentare la capacità di giudizio e d'inibizione dell'agente; c) l'eventualità che venga violata una delle regole del gioco costituisce evenienza preventivamente nota ed accettata dai competitori, i quali rimettono alla decisione dell'arbitro la risoluzione dell'antigiuridicità, che non tracima dall'ordinamento sportivo a quello generale; d) in ogni caso, ove il fatto violento, pur se conforme al regolamento del gioco, sia diretto ad uno scopo estraneo al finalismo dell'azione sportiva o, addirittura, all'azione di gioco, l'esimente non opera; e) la scriminante non opera ove il fatto, caratterizzato da violenza trasmodante, appaia inidoneo, con giudizio <em>ex ante</em>, a perseguire lo scopo sportivo; f) la scriminante non opera, infine, ove l'azione violenta, contraria al regolamento, venga commessa nonostante risulti percepibile <em>ex ante</em>, da parte dell'agente, come prevedibile la lesione dell'integrità fisica del competitore.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 aprile esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.15170, che si occupa di una fattispecie particolare di lesioni prodotte alla vittima nel corso della cd. "<em>partita di mezzanotte</em>", manifestazione folkloristica che si svolge annualmente a Gualdo Tadino, nella piazza cittadina, e che vede la partecipazione di chiunque si trovi, a quell'ora, in piazza; tale partita si svolge senza regole e senza riguardi per gli avversari, con l'unico scopo di inseguire un pallone lanciato in aria e farlo proprio, e difenderlo con ogni mezzo, anche scalciando e cazzottando gli avversari. In tale contesto, secondo la difesa – che invoca tra le altre (ed assieme a consenso dell’avente diritto e legittima difesa) la c.d. scriminante sportiva - non vi sarebbe differenza tra spettatori e partecipanti alla partita, sicché vi sarebbe la consapevolezza della popolazione di poter essere coinvolta in una rissa generale. Nella specie, imputato e vittima si sono trovati ai piedi delle gradinate e, quando il pallone è giunto nei loro pressi, è nata tra loro una competizione: l’imputato, colpito con un calcio alla coscia, non ha esitato a reagire colpendo la vittima con schiaffi e pugni. Ora per la Corte la scriminante del c.d. rischio consentito è operativa nell'ambito delle competizioni sportive, che si svolgono secondo regole stabilite dagli organismi di categoria - se ed in quanto quelle regole vengono rispettate - e ricevono protezione statuale in considerazione dei benefici che la pratica sportiva è suscettibile di arrecare ai praticanti, e non già (anche) nell'ambito di manifestazioni più o meno folkloristiche imperniate sulla violenza pura e gratuita, che mette come tale a rischio l'incolumità delle persone, massime laddove capace di trascinare nel relativo vortice manifestanti e spettatori. Del tutto arbitraria è infatti per la Corte l'assimilazione di manifestazioni del genere a quelle sportive e del tutto improprio è, di conseguenza, il richiamo delle scriminanti, codificate o non codificate.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 agosto esce la sentenza della IV sezione della Cassazione che, decidendo su una fattispecie relativa ad una esibizione sportiva sul fiume Po e di una collisione tra natanti – afferma non ricorrere nel caso di specie le condizioni per il riconoscimento della scriminante non codificata del rischio consentito nell'attività sportiva, richiamando le interessanti motivazioni di taluni propri precedenti (Sez. V, n. 15170 del 2016, <em>Ferretti</em>, resa in una fattispecie peculiare di una manifestazione folkloristica - non sportiva - imperniata su comportamenti oltremodo violenti; n. 8910 del 2000, <em>Rotella</em>; n. 45210 del 2005, <em>Mancioppi</em>; n. 9627 del 1992, <em>Lolli;</em> Sez. IV, n. 2765 del 2000, <em>Bernava,</em> queste ultime tutte relative invece a casi, statisticamente più frequenti, di falli "<em>a gioco fermo</em>" o di mancata adeguato controllo da parte dell'agente dell'ardore agonistico). La Corte rammenta come nel caso di specie si sia trattato non già di una vera e propria gara quanto piuttosto di una semplice esibizione modellata sulla falsariga dello sport cui afferiva. Ciò posto, prosegue la Corte, la esibizione non è in alcun modo paragonabile alla competizione sportiva vera e propria: a parte la problematicità, già in sé, del tema dell'eventuale ricorso all'analogia nel campo delle cause di giustificazione (sul quale viene richiamata la pronuncia della Sez. VI n. 973 del 1993, <em>Bove</em>), e ciò vieppiù in presenza di una scriminante non codificata quale si ritiene in genere essere la pratica sportiva, naturalmente se ed in quanto vi sia il rispetto delle regole stabilite dagli organismi di categoria (vengono richiamate le sentenza della Sez. V, n. 8910 del 2000, <em>Rotella</em>, e della Sez. IV, n. 2765 del 2000, <em>Bernava</em>), fa difetto per la Corte nel fenomeno delle esibizioni - che possono essere le più varie e che, di regola, a differenza degli sport, non hanno una disciplina positiva - la <em>ratio</em> a fondamento della esimente non codificata dell'esercizio dell'attività sportiva, <em>ratio</em> che per lo più viene ricondotta all'assenza di antigiuridicità per mancanza di danno sociale dell'attività sportiva e, anzi, alla rilevanza dei benefici (riconosciuti ed apprezzati dall'ordinamento non soltanto statuale ma anche sovranazionale) conseguenti alla pratica dello sport da parte dei consociati.