<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 29 luglio 2020 n. 172</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, lettera g), della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale); va invece dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, lettera e), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione; va poi dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 79 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera h), Cost..</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale) e, tra queste, degli artt. 20, comma 1, lettera g), 32, comma 1, lettera e), e 79, per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.− L’art. 20, comma 1, lettera g), della legge regionale impugnata, aggiungendo il comma 3-bis all’art. 42 della legge della Regione Lazio 7 dicembre 1990, n. 87 (Norme per la tutela del patrimonio ittico e per la disciplina dell'esercizio della pesca nelle acque interne del Lazio), prevede che il rilascio e il rinnovo della qualifica di guardia giurata ittica volontaria può essere riconosciuto a coloro che abbiano riportato condanne per «reati puniti con la sola pena pecuniaria».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>A parere del ricorrente esso violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in materia di ordine pubblico e sicurezza, in relazione all’art. 31 del regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1604 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla pesca), il quale dispone che gli agenti giurati addetti alla sorveglianza sulla pesca nelle acque interne devono possedere i requisiti previsti dall’art. 138 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante «Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza» (da ora: TULPS) per le guardie particolari giurate, tra i quali vi è quello di «non avere riportato condanna per delitto».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La norma gravata, nel consentire che la qualifica di guardia giurata possa essere rilasciata o rinnovata anche a chi ha riportato condanna a una pena pecuniaria, senza operare alcuna distinzione tra multa e ammenda, ammetterebbe anche chi sia stato condannato per un delitto.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.− La questione è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.− Va escluso al riguardo che sia risolutiva la possibilità – prospettata dalla Regione – di una lettura costituzionalmente orientata della disposizione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È pur vero che il comma 3-bis in questione afferma: «Fermo restando quanto previsto dall’articolo 138, primo comma, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) e successive modifiche», ma la perentoria affermazione che segue, secondo cui il rilascio e il rinnovo della qualifica di guardia giurata ittica volontaria non sono preclusi nei confronti di coloro che abbiano riportato condanne per reati puniti con la sola pena pecuniaria, oltre ad essere ragione di ingiustificata incertezza, comporta una novazione della fonte, con intrusione negli ambiti di competenza esclusiva statale, che costituisce di per sé causa di illegittimità della norma regionale (ex plurimis, sentenze n. 110 del 2018, n. 40 del 2017, n. 234 e n. 195 del 2015, n. 35 del 2011 e n. 26 del 2005).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.− Ne consegue l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, lettera g), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.− Altra norma impugnata è l’art. 32, comma 1, lettera e), della medesima legge regionale, che sostituisce l’art. 17 della legge della Regione Lazio 29 novembre 2006, n. 21, recante «Disciplina dello svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande. Modifiche alla L.R. 6 agosto 1999, n. 14 (Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo) e alla L.R. 18 novembre 1999, n. 33 (Disciplina relativa al settore del commercio) e successive modifiche».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.1.− Oggetto delle censure è in particolare il comma 3 dell’articolo sostituito, nella parte in cui dispone che il Comune può, con ordinanza, prevedere limiti e condizioni agli orari di apertura e chiusura dei pubblici esercizi, per gravi e urgenti motivi relativi all’ordine pubblico e alla sicurezza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.− Il comma è stato dapprima modificato ad opera dell’art. 16, comma 9, della legge della Regione Lazio 20 maggio 2019, n. 8 (Disposizioni finanziarie di interesse regionale e misure correttive di leggi regionali varie), e successivamente abrogato dall’art. 107, comma 1, lettera ll), della legge della Regione Lazio 6 novembre 2019, n. 22 (Testo Unico del Commercio), il quale, alla lettera mm), ha abrogato anche il comma 9 dell’art. 16 della legge reg. Lazio n. 8 del 2019, relativamente alle modifiche apportate alla legge reg. Lazio n. 21 del 2006.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.1.− In considerazione di tutto questo, il Presidente del Consiglio dei ministri, con memoria depositata il 13 maggio 2020, ha rinunciato all’impugnazione limitatamente a tale disposizione e, il successivo 4 giugno, con nuova memoria, ha chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere, pur in assenza di accettazione della rinuncia. La Regione, a sua volta, in sede di udienza pubblica, ha dichiarato che nulla osta a questa definizione del giudizio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>8.