<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Controllare significa garantire, dall’interno o dall’esterno, che chi agisce operi in modo (specie sul crinale economico, in contesto interno e sovranazionale) conforme rispetto a determinate coordinate di legittimità (o di opportunità): poco controllo può voler dire illegittimità (o inopportunità) dell’</em>agere publico<em>; troppo controllo può voler dire paralisi dell’Amministrazione attiva, con compromissione in specie del valore dell’efficacia e dell’efficienza pubblica. Tra questi due poli si gioca la disciplina tanto sostanziale quanto processuale dei rapporti tra controllante e controllato, entrambi pubblici, rispetto al privato titolare di un determinato interesse (giustiziabile) ad un bene della vita, la cui soddisfazione dipende dal potere dell’Amministrazione agente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1862</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 agosto viene varata la legge n.800 che istituisce la Corte dei Conti, con compiti di vigilanza sulle Amministrazioni del neonato Stato italiano</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1934</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 luglio viene varato il Regio Decreto n.1214, che reca Testo Unico di disciplina dell’attività della Corte dei Conti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice civile prevede forme di controllo dell’autorità amministrativa sugli atti di soggetti privati, specie quando vi è coinvolto un interesse pubblico: è il caso delle fondazioni, onde secondo l’art.25 c.c. l'autorità governativa esercita il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/617.html">fondazioni</a> medesime; provvede alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell'atto di fondazione non possono attuarsi; annulla, sentiti gli amministratori, con provvedimento definitivo, le deliberazioni contrarie a norme imperative, all'atto di fondazione, all'<a href="http://www.brocardi.it/dizionario/604.html">ordine pubblico</a> o al <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/605.html">buon costume</a>; può sciogliere l'amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/621.html">scopo</a> della fondazione o della legge; l'annullamento della deliberazione da parte dell’autorità governativa non pregiudica peraltro (comma 2) i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima (una disposizione assunta rilevante anche in tema di sorte del contratto a valle rispetto all’aggiudicazione dei contratti pubblici); infine, le azioni contro gli amministratori per fatti riguardanti la loro responsabilità devono essere autorizzate dall'autorità governativa e sono esercitate dal commissario straordinario, dai liquidatori o dai nuovi amministratori.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che prevede riserve di legge in tema di organizzazione dei pubblici uffici, in modo da assicurarne l’imparzialità ed il buon andamento (art.97), con ciò disegnando un sistema nel quale atti ed attività degli organi e dei soggetti pubblici devono ispirarsi a criteri di buona amministrazione, specie nell’ottica della più efficiente gestione delle risorse pubbliche, con <em>in nuce</em> già il concetto di necessario perseguimento di un risultato finale funzionale alla soddisfazione dell’interesse pubblico. Importante è poi l’art.100, secondo i cui comma 2 e 3 la Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato; partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria; riferisce infine direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito; la legge assicura l'indipendenza della Corte (come del Consiglio di Stato) e dei relativi componenti di fronte al Governo. Vengono anche previste altre due norme di rilievo, ovvero l’art.125, comma 1, onde il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato, in via preventiva e forma decentrata, da un organo dello Stato (il Commissario di Governo), nei modi e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, mentre la legge può in determinati casi ammettere il controllo di merito, al solo effetto di promuovere, con richiesta motivata, il riesame della deliberazione da parte del Consiglio regionale; e l’art.130, alla cui stregua un organo della Regione (quello che sarà il Co.Re.Co.), costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Provincie, dei Comuni e degli altri enti locali; in casi determinati dalla legge può anche essere esercitato il controllo di merito, nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione. Per quanto concerne il Commissario di Governo, l’art.124 della Costituzione gli affida – quale organo statale – il coordinamento tra le funzioni amministrative statali e quelle regionali. Ai sensi dell’art.127, lo Stato può agire in via preventiva innanzi alla Corte costituzionale nei confronti di una legge regionale, impedendone l’entrata in vigore.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1958</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 marzo viene varata la legge n.259 che disciplina in particolare la Sezione Controllo Enti sovvenzionati dallo Stato della Corte dei Conti: un organo che continuerà ad operare senza soluzione di continuità - seppure via via con minor rilievo sistematico, specie a seguito della successiva, c.d. <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Privatizzazione">privatizzazione</a> - controllando la gestione complessiva degli Enti pubblici e privati che ricevono contributi dallo Stato, rilevandone eventuali squilibri gestionali massime in materie quali gli appalti, gli aiuti di Stato e la concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1963</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 dicembre esce la sentenza della Corte costituzionale n. 163 che assumei ammissibile una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei conti nel corso di un giudizio di parificazione dei rendiconti, ai sensi degli artt. 38 e seguenti del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti). Si tratta tuttavia di attività giurisdizionale, e non di controllo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1966</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 dicembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.121, onde va riconosciuta la legittimazione della Corte dei conti a sollevare questioni di legittimità in sede di giudizio di parificazione «<em>per contrarietà con l’art. 81, quarto comma, della Costituzione</em>», di tutte le leggi che determinino veri e propri effetti modificativi dell’articolazione del bilancio dello Stato, per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unità elementari dello stesso, vale a dire sui capitoli con riflessi sugli equilibri di gestione. Si tratta tuttavia di attività giurisdizionale, e non di controllo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1974</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 novembre esce la sentenza della Cassazione n.3806 che afferma come sia inammissibile un ricorso diretto avverso un atto di controllo della Corte dei Conti, dovendo quest’ultima assumersi quale organo costituzionale, estraneo all’apparato della PA, che pone in essere atti non emessi dunque nell’esercizio di una funzione amministrativa attiva.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1979</strong></p> <p style="text-align: justify;">*L’8 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.5186 che ribadisce come sia inammissibile un ricorso diretto avverso un atto di controllo della Corte dei Conti, dovendo quest’ultima assumersi quale organo costituzionale, estraneo all’apparato della PA, che pone in essere atti non emessi dunque nell’esercizio di una funzione amministrativa attiva.