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.11991 che – nel vagliare il secondo motivo di ricorso nel cui contesto è stata invocata la scriminate atipica del cosiddetto rischio consentito in competizioni sportive – assume con nel caso di specie la relativa sussistenza sia stata correttamente esclusa dalla Corte territoriale giusta richiamo ai principi enucleati dal Giudice di legittimità circa i presupposti e limiti della predetta scriminante, con particolare riguardo alla realizzazione di un evento lesivo tramite una volontaria violazione delle regole di gioco che sia tale da superare la precondizione su cui si fonda la partecipazione alla gara stessa, ovvero il rispetto della lealtà sportiva. La Corte ribadisce – sulle orme del proprio precedente n.42114 del 2014 - che in tema di competizioni sportive, non è applicabile la cosiddetta scriminante del rischio consentito qualora nel corso di un incontro di calcio l'imputato colpisca l'avversario con un pugno al di fuori di un'azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l'azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero di movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche (blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area ecc.). Per la Corte l'area del rischio consentito è delimitata in rapporto all'osservanza delle regole tecniche del gioco praticato, la violazione delle quali, peraltro, va valutata in concreto, con riferimento all'elemento psicologico dell'agente, il cui comportamento può essere - pur nel travalicamento di quelle regole - colposo ossia involontaria evoluzione dell'azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, consapevole e dolosa intenzione di ledere l'avversario, approfittando delle circostanze del gioco (viene richiamata la precedente sentenza 19473 del 2005). Applicando tali condivisi principi al processo in esame, deve annotarsi per la Corte che nella fattispecie concreta, per come congruamente ritenuta accertata nella fase di merito, pur essendo l'azione di gioco sicuramente terminata con l'impossessamento del pallone da parte del portiere, che si era gettato in terra per difenderlo, gli imputati lo avevano colpito più volte, di gran lunga esorbitando dal rispetto delle regole di gioco e denotandosi così, dal loro concreto e ripetuto agire violento, l'elemento intenzionale del delitto di lesioni in danno del portiere stesso, mentre per quanto attiene alle lesioni in danno delle altre parti lese, esse furono cagionate come reazione al loro intervento in difesa del compagno di squadra e, quindi, in un contesto ormai avulso da ogni fisiologica dinamica di gioco e sportiva.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 ottobre esce la sentenza della VII sezione del Tribunale di Milano n. 7173 che ribadisce la necessità, ai fini dell’applicazione della scriminante atipica del c.d. “<em>rischio consentito</em>”, che le lesioni procurate durante una competizione sportiva non siano derivate da un’azione posta in essere “<em>a gioco fermo</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 maggio esce la sentenza della III sezione civile della Cassazione n. 11270 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui in materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo, qualora siano derivate lesioni personali ad un partecipante all'attività a seguito di un fatto posto in essere da un altro partecipante, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l'atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco. Sussiste, pertanto, in ogni caso la responsabilità dell'agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole dell'attività svolta; la responsabilità non sussiste invece se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell'attività, e non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione delle regole proprie dell'attività sportiva specificamente svolta, l'atto sia a questa funzionalmente connesso. In entrambi i casi, tuttavia il nesso funzionale con l'attività sportiva non è idoneo ad escludere la responsabilità tutte le volte che venga impiegato un grado di violenza o irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l'attività sportiva si svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 luglio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n. 36010 che si conforma all’orientamento secondo cui il responsabile di attrezzature sportive o ricreative è titolare di una posizione di garanzia a tutela dell'incolumità di coloro che le utilizzano, anche a titolo gratuito, sia in forza del principio del "<em>neminem laedere</em>", che nella qualità di custode delle stesse attrezzature e, come tale, civilmente responsabile dei danni provocati dalla cosa ai sensi dell'art. 2051 c.c., rispetto alle quali egli è obbligato ad adottare tutte le misure idonee ad evitare l'evento dannoso, ad eccezione dell'ipotesi del caso fortuito.</p> <p style="text-align: justify;">Ai fini dell'esonero da responsabilità, l'esercente, deve dimostrare di aver gestito la cosa nelle condizioni di massima sicurezza, adottando ogni accorgimento idoneo ad evitare l'evento e di avere mantenuto le prescrizioni di sicurezza impartite alla stregua dei criteri di garanzia e protezione che lo stesso ha l'obbligo di rispettare nel caso concreto.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 gennaio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 3144 secondo cui non è applicabile la scriminante del rischio consentito, nè tantomeno quelle dell'esercizio del diritto o del consenso dell'avente diritto, qualora nel corso di un incontro di calcio, l'imputato colpisca l'avversario con una testata al di fuori di un'azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l'azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero da movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche (blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area ecc.) e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell'incontro</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono gli elementi che coinvolge l’attività sportiva dal punto di vista penale?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>gli sport connotati da <strong>stretto contatto fisico</strong> (violento o anche non violento), in cui rileva la <strong>carica agonistica</strong> degli atleti;</li> <li>i <strong>reati</strong> connessi al contatto fisico: le <strong>percosse</strong>, le <strong>lesioni</strong> e, in taluni casi, <strong>l’omicidio</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali modelli di attività sportiva sono connessi al fenomeno della scriminante sportiva?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>sports per i quali <strong>la violenza è esclusa o addirittura vietata</strong>: la scriminante sportiva <strong>non rileva</strong>;</li> <li>sports nel contesto dei quali la <strong>violenza</strong> <strong>non è necessaria, e tuttavia possibile (eventuale)</strong> e dunque in qualche modo ammessa perché connaturata – in termini di mera possibilità – allo sport stesso (esempio classico, il calcio): la scriminate sportiva <strong>rileva</strong> nei casi in cui <strong>intervenga violenza</strong>;</li> <li>sports nel contesto dei quali <strong>la violenza è necessaria</strong> perché <strong>strettamente connaturata</strong> agli stessi, che non sarebbero neppure configurabili come tali in assenza di contatto fisico violento (esempi classici il pugilato, il judo, il karate): la scriminante sportiva <strong>rileva al massimo livello</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Laddove è presente la violenza (eventuale o necessaria) quale altro elemento è fondamentale esaminare?</strong></p> <p style="text-align: justify;">Occorre guardare alle <strong>specifiche regole che disciplinano</strong> lo sport considerato, sicché è possibile assistere a fenomeni di</p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>violenza “<em>regolata</em>”</strong> dalla singola disciplina sportiva, in quanto conforme a tali regole;</li> <li>violenza <strong>“<em>non regolata</em>”</strong>, che si pone del tutto al di fuori delle regole della singola disciplina sportiva.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le scriminanti tipiche assunte come rilevanti dalla dottrina?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>l’<strong>50 c.p.