<p style="font-weight: 400;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 31 luglio 2020 n. 190</strong></p> <p style="font-weight: 400;"><strong><em>Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, sollevate dal Tribunale ordinario di Torino, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 27, terzo comma, Cost.; va invece dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., sollevata dal Tribunale ordinario di Torino in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400;"><em>2.– I tre giudizi di legittimità costituzionale hanno ad oggetto la stessa disposizione, censurata in relazione a parametri costituzionali in gran parte coincidenti, sotto profili analoghi e con argomentazioni sovrapponibili. Ponendo, pertanto, le stesse questioni, vanno riuniti e definiti con un’unica pronuncia.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>3.– In tutti i propri atti di intervento l’Avvocatura generale dello Stato chiede, in via preliminare, che le questioni vengano dichiarate inammissibili. Tale richiesta, tuttavia, è motivata esclusivamente con argomenti di merito, volti a negare l’irragionevolezza della disposizione censurata o il difetto di proporzionalità della sanzione edittale. Le relative eccezioni, di conseguenza, vanno respinte.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Si deve peraltro rilevare una diversa ragione di inammissibilità concernente la questione sollevata, nel giudizio introdotto dall’ordinanza r.o. n. 241 del 2019, con riguardo al primo comma dell’art. 117 Cost., relativamente all’art. 49 della CDFUE.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Nella stessa CDFUE è espressamente stabilito, all’art. 51, che le disposizioni della Carta medesima «si applicano […] agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell'Unione». La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito, in coerenza con un costante orientamento della Corte di giustizia dell’Unione europea, che le norme sovranazionali in questione possono essere invocate nel giudizio di legittimità costituzionale solo a condizione che «la fattispecie sottoposta all'esame del giudice <strong>sia disciplinata dal diritto europeo</strong> […] e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto» (sentenza n. 80 del 2011).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Su tale premessa, si è più volte rilevato come il giudice rimettente sia chiamato a dare contezza delle ragioni per cui la disciplina censurata vale ad attuare il diritto dell’Unione. In mancanza, la prospettazione dei motivi di asserito contrasto tra la norma denunciata e il parametro costituzionale risulta <strong>generica</strong>, con conseguente inammissibilità della relativa questione (sentenze n. 279 del 2019, n. 37 del 2019, n. 194 del 2018, n. 111 del 2017, n. 63 del 2016).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Poiché l’ordinanza di rimessione iscritta al r.o. n. 241 del 2019 non contiene i riferimenti appena indicati, la questione concernente l’art. 117, primo comma, Cost., con essa sollevata, deve essere dichiarata inammissibile.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>4.– Come si è visto, le ordinanze di rimessione pongono anzitutto in evidenza profili di asserito contrasto fra l’art. 628, secondo comma, cod. pen., e l’art. 3 Cost., sia per lesione del principio di <strong>uguaglianza formale</strong>, sia per violazione del principio di <strong>ragionevolezza</strong>.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Tre sono, più precisamente, i profili sottolineati dai rimettenti.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>La prima censura scaturisce dalla comparazione tra la fattispecie di rapina impropria e quella di rapina propria, e attiene ai profili soggettivi delle condotte criminose. È qui contestata la parificazione del trattamento sanzionatorio nelle due ipotesi, in spregio a una differenza ritenuta invece fondamentale dai giudici a quibus: nella rapina propria, il ricorso alla violenza, quale mezzo per la sottrazione della cosa, sarebbe preordinato, se non addirittura premeditato, così da manifestare una forte intensità di dolo e una determinazione criminale particolarmente spiccata; per la rapina impropria, <strong>il ricorso alla violenza sarebbe invece soltanto eventuale</strong>, ed esprimerebbe un atteggiamento meno significativo sul piano della pericolosità, essendo in sostanza dovuto alla comprensibile volontà di sottrarsi alla punizione e di conservare la libertà.