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1985</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 ottobre esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.20 che si occupa del termine per impugnare un atto (lesivo) sottoposto a controllo preventivo, da parte del privato destinatario che se ne assuma leso: in queste ipotesi, dovendo essere escluso che tale termine decorra dal momento di adozione e di conoscenza di tale atto (controllando) – in quanto ancora inefficace per mancato intervento del controllo preventivo ed integrativo dell’efficacia – la Plenaria abbraccia la tesi onde tale termine decorre dalla piena conoscenza che il privato abbia dell’atto di controllo positivo. In tal modo la Plenaria sconfessa l’altra opzione ermeneutica che assume tale termine decorrere dal momento in cui tale atto positivo di controllo viene adottato, sul presupposto onde il privato ricorrente – essendo a conoscenza del fatto che l’atto che lo lede è sottoposto a controllo preventivo – avrebbe l’onere di verificare quando intervenga tale atto che gli fa decorrere il termine per impugnare l’atto controllato. Per la Plenaria, più garantista dunque, l’atto controllato lesivo va impugnato dal privato che se ne assuma leso nel termine di decadenza che decorre non già da quando interviene l’atto di controllo positivo (che ne integra l’efficacia), ma da quando egli ne abbia avuto conoscenza: solo da quel momento egli può infatti assumersi essere edotto della definitiva efficacia lesiva dell’atto controllato da impugnare.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1986</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.784, che si occupa della decorrenza del termine per impugnare un atto sottoposto a controllo, prima che il controllo sia intervenuto, e tuttavia già lesivo per il privato destinatario perché portato immediatamente ad esecuzione dalla PA. Si tratta di una fattispecie nella quale si registrano due diverse opzioni ermeneutiche, l’una che impone al privato di agire nel termine di decadenza dalla conoscenza dell’atto (sottoposto a controllo) della cui esecuzione si tratta, e l’altra – più garantista – che assume tale impugnazione tempestiva meramente facoltativa, potendo dunque la stessa essere posticipata al momento in cui interverrà l’atto di controllo (positivo) integrativo dell’efficacia dell’atto controllato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1988</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 agosto viene varata la legge n.400, recante disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, secondo il cui art.2, comma 3, lettera p), sono sottoposti a deliberazione del Consiglio dei Ministri le determinazioni concernenti l'annullamento straordinario, a tutela dell'unità dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi, previo parere del Consiglio di Stato e, nei soli casi di annullamento di atti amministrativi delle Regioni delle Provincie autonome, anche della Commissione parlamentare per le questioni regionali.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1989</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Lazio n.525 che si occupa del caso particolare in cui una PA attiva, prendendo atto dei rilievi negativi da parte del pertinente organo di controllo, desiste dall’adottare un provvedimento che sarebbe stato positivo per il privato. In questa ipotesi i rilievi (negativi) dell’organo di controllo devono assumersi lesivi delle ragioni del privato e, come tali, autonomamente impugnabili al pari dell’atto di controllo negativo che intervenga su un atto già adottato, quest’ultimo impugnabile con termine di decadenza decorrente dal momento in cui il privato ne ha avuto conoscenza.</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n.229 che dichiara l'illegittimità costituzionale dell’art.2, comma 3, lettera p) della legge 400.88 nella parte in cui prevede l'adozione da parte del Consiglio dei ministri delle determinazioni concernenti l'annullamento straordinario degli atti amministrativi illegittimi delle Regioni e delle Province autonome.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 19 luglio esce la sentenza del Tar Puglia, Lecce, n.585 che si occupa della decorrenza del termine per impugnare un atto sottoposto a controllo, prima che il controllo sia intervenuto, e tuttavia già lesivo per il privato destinatario perché portato immediatamente ad esecuzione dalla PA. Si tratta di una fattispecie nella quale si registrano due diverse opzioni ermeneutiche, l’una che impone al privato di agire nel termine di decadenza dalla conoscenza dell’atto (sottoposto a controllo) della cui esecuzione si tratta, e l’altra – più garantista – che assume tale impugnazione tempestiva meramente facoltativa, potendo dunque la stessa essere posticipata al momento in cui interverrà l’atto di controllo (positivo) integrativo dell’efficacia dell’atto controllato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto viene varata la legge 241.90 che, all’art.1, enumera i canoni che reggono l’azione amministrativa, facendo in particolare riferimento ai criteri di economicità, di efficacia e di efficienza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 maggio esce la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana n.166 che – uniformandosi alla giurisprudenza sul punto – rappresenta come l’atto negativo di controllo (a differenza di quello positivo) deve assumersi autonomamente impugnabile perché lesivo della sfera del privato che dall’atto controllato ritragga effetti vantaggiosi: l’atto di amministrazione attiva è per il privato positivo, mentre l’atto di controllo negativo che ne elide gli effetti deve, all’opposto, assumersi lesivo delle pertinenti ragioni, e dunque autonomamente impugnabile.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 maggio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.603 che, con riferimento all’ipotesi in cui l’atto da sottoporre a controllo sia immediatamente efficace (controllo successivo), il termine per impugnarlo decorre da tale atto controllando, e non dalla conoscenza dell’atto di controllo (positivo), che nulla aggiunge ad una efficacia che l’atto già ha per essere appunto il controllo successivo; ciò quand’anche si tratti di atto soggetto a (successiva) ratifica da parte dell’organo competente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 novembre viene varato il decreto legge n.453 che modifica il TU del 1934 sulla Corte dei Conti, con particolare riguardo alla Sezione Controllo Stato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 gennaio viene varata la legge n.20 che converte in legge il decreto legge 453.93. Importante la definitiva istituzione della Sezione controllo Affari comunitari e internazionali, un nuovo organo collegiale della Corte dei Conti che dispiega un controllo successivo di tipo diffuso generalizzato ed un controllo di tipo specifico (controllo-referto), al fine di riferire al <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Parlamento">Parlamento</a> ed ai <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Consiglio_regionale_(Italia)">Consigli Regionali</a> sui programmi nazionali che utilizzano fondi europei. A partire dal 2008 curerà anche la funzione di "<em>external auditor</em>" presso alcune organizzazioni internazionali (come ad esempio il <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/CERN">CERN</a> e l'<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/ICAO">ICAO</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.194 e la coeva 242, che si occupano degli effetti della sentenza che annulli l’atto negativo di controllo, laddove passi in giudicato. Il problema concerne in particolare la consumazione o meno del potere di controllo in capo al controllante: il Consiglio di Stato ritiene che tale potere in realtà non possa assumersi consumato, potendo il controllante esercitare nuovamente il proprio potere di controllo, seppure nei limiti del giudicato e dunque rispettando quest’ultimo. Passata in giudicato la sentenza che annulla l’atto negativo di