</strong> sul <strong>consenso dell’avente diritto</strong>: lo sport si configura come attività che sviluppa la personalità dell’uomo, onde la partecipazione ad attività sportive è libera ed oggetto di <strong>convinto consenso</strong> da parte di chi la pratica. Il consenso, che normalmente si atteggia ad <strong>implicito</strong>, comporta che le eventuali lesioni o percosse derivanti dall’attività di gioco <strong>vengono consentite <em>ex ante</em></strong>, purché derivanti da comportamenti altrui conformi alle regole della pertinente disciplina sportiva. Una tesi che tuttavia: a) si pone <strong>in contrasto con l’art.5 c.c.,</strong> che non ammette il consenso per le <strong>lesioni permanenti</strong> alla propria integrità psico-fisica, a rigore neppure se derivanti da attività sportiva conforme alle pertinenti regole cautelari; ne consegue che il consenso dell’avente diritto sarebbe <strong>inadeguato a scriminare</strong>, massime con riferimento alle attività sportive <strong>c.d. a violenza necessaria</strong>; b) cozza anche con la necessità che il consenso dell’avente diritto sia <strong>informato e specifico</strong>, mentre decidere di partecipare ad una attività sportiva è indicativo solo della <strong>generica volontà di volervi prendere parte</strong>, senza che di necessità il singolo precisamente conosca (ed accetti) gli <strong>eventi di danno</strong> che potrebbero coinvolgerlo;</li> <li>l’<strong>51 c.p.</strong> sull’<strong>esercizio del diritto</strong>: l’attività sportiva è da assumersi “<strong><em>autorizzata</em></strong>” (come dimostra l’istituzione del CONI e delle singole Federazioni che ad esso aderiscono) e dunque praticare sport (eventualmente o necessariamente violento) è da considerarsi <strong>esercizio di un diritto</strong> che esclude la illiceità penale delle condotte, ancorché a talune precise condizioni: a) il <strong>rispetto delle regole</strong> del singolo sport, che è da intendersi pubblicamente autorizzato solo laddove conforme al relativo regolamento; b) il <strong>consenso dell’avente diritto ex art.50 c.p.</strong>, che tuttavia qui opera come <strong>condizione di operatività</strong> della diversa scriminante di cui all’art.51 c.p., così potendosi superare la barriera posta dall’art.5 c.c. in ordine alle lesioni permanenti all’integrità fisica. Una tesi che tuttavia viene criticata in quanto applicabile <strong>solo allo sport “<em>federale</em>”</strong> e non anche allo sport <strong>meramente amatoriale</strong> (gare <strong>non ufficialmente autorizzate</strong> nell’ambito del singolo <strong>sotto-settore sportivo</strong>); peraltro, anche laddove si tratti di <strong>gare ufficiali</strong>, la previsione di <strong>specifiche sanzioni disciplinari</strong> da parte dello stesso ordinamento sportivo per chi si colloca fuori dal quadro regolamentare rende eccessivamente rigida l’impostazione per cui - laddove si sia fuori dalle regole di gioco (e si subisca già la sanzione sportiva; peraltro la presenza di <strong>un arbitro</strong> implica già la <strong>accettata possibilità</strong> che tali regole siano <strong>violate</strong>) - si finisca col <strong>non esercitare più un diritto</strong> e quindi col subire <strong>(anche) la sanzione penale</strong>, con evidente <strong>dissuasione alla pratica sportiva</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come è stato possibile per dottrina e giurisprudenza superare gli angusti limiti delle scriminanti tipiche?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>attraverso il riferimento ad una <strong>scriminante non codificata</strong>, e dunque <strong>atipica;</strong></li> <li>essendo “<strong><em>pro reo</em></strong>”, essa appare pienamente in asse sul piano della legittimità penale, potendo il reato-inadempimento essere assunto tale, e <strong>tuttavia non anti-giuridico</strong> (e dunque non penalmente rilevante) anche in presenza di cause di giustificazione <strong>non perfettamente sovrapponibili</strong> a quelle disegnate dal codice penale;</li> <li>il tutto attraverso la valorizzazione, in particolare, del <strong>d. rischio consentito</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa caratterizza il c.d. rischio consentito?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un’<strong>area più estesa di quella coperta dall’illecito sportivo</strong>, onde <strong>non ogni</strong> violazione delle regole di gioco (che è già illecito sportivo) sostanzia <strong>un superamento</strong> del c.d. rischio consentito;</li> <li>ciò accade in presenza di comportamento, <strong>non volontario</strong>, che si configura come <strong>sviluppo fisiologico di un’azione di gioco</strong> e che è connotato da <strong>concitazione</strong> o <strong><em>trance</em> agonistica</strong>;</li> <li>ne discende una <strong>ansia da risultato</strong> e dunque un <strong>contegno che è illecito sportivo</strong> (perché si sono eluse le regole della gara), e tuttavia <strong>non è ancora penalmente rilevante</strong> in quanto <strong>non si vuole neppure</strong> la <strong>violazione della regola cautelare sportiva</strong>, che tuttavia <strong>viene perpetrata</strong> per <strong>slancio agonistico</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quando può assumersi superato il limite del c.d. rischio consentito?