<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 22 maggio 2020 n. 97</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede l’adozione delle necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata «la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti» anziché «la assoluta impossibilità di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità».</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.– Le due ordinanze di rimessione censurano la stessa disposizione ed evocano i medesimi parametri costituzionali. I relativi giudizi vanno perciò riuniti, per essere decisi con un’unica sentenza.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.– Il giudice a quo solleva le ricordate questioni di legittimità costituzionale dopo aver individuato, sulla base di un’univoca interpretazione testuale, il significato normativo della disposizione censurata, e dopo aver precisato che una diversa lettura è impedita proprio dal suo tenore letterale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Al lume della giurisprudenza costituzionale, va preliminarmente sottolineato che questo iter argomentativo, percorso in entrambe le ordinanze, è corretto e consente l’accesso al merito. Infatti, questa Corte afferma in modo ormai costante che, laddove il rimettente abbia considerato la possibilità di un’interpretazione idonea a eliminare il dubbio di legittimità costituzionale, e l’abbia motivatamente scartata, la valutazione sulla correttezza dell’opzione ermeneutica prescelta riguarda non già l’ammissibilità della questione sollevata, bensì il merito di essa (ex multis, sentenze n. 50 e n. 11 del 2020, n. 241 e n. 189 del 2019, sentenza n. 135 del 2018).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.– Con la legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), contenente un ampio ventaglio di interventi nella materia evocata dal titolo della legge stessa, appunto la sicurezza pubblica, è stata profondamente incisa anche la disciplina recata dall’art. 41-bis ordin. penit., attraverso una serie di modifiche volte chiaramente a irrigidire il regime carcerario speciale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Per la parte che qui particolarmente interessa, il comma 2-quater dell’art. 41-bis è stato modificato, eliminandosi ogni discrezionalità nella applicazione delle condizioni detentive speciali come è fatto palese dal tenore letterale della disposizione, secondo cui il provvedimento ministeriale di sospensione delle regole di trattamento carcerario «prevede», e non più «può prevedere», le misure dettagliate alle successive lettere (salvo quanto disposto dalla lettera a del medesimo comma, di cui si dirà più avanti al punto 8). La novella, in sostanza, elenca una serie di misure specifiche, che costituiscono il contenuto tipico e necessario del regime speciale (sentenze n. 186 del 2018 e n. 122 del 2017). Dette misure, frutto di una valutazione svolta in via generale, ex ante, dal legislatore, devono perciò essere obbligatoriamente applicate a tutti i detenuti sottoposti a tale regime.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tra le misure in questione figurano quelle disposte alla lettera f) dell’art. 41-bis, comma 2-quater, ordin. penit., oggetto del presente giudizio di legittimità costituzionale. Esse, pur assicurando anche ai detenuti in questione indispensabili momenti e forme di “socialità” intramuraria, circoscrivono queste relazioni all’interno di gruppi ristretti, costituiti da non più di quattro persone, limitandone altresì la durata massima.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>I gruppi di socialità rappresentano la modalità prescelta dal legislatore per conciliare, da una parte, la finalità essenziale del regime differenziato (evitare che i detenuti più pericolosi possano mantenere vivi i propri collegamenti con le organizzazioni criminali di riferimento) e, dall’altra, l’esigenza di garantire le accennate forme indispensabili di socialità.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In questa chiave, è soprattutto fatto carico all’amministrazione penitenziaria di adottare «tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La disposizione ha dunque l’obbiettivo essenziale di mantenere gli incontri intramurari all’interno di determinati “gruppi di socialità”, e di evitare invece contatti tra detenuti appartenenti a gruppi diversi. La composizione di ciascun singolo gruppo, sempre opportunamente modificabile secondo le esigenze che via via si presentino, è governata da complessi criteri (attualmente previsti al punto 3.1 della circolare del 2 ottobre 2017, n. 3676/6126, del DAP), ispirati alla necessità di evitare ogni occasione di rafforzamento delle consorterie criminali, nonché ogni possibilità che vengano scambiati con l’esterno ordini, informazioni e notizie.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Per questo, come si è detto, contenuto essenziale della citata lettera f) è la «assoluta impossibilità di comunicare fra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità», sul presupposto che, invece, una inevitabile relazione comunicativa possa svilupparsi fra i detenuti che al medesimo gruppo di socialità siano assegnati.