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>La seconda censura, sempre all’esito della comparazione tra rapina propria e impropria, riguarda la soglia prevista per la consumazione del reato. Nella prima fattispecie, è richiesto il completo perfezionamento dell’aggressione all’altrui patrimonio (non solo la sottrazione in danno della vittima, ma anche l’impossessamento a vantaggio del reo), mentre nella seconda il reato è integrato <strong>già solo dalla sottrazione della cosa</strong>, senza che sia necessaria l’instaurazione di una nuova situazione possessoria in capo all’agente: si sarebbe, dunque, in presenza di una <strong>lesione asseritamente meno grave</strong> del bene oggetto della tutela.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Mentre i due profili fin qui considerati dovrebbero condurre, nella logica dei rimettenti, alla differenziazione dei valori edittali di pena previsti al primo e al secondo comma dell’art. 628 cod. pen., la considerazione del terzo profilo di censura indurrebbe invece alla ricerca di una corrispondenza tra la sanzione per la rapina impropria e quella irrogabile per <strong>fatti di furto</strong>, cui facciano seguito reati finalizzati a evitare la punizione o ad assicurare il possesso già conseguito della cosa mobile altrui.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>A differenziare le due situazioni – notano i rimettenti – è attualmente il dato della “immediatezza”, o meno, della violenza o della minaccia rispetto al compimento della sottrazione. Tuttavia, a loro avviso, questa sola differenza non varrebbe a giustificare la diversità delle conseguenze sanzionatorie previste per l’una e per l’altra ipotesi. Ciò, anzitutto, perché la nozione di “immediatezza” sarebbe incerta e foriera di prassi giurisprudenziali divergenti. Inoltre, la (più o meno) immediata sequenza tra furto e violenza o minaccia non inciderebbe né sulla gravità obiettiva del fatto (resterebbero immutati i beni giuridici e le forme della loro lesione) né sui profili soggettivi del fatto medesimo (sempre segnati da un dolo di furto e dalla particolare strumentalità della violenza o della minaccia che al furto conseguono).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>5.– Secondo i giudici a quibus, i vulnera lamentati andrebbero superati non già attraverso la ricerca di una dosimetria sanzionatoria alternativa per il reato di cui all’art. 628, secondo comma, cod. pen., ma, più semplicemente, attraverso la radicale ablazione della previsione incriminatrice. La relativa dichiarazione di illegittimità costituzionale varrebbe, sia ad eliminare l’identico, e illegittimo, trattamento sanzionatorio di situazioni eterogenee, sia a introdurre un analogo trattamento per situazioni assimilabili, mediante la riespansione delle figure già confluite nel reato complesso e con la conseguente “sostituzione” della fattispecie di rapina impropria con quelle di furto e dei reati commessi “in sequenza” (violenza o resistenza a pubblico ufficiale, ad esempio).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>6.– Il percorso motivazionale dei rimettenti non può essere condiviso in nessuno dei suoi passaggi e le questioni di legittimità costituzionale così argomentate sono pertanto non fondate.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>6.1.– Non è vero, anzitutto, che le due condotte di rapina punite dall’art. 628 cod. pen. rivelino necessariamente differenze in termini di <strong>capacità criminale del soggetto agente</strong>.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>In entrambi i casi, si tratta di condotte consapevoli e volontarie, in cui l’oggetto del dolo comprende, sia l’impossessamento della cosa mobile altrui, sia il ricorso alla violenza o alla minaccia. In entrambi, soprattutto, le condotte sono considerate nel contesto unitario di una medesima aggressione patrimoniale.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>La diversa fisionomia del dolo dipenderà piuttosto, nel singolo caso, dal rapporto tra azione sulla cosa e condotta rivolta contro la persona, con la conseguenza che, nella rapina impropria, il dolo potrà eventualmente indirizzarsi, più che sul consolidamento della situazione possessoria, sul conseguimento dell’impunità. Nondimeno, anche nella rapina impropria, l’aggressione contro l’incolumità o la libertà morale della vittima può essere finalizzata a conseguire l’impossessamento della cosa, perfino in situazioni in cui non sarebbe affatto necessaria per evitare la punizione (ad esempio, quando la persona offesa – sorpresa in un luogo solitario – tenti il recupero delle cose sottratte senza la volontà o la possibilità di fermare l’agente).