<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 21 luglio 2020 n. 158</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), come modificato dall’art. 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), e dall’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), sollevate dalla Corte di cassazione, sezione quinta civile, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sotto un distinto profilo.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ad avviso della difesa statale il rimettente non avrebbe sufficientemente argomentato le ragioni per le quali non sarebbe possibile pervenire a un’interpretazione costituzionalmente conforme del censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, nella parte in cui prevede che l’applicazione dell’imposta debba prescindere dagli elementi extratestuali e dagli atti collegati a quello presentato per la registrazione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In particolare, la difesa dello Stato sostiene che il divieto di far ricorso a elementi extratestuali o desumibili da atti collegati, avrebbe solo il significato di escludere la rilevanza degli elementi “fuori contesto” o “extravaganti” «rispetto alla volontà e agli effetti immediatamente desumibili» dall’atto da registrare, perché a questo non fanno alcun riferimento o comunque non incidono sui suoi effetti.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’eccezione è manifestamente infondata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’Avvocatura non considera che il rimettente ha espressamente escluso la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente conforme della norma censurata «per lettera, ratio e contesto di emanazione», considerandola «assolutamente inequivoca ed invalicabile nel prescrivere l’estromissione degli elementi extratestuali e degli atti collegati dall’opera di qualificazione negoziale».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tale argomentazione del rimettente rende ammissibili le questioni, perché, come ribadito anche di recente da questa Corte, «[a] fronte di adeguata motivazione circa l’impedimento ad un’interpretazione costituzionalmente compatibile, dovuto specificamente al “tenore letterale della disposizione”, […] “la possibilità di un’ulteriore interpretazione alternativa, che il giudice a quo non ha ritenuto di fare propria, non riveste alcun significativo rilievo ai fini del rispetto delle regole del processo costituzionale, in quanto la verifica dell’esistenza e della legittimità di tale ulteriore interpretazione è questione che attiene al merito della controversia, e non alla sua ammissibilità” (sentenza n. 221 del 2015)» (sentenza n. 217 del 2019).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ne segue che anche la suddetta eccezione sollevata dalla difesa dello Stato attiene al merito dell’interpretazione della disposizione censurata e non all’ammissibilità delle questioni.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.– Nel merito, le questioni inerenti alla violazione degli artt. 53 e 3 Cost. non sono fondate.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.1.– L’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, nell’attuale formulazione censurata, dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo l’intrinseca natura e secondo gli effetti giuridici dell’atto da registrare, indipendentemente dal titolo o dalla forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso (intesi quali effetti giuridici del negozio veicolato in un documento), prescindendo da quelli «extratestuali e dagli atti a esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.1.1.– Anche il rimettente muove da questa interpretazione letterale della norma censurata: tuttavia ritiene che essa comporti la denunciata violazione degli artt. 53 e 3 Cost. perché la preclusione della valutazione degli elementi extratestuali e degli atti collegati sarebbe in contrasto con il principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, principio che afferma essere implicato da detti parametri nonché «imprescindibile e […] storicamente radicato» nell’ordinamento tributario in genere e nella disciplina dell’imposta di registro in particolare.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Più precisamente, il giudice a quo oppone, alla novella censurata, l’interpretazione del previgente art. 20 del testo unico quale prospettata dal «vastissimo e del tutto consolidato» orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo cui:</em></p> <ol style="text-align: justify;"> <li style="font-weight: 400;"><em>a) la natura di “imposta d’atto” propria dell’imposta di registro, confermata dalla formulazione dell’art. 1 del d.P.R. n. 131 del 1986, relativo all’oggetto dell’imposta, «non osta alla valorizzazione complessiva di elementi interpretativi esterni e di collegamento negoziale», poiché per «atto presentato alla registrazione» deve intendersi l’insieme delle previsioni negoziali preordinate alla regolazione unitaria degli effetti giuridici derivanti dai vari negozi collegati;</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em>b) il recupero di elementi negoziali esterni e collegati all’atto presentato alla registrazione risponde all’esigenza di evidenziare la «causa reale di tale atto […] che, per sua natura, non può essere lasciata alla discrezionalità delle parti contribuenti né a quello che le parti abbiano dichiarato»;</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em>c) tale «processo di riqualificazione» discende dal richiamo degli istituti civilistici generali