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tuttavia, nella lettura del rimettente, assume distinto rilievo anche l’ulteriore divieto, relativo allo scambio di oggetti. Sintatticamente e morfologicamente separato dal primo, esso assume un significato non già servente e accessorio al divieto di comunicazioni tra detenuti assegnati a gruppi diversi, ma una portata normativa autonoma, con efficacia per tutti i detenuti soggetti al regime speciale, pur se appartenenti al medesimo gruppo di socialità, impedendo perciò lo scambio di oggetti anche tra i detenuti già autorizzati a trascorrere insieme, all’interno del carcere, alcune ore della giornata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Per vero, tale distinta portata non fu oggetto di esame nei lavori preparatori della ricordata legge n. 94 del 2009, e la stessa prima circolare DAP successiva a tale legge (4 agosto 2009, n. 286202, recante la disciplina dell’«[o]rganizzazione delle sezioni detentive adibite al contenimento di detenuti sottoposti al regime detentivo speciale») fornì una parafrasi non testuale della disposizione censurata, evidenziando la necessità di assicurare «la assoluta impossibilità di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Sta di fatto, però, ed è quel che conta, che la giurisprudenza di legittimità (a partire da Cassazione penale, sezione prima penale, 8 febbraio 2017, n. 5977) si è in seguito attestata sulla lettura accolta dalle ordinanze di rimessione, nel senso che «il divieto di scambio di oggetti ha portata generale e che, pertanto, non è ammessa una diversa interpretazione che ne restringa l’ambito applicativo al caso di eterogeneità dei gruppi di socialità» (così, in particolare, Cassazione penale, sezione prima penale, 16 settembre 2019, n. 38223).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>6.– Della disposizione così ricostruita nel suo significato normativo va pertanto vagliata la legittimità, alla luce dei parametri costituzionali evocati dal rimettente.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Si tratta, così, di accertare se il divieto legislativo di scambiare oggetti, in quanto necessariamente applicato anche ai detenuti in regime differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialità, determini effetti congrui e proporzionati, sia rispetto alle finalità del regime stesso, sia ai limiti cui è soggetta la sua applicazione, quali delineati dalla costante giurisprudenza di questa Corte.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Quanto alle finalità, il regime differenziato previsto dall’art. 41-bis, comma 2, ordin. penit. mira a contenere la pericolosità di singoli detenuti, proiettata anche all’esterno del carcere, in particolare impedendo i collegamenti dei detenuti appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà: collegamenti che potrebbero realizzarsi attraverso i contatti con il mondo esterno che lo stesso ordinamento penitenziario normalmente favorisce, quali strumenti di reinserimento sociale (sentenze n. 186 del 2018, n. 122 del 2017 e n. 376 del 1998; ordinanze n. 417 del 2004 e n. 192 del 1998).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ciò che l’applicazione del regime differenziato intende soprattutto evitare è che gli esponenti dell’organizzazione in stato di detenzione, sfruttando l’ordinaria disciplina trattamentale, possano continuare (utilizzando particolarmente, in ipotesi, i colloqui con familiari o terze persone) a impartire direttive agli affiliati in stato di libertà, e così mantenere, anche dall’interno del carcere, il controllo sulle attività delittuose dell’organizzazione stessa (ancora sentenze n. 186 del 2018, n. 122 del 2017 e n. 143 del 2013).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Quanto ai limiti cui soggiace l’applicazione del regime differenziato, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che, in base all’art. 41-bis, comma 2, ordin. penit., è possibile sospendere solo l’applicazione di regole e istituti dell’ordinamento penitenziario che risultino in concreto contrasto con le richiamate esigenze di ordine e sicurezza. Correlativamente, ha affermato non potersi disporre misure che, a causa del loro contenuto, non siano riconducibili a quelle concrete esigenze, poiché si tratterebbe in tal caso di misure palesemente incongrue o inidonee rispetto alle finalità del provvedimento che assegna il detenuto al regime differenziato. Se ciò accade, non solo le misure in questione non risponderebbero più al fine in vista del quale la legge consente siano adottate, ma acquisterebbero un significato diverso, «divenendo ingiustificate deroghe all’ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale» (sentenza n. 351 del 1996).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>7.