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>In secondo luogo, è arbitraria tanto la generalizzazione per cui il rapinatore punibile ai sensi del primo comma dell’art. 628 cod. pen. agisce sempre secondo una volontà preordinata di ricorso alla violenza (se non addirittura in una condizione di vera “premeditazione”), quanto l’analoga generalizzazione che vede il responsabile di una rapina impropria agire con un dolo istantaneo, quasi insorto contro i suoi piani originari. Con riferimento alla prima ipotesi, può infatti osservarsi come spesso la violenza alla persona, quale strumento mirato alla sottrazione, sia frutto delle <strong>contingenze maturate</strong> nel corso <strong>di un furto</strong>, e non sia come tale programmato (si pensi solo alla resistenza inaspettatamente opposta dalla vittima di un furto con strappo). E, con riferimento alla seconda, è perfettamente concepibile che il ricorso alla violenza come mezzo per conseguire l’impunità o assicurare il possesso della cosa sia realmente programmato, a titolo eventuale o perfino come passaggio ineliminabile per il perfezionamento del reato patrimoniale (si pensi alla sicura necessità di superare controlli in uscita dal luogo della sottrazione).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>In entrambe le figure di rapina, insomma, ferma restando la voluta compresenza di un’aggressione al patrimonio e di un’aggressione alla persona, possono riscontrarsi situazioni variabili in punto di dolo e, più in generale, di capacità criminale desumibile dal fatto: situazioni appunto diverse in fatto, ma non distinguibili in principio. Del resto, la variabilità delle situazioni trova fisiologica risposta differenziante nell’utilizzo delle possibilità offerte <strong>dall’ampiezza della cornice edittale</strong>, secondo la valutazione giudiziale del caso concreto.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>6.2.– Non convince nemmeno l’argomento relativo alla soglia di consumazione del reato, che sarebbe più arretrata nella fattispecie di rapina impropria e dovrebbe quindi implicare una minore gravità del fatto sul piano obiettivo della lesione.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>L’argomento relativo ai requisiti per la consumazione della rapina impropria, strettamente connesso al tema della configurabilità del delitto nella forma tentata, è stato oggetto di ampio dibattito, e anche di divergenze, in giurisprudenza e in dottrina. Nel diritto vivente, consolidatosi a seguito d’una pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione in punto di ammissibilità del tentativo (sentenza 19 aprile – 12 settembre 2012, n. 34952), è ormai riconosciuto che il reato si consuma a seguito della sottrazione della cosa altrui, senza che sia necessaria l’instaurazione di una nuova e autonoma situazione di possesso in capo all’agente (da ultimo, ex multis, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 22 febbraio – 8 marzo 2017, n. 11135). Del resto, soccorre nello stesso senso il dato letterale: l’art. 628 cod. pen. distingue tra sottrazione e impossessamento, includendo nel primo comma entrambi i fattori come elementi costitutivi sul piano materiale, e indicando invece l’impossessamento, nel secondo comma, quale obiettivo “da assicurare” mediante l’azione violenta o minacciosa, attuata «immediatamente dopo la sottrazione».</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Si può concedere che i rimettenti non errino, quando osservano che, nelle due forme di rapina, non è perfetta, al di là della sequenza diversamente ordinata, la sovrapposizione tra gli elementi costitutivi del reato. È priva di fondamento, però, la pretesa che una siffatta differenza imponga un diverso trattamento sanzionatorio delle due fattispecie, soprattutto perché l’opzione legislativa, che invece lo parifica, non è certo qualificabile come frutto di irragionevolezza manifesta, la sola che giustificherebbe l’intervento di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 212, n. 155, n. 115, n. 112, n. 88 e n. 40 del 2019, nonché ordinanza n. 66 del 2020).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Infatti, il tratto qualificante delle previsioni confluite nell’art. 628 cod. pen. è dato dal ricorso a una condotta violenta o minacciosa nel medesimo contesto – di tempo e di luogo – di una aggressione patrimoniale, e proprio questo vale a giustificare la costruzione di <strong>un reato complesso</strong>, di cui sono elementi costitutivi (o circostanze aggravanti) più fatti che costituirebbero reato per sé stessi (art. 84 cod. pen.). Soprattutto, la combinazione di tali elementi comporta non irragionevolmente un trattamento sanzionatorio diverso rispetto a quello che sarebbe applicabile in base al cumulo delle figure componenti, come meglio si dirà.