<strong>Corte Costituzionale, ordinanza 13 agosto 2020 n. 195-196-197-198</strong> <strong><em>Va dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Comitato promotore della consultazione referendaria sul testo di legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari».</em></strong> <strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong> <em>Considerato che, con ricorso depositato il 23 luglio 2020, i senatori Andrea Cangini, Nazario Pagano e Tommaso Nannicini, nella qualità di legali rappresentanti del Comitato promotore della consultazione referendaria sul testo di legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», hanno promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, del Presidente della Repubblica e del Governo, in relazione all’art. l-bis, comma 3, del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020), convertito, con modificazioni, nella legge 19 giugno 2020, n. 59, nonché al decreto del Presidente della Repubblica 17 luglio 2020 (Indizione del referendum popolare confermativo del testo della legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari» approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 240 del 12 ottobre 2019);</em> <em>che l’art. l-bis, comma 3, del d.l. n. 26 del 2020, come convertito, prevede che alle elezioni politiche suppletive, alle elezioni regionali e amministrative rinviate a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e al referendum confermativo sul «Testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante: “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”» si applichi il principio di concentrazione delle consultazioni elettorali, di cui all’art. 7 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111 (cosiddetto “election day”);</em> <em>che il d.P.R. 17 luglio 2020 dispone, per le medesime date del 20 e 21 settembre 2020, l’abbinamento della votazione sul referendum relativo al suddetto testo di legge costituzionale con le elezioni suppletive e amministrative;</em> <em>che, secondo la parte ricorrente, l’applicazione del principio della <strong>concentrazione delle consultazioni elettorali</strong> anche al referendum confermativo del testo di legge costituzionale violerebbe <strong>le prerogative del corpo elettorale</strong> di cui il Comitato ricorrente sarebbe rappresentante, determinando, «di riflesso», anche una lesione delle attribuzioni costituzionalmente assegnate e garantite allo stesso Comitato dagli artt. 1 e 138 della Costituzione;</em> <em>che, la parte ricorrente ha avanzato altresì istanza di tutela cautelare, anche attraverso provvedimenti provvisori monocratici, al fine di ottenere la sospensione dell’efficacia degli atti dai quali è sorto il conflitto;</em> <em>che, nell’attuale fase del giudizio, questa Corte è chiamata a delibare, in camera di consiglio, senza contraddittorio e senza la possibilità di interventi di terzi, in ordine alla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali, restando impregiudicata ogni ulteriore questione, anche in punto di ammissibilità;</em> <em>che, sotto il profilo soggettivo, il conflitto risulta proponibile sia nei confronti delle Camere, sia nei confronti del Presidente della Repubblica e del Governo, essendo censurati un decreto-legge e la relativa legge di conversione e venendo altresì in contestazione il decreto presidenziale d’indizione della consultazione referendaria, adottato su deliberazione del Consiglio dei ministri;</em> <em>che, d’altra parte, sotto il profilo della legittimazione attiva, la giurisprudenza costituzionale è costante nel riconoscere la legittimazione del <strong>Comitato promotore del referendum</strong> a proporre <strong>conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato</strong>, in quanto titolare, nell’ambito della procedura referendaria, di una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in rappresentanza dei soggetti legittimati ad avanzare la richiesta di referendum (ex plurimis, ordinanze n. 169 del 2011, n. 172 del 2009, n. 38 del 2008, n. 198 del 2005, n. 195 del 2003, n. 137 del 2000, n. 49 del 1998, n. 172, n. 171, n. 131 e n. 9 del 1997, n. 226 e n. 118 del 1995, n. 69 e n. 17 del 1978);</em> <em>che, a questo riguardo, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto che rientra nella sfera delle attribuzioni