della «causa concreta» del contratto e del «collegamento negoziale», per cui, «pur conservando una loro causa autonoma, i diversi contratti legati dal loro collegamento funzionale sono finalizzati ad un unico regolamento dei reciproci interessi»;</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em>d) il riferimento testuale del censurato art. 20 agli «effetti giuridici» dell’atto non preclude che si attribuisca rilevanza a quello «scopo economico unitario» raggiunto dalle parti attraverso la combinazione e il coordinamento degli effetti giuridici dei singoli atti, così disvelandone l’«intrinseca natura»; peraltro, posto che la riqualificazione del contratto ai fini tributari «lascia comunque intatta la validità e l’efficacia del contratto stesso e dello schema negoziale liberamente prescelto dalle parti, risolvendosi unicamente nell’applicazione della disciplina impositiva più appropriata», nessuna menomazione, ai sensi dell’art. 41 Cost., è rilevabile in relazione alla «libera iniziativa economica» e all’«autonomia negoziale delle parti»;</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em>e) «l’espressa inclusione nell’art. 10-bis, comma 2, lettera a), legge n. 212/2000 della fattispecie di collegamento negoziale (invece mancante nella struttura testuale dell’art. 20)» non esclude che il collegamento negoziale continui a rilevare – al di fuori da considerazioni antielusive – «sul piano obiettivo della mera qualificazione giuridica», ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986.</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.1.2.– Il rimettente afferma, dunque, che nell’art. 20 il termine «atto» presentato alla registrazione va inteso come negozio complessivo, anche se non interamente espresso in un unico documento, e che per la sua interpretazione debbono necessariamente utilizzarsi tutti gli elementi extratestuali reperibili dall’interprete, compresi gli atti collegati contenuti in distinti documenti (ancorché non enunciati, né menzionati nell’atto presentato alla registrazione). Nella prospettazione del giudice a quo, questa interpretazione – esito della consolidata giurisprudenza di legittimità alla stregua della previgente formulazione dell’art. 20 – costituisce un dato necessitato in base alla Costituzione, cosicché «il dubbio verte proprio sul corretto esercizio della discrezionalità legislativa e sulla corretta applicazione delle scelte del legislatore tributario».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.1.3.– Tale interpretazione evolutiva, cui la giurisprudenza della Corte di cassazione è pervenuta circa la rilevanza della causa concreta del negozio ai fini della tassazione di registro, tuttavia, non equivale a priori a un’interpretazione costituzionalmente necessitata, come invece ritiene il rimettente.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In proposito deve essere innanzitutto sottolineato che, se certamente esula dal sindacato di questa Corte ogni valutazione circa la correttezza in sé della suddetta interpretazione evolutiva del previgente art. 20 fornita dalla Corte di cassazione in funzione nomofilattica, è invece compito di questa Corte costituzionale stabilire se detta interpretazione sia l’unica consentita dai predetti parametri costituzionali e, quindi, se l’esclusione dalla rilevanza interpretativa degli elementi extratestuali e degli atti collegati, disposta dal legislatore con i menzionati interventi normativi del 2017 e 2018, si ponga in contrasto con i medesimi parametri.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.2.– Nella specie, ad avviso di questa Corte, proprio muovendo dall’interpretazione del giudice a quo circa il significato da attribuire agli interventi legislativi del 2017 e del 2018, che hanno condotto all’attuale formulazione della norma censurata, è possibile ritenere compatibili con la Costituzione anche nozioni diverse, rispetto a quelle utilizzate dal rimettente, di «atto presentato alla registrazione» e di «effetti giuridici», in relazione alle quali considerare la capacità contributiva, tenendo conto dell’individuazione delle voci in tariffa distintamente stabilite dal testo unico dell’imposta di registro.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tali possibili diverse nozioni, convalidate dalla novella censurata, riguardano lo stesso presupposto d’imposta individuato dall’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, che deve essere vagliato alla luce della disciplina del tributo nel suo complesso.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Va però preliminarmente ribadito che il senso fatto palese dal significato proprio delle parole della disposizione denunciata (secondo la loro connessione), i correlativi lavori preparatori (in particolare la relazione illustrativa all’art. 1, comma 87, della legge n. 205 del 2017) e tutti i comuni criteri ermeneutici (in particolare, quello sistematico) convergono univocamente nel far ritenere la disposizione oggetto delle questioni come intesa a imporre che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi «extratestuali e dagli atti ad esso collegati», salvo quanto disposto dagli articoli successivi del medesimo d.P.R. n. 131 del 1986.