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Questa essendo la fondamentale ratio del delitto di rapina (anche nella forma impropria) quale <strong>reato complesso</strong>, si comprende come il legislatore non abbia assegnato rilievo, sul piano dei valori edittali di pena, all’elemento differenziale costituito dalla mancata instaurazione di una situazione possessoria in capo all’agente: elemento che nulla sottrae al nucleo comune ed essenziale delle <strong>forme di aggressione patrimoniale mediante violenza o minaccia</strong>. Si aggiunga che la mancanza di una nuova situazione di possesso è solo eventuale, perché la rapina impropria resta tale, con valori di pena invariati, anche quando l’agente consegue, sia l’impossessamento della cosa, sia l’impunità, approdando a una piena, nuova e indisturbata condizione di possesso. L’irrilevanza di quest’ultimo ed eventuale segmento della sequenza, sul piano astratto della previsione edittale di pena, conferma che, nell’economia del secondo comma dell’art. 628 cod. pen., il disvalore del fatto non è condizionato dal perfezionamento “definitivo” dell’aggressione, ma dalla contestualità e dal finalismo delle due componenti essenziali della condotta tipica.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>6.3.– I ripetuti riferimenti compiuti al tema della contestualità dell’aggressione a beni giuridici diversi introducono alla valutazione della terza ipotesi di preteso contrasto con l’art. 3 Cost., asseritamente derivante, a differenza delle prime due, da un’indebita diversificazione nel trattamento di situazioni analoghe, quali la rapina impropria da una parte e il furto seguito da reati volti a evitare la punizione o ad assicurare il possesso già conseguito della cosa mobile altrui, dall’altra parte.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Privi di pregio, anzitutto, sono i rilievi che contestano la capacità descrittiva del connotato di “immediatezza” che, secondo il tenore della norma incriminatrice censurata, deve legare l’azione violenta o minacciosa alla compiuta sottrazione della cosa mobile altrui. L’avverbio «<strong>immediatamente</strong>», ampiamente e univocamente utilizzato non solo nel diritto penale, esprime infatti un significato non particolarmente controvertibile. Esso è nella specie coniugato a un fatto ben determinato (l’avvenuta sottrazione) e ciò accentua la chiarezza del dato letterale: non deve trascorrere un lasso di tempo apprezzabile tra sottrazione e condotta violenta o minacciosa.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Nel diritto vivente, poi, la portata della prescrizione è resa ancor più netta dal riferimento che la giurisprudenza compie tradizionalmente alla nozione di flagranza (e in particolare di “quasi flagranza”) tratta dal diritto processuale penale. Nella vigente disposizione del codice di rito, questa designa la condizione di chi «subito dopo il reato, è inseguito […] ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima» (art. 382 codice di procedura penale). La <strong>prossimità cronologica</strong> vale a rendere inequivoca l’attinenza al reato delle cose o delle tracce riferibili all’agente, senza che, in proposito, siano necessarie particolari indagini o indicazioni di terzi. In difetto, la condizione di flagranza deve essere esclusa (Corte di cassazione, sezioni unite, 24 novembre 2015 – 21 settembre 2016, n. 39131).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Dunque, trattando del delitto di rapina impropria, e pur talvolta affermando che l’unità di contesto tra condotta violenta o minacciosa e azione di spossessamento non viene necessariamente meno quando si registri il decorso di un (breve) lasso di tempo tra l’una e l’altra, la giurisprudenza recupera un sicuro criterio di interpretazione della fattispecie incriminatrice, escludendone l’integrazione quando mancherebbe la possibilità di identificare una condizione di “quasi flagranza” (tra le decisioni più recenti in tal senso, in conformità a numerosissimi precedenti, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 26 giugno – 16 ottobre 2012, n. 40421).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Ciò premesso, non è corretto l’assunto, comune ai rimettenti, secondo cui il connotato di immediatezza, o la sua assenza, sarebbero indifferenti ai fini della valutazione del fatto, nei suoi profili soggettivi e oggettivi di gravità. Tutt’al contrario, la contestualità del rischio per il patrimonio e per l’incolumità o la libertà morale della persona dilata la dimensione del fatto criminoso oltre la mera somma dei suoi fattori: sul piano obiettivo, per l’allarme sociale, per la diminuita difesa della vittima sorpresa dall’aggressione e per la mancanza di alternative utili alla tutela del suo patrimonio, per il particolare rischio di conseguenze sul piano della incolumità dovuto alla concitazione normalmente propria dell’evento, per la peculiare forza offensiva di una spoliazione fondata non solo sulla sottrazione ma anche sulla violenza; sul piano soggettivo, per la forte determinazione criminale espressa da chi, nell’opzione tra rinuncia al beneficio patrimoniale e suo perseguimento mediante l’aggressione alla persona, si determina per la seconda, che presenta le caratteristiche appena indicate.