del comitato la pretesa allo svolgimento delle operazioni di voto referendario, una volta compiuta la procedura di verifica della legittimità e della costituzionalità delle relative domande; ma non anche − in assenza di <strong>situazioni eccezionali</strong> − la pretesa di <strong>interferire sulla scelta governativa</strong>, tra le molteplici, legittime opzioni, della data all’interno del periodo prestabilito (così le ordinanze n. 169 del 2011, n. 38 del 2008, n. 198 del 2005 e n. 131 del 1997);</em> <em>che il Consiglio dei ministri, infatti, è titolare di un <strong>ampio potere di valutazione</strong> sia in ordine al momento di indizione del referendum, sia per quanto attiene alla fissazione della data della consultazione referendaria, purché le operazioni di voto si svolgano nell’intervallo temporale determinato dalla legge e individuato dall’art. 34, primo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo);</em> <em>che nel caso di specie questo intervallo è stato modificato dapprima dall’art. 81 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, in seguito dall’art. 1-bis del d.l. n. 26 del 2020, come convertito, alla luce delle esigenze poste dal diffondersi dell’epidemia da COVID-19; esigenze a cui risulta altresì funzionale l’estensione del principio dell’election day, originariamente introdotto per ragioni di contenimento della spesa;</em> <em>che, nel caso di specie, già in sede di mera delibazione degli argomenti del ricorrente emerge che essi, a fronte della <strong>situazione eccezionale legata all’epidemia</strong> che ha portato all’accorpamento, non adducono circostanze, che dovrebbero risultare <strong>esse stesse eccezionali</strong>, in ragione delle quali l’accorpamento inciderebbe sul diritto all’effettuazione del voto referendario e sul suo esercizio (ordinanza n. 169 del 2011);</em> <em>che tale non appare la possibilità che esso sia influenzato da posizioni politiche diverse, giacché sempre le forze politiche hanno dato indicazioni agli elettori anche sui referendum costituzionali; del resto, come questa Corte ha già evidenziato, la logica referendaria è intrecciata a quella della democrazia rappresentativa, non separata da essa (sentenza n. 118 del 2015); né può dirsi che la contestualità tra differenti campagne elettorali comporti, di per sé, una penalizzazione degli spazi d’informazione dedicati alla campagna referendaria;</em> <em>che, d’altra parte, l’eventuale maggiore affluenza alle urne nelle Regioni e nei Comuni ove si tengono elezioni non pregiudica, in quanto tale, lo svolgimento del voto referendario, per il quale <strong>non è previsto, tra l’altro, un quorum strutturale</strong>;</em> <em>che, in ogni caso, la Costituzione non attribuisce al Comitato promotore, che nel giudizio in esame agisce in rappresentanza di una minoranza parlamentare, una funzione di generale tutela del miglior esercizio del diritto di voto da parte dell’intero corpo elettorale, che sarebbe lesa – asserisce il ricorrente – «di riflesso» dalla violazione di tale diritto;</em> <em>che, quindi, la parte ricorrente ha agito <strong>al di fuori delle proprie attribuzioni costituzionali</strong> in relazione alle <strong>modalità di svolgimento del procedimento referendario</strong>;</em> <em>che, in conclusione, assorbita ogni altra questione, anche cautelare, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso.</em> <strong><em>* * *</em></strong> <strong><em>Va dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso dall’Associazione «+Europa.</em></strong> <strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong> <em>Considerato che l’Associazione «+Europa» ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato affinché venga dichiarato che non spettava alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, quali titolari della funzione legislativa, omettere di introdurre, «in favore dei partiti politici già presenti in seno al Parlamento nazionale, la deroga rispetto all’obbligo della raccolta delle sottoscrizioni necessarie per poter presentare le proprie liste e candidature nell’ambito delle elezioni delle Regioni a statuto ordinario previste per l’anno 2020», e, per l’effetto, sia annullato l’art. 1-bis, comma 5, del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020), convertito, con modificazioni, nella