− Si concorda su tale conclusione, ricordando che, come di recente affermato dalla Corte, in ipotesi di intervenuta abrogazione della disposizione impugnata, dopo l’instaurazione del giudizio, a fronte della rinuncia al ricorso da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, «[n]on essendo pervenuta da parte della Regione resistente l’accettazione della rinuncia, né risultando un suo interesse a coltivare il giudizio, si può dichiarare cessata la materia del contendere (sentenze n. 94 del 2018 e n. 19 del 2015, ordinanza n. 62 del 2015)» (sentenza n. 171 del 2019).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.− Oggetto della terza questione è l’art. 79 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, il quale sostituisce il comma 1 dell’art. 23 della legge della Regione Lazio 3 novembre 2015, n. 14 (Interventi regionali in favore dei soggetti interessati dal sovraindebitamento o vittime di usura o di estorsione). La norma, prevedendo interventi regionali a favore delle vittime di estorsione, si porrebbe in contrasto con la disciplina statale di cui alla legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura) e alla legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il ricorrente ricorda che quest’ultima legge prevede, all’art. 14, comma 1, la concessione in favore delle vittime dell’usura di un mutuo senza interessi da restituire in rate decennali e che la legge n. 44 del 1999, all’art. l, stabilisce che «ai soggetti danneggiati da attività estorsive è elargita una somma di denaro a titolo di contributo al ristoro del danno patrimoniale subito, nei limiti e alle condizioni stabiliti dalla presente legge». In particolare, poi, il comma 1-bis dell’art. 12 della legge n. 44 del 1999 dispone la non cumulabilità con precedenti risarcimenti o rimborsi a qualunque titolo da parte di altre amministrazioni pubbliche e il comma 2-bis del successivo art. 16 stabilisce la revoca totale o parziale dell’elargizione al sopravvenire di tale risarcimento o rimborso ovvero di un rimborso assicurativo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>A detta dell’Avvocatura, la disposizione gravata, «nel prevedere, genericamente, un distinto intervento regionale per il contrasto all’estorsione ed all’usura», creerebbe una duplicazione di benefici a ristoro del medesimo evento dannoso, ponendosi in contrasto con le ricordate norme statali – dirette a scongiurare ogni possibile sovrapposizione rispetto ad analoghi benefici eventualmente previsti dalle legislazioni regionali – e violerebbe pertanto il principio del buon andamento dell’azione amministrativa della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nonché l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in materia di ordine pubblico e sicurezza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sotto questo secondo profilo, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che le attribuzioni regionali devono necessariamente ricondursi alla realizzazione degli interventi già previsti quali, ad esempio, le azioni di sostegno psicologico, di assistenza e tutela in favore di vittime o potenziali vittime o attività sensibilizzazione sui temi in argomento.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>10.− La questione va dichiarata inammissibile.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>10.1.− La norma impugnata ha un contenuto di carattere esclusivamente finanziario: sostituisce l’art. 23 della legge della Regione Lazio 3 novembre 2015, n. 14 (Interventi regionali in favore dei soggetti interessati dal sovraindebitamento o vittime di usura o di estorsione), rubricato «Disposizioni finanziarie», e individua il Fondo destinato alla copertura degli oneri finanziari della medesima legge reg. Lazio n. 14 del 2015.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va d’altra parte escluso che la scelta di impugnare l’art. 79 sia frutto di un mero errore materiale di indicazione della disposizione gravata, come tale ininfluente ai fini dell’ammissibilità delle questioni (ex multis, sentenza n. 225 del 2018).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, nella memoria depositata il 4 giugno 2020, ha dedotto la non fondatezza dell’eccezione di inammissibilità della Regione Lazio per la mancata contestuale impugnazione del precedente art. 78, ribadendo che oggetto di contestazione è proprio e solo il successivo art. 79 indicato nel ricorso; così rimarcando che non sono contestati gli interventi in favore delle vittime dell’estorsione previsti dalle norme regionali, in quanto rientranti nella competenza regionale, e che a risultare lesivo dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. sarebbe invece lo stanziamento di fondi con conseguente duplicazione degli interventi.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La tesi non è convincente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La lesione denunciata – individuata dallo stesso ricorrente nella «duplicazione di benefici a ristoro del medesimo evento dannoso» e nella previsione di un «distinto intervento regionale per il contrasto all’estorsione e all’usura» – deriva in realtà dall’art. 78, quale disposizione sostanziale che estende alle vittime del reato di estorsione i benefici (economici) previsti a favore delle vittime dell’usura, e non dalla copertura finanziaria degli oneri derivanti da tale estensione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>10.2.− Ciò comporta l’inesatta identificazione della norma da censurare e, per costante giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 39 del 2020 e n. 241 del 2012), si deve pertanto concludere per l’inammissibilità della questione.</em></p>