controllo, l’atto controllato – in virtù della retroattività di tale sentenza ex art.26, comma 2, della legge 1034.71 - torna a trovarsi nella posizione in cui era <em>ab origine</em>, dovendo dunque attendere il prescritto controllo per poter guadagnare efficacia, il che dimostra che il potere della PA controllante non si è consumato ma può essere nuovamente edito, circostanza che si evince anche dall’espressione che fa “<em>salvi gli ulteriori provvedimenti amministrativi</em>”, da assumersi non già solo riferita ai provvedimenti di amministrazione attiva, ma anche a quelli amministrativi di controllo ed integrativi dell’efficacia. Dopo il giudicato di annullamento dunque il potere di controllo non si è consumato e può essere riesercitato, rispettando tuttavia il giudicato. Si chiosa adesivamente in dottrina affermando che l’atto di controllo potrebbe essere stato annullato per meri vizi formali o procedurali, onde non si può negare a valle del giudicato di annullamento un nuovo esercizio del potere di controllo in senso negativo giusta mera emenda di tali vizi formali o procedurali; del pari il controllante potrebbe riscontrare vizi dell’atto controllato diversi da quelli che hanno fondato l’atto negativo di controllo poi impugnato con successo dal ricorrente, potendo e dovendo in questi casi adottare un nuovo atto negativo di controllo per motivi diversi rispetto a quelli già processati; quest’ultima considerazione nondimeno reca seco la possibilità che, astrattamente, il potere di controllo possa essere reiteato in senso negativo senza soluzione di continuità. Sempre la dottrina rileverà che – in ipotesi di nuova edizione del potere di controllo a valle del primo giudicato di annullamento – il privato che invochi il risarcimento dei danni conseguenti alla illegittimità dell’atto di controllo negativo (che ha denegato effetti ad un atto controllato di amministrazione attiva a lui favorevole) ha interesse ad attendere la riedizione del potere di controllo che, laddove stavolta positivo, ne corroborerà la richiesta risarcitoria.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1995</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 gennaio esce l’importante sentenza della Corte costituzionale n.29 che si occupa della possibilità per il legislatore ordinario di introdurre forme di controllo anche al di fuori di una espressa previsione costituzionale: in sostanza, la Costituzione disegna un sistema di controlli “<em>aperto</em>” ad innesti del legislatore ordinario, fermo il solo limite della rintracciabilità in seno alla Costituzione di una base giuridica, quest’ultima da riconnettersi ad interessi protetti di rango costituzionale. La pronuncia inaugura un orientamento del giudice costituzionale che via via rintraccerà norme costituzionali “<em>autorizzanti</em>” nell’art.28 in tema di responsabilità dei pubblici dipendenti, nell’art.97 in tema di buon andamento ed imparzialità dell’Amministrazione, nell’art.119 in tema di coordinamento della finanza pubblica in relazione ai diversi livelli territoriali.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 21 aprile 1995 esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1034 che ribadisce gli effetti della sentenza che annulli l’atto negativo di controllo, laddove passi in giudicato. Il problema concerne in particolare la consumazione o meno del potere di controllo in capo al controllante: il Consiglio di Stato ritiene che tale potere in realtà non possa assumersi consumato, potendo il controllante esercitare nuovamente il proprio potere di controllo, seppure nei limiti del giudicato e dunque rispettando quest’ultimo. Passata in giudicato la sentenza che annulla l’atto negativo di controllo, l’atto controllato – in virtù della retroattività di tale sentenza ex art.26, comma 2, della legge 1034.71, torna a trovarsi nella posizione in cui era <em>ab origine</em>, dovendo dunque attendere il prescritto controllo per poter guadagnare efficacia, il che dimostra che il potere della PA controllante non si è consumato ma può essere nuovamente edito, circostanza che si evince anche dall’espressione che fa “<em>salvi gli ulteriori provvedimenti amministrativi</em>”, da assumersi non già solo riferita ai provvedimenti di amministrazione attiva, ma anche a quelli amministrativi di controllo ed integrativi dell’efficacia. Dopo il giudicato di annullamento dunque il potere di controllo non si è consumato e può essere riesercitato, rispettando tuttavia il giudicato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 576 che si occupa del termine per impugnare gli atti (lesivi) soggetti a controllo preventivo, escludendo che tale termine possa decorrere dal momento in cui il privato che se ne assuma leso ha conoscenza di tale atto, in quanto esso non è attualmente lesivo, proprio perché non ancora efficace per mancato intervento dell’atto di controllo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 01 febbraio esce la sentenza della Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Lombardia, n.312 che ribadisce come sia inammissibile un ricorso diretto avverso un atto di controllo della Corte dei Conti dovendo quest’ultima assumersi quale organo costituzionale, estraneo all’apparato della PA, che pone in essere atti non emessi dunque nell’esercizio di una funzione amministrativa attiva.</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 giugno esce l’importante sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.9, che si occupa dell’ipotesi in cui un privato impugni un atto negativo di controllo al fine di verificare se l’Amministrazione che ha adottato l’atto controllato (in senso negativo) assuma la posizione di controinteressata, con conseguente inammissibilità del ricorso in caso di mancata notifica anche ad essa. La Corte nega tale qualifica di controinteressato in capo all’Amministrazione attiva che ha adottato l’atto sottoposto a controllo negativo, dovendo il controinteressato qualificarsi tale non già in senso processuale, quanto piuttosto sostanziale, quale titolare di un interesse analogo e contrario a quello che legittima la proposizione del ricorso; peraltro la figura del controinteressato riguarda nominativamente un soggetto determinato, esplicitamente menzionato o comunque agevolmente individuabile che sia titolare di un interesse giuridicamente qualificato alla conservazione del provvedimento impugnato dal ricorrente. Muovendo da questi presupposti, la PA attiva appare piuttosto cointeressata rispetto al soggetto ricorrente, dal momento che l’atto negativo di controllo ne ha privato di efficacia (o ha impedito che avesse efficacia) un proprio atto, con conseguente natura adesiva e parallela dell’interesse dell’Amministrazione attiva rispetto a quello del ricorrente. Da tale pronuncia si evince che la PA adottante e controllata non è legittimata e non ha interesse neppure ad impugnare l’eventuale sentenza, positiva per il privato, che abbia annullato l’atto negativo di controllo (potendo tuttavia annullare a propria volta il proprio provvedimento giusta spendita del potere di autotutela).</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 novembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 1538 che si occupa del termine per impugnare gli atti (lesivi) soggetti a controllo preventivo, ribadendo come tale termine non possa decorrere dal momento in cui il privato che se ne assuma leso ha conoscenza di tale atto “<em>controllando</em>”, in quanto esso non è attualmente lesivo, proprio perché non ancora efficace per mancato intervento dell’atto di controllo. Va tuttavia esclusa l’ipotesi in cui l’atto soggetto a controllo e non ancora efficace sia portato dalla PA in esecuzione in via anticipata, perché in simile ipotesi esso presenta subito profili di lesività per il privato destinatario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre viene varata la legge n.639, che modifica ulteriormente il TU del 1934 sulla Corte dei Conti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">*L’11 marzo esce la sentenza della Cassazione n.2184 che afferma come sia inammissibile un ricorso diretto avverso un atto di controllo della Corte dei Conti dovendo quest’ultima assumersi quale organo costituzionale, estraneo all’apparato della PA, che pone in essere atti non emessi dunque nell’esercizio di una funzione amministrativa attiva.