legge 19 giugno 2020, n. 59, nella parte in cui non prevede siffatta deroga;</em> <em>che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri da norme costituzionali;</em> <em>che il conflitto è <strong>inammissibile sotto il profilo soggettivo</strong>;</em> <em>che, secondo quanto affermato da questa Corte, «i <strong>partiti politici</strong> vanno considerati come <strong>organizzazioni proprie della società civile</strong>, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie <strong>talune funzioni pubbliche</strong>, e <strong>non come poteri dello Stato</strong> ai fini dell’art. 134 Cost.; […] pertanto, ai partiti politici non è possibile riconoscere la natura di organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà di un potere dello Stato per la delimitazione di una sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali» (ordinanza n. 79 del 2006; in senso analogo, sentenza n. 1 del 2014 e ordinanza n. 120 del 2009); né, del resto, l’indubbia funzione di «rappresentanza di interessi politicamente organizzati» (così ancora ordinanza n. 79 del 2006), svolta dai partiti politici, consente di riconoscere la legittimazione di questi ultimi quali poteri dello Stato;</em> <em>che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;</em> <em>che la dichiarazione di inammissibilità del ricorso preclude l’esame di ogni altra domanda in esso articolata, compresa quindi l’istanza cautelare (ordinanza n. 256 del 2016).</em> <strong><em>* * *</em></strong> <strong><em>Va dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal senatore Gregorio De Falco.</em></strong> <strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong> <em>Considerato che il senatore Gregorio De Falco ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, e, «se dichiarato ammissibile», nei confronti del Governo della Repubblica e dei Ministri dell’interno e della giustizia, «in quanto responsabili, insieme con il Presidente del Consiglio» degli atti del Presidente della Repubblica, «e/o del Presidente della Repubblica» stesso, per chiedere che questa Corte dichiari che non spettava al Senato approvare con voto di fiducia la legge 19 giugno 2020, n. 59 che ha convertito, con modificazioni, in legge il decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020);</em> <em>che, secondo il ricorrente, la legge n. 59 del 2020, essendo stata approvata a seguito di voto di fiducia e contenendo un emendamento in materia asseritamente estranea al contenuto originario del d.l. n. 26 del 2020, avrebbe determinato la lesione delle prerogative costituzionali attribuitegli in quanto parlamentare;</em> <em>che il d.l. n. 26 del 2020, come convertito, contenendo previsioni in materia costituzionale ed elettorale, sarebbe stato adottato in violazione dell’art. 72 della Costituzione;</em> <em>che il ricorrente chiede che questa Corte annulli anche il d.P.R. 17 luglio 2020 (Indizione del referendum popolare confermativo relativo all’approvazione del testo della legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019), sospendendone con misura cautelare l’applicazione ed eventualmente sollevando innanzi a sé questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo);</em> <em>che, in questa fase del giudizio, la Corte costituzionale è chiamata esclusivamente a deliberare, in camera di consiglio, senza contraddittorio e senza possibilità di interventi di terzi, se sussistano i requisiti, soggettivo e oggettivo, prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri da norme costituzionali;</em> <em>che questa Corte non può esimersi dal rilevare, preliminarmente, la <strong>scarsa chiarezza e coerenza del percorso argomentativo</strong> seguito dal ricorso, <strong>contraddistinto da salti logici e da passaggi privi di conseguenzialità</strong>;</em> <em>che il ricorso contiene, infatti, sommarie critiche: a) all’adozione del d.l. n. 26 del 2020 per la disciplina di ambiti attinenti alla «materia costituzionale ed elettorale»; b) all’approvazione, da parte delle «Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato», di un emendamento asseritamente estraneo al testo originario del decreto-legge; c) all’approvazione con voto di fiducia, da parte del Senato, della legge di conversione del citato decreto-legge; d) agli effetti che tale decreto-legge avrebbe