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Non può perciò essere accolta l’“interpretazione adeguatrice” prospettata dall’Avvocatura generale dello Stato nei suoi diversi scritti difensivi, secondo cui il divieto di far ricorso a elementi extratestuali o desumibili da atti collegati, avrebbe solo il significato di escludere la rilevanza degli elementi “fuori contesto” o “extravaganti” (cioè privi di riferimenti all’atto da registrare o con effetti non incidenti su questo), nonché di quelli sussumibili nell’art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente); interpretazione che confermerebbe – sempre secondo la difesa dello Stato – quella del previgente art. 20 del testo unico fornita dal prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In particolare, deve osservarsi che: a) la lettera delle disposizioni censurate non pone la incerta distinzione, nell’àmbito degli elementi extratestuali, tra quelli “fuori contesto” o all’“interno del contesto”; b) l’«interpretazione adeguatrice», ove comportasse la sostanziale conferma dell’originaria interpretazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 fornita dalla prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione, si risolverebbe in un’arbitraria e illogica interpretatio abrogans delle disposizioni censurate.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.2.1.– In proposito è opportuno precisare che lo stesso rimettente dà conto che le questioni attengono a temi con radici storiche ben risalenti nel diritto tributario.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’originaria disciplina (art. 7 della legge 21 aprile 1862, n. 585, recante «Sulla tassa di Registro») disponeva, infatti, che «[l]a tassa è applicata secondo la intrinseca natura degli atti e dei contratti, e non secondo la loro forma apparente» (poi trasfusa nell’art. 8 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3269, recante «Approvazione del testo di legge di registro»). Già questa formulazione aveva sollecitato, a partire dai primi decenni del Novecento, un vivacissimo dibattito tra chi sosteneva fermamente la necessità di una considerazione della sostanza economica sottostante all’attività giuridica espressa negli atti e chi invece la negava in radice, propendendo a favore di un criterio di tassazione fondato sugli effetti giuridici (seppur potenziali e oggettivizzati) degli schemi negoziali utilizzati.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il legislatore sembrò, anni dopo, chiudere quel dibattito – che si era riflesso anche nella giurisprudenza – quando, con la riforma tributaria si inserì, con il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell’imposta di registro), all’art. 19 relativo all’«interpretazione degli atti», l’esplicito riferimento agli «effetti giuridici», espressione poi recepita dall’attuale testo unico all’art. 20.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tuttavia, dopo alcuni decenni, soprattutto col diffondersi della prospettiva del contrasto all’abuso del diritto, nella giurisprudenza di legittimità è riemersa un’interpretazione sostanzialista che si è, invero, sviluppata in modo complesso. In particolare, dapprima – e il rimettente ne dà conto – consolidandosi nel sostenere la natura antielusiva dell’art. 20 e, successivamente (con l’introduzione dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000 recante la disciplina sostanziale e procedimentale per l’accertamento dell’abuso del diritto e dell’elusione d’imposta), convergendo sull’affermazione che l’art. 20 detta una regola meramente interpretativa e non antielusiva, ma tale da consentire in ogni caso di individuare la «reale operazione economica» perseguita dalle parti, in ragione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ciò, comunque, non ha impedito l’insorgere di un isolato contrasto nella giurisprudenza di legittimità, quando si è affermato – in difformità dall’orientamento prevalente – che la riqualificazione «non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici» (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 27 gennaio 2017, n. 2054, successivamente richiamata dalla Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 15 gennaio 2019, n. 722, quest’ultima a sua volta ripresa dalla Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 10 marzo 2020, n. 6790, dove peraltro riaffiora la natura antielusiva dell’art. 20).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Anche in conseguenza di tale contrasto (la citata sentenza della Corte di cassazione n. 2054 del 2017 è menzionata nella relazione illustrativa all’art. 1, comma 87, della legge n. 205 del 2017), il legislatore tributario è intervenuto sull’art. 20 stabilendo espressamente – in sostanziale adesione alla giurisprudenza minoritaria della Corte di cassazione – che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, si debba prescindere dagli elementi «extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.2.2.– A ben vedere, tale presa di posizione del legislatore, nel confermare la tassazione isolata del negozio veicolato dall’atto presentato alla registrazione secondo gli effetti giuridici da esso desumibili, si mostra coerente con i principi ispiratori della disciplina dell’imposta di registro e, in particolare, con la natura di “imposta d’atto” storicamente riconosciuta al tributo di registro dopo la sostanziale evoluzione da tassa a imposta.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Per quanto possa apparire, de iure condendo, in parte obsoleta rispetto all’evoluzione delle tecniche contrattuali, tale natura non risulta superata dal legislatore positivo tenuto conto dell’attuale impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In tale contesto, il censurato intervento normativo appare finalizzato a ricondurre il citato art. 20 all’interno del suo alveo originario, dove l’interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione (ovverossia al gestum, rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al testo unico), senza che possano essere svolte indagini circa effetti ulteriori, salvo che ciò sia espressamente stabilito dalla stessa disciplina del testo unico.