– Questa verifica, operata sulla disposizione censurata, fornisce esito negativo, sicché le sollevate questioni risultano fondate, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In lesione dell’art. 3 Cost., il divieto di scambiare oggetti, nella parte in cui si applica anche ai detenuti inseriti nel medesimo gruppo di socialità, non risulta né funzionale né congruo rispetto alla finalità tipica ed essenziale del provvedimento di sottoposizione del singolo detenuto al regime differenziato, consistente nell’impedire le sue comunicazioni con l’esterno. In queste condizioni, non è giustificata la deroga – da tale divieto disposta – alla regola ordinariamente valida per i detenuti, che possono scambiare tra loro «oggetti di modico valore» (art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 230 del 2000), e la proibizione in parola finisce per assumere un significato meramente afflittivo, in violazione anche dell’art. 27, terzo comma, Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Come meglio si dirà, infine, in ulteriore lesione dei parametri ricordati, il carattere non proporzionato del divieto in questione si evidenzia considerando la scelta legislativa di farne contenuto necessario del regime differenziato, da applicarsi – a prescindere dalle esigenze del caso concreto – ogni qualvolta sia disposto il provvedimento di assegnazione del detenuto al regime differenziato.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>7.1.– Questa stessa Corte ha riconosciuto – peraltro, in riferimento al diverso divieto di scambiare con l’esterno libri e riviste, quale risultante dall’applicazione delle misure di cui alle lettere a) e c) del comma 2-quater dell’art. 41-bis – che «qualsiasi oggetto si presta astrattamente ad assumere – per effetto di una precedente convenzione, per la sua valenza simbolica intrinseca o semplicemente per i rapporti interpersonali tra le parti – un determinato significato comunicativo, quando non pure a fungere da sostituto “anomalo” dell’ordinario supporto cartaceo per la redazione di messaggi, o da contenitore per celarli al suo interno» (sentenza n. 122 del 2017).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nel nostro caso, il significato simbolico o convenzionale insito nell’oggetto scambiato potrebbe efficacemente tradursi, in ipotesi, in una comunicazione da veicolare all’esterno, magari in occasione di un colloquio con familiari o (negli eccezionali casi in cui è consentito) terze persone.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>A ben vedere, tuttavia, questa prima giustificazione non convince, proprio sul piano della sua congruità all’obbiettivo.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il fatto è che i detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità hanno varie occasioni di comunicare qualsiasi messaggio tra loro in forma orale, senza poter essere ascoltati, salve le casuali percezioni degli agenti comunque presenti per sorvegliare gli spazi comuni, e salve le specifiche captazioni o intercettazioni ambientali, che tuttavia devono essere appositamente autorizzate dall’autorità giudiziaria. In quelle stesse occasioni, pur essendo sottoposti a continua videosorveglianza, i detenuti ben possono inoltre scambiare comunicazioni in forma gestuale, dal significato non facilmente intelligibile.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ciò accade nelle due ore giornaliere d’aria, nei cosiddetti “cortili passeggio”, ove è consentito svolgere esercizi fisici e portare solo pochissimi oggetti, per tipologie e quantità espressamente indicate. Accade altresì nelle comunicazioni da cella a cella, posto che, in base alle comuni regole del regime differenziato, le porte blindate delle camere di detenzione restano aperte dalle ore 7 alle ore 22 (d’estate) oppure fino alle ore 20 (d’inverno), e in questi orari ai detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità è consentito parlare tra loro, essendo le rispettive celle generalmente collocate non lontane l’una dall’altra.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>È abitualmente prevista, poi, la predisposizione di “salette” – adibite a biblioteca, palestra e sala hobby – per l’attività in comune di tipo culturale, ricreativo e sportivo, possibile per un’ora al giorno (secondo le turnazioni stabilite dalla direzione d’istituto) e attraverso strumenti messi a disposizione dall’amministrazione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>I “cortili passeggio” e le “salette” vengono peraltro perquisiti ogni qualvolta esce e accede un gruppo, e anche nella saletta e nella palestra è consentito portare solo pochi oggetti, per tipologia e quantità espressamente indicate.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In tutte queste occasioni di socialità, anche a non voler considerare i messaggi (in ipotesi inascoltati) dal contenuto inequivocabile, è ben immaginabile che il più criptico significato simbolico o convenzionale di un oggetto scambiato possa essere agevolmente sostituito da un’esternazione orale o gestuale, apparentemente casuale, ma in realtà dal contenuto chiaro (solo) all’altro detenuto che ascolta od osserva.