determinato sul successivo d.P.R. del 17 luglio 2020; e) alle conseguenze che l’accorpamento delle consultazioni elettorali e di quella referendaria avrebbe sulla genuinità del procedimento di revisione costituzionale; f) agli effetti sulla forma di governo parlamentare che la revisione costituzionale determinerebbe, anche alla luce della legge elettorale attualmente vigente;</em> <em>che il ricorso espone, dunque, in modo non ordinato, critiche alla <strong>legge elettorale</strong>, alla <strong>riforma costituzionale</strong>, all’<strong>accorpamento delle consultazioni</strong>, all’<strong>utilizzo dei decreti-legge</strong> e, infine, al <strong>procedimento di conversione in legge</strong> degli stessi, sovrapponendo non solo argomenti giuridico-costituzionali tra loro ben distinti, ma altresì avanzando valutazioni politiche in questa sede non conferenti;</em> <em>che coerenza di contenuti e chiarezza di forma costituiscono requisiti di ogni atto introduttivo di un giudizio, e non possono non valere per il ricorso introduttivo di un giudizio per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato che aspiri a superare il vaglio preliminare di ammissibilità;</em> <em>che, invece, il ricorso non individua né l’atto lesivo (o gli atti lesivi), né le attribuzioni del ricorrente che sarebbero state lese (in senso analogo, ordinanze n. 181 del 2018 e n. 280 del 2017);</em> <em>che, soprattutto, il ricorso non contiene alcuno specifico riferimento alle <strong>prerogative del singolo parlamentare</strong>, asseritamente violate durante l’iter di conversione in legge del d.l. n. 26 del 2020;</em> <em>che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, affinché il ricorso per conflitto tra poteri dello Stato presentato dal singolo parlamentare risulti ammissibile, è necessario che il ricorrente alleghi «“una sostanziale negazione o un’evidente menomazione” delle proprie funzioni costituzionali» (ordinanza n. 176 del 2020 e, in senso simile, ordinanza n. 275 del 2019);</em> <em>che, in particolare, deve essere motivata «la ridondanza delle asserite violazioni dei principi costituzionali invocati sulla <strong>propria sfera di attribuzioni costituzionali</strong>, a difesa della quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi» (ordinanze n. 176 e n. 129 del 2020, nonché n. 181 del 2018);</em> <em>che, invece, il ricorrente omette qualsiasi riferimento ai lavori parlamentari svoltisi presso il Senato della Repubblica, da cui risulti l’evidenza delle numerose lesioni lamentate;</em> <em>che peraltro, durante tali lavori, l’applicazione del principio della concentrazione delle scadenze elettorali (cosiddetto election day) anche al referendum costituzionale è stata oggetto di ampia discussione, essendosene proposta l’esclusione in due diverse questioni pregiudiziali (respinte, con unica votazione, durante la seduta del Senato n. 231 del 18 giugno 2020), questioni sulle quali risulta che anche il ricorrente abbia potuto regolarmente votare;</em> <em>che, inoltre, il voto favorevole sulla questione di fiducia posta al Senato sull’articolo unico del disegno di legge di conversione del d.l. n. 26 del 2020 ha legittimamente determinato, secondo quanto previsto dall’art. 161, comma 3-bis, del regolamento del Senato, l’approvazione dell’articolo unico del disegno di legge di conversione, con conseguente preclusione dei restanti emendamenti, degli ordini del giorno e delle proposte di stralcio;</em> <em>che, anche sotto questo profilo, in seguito all’applicazione delle norme del regolamento parlamentare conseguenti alla posizione della questione di fiducia, non risulta prospettata alcuna specifica lesione delle attribuzioni costituzionali del singolo parlamentare nell’ambito del procedimento di conversione (analogamente, ordinanza n. 275 del 2019);</em> <em>che, comunque, sempre con riferimento agli effetti dell’approvazione della questione di fiducia sui tempi di discussione parlamentare, questa Corte ha già avuto modo di evidenziare che «in nessun caso sarebbe sindacabile […] <strong>la questione di fiducia</strong> ai fini dell’approvazione senza emendamenti di un disegno di legge in seconda lettura» (ordinanza n. 60 del 2020);</em> <em>che, ancora, nessuna argomentazione è contenuta nel ricorso in merito alla ritenuta estraneità dell’art. 