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 28 gennaio esce la sentenza del. Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n. 16 che si occupa del termine per impugnare gli atti (lesivi) soggetti a controllo preventivo, negando che tale termine possa decorrere dal momento in cui il privato che se ne assuma leso ha conoscenza di tale atto “<em>controllando</em>”, in quanto esso non è attualmente lesivo, proprio perché non ancora efficace per mancato intervento dell’atto di controllo. Va tuttavia esclusa l’ipotesi in cui l’atto soggetto a controllo e non ancora efficace sia portato dalla PA in esecuzione in via anticipata, perché in simile ipotesi esso presenta subito profili di lesività per il privato destinatario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 dicembre esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria n.8, che si occupa della fattispecie in cui sia intervenuta una sentenza del GA passata in giudicato che annulla l’atto negativo di controllo: in questa fattispecie l’atto controllato prende a spiegare gli effetti (che l’illegittimo atto di controllo denegava), con l’ulteriore conseguenza onde – trattandosi di vicenda auto esecutiva – non occorre spiccare ricorso per ottemperanza. Né potrebbe affermarsi che in qualche caso (come ad esempio nell’ipotesi in cui il privato sia stato reso destinatario di un provvedimento che gli attribuisce effetti economici) il passaggio in giudicato della sentenza che annulla l’atto negativo di controllo non garantirebbe al privato il conseguimento effettivo del bene della vita: ci si trova al cospetto della stessa fattispecie che si configura in cui un atto dell’Amministrazione sia perfetto, valido ed efficace, e tuttavia la PA non lo esegua, dovendo in questo caso il privato tutelarsi avvero la PA inerte, se del caso invocando anche il risarcimento del danno; all’opposto, il giudizio conclusosi con sentenza passata in giudicato auto-esecutiva non ha ad oggetto atti (o non atti) dell’Amministrazione attiva, ma un atto di competenza del controllante, onde il giudicato copre una illegittimità perpetrata dal controllante, e non si può agire per ottemperanza nei confronti della (incolpevole) PA (illegittimamente) controllata.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.134, sistematicamente importante anche con riguardo alla problematica degli effetti del giudicato di annullamento di un atto negativo di controllo, con particolare riguardo alla eventuale non consumazione del potere di controllo ed alla relativa reiterabilità. Secondo la pronuncia, una volta intervenuto un primo annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo (massime se con sentenza passata in giudicato) che non abbia confortato una istanza del privato (interesse pretensivo), la PA ha l’obbligo di individuare tutti gli ulteriori possibili motivi di diniego dell’istanza del privato medesimo, dovendosi escludere in caso di ulteriore annullamento del diniego ogni ulteriore possibile nuovo diniego: applicando il principio al diniego di visto, il controllante potrà – a valle dell’annullamento del proprio primo atto negativo, passato in giudicato – rieditare il proprio potere di controllo ma dovrà individuare tutti i vizi dell’atto controllato poiché se il proprio, nuovo atto negativo di controllo dovesse essere nuovamente annullato in sede giurisdizionale, non sarà possibile adottare un nuovo provvedimento di controllo negativo. In sostanza la pronuncia afferma che in sede di riedizione del potere a seguito di un annullamento giurisdizionale passato in giudicato, la PA non deve essere prevenuta nei confronti del privato e non deve esporlo a successivi ed indefiniti ulteriori giudizi, per giunta inflazionando il lavoro degli uffici giudiziari coinvolti dall’esercizio del proprio potere. La PA può e deve nuovamente provvedere dunque, ma riesaminando l’affare nella relativa globalità e sollevando tutte le questioni che ritenga rilevanti, consapevole che non potrà nuovamente esercitarlo laddove intervenga un secondo annullamento del proprio atto negativo; non potendo la PA tornare nuovamente sulla vicenda che la avvince al privato, secondo la sentenza in parola al GA adito una seconda volta in sede di tutela dell’interesse pretensivo spetta dunque l’ultima parola sul bene della vita invocato dal privato e del quale egli chiede tutela giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 novembre viene varata la legge costituzionale n.1, che modifica l’art.126 della Costituzione in tema di controllo dello Stato sugli organi della Regione: viene prevista la possibilità di scioglimento del Consiglio regionale e di rimozione del Presidente della Giunta regionale che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazione di legge (D.p.R. motivato, sentita la Commissione bicamerale sulle questioni regionali). Lo scioglimento del Consiglio e la rimozione del Presidente della Giunta possono essere disposte anche per ragioni di sicurezza nazionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 gennaio esce la sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia n.10 che si occupa del caso in cui un atto di controllo negativo della Corte dei Conti (diniego di visto) vulneri posizioni private: esclusa in queste ipotesi l’ammissibilità di un ricorso diretto avvero il diniego di visto della Corte, il privato può tuttavia impugnare gli atti di ritiro posti conseguentemente in essere dall’Amministrazione attiva per dare seguito all’atto negativo di controllo della Corte, assumendo legittimi gli atti che la Corte ha assunto illegittimi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 agosto viene varato il decreto legislativo n.267, c.d. Testo Unico in materia di enti locali (TUEL), il cui articolo 135 prevede che il Prefetto, e dunque un organo dello Stato, nell'esercizio dei poteri conferitigli dalla legge o a lui delegati dal Ministro dell'interno (ai sensi dell'articolo 2, comma, 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, e successive modificazioni ed integrazioni), qualora ritenga, sulla base di fondati elementi comunque acquisiti, che esistano tentativi di infiltrazioni di tipo mafioso nelle attività riguardanti appalti, concessioni, subappalti, cottimi, noli a caldo o contratti similari per la realizzazione di opere e di lavori pubblici, ovvero quando sia necessario assicurare il regolare svolgimento delle attività delle PPAA, richiede ai competenti organi statali e regionali gli interventi di controllo e sostitutivi previsti dalla legge. Ai medesimi fini sempre il Prefetto può chiedere altresì che siano sottoposte al controllo preventivo di legittimità le deliberazioni degli enti locali relative ad acquisti, alienazioni, appalti ed in generale a tutti i contratti, con le modalita' e i termini previsti dall'articolo 133, comma 1, disponendosi che le predette deliberazioni gli siano all’uopo comunicate contestualmente all'affissione all'albo. Importante anche l’art.147 secondo il quale gli enti locali, nell'ambito della loro autonomia normativa e organizzativa, individuano strumenti e metodologie per garantire, attraverso il controllo (interno) di regolarità amministrativa e contabile, la legittimità, la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa; nonché l’art.138 che disciplina il c.d. annullamento governativo straordinario sugli atti degli enti locali: in applicazione dell'articolo 2, comma 3, lettera p), della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo, a tutela dell'unita' dell'ordinamento, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, ha facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d'ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità. Per quanto concerne il controllo sugli organi degli enti locali, importante l’art.141 che disciplina il potere di scioglimento dei consigli comunali e provinciali (D.p.R., su proposta del Ministro dell’Interno).