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Mette conto, infatti, precisare che, proprio la clausola finale del censurato art. 20 «salvo quanto disposto dagli articoli successivi» concorre ad avvalorare la suddetta valenza sistematica dell’intervento legislativo del 2017 nell’assetto della disciplina del tributo. Invero, per effetto della novella, le ipotesi riconducibili all’accezione restrittiva generale della nozione di «atto» presentato alla registrazione sono individuabili solo al di fuori di quelle, espressamente regolate dallo stesso testo unico, che ammettono la rilevanza degli effetti di separati atti o fatti collegati o, in altri termini, di vicende rientranti nel complessivo programma di azione costituito da un precedente negozio, che incideranno sul regime fiscale di quest’ultimo o comporteranno trattamenti d’imposta diversificati.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.2.3.– Pertanto, il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico. In tal modo risulta rispettata la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, coerenza sulla cui verifica verte il giudizio di legittimità costituzionale (su tale esigenza, ex multis, sentenze n. 10 del 2015, n. 116 del 2013, n. 223 del 2012 e n. 111 del 1997).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ne consegue che le questioni prospettate con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. sono non fondate, in quanto si basano sull’assunto del rimettente che, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, i fatti espressivi della capacità contributiva, indicati negli effetti giuridici desumibili, anche aliunde, dalla causa concreta del negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, sono i soli costituzionalmente compatibili con gli evocati parametri.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>È proprio tale assunto che non può essere accolto: tali parametri, infatti, sul piano della legittimità costituzionale non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, senza alcun rilievo di elementi tratti aliunde, «salvo quanto disposto dagli articoli successivi» dello stesso testo unico.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In tal modo, del resto, il criterio di qualificazione e di sussunzione in via interpretativa risulta omogeneo a quello della tipizzazione, secondo le regole del testo unico e in ragione degli effetti giuridici dei singoli atti distintamente individuati dal legislatore nelle relative voci di tariffa ad esso allegata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.2.4.– Non varrebbe, infine, obiettare che la normativa di cui si discute, escludendo (salvo per le ipotesi espressamente regolate dal testo unico) la rilevanza interpretativa sia di elementi extratestuali, sia del collegamento negoziale, potrebbe favorire l’ottenimento di indebiti vantaggi fiscali sottraendo all’imposizione, in violazione degli evocati parametri costituzionali, «l’effettiva ricchezza imponibile».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In proposito va sottolineato che detta sottrazione potrebbe rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto. Tuttavia lo stesso rimettente esclude decisamente (indicando a sostegno «l’indirizzo più recente» della giurisprudenza di legittimità) che l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 abbia una specifica funzione antielusiva e nel percorso motivazionale dell’ordinanza di rimessione non si sofferma sull’esistenza e applicabilità in concreto delle singole discipline antiabuso anteriori all’introduzione nell’ordinamento – sopravvenuta rispetto alla fattispecie oggetto del giudizio a quo – della esplicita clausola generale di cui all’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000 (espressamente richiamato per il sistema dell’imposta di registro dall’attuale formulazione dell’art. 53-bis del d.P.R. n. 131 del 1986).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Una volta constatato, per quanto sopra detto, che non è manifestamente arbitrario che il legislatore abbia ribadito la ratio dell’imposta di registro in sostanziale conformità alla sua origine storica di “imposta d’atto” nei sensi sopra precisati, in caso di collegamento negoziale, qui può solo osservarsi, sul piano costituzionale, che l’interpretazione evolutiva, patrocinata dal rimettente, di detto art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000. Infatti, consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.2.5.– In conclusione, la disciplina censurata non si pone in contrasto né con il principio di capacità contributiva, né con quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria, con conseguente non fondatezza delle sollevate questioni.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Resta ovviamente riservato alla discrezionalità del legislatore provvedere – compatibilmente con le coordinate stabilite dal diritto dell’Unione europea – a un eventuale aggiornamento della disciplina dell’imposta di registro che tenga conto della complessità delle moderne tecniche contrattuali e dell’attuale stato di evoluzione tecnologica, con riguardo, in particolare, sia al sistema di registrazione degli atti notarili, sia a quello di gestione della documentazione da parte degli uffici amministrativi finanziari.</em></p>