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Per queste ragioni, il legislatore ha ritenuto di dar vita <strong>a una fattispecie complessa</strong>, fondata proprio sulla contestualità della complessiva azione criminosa, di cui i rimettenti negano il rilievo.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Una tale opzione attiene pienamente all’ampia discrezionalità che caratterizza le scelte di politica penale e sanzionatoria. Alla ricerca di rimedi per l’eliminazione di pene avvertite quali sproporzionate, i giudici a quibus finiscono per contestare frontalmente l’opzione in parola, proponendosi di “sciogliere” il reato complesso, e così di ottenere, attraverso una radicale pronuncia di ablazione, la “automatica” sostituzione della fattispecie originaria, tramite la riespansione di altre figure di reato contro il patrimonio (delle varie fattispecie di furto, e poi, in sequenza, di quelle di violenza privata o resistenza a pubblico ufficiale, in primis). In tal modo, ben più che la sola sproporzione per eccesso del trattamento sanzionatorio (di cui si dirà tra breve), le ordinanze introduttive dell’odierno giudizio finiscono per porre in discussione la stessa legittimità di figure criminose che riflettono e valorizzano la concomitanza delle lesioni tipiche di più fattispecie, e che sono frutto di valutazioni legislative non afflitte da manifesta irragionevolezza.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>6.4.– Del resto, il rilievo del carattere di immediatezza, e la “specialità” del trattamento che ne deriva – in virtù dell’applicazione del secondo comma dell’art. 628 cod. pen. riguardo alle condotte in cui la sottrazione è seguita da una condotta violenta o minacciosa – non sono affatto limitate al trattamento sanzionatorio, ma si inseriscono armonicamente nel sistema delle norme sostanziali e processuali vigenti.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Nei confronti dell’agente che attui violenza o minaccia nel medesimo contesto della sottrazione (o in contesti assimilabili, attraverso la nozione già precisata di “quasi flagranza”), il soggetto passivo del reato e perfino i terzi – fermo restando il requisito della proporzionalità – sono autorizzati a usare una violenza di segno contrario, cioè a difendere direttamente il diritto aggredito, in applicazione dell’art. 52 cod. pen., rompendo addirittura il monopolio dello Stato circa l’uso della coercizione per la prevenzione e la repressione dei reati. Ricorrono, in breve, i presupposti della legittima difesa. Rilievi analoghi valgono a maggior ragione per gli agenti di polizia, i quali, alla luce del valore sintomatico del fatto e dell’evidenza della prova connessa alla condizione di flagranza prima descritta, devono anche procedere all’arresto dell’interessato, di propria iniziativa e senza il previo intervento dell’autorità giudiziaria.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Completamente diverso è, invece, il quadro che si presenta laddove difetti il requisito della immediatezza. La vittima del furto non è autorizzata in alcun modo a utilizzare violenza o minaccia al fine di riottenere il possesso della cosa, e anzi, se procede in tal senso, si espone a proprie responsabilità penali (si pensi alla fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone: art. 393 cod. pen.). Deve dunque rivolgersi alla giurisdizione, proponendo <strong>un’azione possessoria</strong> (art. 1168 cod. civ.).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Sul piano penale, soprattutto, l’autore del fatto non può più essere arrestato, e l’eventuale applicazione di una misura cautelare nei suoi confronti (salva l’ipotesi di un fermo ex art. 384 cod. proc. pen., che comunque può intervenire solo in casi particolari, a fronte del rischio di fuga) richiede una valutazione giudiziale, sia riguardo alla gravità degli indizi di colpevolezza, sia riguardo alla ricorrenza delle esigenze cautelari indicate nell’art. 274 cod. proc. pen.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Come si è detto, aspetti differenziali di tale importanza dipendono dal <strong>connotato di immediatezza</strong>, che impone di distinguere nettamente la <strong>rapina impropria</strong> dai <strong>furti seguiti da violenza o minaccia</strong>. Essi non costituiscono, come asseriscono i giudici a quibus, il risultato di una distinzione illogica, ma sono al contrario corollario della coerente collocazione dell’art. 628, secondo comma, cod. pen. in un sistema complesso di disposizioni, sostanziali e processuali, dal quale non sarebbe giustificato, e tanto meno costituzionalmente imposto, espungerlo.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>7.