</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 novembre viene varata la legge n.340, il cui art.27, comma 1, in seguito più volte modificato ma non nella relativa filosofia di fondo, afferma che gli atti trasmessi alla Corte dei conti per il controllo preventivo di legittimità divengono in ogni caso esecutivi trascorsi 60 giorni dalla loro ricezione, senza che sia intervenuta una pronuncia della Sezione del controllo, salvo che la Corte, nel predetto termine, abbia sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'articolo 81 della Costituzione, delle norme aventi forza di legge che costituiscono il presupposto dell'atto, ovvero abbia sollevato, in relazione all'atto, conflitto di attribuzione; tale termine di 60 giorni e' sospeso per il periodo intercorrente tra le eventuali richieste istruttorie e le risposte delle amministrazioni o del Governo, che non può complessivamente essere superiore a 30 giorni. La norma inaugura una sorta di “<em>silenzio assenso</em>” in ordine agli atti di controllo della Corte dei Conti che si inserisce in una logica acceleratoria dei procedimenti di controllo, visti sempre più come collaborativi (anche al fine di garantire la tempestività e l’efficienza dell’azione pubblica) e sempre meno come repressivi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 giugno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3213 che assume come la PA che ha adottato un provvedimento poi annullato dal relativo organo di controllo non assume la posizione di controinteressata nei giudizi spiccati dai privati avverso l’atto negativo di controllo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 ottobre esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.9, che si occupa del caso in cui un atto (lesivo) sia sottoposto a controllo successivo, e dunque spieghi da subito piena efficacia: in questa fattispecie, il privato che se ne assuma leso deve procedere ad impugnare subito l’atto nel termine di decadenza decorrente dal momento in cui ne abbia conoscenza ai sensi della regola generale di cui all’art.21, comma 1, della legge 1034.71; qualora poi l’atto di controllo sia negativo, l’atto controllato (e lesivo) perde effetti <em>ex post</em>, con conseguente estinzione del processo per cessazione della materia del contendere ovvero comunque per sopravvenuta carenza di interesse ad agire.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 ottobre viene varata la legge costituzionale n.3 che vara la riforma “<em>federalista</em>”, novellando il Titolo V della Costituzione con l’obiettivo di realizzare i canoni della sussidiarietà (verticale) e della prossimità tra governo e governati, giusta elisione (o comunque dequotazione) proprio di una serie di controlli amministrativi di livello territoriale “<em>discendente</em>” in precedenza dispiegati <em>ab externo</em> sugli enti locali (il controllo sullo Stato viene invece spiegato sempre <em>ab externo</em> ma dalla Corte dei Conti ed ha dunque natura non amministrativa, ma magistratuale); viene abrogato sia l’art.125, comma 1, della Costituzione in tema di controlli sugli atti della Regione (sparisce il Commissario di Governo, organo dello Stato deputato al controllo preventivo di legittimità sugli atti della Regione ed al coordinamento tra le funzioni amministrative statali e quelle regionali), sia l’art.130 della Carta in tema di controllo sugli atti dei Comuni e delle Provincie (sparisce il Co.Re.Co, organo della Regione deputato al controllo preventivo di legittimità sugli atti di Provincie e Comuni). Viene anche riformulato il comma 1 dell’art.117 della Costituzione, prevedendosi esplicitamente che la <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/443.html">potestà legislativa</a> è esercitata dallo <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/26.html">Stato</a> e dalle <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/436.html">Regioni</a> nel rispetto della <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/7.html">Costituzione</a>, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/444.html">obblighi internazionali</a>: si tratta di una riforma che imporrà all’Italia di rispettare i vincoli europei ed internazionali, con particolare riguardo ai c.d. patti di stabilità, ovvero a quei canoni pattizi in forza dei quali viene imposto agli Stati aderenti all’Unione europea di convergere dal punto di vista economico e finanziario, rispettando tutti le medesime regole in tema di debito pubblico e relativi rapporti con il PIL. Altrettanto importante l’art.119 Cost. novellato in tema di autonomia finanziaria, quanto meno tendenziale, degli enti locali, e che rileva dunque anche per quanto concerne i possibili controlli, specie per quanto concerne i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario complessivo. Modificando l’art.127, si consente poi allo Stato di agire contro le leggi regionali solo in via successiva (e non anche più in via preventiva), legittimando ad un tempo le Regioni ad agire contro le leggi statali lesive delle attribuzioni regionali. Importante l’art.117, comma 5, Cost. nella versione novellata, che concerne l’ipotesi in cui Regioni e Provincie autonome – nelle materie di rispettiva competenza – non legiferino in senso attuativo o comunque esecutivo degli accordi internazionali o degli atti dell’Unione europea, potendo lo Stato – quale potenziale soggetto inadempiente a livello internazionale - sostituirsi a dette Regioni e Provincie autonome; un analogo potere sostitutivo – con connesso temperamento dei principi di sussidiarietà e di prossimità, al cospetto di interessi pubblici essenziali - viene previsto dall’art.120 per il caso in cui sia imputabile a Regioni, Città metropolitane, Provincie e Comuni il mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, ovvero si ravvisi pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica, con particolare riguardo alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 giugno viene varata le legge n.131, di attuazione della riforma del titolo V della Costituzione, il cui articolo 8 disciplina i poteri sostitutivi del Governo rispetto agli enti locali previsti dall’art.120 della Costituzione al cospetto di interessi pubblici essenziali, prevedendo l’assegnazione di un congruo termine al soggetto od organo inadempiente per adottare i provvedimenti dovuti o necessari, trascorso inutilmente il quale si provvede giusta intervento diretto ovvero giusta nomina di un commissario all’uopo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 novembre esce il parere della I sezione del Consiglio di Stato n.1006 che – muovendo dalla riforma costituzionale del 2001 – assume dal punto di vista sistematico, particolarmente rilevante l’abrogazione dell’art.130 Cost., che costituiva la norma costituzionale di copertura per i controlli di legittimità e di merito sugli enti locali, onde tali enti locali costituiscono ormai organismi che perseguono l’interesse pubblico loro attribuito dalla legge senza soggiacere a controlli amministrativi per quanto concerne gli atti (amministrativi) che concretamente adottano ai fini del ridetto perseguimento. Il parere è importante anche perché si pronuncia sulla questione se – abrogato dalla riforma del 2001 per l’appunto l’art.130 Cost. – possa o meno ritenersi ancora vigente l’art.135 del TUEL 267.00 in tema di potere del Prefetto di sottoporre a controllo le delibere degli enti locali massime a fini antimafia: per il Consiglio di Stato detto potere del Prefetto non si atteggia a potere esterno statale di controllo di legittimità sugli atti degli enti locali (stigmatizzato dalla riforma), quanto piuttosto di potere orientato a salvaguardare interessi fondamentali inerenti all’ordine pubblico e alla sicurezza pubblica, materie riservate peraltro alla legislazione esclusiva dello Stato dal nuovo art.117, comma 2, lettera h) della Costituzione; onde, escluso ormai il controllo preventivo di legittimità sugli atti dell’ente locale, resta comunque la possibilità per il Prefetto di chiedere il riesame dell’atto secondo l’assetto che l’ente locale si è dato ai sensi dell’art.147, comma 1, del TUEL, laddove viene annessa all’autonomia normativa ed organizzativa dell’ente locale l’individuazione di sistemi di controllo sulla legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa; laddove manchi tale sistema di controllo interno perché l’ente locale interessato non lo ha previsto, il Prefetto può chiedere il riesame in via di autotutela allo stesso organo che lo ha adottato. Altra questione affrontata dal Consiglio di Stato e risolta in senso affermativo è quella della perdurante vigenza e legittimità costituzionale dell’art.138 del TUEL, e dell’annullamento straordinario degli atti degli enti locali ivi previsto: il fatto che l’art.117, comma 2, Cost. riservi allo Stato competenza legislativa esclusiva in determinate materie, e che l’art.120, comma 2, Cost. consenta allo Stato medesimo di invadere competenze proprie degli enti locali implica che la coerenza e l’unitarietà del sistema giuridico rappresentano un valore costituzionale tale da giustificare il ridetto annullamento straordinario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 marzo esce la sentenza della Corte costituzionale n.69, che si occupa dell’art.120, comma 2, della Costituzione e dei poteri statali sostitutivi in esso previsti, assumendo come essa non prefiguri un numero chiuso di tali poteri sostitutivi, potendo il legislatore statale o regionale istituire e disciplinare ulteriori moduli di potere sostitutivo, che tuttavia configurano interventi sostitutivi eccezionali rispetto all’ordinario quadro delle funzioni attribuite agli enti locali, con conseguente riferibilità – per quanto concerne le condizioni ed i limiti di tale modulo sostitutivo – a quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale con riguardo alle condizioni e ai limiti del potere sostitutivo dello Stato nei riguardi delle Regioni.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.6031 che si occupa della fattispecie in cui la Corte dei Conti deneghi il visto su un atto di amministrazione attiva (atto di controllo negativo della Corte): in simili ipotesi il privato non può impugnare in via diretta l’atto negativo della Corte, dovendo assumersi tale ricorso avverso la deliberazione della Corte medesima inammissibile; potrà tutelare il proprio interesse legittimo vulnerato dall’atto di controllo negativo impugnando l’atto della PA attiva di non esecuzione del proprio provvedimento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.267 che dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 10 della legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 19 maggio 2005, n. 10 (Disposizioni in materia di controllo sulla gestione finanziaria e istituzione della relativa Autorità di vigilanza), sollevata, in riferimento agli artt. 114, 117, terzo comma, 119, secondo comma, e 120 della Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione) ed agli artt. 2, primo comma, lettere a) e b), e 3, primo comma, lettera f), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe. La pronuncia è importante laddove ribadisce che gli atti della Corte dei Conti sono atti di controllo posti in essere da un organo neutrale che non è parte dell’Amministrazione attiva e che è composto da membri assistiti dalla guarentigia dell’indipendenza dal Governo ex art.100 Cost., con la conseguenza onde tali atti (in sede di controllo preventivo di legittimità) debbono intendersi non autonomamente impugnabili.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 luglio esce la sentenza della II sezione del Tar Sardegna n.1621 che conferma, uniformandosi sul punto alla giurisprudenza, che l’atto positivo di controllo non può assumersi autonomamente impugnabile: esso non fa che consolidare la lesività dell’atto controllato, che dunque resta l’unico impugnabile. In sostanza, l’impugnabilità riguarda l’atto di amministrazione attiva controllato, non l’atto controllante che ne costituisce una mera <em>condicio iuris</em> in termini di efficacia.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 giugno viene varato il decreto legislativo n.123, recante riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e potenziamento dell’attività di analisi e valutazione della spesa a norma dell’art.49 della legge 196.09, che si occupa, disciplinandolo, del controllo preventivo su atti amministrativi laddove ne derivino effetti finanziari per le casse dello Stato; più nel dettaglio, si tratta ai sensi dell’art.5, comma 2, degli atti che abbiano riflessi finanziari sui bilanci dello Stato, delle altre PPAA e degli organismi pubblici, ad eccezione dei pertinenti atti posti in essere da PPAA, organismi e organi dello Stato dotati di autonomia finanziaria e contabile. Alcuni atti vengono dichiarati in ogni caso soggetti a controllo preventivo di legittimità, e tra essi i più importanti sono i provvedimenti e i contratti di assunzione di personale, gli atti concernenti il trattamento economico e giuridico del personale statale in servizio, gli atti che implichino trasferimenti di somme dal bilancio dello Stato ad altri enti ed organismi e gli atti soggetti a controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti. Quando un atto è assoggettato a controllo preventivo di regolarità amministrativa e contabile, laddove tale controllo sia positivo, l’atto diviene efficace dal momento in cui è stato adottato (e non dal giorno in cui interviene il controllo positivo, che dunque retroagisce).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 aprile viene varata la legge costituzionale n.1 che – modificando l’art.81 della Costituzione – introduce nel sistema giuridico italiano il principio del pareggio di bilancio. Da questo momento l’art.81 diventa una norma capace di potenzialmente autorizzare interventi legislativi orientati ad introdurre controlli che abbiano ad oggetto la verifica del pieno rispetto di tale principio. Vengono anche modificati gli articoli 97, 117 e 119 della Costituzione, con lo scopo di garantire un più efficace coordinamento della finanza pubblica: dinanzi alla responsabilità esclusiva dello Stato nei confronti dell’Unione in caso di violazione del patto di stabilità scolpito in sede europea infatti, un difetto di coordinamento ed una settorialità territoriale delle dinamiche di entrata e di spesa si profilano pericolose. Dall’Unione e dal relativo ordinamento giungono vincoli di carattere economico e finanziario che vanno rispettati anche dagli enti locali, e che ove violati o trascurati possono impegnare la responsabilità dello Stato, il quale è dunque chiamato a controllare non già i singoli atti degli enti territoriali in parola, quanto piuttosto – in ottica di risultato – la relativa gestione: il tutto passa allora attraverso la necessità di coordinare ed armonizzare la finanza pubblica ed il sistema tributario, venendo affidata alla competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni proprio la materia della ridetta armonizzazione e del citato coordinamento, che presuppongono da un lato che le categorie finanziarie e contabili a livello centrale e locale siano omogenee, e dall’altro per l’appunto un più accentuato controllo di gestione dello Stato su economia e finanza degli enti locali in ottica di armonizzazione e