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In ultima analisi, vale per questa ipotetica giustificazione del divieto – impedire la trasmissione all’esterno del carcere di messaggi funzionali all’attività criminale dell’organizzazione malavitosa – un giudizio di incongruità rispetto allo scopo, cui non può non accompagnarsi, di conseguenza, la sottolineatura del carattere inutilmente e meramente afflittivo della misura.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>È la stessa valutazione che questa Corte (sentenza n. 143 del 2013) ebbe a dare sui limiti di cadenza e di durata previsti dalla legge n. 94 del 2009 per i colloqui dei detenuti soggetti al regime differenziato con i propri difensori: non potendo, ovviamente, la disposizione cancellare del tutto quei colloqui, essa introduceva limiti suscettibili, bensì, di penalizzare la difesa, ma inutili a impedire, anche parzialmente, il temuto passaggio di direttive e informazioni tra il carcere e l’esterno. In quel caso – osservò la sentenza – alla indiscutibile compressione del diritto di difesa indotta dalla disposizione censurata, non corrispondeva un paragonabile incremento della tutela dell’interesse alla salvaguardia dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Anche in questo caso, in definitiva, alla certa compressione di una forma minima di socialità – estrinsecantesi, peraltro, nell’ambito di una cerchia assai ristretta di soggetti, e consistente nello scambio di cose di scarso valore e di immediata utilità, nella prospettiva di una (assai parziale) “normalità” di rapporti interpersonali – non corrisponde un accrescimento delle garanzie di difesa sociale e sicurezza pubblica.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Comprensibile se riferito a detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, il divieto in esame mostra la sua irragionevolezza se necessariamente applicato anche ai detenuti assegnati al medesimo gruppo.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>7.2.– La valutazione non muta nemmeno a considerare l’altra possibile ratio dell’applicazione del divieto all’interno del medesimo gruppo di socialità, laddove cioè si ritenga che la proibizione si giustifichi al fine d’impedire che taluno degli appartenenti al gruppo possa acquisire, attraverso lo scambio di oggetti, una posizione di supremazia nel contesto penitenziario, simbolicamente significativa nell’ottica delle organizzazioni criminali e da comunicare, come tale, all’esterno del carcere.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Questa Corte (sentenza n. 186 del 2018) ha in effetti già affermato che il manifestarsi, all’interno del carcere, di forme di “potere” dei detenuti più forti o più facoltosi, suscettibili anche di rafforzare le organizzazioni criminali, deve essere impedito «attraverso la definizione e l’applicazione rigorosa e imparziale delle regole del trattamento carcerario» e «non potrebbe, per converso, considerarsi legittimo, a questo scopo, l’impiego di misure più restrittive nei confronti di singoli detenuti in funzione di semplice discriminazione negativa, non altrimenti giustificata, rispetto alle regole e ai diritti valevoli per tutti».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>A tale proposito, la già ricordata regola generale, posta dall’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 230 del 2000, consente la cessione o lo scambio unicamente di beni di “modico valore”, sicché la possibilità di un utilizzo di beni di rilevante valore quale mezzo di accrescimento del potere in ambito carcerario è ragionevolmente da escludersi, già grazie all’applicazione della regola generale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nei giudizi a quibus, ad esempio, i beni che si intendevano scambiare con gli altri membri del gruppo di socialità consistevano in generi alimentari (zucchero, caffè et similia) o, comunque, di prima necessità (per l’igiene personale o la pulizia della cella) inviati dall’esterno – e quindi ulteriormente limitati ai sensi dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera c), ordin. penit. – o acquistati al cosiddetto sopravvitto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Osserva ancora l’Avvocatura generale dello Stato che lo scambio di oggetti può essere “imposto” all’interno del medesimo gruppo di socialità dal membro di maggiore caratura criminale, allo scopo di dimostrare, attraverso l’esercizio della capacità di costringere gli altri componenti a privarsi di beni essenziali e comunque posseduti in quantità limitata, la sua attitudine a mantenere, o rafforzare, la propria posizione di supremazia, creando “condizioni di sudditanza” all’interno del gruppo, anch’esse tanto più simbolicamente significative, nell’ottica delle organizzazioni criminali, in quanto comunicabili in varia forma all’esterno del carcere.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Anche a questo riguardo, tuttavia, l’applicazione delle regole penitenziarie specificamente dettate per i gruppi di socialità consente la costante osservazione dei gruppi e l’eventuale tempestiva modifica della loro composizione, che ben può essere suggerita proprio dalla rilevazione di un’anomala frequenza e unidirezionalità degli scambi.