– Le ordinanze di rimessione censurano il secondo comma dell’art. 628 cod. pen. anche per violazione del secondo comma dell’art. 25 Cost., in rapporto al principio di necessaria offensività dei fatti penalmente rilevanti. È sollevata altresì questione in riferimento al terzo comma dell’art. 27 Cost., riguardo al principio di proporzionalità delle pene quale presupposto per l’efficacia delle pene medesime in chiave di rieducazione del condannato, che non deve percepire la sanzione inflittagli come ingiusta ed eccessiva.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>7.1.– Le censure complessivamente proposte dai rimettenti in riferimento ai parametri appena menzionati presentano alcune apprezzabili differenze, spaziando fra un sindacato di proporzionalità della pena condotto mediante comparazione con la sanzione prevista per altre fattispecie ritenute assimilabili (o meno) a quella di rapina impropria, e un sindacato invece condotto direttamente, in termini assoluti, sull’entità del minimo edittale.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Pur tenendo conto di ciò, l’impianto generale delle questioni sollevate è essenzialmente retto da una logica comparativa. In particolare, l’argomentazione dei rimettenti sulla sproporzione per eccesso della sanzione minima concernente la rapina impropria si fonda soprattutto sull’equiparazione asseritamente indebita di tale sanzione rispetto a quella prevista per un reato considerato più grave (la rapina propria), o sul superamento, che si vorrebbe indebito, di soglie fissate per reati considerati di gravità pari (il furto seguito da violenza o minaccia).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Ne consegue che, una volta stabilita la non fondatezza dei rilievi direttamente riferiti ai principi di uguaglianza e ragionevolezza, non v’è ragione per non estendere la medesima conclusione alle questioni sollevate in riferimento ai parametri ora in esame.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>7.2.– Con specifico riguardo alle censure in tema di <strong>proporzionalità della pena</strong>, deve aggiungersi come il rapido e marcato incremento dei valori edittali per la rapina impropria – che in larga parte ha originato le censure qui in esame – non rappresenta una scelta isolata, ma si inserisce nel quadro di una complessiva, e severa, strategia di contrasto alle aggressioni patrimoniali segnate da violenza o minaccia.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Anzitutto, come si è visto, gli aumenti di pena relativi alla fattispecie qui in questione sono il frutto di una disposizione dettata anche per il delitto di rapina propria, punito al primo comma dell’art. 628 cod. pen., al cui testo il secondo comma fa riferimento in punto di valori edittali della pena. Tali aumenti, operati una prima volta mediante il comma 8 dell’art. 1 della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), si aggiungono a quelli disposti, nello stesso contesto normativo, riguardo al furto con strappo o in abitazione (art. 624-bis cod. pen., come modificato ex art. 1, comma 6, della citata legge n. 103 del 2017) e riguardo al delitto di estorsione (art. 629 cod. pen., nel testo modificato ex art. 1, comma 9, della stessa legge). Va ricordato anche il contemporaneo incremento di pena in caso di ricorrenza delle aggravanti specifiche per il furto sanzionato ex art. 624 cod. pen. (art. 625 cod. pen., nel testo novellato dal comma 7 dell’art. 1 della legge n. 103 del 2017), parte delle quali connotate dall’esercizio di violenza sulle cose.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>La stessa ispirazione ha mosso modificazioni ancor più recenti, che hanno interessato le previsioni sanzionatorie delle fattispecie di furto con strappo o in abitazione: l’art. 5 della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa) ha infatti ulteriormente innalzato i valori minimi (e in qualche caso anche i massimi) fissati nei commi primo e terzo dell’art. 624-bis cod. pen. Alla medesima novella si deve altresì l’ulteriore incremento della sanzione comminata per i delitti di rapina, realizzato modificando i commi primo, terzo e quarto dell’art. 628 cod. pen. (art. 6 della citata legge n. 36 del 2019).</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Considerata in un simile contesto, manca perciò, nella disposizione censurata, quel connotato di anomalia che avrebbe potuto rappresentare il sintomo di una irragionevolezza intrinseca della previsione punitiva.</em></p> <p style="font-weight: 400;"><em>Tuttavia, proprio considerando il complesso degli interventi in cui gli aumenti di pena ora in questione si inseriscono, questa Corte non può esimersi dal rilevare che la pressione punitiva attualmente esercitata riguardo ai delitti contro il patrimonio è ormai diventata estremamente rilevante. Essa richiede perciò attenta considerazione da parte del legislatore, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa, dei beni giuridici tutelati dal diritto penale e del livello di protezione loro assicurato.</em></p>