coordinamento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della Corte costituzionale n.20 che risponde ad un ricorso della Regione Veneto onde sarebbe incostituzionale l’art.35 del decreto legge 201.11, laddove introduce nella legge 287.90 l’art.21 bis in tema di poteri dell’AGCM di impugnare atti di altre Amministrazioni, perché inteso a surrettiziamente introdurre da un lato la figura del PM nel processo amministrativo così entrando in frizione con la natura soggettiva (anche) della giurisdizione amministrativa, e dall’altro scolpendo una nuova modalità di controllo sugli atti delle Regioni, in violazione della legge costituzionale n.3 del 2011 che ha abrogato appunto i controlli sugli atti regionali siccome originariamente previsti dall’art.125 Cost. Per la Corte in realtà si è al cospetto di una ipotesi di legittimazione processuale che trova una cornice ben definita, cristallizzata dalla materia della “<em>concorrenza</em>”, che appartiene alla legislazione esclusiva dello Stato. Non si è poi al cospetto di un nuovo e generalizzato controllo di legittimità, essendosi il legislatore limitato a prevedere un potere di iniziativa che ha lo scopo di contribuire ad una più completa ed esaustiva tutela della concorrenza e del mercato, peraltro di certo non generalizzato sol che si consideri come esso sia operante soltanto con riguardo agli atti amministrativi che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato. La Corte in sostanza esclude che si sia in presenza di una nuova forma di giurisdizione di tipo oggettivo, per abbracciare la tesi – compatibile con la Costituzione – della natura “<em>soggettiva</em>” della giurisdizione di cui all’art.21.bis della legge 287.90, siccome innescata da AGCM.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.130 che – nel dichiarare illegittima la legge della Regione Basilicata n.17 del 2014 in tema di utilizzazione dei proventi che alla Regione derivano dalle <em>royalties</em> petrolifere, specie al fine di operare investimenti in conto capitale superiori rispetto a quelli consentiti dal c.d. patto di stabilità interno - si occupa in particolare delle norme italiane che disciplinano tale patto di stabilità interno: si tratta di norme riconducibili ai vincoli che all’Italia derivano dall’appartenenza all’Unione europea, e costituiscono espressione della competenza legislativa statale in tema di coordinamento della finanza pubblica; in sostanza, solo una legge dello Stato può identificare quali spese della Regione concorrono a definire il c.d. saldo rilevante ai fini del rispetto del vincolo di stabilità interno, identificandosi quest’ultimo in un coacervo di disposizioni che coinvolgono le Regioni e gli enti locali nella realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica che derivano all’Italia proprio dall’appartenenza all’Unione europea. Peraltro, il Governo centrale viene dotato dalla Costituzione novellata (art.117, comma 5, e 120, comma 2) di poteri sostitutivi che può esercitare in caso di inerzia degli enti locali nell’adeguarsi alle norme europee, così non rispettando i limiti ivi descritti, specie dal punto di vista economico e finanziario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 ottobre esce la sentenza delle SSUU n.24876 alla cui stregua, ai sensi dell’art. 43 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 – come modificato dall’art. 11 della legge 3 aprile 1979 n. 103 – la facoltà per le Università statali di derogare, “<em>in casi speciali</em>” al “patrocinio autorizzato” spettante <em>ex lege</em> all’Avvocatura dello Stato, per avvalersi dell’opera di liberi professionisti, è subordinata all’adozione di una specifica e motivata deliberazione dell’ente (vale a dire del Rettore) da sottoporre agli organi di vigilanza dell’ateneo per un controllo di legittimità (segnatamente, al Consiglio di amministrazione). Come regola generale, soggiunge la Corte, la mancanza di tale controllo determina la nullità del mandato alle liti, non rilevando che esso sia stato conferito con le modalità prescritte dal Regolamento o dallo Statuto dell’Università i questione, trattandosi entrambe di fonti di rango secondario insuscettibili di derogare alla legislazione primaria. Tuttavia, precisa il Collegio, nei casi in cui ricorra una vera e propria urgenza, ai sensi dell’art. 12 del r.d. n. 1592 del 1933, il Rettore, nella qualità di Presidente del Consiglio d’amministrazione, può provvedere direttamente al conferimento dell’incarico all’avvocato del libero foro, purché curi di far approvare sollecitamente la relativa delibera dal Consiglio di amministrazione, così sanando la originaria irregolarità. In base poi al citato art. 43, è valido il mandato conferito ad avvocati del libero foro con il solo provvedimento del Rettore non seguito dal vaglio del Consiglio di amministrazione nel caso in cui si verifichi in concreto un conflitto di interessi sostanziali tra più enti pubblici che sono parti nel medesimo giudizio, la presenza di un simile conflitto di interessi – laddove reale, non meramente ipotetico e documentato – rende non ipotizzabile il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in favore dell’Università, onde non vi è in simili fattispecie alcuna ragione di richiedere la suindicata preventiva autorizzazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 febbraio esce la sentenza della Corte costituzionale n.36 che dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla Regione Veneto, nei confronti dello Stato in relazione all’art. 5, comma 1, del D.P.R. 12 settembre 2016, n. 194 (Regolamento recante norme per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi, a norma dell’articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124), che ha definito le modalità di esercizio del potere sostitutivo, nei casi di inerzia regionale e locale, in assenza di adeguati meccanismi di raccordo con la Regione interessata, nell’ambito di un regolamento di delegificazione volto alla semplificazione e all’accelerazione di determinati procedimenti amministrativi.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 ottobre esce la sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato n.5863, alla cui stregua nelle procedure di evidenza pubblica la mancata conferma dell’aggiudicazione provvisoria non dà luogo all’esercizio di alcun potere in via di autotutela, tale da richiedere il raffronto tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato, con conseguente puntuale obbligo di motivazione in capo all’Amministrazione; si tratta di un contesto nel quale, per il Collegio, non è in alcun modo prospettabile un affidamento del destinatario dell’aggiudicazione provvisoria, in quanto tale atto non è conclusivo del procedimento di evidenza pubblica e non vi è dunque lo svolgimento di alcun procedimento di secondo grado (che comporterebbe la necessità di una comunicazione di avvio del procedimento e, soprattutto, l’esternazione della motivazione inerente il pubblico interesse che legittima la rimozione dell’atto siccome in precedenza adottato). Il Collegio soggiunge come nelle gare di appalto, una volta conclusisi i lavori della commissione di gara, avente compiti di natura prettamente tecnica in funzione “<em>preparatoria</em>”, finalizzati all’individuazione del miglior contraente, spetta poi alla stazione appaltante – mediante gli organi a ciò deputati – approvarne l’operato, ossia verificarne la correttezza, dovendosi ritenere del tutto residuali le ipotesi in cui la commissione di gara deve essere riconvocata a seguito dell’emersione di errori o lacune nel relativo operato; in via ordinaria infatti, precisa ancora il Collegio, a seguito del completamento dei lavori della commissione, è il Rup (Responsabile unico del procedimento) a dover esercitare i propri poteri di verifica e controllo, nel disimpegno della tipica funzione di verifica e supervisione sull’operato della commissione medesima che a lui spetta; la Stazione appaltante esercita per il relativo tramite un controllo non solo di legittimità ma anche nel merito dell’operato della commissione giudicatrice, al fine di verificare la rispondenza dell’offerta presentata agli obiettivi di interesse pubblico da conseguire attraverso il contratto messo a gara. Peraltro l’Amministrazione appaltante – laddove legittimata in base a motivate ragione tecniche (siccome evidenziate nella proposta del Rup) a non procedere all’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria – può discrezionalmente optare per 2 diverse soluzioni: avvalersi, ai fini della scelta del contraente, della procedura già espletata con scorrimento della graduatoria precedentemente formata dalla commissione (come peraltro avvenuto nel caso di specie), ovvero indire una nuova gara.