<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><em>La sentenza ripercorre brevemente la struttura normativa a difesa del consumatore circa le pratiche commerciali scorrette, soffermandosi particolarmente sulla definizione delle stesse e sulla loro natura quale genus unitario di illecito. Assodata tale prospettiva e chiarite le diverse categorie individuabili all’interno della generica “pratica scorretta”, la Corte analizza anche i criteri di valutazione della diligenza e la competenza del Giudice all’interpretazione della norma generica.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <h2 style="text-align: justify;">Principio di diritto</h2> <p style="text-align: justify;"><em>Le “pratiche commerciali scorrette” costituiscono un genus unitario di illecito, i cui elementi costitutivi sono definiti dall’art. 20, comma 2. All’interno della fattispecie generale, il legislatore ha “ritagliato” ‒ per finalità di semplificazione probatoria ‒ due sottotipi (e all’interno di ciascuno di essi, due ulteriori fattispecie presuntive) che si pongono in rapporto di specialità (per specificazione) rispetto alla prima.</em></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Consiglio di Stato, VI, sentenza del 14.04.2020, n. 2414</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <h3 style="text-align: justify;">Testo rilevante della decisione</h3> <p style="text-align: justify;">1.1.‒ Con il primo motivo di appello, l’Autorità lamenta che la sentenza, nella parte in cui considera necessaria la prova del vantaggio del professionista nonché la prova del pregiudizio del consumatore, si baserebbe su di un’interpretazione fuorviante delle disposizioni del diritto dell’Unione europea e nazionale in materia di pratica commerciale scorretta.</p> <p style="text-align: justify;">1.2.‒ Con il secondo motivo, l’Autorità assume inoltre che la sentenza non avrebbe tenuto conto del fatto che qui si discorre di un “illecito di pericolo”, in cui occorrerebbe avere riguardo soltanto alla incidenza potenziale della pratica sulle scelte dei consumatori.</p> <p style="text-align: justify;">1.4.‒ Da ultimo, posto che la valutazione della diligenza professionale cui è tenuto un professionista in uno specifico settore costituirebbe una valutazione tecnico-discrezionale dell’Autorità sindacabile dal giudice amministrativo soltanto sotto il profilo della congruenza logica e della razionalità, il giudice di prime cure avrebbe errato nella valutazione delle misure poste in essere dall’operatore.</p> <p style="text-align: justify;">2.‒ I motivi appena passati in rassegna, da trattarsi congiuntamente, non possono essere accolti.</p> <p style="text-align: justify;">3.– Con il termine “secondary ticketing” <strong>si suole indicare la diffusione di mercati “paralleli”</strong> a quelli ufficialmente autorizzati, in cui si offrono in vendita i titoli di accesso ad eventi spettacolistici di varia natura, ad un prezzo maggiorato rispetto a quello determinato dall’organizzatore. La domanda dei mercati “secondari” è alimentata dal fatto che, nelle manifestazioni con artisti di grande richiamo, la richiesta di biglietti supera ampiamente l’offerta, determinando un rapido esaurimento degli stessi sul mercato primario.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Il fenomeno non desta preoccupazione quando il meccanismo suddetto intende semplicemente favorire lo scambio</strong> tra chi ha acquistato un biglietto per un evento al quale non può più partecipare e chi non è riuscito a trovarlo sul mercato primario. Desta invece allarme sociale l’acquisto massivo di biglietti da parte di organizzazioni, che si servono di software creati appositamente (c.d. ticketbots), che poi li rivendono a prezzi maggiorati.</p> <p style="text-align: justify;">Questa peculiare forma di bagarinaggio online ha ricevuto solo recentemente una specifica disciplina, attraverso i commi 545 e 546 dell’art. 1, della legge 11 dicembre 2016, n. 232.</p> <p style="text-align: justify;">Le disposizioni in commento hanno previsto l’applicazione, salvo che il fatto non costituisca reato, di sanzioni pecuniarie (di importo da 5.000 euro a 180.000 euro) in ordine alla «vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetto diverso dai titolari, anche sulla base di apposito contratto o convenzione, dei sistemi per la loro emissione».</p> <p style="text-align: justify;">Per le condotte effettuate attraverso le reti di comunicazione elettronica, viene inoltre disposta «la rimozione dei contenuti, o, nei casi più gravi, con l’oscuramento del sito internet attraverso il quale la violazione è stata posta in essere, fatte salve le azioni risarcitorie».</p> <p style="text-align: justify;">Il legislatore, se da un lato ha chiarito che gli unici soggetti legittimati a vendere i titoli di accesso per eventi spettacolistici sono gli organizzatori degli stessi, nonché i titolari di biglietterie automatizzate da questi incaricate alla vendita, dall’altro <strong>ha avuto cura di escludere che l’illecito sia configurabile in presenza di transazioni tra utenti finali:</strong> in particolare, non è suscettibile di sanzione la vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo «effettuata da una persona fisica in modo occasionale, purché senza finalità commerciali».</p> <p style="text-align: justify;">4.1.