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>Il limite è sicuramente superato quando il comportamento illecito ha luogo <strong>al di fuori di una tipica azione di gioco</strong>;</li> <li>se si è all’interno dell’azione di gioco, il limite viene superato allorché la violazione delle regole che presidiano la singola attività sportiva, anziché limitarsi a sostanziare uno <strong>sviluppo fisiologico dell’azione di gioco</strong> medesima, contraddistinto da <strong>ardore agonistico</strong>: b.1) è <strong>voluta</strong> (<strong>dolo</strong>), il che può avvenire anche perché <strong>si accetta (solo) il rischio</strong> di pregiudicare l’altrui integrità fisica; in questi casi la circostanza di gioco <strong>è solo l’occasione per infierire</strong> sull’avversario in quanto si vuole compiere violenza fisica nei relativi confronti per svariate ragioni: ragioni di <strong>rivalsa, ritorsione o reazione</strong> per falli subiti in precedenza, con <strong>logica punitiva</strong>; <strong>pregressi risentimenti di natura personale</strong> estranei alla gara; b.2) è <strong>gravemente lesiva di regole cautelari</strong> (<strong>colpa</strong>), e dunque si atteggia a <strong>cieca indifferenza</strong> per l’altrui integrità fisica; in questi casi, il comportamento è preordinato a conseguire il risultato della <strong>vittoria della gara a qualunque costo</strong>. Chi opera nell’azione di gioco non vuole pregiudicare fisicamente l’avversario e tuttavia <strong>punta in modo molto antisportivo alla vittoria</strong>, piegandosi anche alla violazione di <strong>basilari regole cautelari</strong> che dunque <strong>è voluta</strong> e che può, per l’appunto, pregiudicare il contendente sul piano fisico; si è allora al cospetto non già solo di un <strong>illecito sportivo</strong>, ma di un <strong>illecito sportivo colposo penalmente rilevante</strong> (percosse, lesioni, omicidio).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono i temperamenti e gli adattamenti che operano con riguardo al principio del “rischio consentito”?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>nelle <strong>attività sportive a “<em>violenza necessaria</em>”</strong> (karate, boxe e simili): in queste fattispecie lo sport in qualche modo <strong>consiste di suo nell’aggressione all’avversario</strong> e dunque l’area del rischio consentito <strong>coincide</strong> con il <strong>perimetro delle regole disciplinari sportive</strong>, onde qualunque <strong>colpo “<em>proibito</em>”</strong> si pone <strong>già oltre</strong> e <strong>non scrimina</strong>; inoltre, la scriminante non può assumersi operativa laddove <strong>il livello degli atleti sia diverso</strong>, e ciò sia nel caso in cui si tratti di professionisti appartenenti a <strong>categorie diverse</strong> nell’ambito della medesima disciplina sportiva (pesi massimi e pesi piuma nella boxe), sia - <em>a fortiori</em> – laddove la competizione abbia luogo <strong>tra un atleta professionista ed uno sportivo non professionista</strong>; anche laddove la scriminante operi pienamente sul piano teorico, potrebbe <strong>non operare sul piano pratico</strong> ogni qual volta, nel corso di una competizione che non compendi un incontro vero e proprio ma <strong>una semplice esibizione</strong>, venga meno la <strong>necessaria prudenza</strong> e non si <strong>controlli in modo adeguato</strong> l’ardore agonistico, spiegandolo <strong>in modo sproporzionato</strong> rispetto alle finalità di una mera esibizione;</li> <li>nelle attività sportive <strong>a “<em>violenza eventuale</em>”</strong> (calcio e simili); in queste fattispecie, in cui la violenza <strong>non è necessaria</strong> ma <strong>potrebbe essere il precipitato dell’ardore agonistico</strong>, occorre distinguere le competizioni di tipo <strong>professionistico</strong> da quelle di tipo <strong>amatoriale</strong>, in queste ultime dovendosi assumere <strong>grandemente ridotta l’area del rischio consentito</strong>, che tende a <strong>coincidere con quella delle regole</strong> <strong>della singola disciplina sportiva</strong>;</li> <li>in <strong>ipotesi concrete</strong> – tanto per gli sports a violenza necessaria quanto per quelli a violenza eventuale - potrebbe non essere sufficiente a scriminare <strong>neppure il difetto di colpa specifica</strong> (si sono osservate scrupolosamente le norme regolamentari della disciplina sportiva), allorché si versi in <strong>colpa generica</strong> per <strong>mancata osservanza di regole di diligenza e prudenza non scritte</strong>, ma comunque parametrate alla <strong>specifica prevedibilità</strong> di un dato evento (e normalmente richiamate dalle medesime norme federali del singolo sport).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p>