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In conclusione, la valutazione della ratio in parola non conduce a mutare le considerazioni già svolte, confermandosi anche sotto questo profilo la lesione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>8.– Così come non esiste un diritto fondamentale del detenuto sottoposto al regime differenziato a cuocere cibi (sentenza n. 186 del 2018), non esiste un suo diritto fondamentale a scambiare oggetti, nemmeno con i detenuti assegnati al suo stesso gruppo di socialità. E tuttavia, sia cuocere cibi, sia scambiare oggetti, sono facoltà dell’individuo, anche se posto in detenzione, che fanno parte di quei «piccoli gesti di normalità quotidiana» (ancora sentenza n. 186 del 2018), tanto più preziosi in quanto costituenti gli ultimi residui in cui può espandersi la libertà del detenuto stesso (analogamente, sentenza n. 349 del 1993, seguita dalle sentenze n. 20 e n. 122 del 2017 e n. 186 del 2018).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Pertanto, la compressione della possibilità di scambiare oggetti con gli altri detenuti del medesimo gruppo – espressione, questa, di una pur minimale facoltà di socializzazione – e la conseguente deroga all’applicazione delle regole ordinarie, potrebbe giustificarsi non in via generale e astratta, ma solo se esista, nelle specifiche condizioni date, la necessità in concreto di garantire la sicurezza dei cittadini, e la motivata esigenza di prevenire – come recita l’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera a), ordin. penit. – «contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni criminali contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre ad essa alleate».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Da questo punto di vista, l’applicazione necessaria e generalizzata del divieto di scambiare oggetti anche ai detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità, sconta il limite di essere frutto di un bilanciamento condotto ex ante dal legislatore, a prescindere, perciò, da una verifica in concreto dell’esistenza delle ricordate, specifiche, esigenze di sicurezza, e senza possibilità di adattamenti calibrati sulle peculiarità dei singoli casi.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>È, in definitiva, la previsione ex lege del divieto assoluto a costituire misura sproporzionata, anche sotto questo profilo in contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Invece, anche dopo la presente sentenza di accoglimento, in forza della disposizione di cui alla lettera a) del comma 2-quater dell’art. 41-bis, ordin. penit. – secondo cui la sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui al comma 2 può comportare «l’adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna» – resterà consentito all’amministrazione penitenziaria di disciplinare le modalità di effettuazione degli scambi tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo (ad esempio, qualora concernenti oggetti di cui non sia consentita la detenzione durante i momenti di socialità, prevedendo in proposito una annotazione in appositi registri), nonché di predeterminare le condizioni per introdurre eventuali limitazioni (con riferimento a certi oggetti che, più di altri, si prestano ad essere veicolo di comunicazioni difficilmente decifrabili, come già previsto, ad esempio, per il divieto – già disciplinato dalla citata circolare DAP del 2 ottobre 2017 in via autonoma rispetto a quello, generale, qui censurato – di scambiare libri o copie parziali tra detenuti).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Naturalmente, tali limitazioni dovrebbero risultare giustificate da precise esigenze, da motivare espressamente, e sotto questi profili ben potrebbero essere sindacate, di volta in volta, in relazione al caso concreto, dal magistrato di sorveglianza, in attuazione di quanto disposto dagli artt. 35-bis, comma 3, e 69, comma 6, lettera b), ordin. penit.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>9.– In definitiva, il divieto di scambiare oggetti prescritto dalla norma censurata, se applicato necessariamente a detenuti assegnati al medesimo gruppo di socialità, viola gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. Si giustifica perciò, ad opera di questa Corte, l’adozione di un dispositivo di accoglimento che riconduca la disposizione censurata entro i limiti del rispetto dei citati parametri costituzionali, ne elimini la necessaria applicazione anche ai detenuti che a tale medesimo gruppo siano assegnati, e ne circoscriva l’applicazione ai detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), ordin. penit., deve pertanto essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede l’adozione delle necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata «la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti» anziché «la assoluta impossibilità di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità».</em></p>