‒ L’espressione «pratiche commerciali scorrette» designa le condotte che formano oggetto del divieto generale sancito dall’art. 20 del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (Codice del consumo), in attuazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, n. 2005/29/CE. <strong>La finalità perseguita dalla direttiva europea</strong> consiste nel garantire, come si desume dal «considerando 23», un elevato livello comune di tutela dei consumatori, procedendo ad un’armonizzazione completa delle norme relative alle pratiche commerciali sleali delle imprese, ivi compresa la pubblicità sleale, nei confronti dei consumatori.</p> <p style="text-align: justify;">Per «pratiche commerciali» ‒ assoggettate al titolo III della parte II del Codice del consumo ‒ si intendono tutti i comportamenti tenuti da professionisti che siano oggettivamente «correlati» alla «promozione, vendita o fornitura» di beni o servizi a consumatori, e posti in essere anteriormente, contestualmente o anche posteriormente all’instaurazione dei rapporti contrattuali.</p> <p style="text-align: justify;">Nella trama normativa, tale definizione generale di pratica scorretta si scompone in due diverse categorie: le pratiche ingannevoli (di cui agli artt. 21 e 22) e le pratiche aggressive (di cui agli artt. 24 e 25). <strong>Il legislatore ha inoltre analiticamente individuato una serie di specifiche tipologie di pratiche commerciali</strong> (le c.d. ‘liste nere’) da considerarsi sicuramente ingannevoli e aggressive (art. 23 e 26, cui si aggiungono le previsioni ‘speciali’ di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 21 e all’art. 22-bis), senza che si renda necessario accertare la sua contrarietà alla «diligenza professionale» nonché dalla sua concreta attitudine «a falsare il comportamento economico del consumatore».</p> <p style="text-align: justify;">4.2.‒ Il tema inedito posto all’attenzione del Collegio è quello di comprendere se il citato art. 20, comma 2, vada intesa come una mera clausola “ricognitiva” delle pratiche commerciali ingannevoli ed aggressive ‒ rispetto alle quali la definizione generale sarebbe rilevante solo a fini interpretativi ‒ oppure integri essa stessa una “fattispecie” di illecito, dotata di autonoma portata disciplinare, cui attingere in via residuale.</p> <p style="text-align: justify;">Ebbene, la lettura sistematica del titolo III della Parte seconda del codice del consumo rende certi che le “pratiche commerciali scorrette” costituiscono un genus unitario di illecito, i cui elementi costitutivi sono definiti dall’art. 20, comma 2. All’interno della fattispecie generale, il legislatore ha “ritagliato” ‒ per finalità di semplificazione probatoria ‒ due sottotipi (e all’interno di ciascuno di essi, due ulteriori fattispecie presuntive) che si pongono in rapporto di specialità (per specificazione) rispetto alla prima.</p> <p style="text-align: justify;">4.3.‒ Acclarato che era ben possibile per l’Autorità ricorrere alla definizione generale di pratica commerciale scorretta per sanzionare violazioni della diligenza professionale diverse dalla ingannevolezza e dalla aggressività, vanno fatte due ulteriori considerazioni.</p> <p style="text-align: justify;">In primo luogo, non osta alla configurabilità dell’illecito l’assenza di un contatto “negoziale” tra la Società ed il consumatore che ha risentito il pregiudizio finale. Nel contenuto della «diligenza professionale» ‒ nozione autonoma rispetto a quella del codice civile, dove costituisce parametro di valutazione dell’esattezza dell’adempimento di obbligazioni ‒ rientrano anche gli adempimenti organizzativi che il rivenditore deve porre in essere per contrastare o almeno contenere il fenomeno di quanti acquistano massivamente per poi rivendere sul mercato secondario.</p> <p style="text-align: justify;">5.‒ Prima di procedere alla verifica in concreto dell’illecito contestato, va sottolineata <strong>l’erroneità della tesi dell’appellante secondo cui la valutazione della diligenza professionale, cui è tenuto un professionista in uno specifico settore di riferimento, costituirebbe una valutazione tecnico-discrezionale dell’Autorità</strong>, sindacabile dal giudice amministrativo soltanto sotto il profilo della congruenza logica e della razionalità.</p> <p style="text-align: justify;">L’Autorità sembra invocare, per se stessa, una posizione soggettiva di intangibilità mutuata dall’apparato concettuale del “merito amministrativo”, con il corollario di un controllo giudiziale ristretto a un approccio esterno ed estrinseco.</p> <p style="text-align: justify;">Sennonché, tale impostazione ‒ alla luce della quale spetterebbe all’Autorità l’interpretazione e l’applicazione della norma sanzionatoria, residuando al giudice amministrativo solo la possibilità di vagliare l’esemplificazione del concetto indeterminato contenuta nel provvedimento ‒ finirebbe per frapporre una distanza tra il giudice amministrativo ed i fatti controversi che la giurisprudenza di questa Sezione ha da tempo inteso colmare (cfr. nel campo delle sanzioni antitrust, la sentenza del Consiglio di Stato n. 4990 del 2019).</p> <p style="text-align: justify;">Quando il fatto produttivo di effetti giuridici ‒ la fattispecie dell’illecito ‒ è descritto dalla norma mediante elementi normativi indeterminati, spetta al giudice l’opera di estrapolazione della regola dalla clausola generale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Lorenzo Quadrini</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>