<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 25 novembre 2020 n. 246</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4-sexies, della legge della Regione Veneto 13 aprile 2001, n. 11 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112).</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.– Esercitando il proprio potere di decidere l’ordine delle questioni da affrontare (sentenze n. 258 del 2019 e n. 148 del 2018), questa Corte ritiene di esaminare prioritariamente quest’ultima censura.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.1.– Occorre anzitutto rilevare che, con la disposizione censurata, la Regione Veneto non ha esercitato la propria competenza legislativa nella materia «governo del territorio».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La norma, infatti, non concerne la progettazione tecnica, la realizzazione o l’allocazione degli impianti di produzione o trasmissione delle comunicazioni, aspetti certamente destinati ad interessare l’assetto urbanistico e le peculiarità territoriali dell’area su cui tali attività ricadono e, come tali, rientranti nella competenza legislativa delle Regioni, sia pure tenute «ad uniformarsi agli standard stabiliti dal gestore della rete di trasmissione nazionale» (sentenza n. 7 del 2004; in senso conforme, sentenza n. 336 del 2005).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Essa è, piuttosto, destinata a regolare l’esercizio, da parte della Regione, delle funzioni amministrative conferitele per effetto del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), ed in particolare di quelle in materia di risorse idriche, mediante la disciplina del relativo rapporto concessorio.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.2.– In tale specifico ambito, la disposizione censurata prevede il pagamento di canoni a carico degli operatori della comunicazione, in relazione a tutte le ipotesi nelle quali l’esercizio della relativa attività renda necessaria l’occupazione di beni del demanio idrico; il canone è, infatti, previsto «per l’installazione e fornitura di reti e per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, così come per la installazione e gestione di sottoservizi e di impianti di sostegno di servizi fuori suolo».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Detta disposizione va, pertanto, ricondotta alla materia «ordinamento della comunicazione», laddove disciplina l’imposizione di oneri pecuniari.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.3.– Nell’ambito di quest’ultima materia, la disciplina del settore della comunicazione elettronica persegue il duplice e concorrente obiettivo della libertà nella fornitura del relativo servizio, in quanto di preminente interesse generale, e della tutela del diritto di iniziativa economica degli operatori, da svolgersi in regime di concorrenza proprio al fine di garantire il più ampio accesso all’uso dei mezzi di comunicazione elettronica.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Siffatti obiettivi hanno caratterizzato l’intervento del legislatore statale nel settore delle telecomunicazioni, avvenuto con il citato cod. comunicazioni elettroniche; tale intervento, fra l’altro, ha attuato una liberalizzazione del mercato con le finalità (espressamente rappresentate nelle Direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002) di garantire agli imprenditori l’accesso al settore con criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità, nonché di consentire agli utenti finali la fornitura del servizio universale, senza distorsioni della concorrenza.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.4.– Su tali basi, questa Corte ha da tempo affermato che l’art. 93 del cod. comunicazioni elettroniche costituisce espressione di un principio fondamentale della materia, «in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi oneri o canoni» (sentenza n. 336 del 2005; in senso conforme, sentenze n. 47 del 2015, n. 272 del 2010, n. 450 del 2006).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La norma censurata si pone, infatti, in netto contrasto con tale principio, poiché impone agli operatori delle comunicazioni una prestazione pecuniaria che rientra nell’ambito di quelle colpite dal divieto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.5.– In ordine alla finalità perseguita dall’art. 93 del citato cod. comunicazioni elettroniche, questa Corte ha inoltre precisato che, in mancanza di tale divieto, ogni singola Regione «potrebbe liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti» (sentenza n. 272 del 2010).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Si deve, perciò, escludere che, come invece ritenuto dalla Regione resistente, la riserva di legge contenuta nell’art. 93 consenta anche un intervento del legislatore regionale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Se così non fosse, del resto, sarebbe contraddetta la stessa ratio legis, come individuata, con la decisione poc’anzi citata, nella finalità di «evitare che ogni Regione possa liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.– La questione sollevata in relazione all’art. 117, terzo comma, Cost., è dunque fondata. Vengono assorbiti i restanti profili.</em></p> <em><strong>Emilio Barile La Raia</strong></em>