1-bis, approvato nel corso dell’iter di conversione, rispetto al testo originario del d.l. n. 26 del 2020, mentre questa Corte ha già chiarito che, in simili evenienze, il ricorso stesso deve offrire «elementi tali da portare all’evidenza […] l’asserito difetto di omogeneità dell’emendamento oggetto» del conflitto, non essendo sufficiente, a tal fine, «un mero raffronto tra la materia regolata dall’emendamento stesso e il titolo del decreto-legge» (ordinanza n. 274 del 2019);</em> <em>che, in definitiva, pur asserendo la violazione di plurimi principi costituzionali inerenti sia il procedimento legislativo sia quello di revisione costituzionale, il ricorso non chiarisce <strong>quali attribuzioni costituzionali del singolo parlamentare siano state in concreto lese</strong> nel corso di tali procedimenti, e nemmeno enuncia quali siano, in astratto, tali attribuzioni;</em> <em>che, per questo insieme di ragioni, esso deve essere dichiarato inammissibile;</em> <em>che la presente pronuncia assorbe l’esame dell’istanza di sospensione cautelare del d.P.R. 17 luglio 2020.</em> <strong><em>* * *</em></strong> <strong><em>Va dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dalla Regione Basilicata.</em></strong> <strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong> <em>Considerato che la Regione Basilicata ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione, ai sensi degli artt. 134 della Costituzione e 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), con contestuale istanza di sospensiva, in via cautelare, chiedendo che questa Corte voglia annullare:</em> <ol> <li><em>a) l’avvenuta approvazione definitiva in data 9 ottobre 2019 (recte: 8 ottobre 2019) da parte del Parlamento del testo di legge costituzionale recante: «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019, e la successiva ammissione del referendum con ordinanza dell’Ufficio Centrale per referendum presso la Corte di cassazione del 23 gennaio 2020;</em></li> <li><em>b) il conseguente decreto del Presidente della Repubblica del 28 gennaio 2020, su deliberazione del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 2020, revocato con decreto del Presidente della Repubblica del 5 marzo 2020, su deliberazione del Consiglio dei Ministri in pari data, e nuovamente riemesso con decreto del Presidente della Repubblica del 17 luglio 2020, su deliberazione del Consiglio dei Ministri del 14 luglio 2020, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 180 del 18 luglio 2020, nonché degli atti normativi presupposti e applicativi;</em></li> </ol> <em>che l’atto di promovimento – ancorché nella sua intestazione faccia riferimento all’art. 39 della legge n. 87 del 1953, che disciplina i conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni – è stato espressamente qualificato dalla stessa ricorrente, in particolare nel petitum, come <strong>ricorso per conflitto tra poteri dello Stato</strong>, proposto nei confronti del Governo (e di altri), e che, in coerenza con tale qualificazione, non è stato notificato alle potenziali controparti;</em> <em>che analoga qualificazione risulta dalla delibera della Giunta regionale di autorizzazione a proporre il conflitto, che prefigura finanche, quanto all’incarico professionale al collegio di difesa, l’eventuale fase di merito – propria di questo tipo di conflitto di attribuzione – ove il ricorso fosse dichiarato ammissibile;</em> <em>che pertanto va valutata, preliminarmente e senza contraddittorio, l’ammissibilità dell’atto di promovimento del presente giudizio secondo il regime processuale proprio dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato;</em> <em>che può innanzi tutto rilevarsi che la richiamata delibera della Giunta regionale è testualmente e inequivocabilmente limitata – quanto all’ambito dell’autorizzazione a proporre ricorso e all’oggetto della richiesta di annullamento, come specificazione del petitum dell’iniziativa giudiziaria – solo alla impugnativa della richiamata delibera legislativa dell’8 ottobre 2019;</em> <em>che pertanto il ricorso, nella parte in cui <strong>eccede dalla autorizzazione assentita con la indicata delibera della Giunta regionale</strong>, è, innanzi tutto, manifestamente inammissibile con riferimento al decreto presidenziale di indizione del referendum confermativo della richiamata delibera legislativa dell’8 ottobre 2019 e alle connesse censure relative alla fissazione della data per la sua celebrazione contestualmente a quella per le elezioni in alcune Regioni e per elezioni amministrative (cosiddetto election day, di cui sopra sub b);</em> <em>che, per il resto (sopra, sub a), questa Corte è chiamata in questa fase a stabilire in camera di consiglio, senza contraddittorio, se concorrano i requisiti di ordine soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, e cioè se il conflitto risulti essere insorto tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere a cui appartengono e sia diretto a delimitare la sfera di attribuzioni dei poteri interessati, determinata da norme costituzionali (ordinanza n. 256 del 2016);</em> <em>che a tal fine occorre verificare – prima facie e con riserva di cognizione piena nell’eventuale successiva fase a seguito della rituale instaurazione del contraddittorio – se sussistano i presupposti soggettivi e oggettivi di ammissibilità del proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;</em> <em>che, sotto il profilo soggettivo, va ribadito che «nella giurisprudenza costituzionale <strong>la nozione di “potere dello Stato”</strong> ai fini della legittimazione a sollevare conflitto di attribuzione (ex art. 37 della legge n. 87 del 1953) abbraccia <strong>tutti gli organi ai quali sia riconosciuta e garantita dalla Costituzione una quota di attribuzioni costituzionali</strong> (ex plurimis, sentenze n. 87 e n. 88 del 2012) o sia affidata una pubblica funzione costituzionalmente rilevante e garantita (ordinanza n. 17 del 1978)» (ordinanza n. 17 del 2019);</em> <em>che – come già ritenuto da questa Corte (ordinanze n. 11 del 2011 e n. 264 del 2010) – deve <strong>negarsi in radice che gli enti territoriali possano qualificarsi come «potere dello Stato»</strong> nell’accezione propria dell’art. 134 Cost., essendo essi distinti dallo Stato, pur concorrendo tutti a formare la Repubblica nella declinazione risultante dall’art. 114, primo comma, Cost.;</em> <em>che, quindi, con riferimento alla Provincia, si è affermato che quest’ultima «non agisce come soggetto appartenente al complesso di autorità costituenti lo Stato, nell’accezione propria dell’art. 134 della Costituzione» (ordinanza n. 380 del 1993), sicché essa non è legittimata a promuovere ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, non diversamente dal Comune (ordinanza n. 84 del 2009) e dalla Regione (ordinanza n. 479 del 2005);</em> <em>che, in particolare con riguardo alla <strong>Regione</strong>, la giurisprudenza costituzionale ha precisato «che, in ogni caso, in base alla vigente disciplina dei conflitti di attribuzione spettanti alla giurisdizione di questa Corte, <strong>né la Regione né singoli organi di essa possono essere considerati “poteri dello Stato”</strong> ai quali sia riconoscibile la legittimazione passiva nei giudizi regolati dagli artt. 37 e 38 della legge n. 87 del 1953 e dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (ordinanza n. 82 del 1978 e ordinanza n. 10 del 1967)» (ordinanza n. 479 del 2005);</em> <em>che, d’altra parte, «la Regione, quando esercita poteri rientranti nello svolgimento di attribuzioni determinanti la propria sfera di autonomia costituzionale o di funzioni ad essa delegate, non agisce come soggetto appartenente al complesso di autorità costituenti lo Stato, nell’accezione propria dell’art. 134 Cost.» (ordinanza 24 maggio 1990, senza numero);</em> <em>che in ogni caso il presente ricorso per conflitto tra poteri dello Stato non potrebbe convertirsi in ricorso per <strong>conflitto di attribuzione tra la Regione e lo Stato</strong>, perché sarebbe palese, al di là di ogni altro profilo, l’intervenuto decorso, già al momento della proposizione del ricorso (24 luglio 2020), del prescritto <strong>termine di decadenza di sessanta giorni</strong> (art. 39, secondo comma, della legge n. 87 del 1953), stante che la menzionata delibera legislativa è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019;</em> <em>che, pertanto, il ricorso è inammissibile con riferimento a tutti gli atti di cui la ricorrente chiede l’annullamento;</em> <em>che altresì è conseguentemente assorbita la richiesta di sospensiva, in via cautelare, degli atti oggetto del conflitto.</em>