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 novembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.196 alla cui stregua è da assumersi ammissibile una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei conti nel corso di un giudizio di parificazione dei rendiconti, ai sensi degli artt. 38 e seguenti del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti). Si tratta tuttavia di attività giurisdizionale, e non di controllo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 luglio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 4878 in materia di poteri sostitutivi della Regione in caso di abusi edilizi. L'art. 10 della L.R. n. 10 del 2004, infatti, è rubricato "Interventi sostitutivi della Regione ai sensi dell'articolo 31, comma 8, del D.P.R. n. 380 del 2001", con la conseguenza che il potere sostitutivo è attivabile soltanto in presenza di interventi edilizi realizzati in assenza di titolo abilitativo, in totale difformità e con variazioni essenziali da esso e non anche in presenza di un permesso di costruire annullato.</p> <p style="text-align: justify;">Anche al comma 2 della norma recita: "Il Presidente della Giunta regionale, trascorsi i termini di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, articolo 31, comma 8, diffida il comune a concludere l'attività repressiva entro trenta giorni e, in caso di inerzia, attiva l'esercizio dei poteri di intervento sostitutivo con la nomina di un commissario ad acta dandone comunicazione al comune", il che conferma ulteriormente l'attivabilità del potere sostitutivo soltanto nei casi di cui all'art. 31 citato.</p> <p style="text-align: justify;">L'esercizio del potere sostitutivo della Regione, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata della norma statale e di quella regionale, non appare suscettibile di applicazione analogica, siccome circoscritta all'inerzia dei Comuni nella repressione di abusi edilizi inquadrabili nella fattispecie ex art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001.</p> <p style="text-align: justify;">La funzione sostitutiva della Regione, in quanto di stretta interpretazione, si applica, quindi, soltanto al perimetro dell'art. 31, ossia ai soli casi di abusività originaria, sanzionando l'omesso esercizio a parte del Comune dei poteri di vigilanza e controllo ex art. 27, D.P.R. n. 380 del 2001, mentre non appare estensibile all'ambito di operatività di una norma distinta per presupposti applicativi ed effetti giuridici, come l'art. 38 D.P.R. n. 380 del 2001.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 luglio esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 195 che interviene in materia di riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni. Il perseguimento degli interessi costituzionali alla sicurezza, all'ordine pubblico e alla pacifica convivenza, infatti, è affidato dalla Costituzione in via esclusiva allo Stato, mentre le Regioni possono cooperare a tal fine solo mediante misure ricomprese nelle proprie attribuzioni.</p> <p style="text-align: justify;">Nella fattispecie la Corte si trovava ad analizzare la legittimità della norma che, imponendo un DASPO, limitava l’accesso al territorio comunale del soggetto attinto da tale misura. La norma prevede espressamente che le modalità applicative del divieto di accesso alle aree protette devono essere compatibili con le esigenze di salute del destinatario dell'atto. Una lettura di tale disposizione orientata alla conformità ai parametri evocati dal giudice rimettente, comporta che tale destinatario può comunque fruire dei servizi sanitari per ragioni di cura, senza che gli sia precluso l'accesso, anche ove egli sia stato destinatario del provvedimento del questore, che per il resto gli abbia fatto divieto di accedere a tale area per ogni altra ragione.</p> <p style="text-align: justify;">La stessa interpretazione può adottarsi, pur in mancanza di un riferimento testuale, stante la medesima ratio sottesa all'una e all'altra misura, per delimitare l'ambito applicativo dell'ordine di allontanamento dal presidio sanitario negli stessi termini previsti per il divieto di accesso.</p> <p style="text-align: justify;">In ogni caso, quindi, la persona che ricorre al presidio sanitario, perché le siano erogate cure mediche (o prestazioni terapeutiche o di analisi e diagnostica), non può essere allontanata, né le può essere precluso l'accesso alla struttura, essendo il diritto alla salute prevalente sull'esigenza di decoro dell'area e di contrasto, per ragioni di sicurezza pubblica, delle condotte - tutte sanzionate solo in via amministrativa - elencate nel comma 2 dell'art. 9 del D.L. n. 14 del 2017.</p> <p style="text-align: justify;">La necessità di accedere alle prestazioni sanitarie, verificata dal personale del presidio, non esclude, però, la sanzionabilità, in via amministrativa, delle eventuali condotte che la persona, pur bisognosa di cure mediche, abbia posto in essere in violazione delle disposizioni richiamate dal comma 2 dell'art. 9.</p> <p style="text-align: justify;">Così interpretata la disposizione censurata, non vi è alcun ostacolo alla fruizione delle prestazioni sanitarie da parte di chi ne ha bisogno, il cui diritto alla salute rimane pienamente tutelato, e non vi è, in concreto, alcuna incidenza sull'organizzazione dei presidi sanitari, sicché non è violata la competenza regionale concorrente in materia di tutela della salute, né il principio di leale collaborazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il potere sostitutivo introdotto dalla disposizione censurata - essendo previsto con un'incidenza nell'attività dell'ente locale tendenzialmente molto ampia, stante che l'individuazione da parte del prefetto di "prioritari interventi di risanamento" non è limitata ad attività vincolata per legge e non discrezionale - avrebbe dovuto essere rispettoso del canone dell'art. 120, secondo comma, Cost., secondo cui i poteri sostitutivi devono essere esercitati secondo il principio di sussidiarietà e di leale collaborazione. La Corte, con riferimento a tale parametro, ha affermato che "la previsione del potere sostitutivo fa ... sistema con le norme costituzionali di allocazione delle competenze" (sentenza n. 236 del 2004) e quindi occorre che tale potere sia rispettoso delle autonomie locali. È lo stesso art. 120, secondo comma, Cost. a prevedere l'intervento sostitutivo del Governo, implicante l'assunzione di responsabilità politica del potere esecutivo, quando vi è, in particolare, un'esigenza di "tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica" dell'ordinamento. Ha affermato questa Corte (sentenza n. 43 del 2004) che "la Costituzione ha voluto ... che, a prescindere dal riparto delle competenze amministrative, come attuato dalle leggi statali e regionali nelle diverse materie, fosse sempre possibile un intervento sostitutivo del Governo per garantire tali interessi essenziali". Si è ritenuto, ad esempio, che la protratta inerzia degli enti locali "giustifica la previsione di un potere sostitutivo, che consenta un intervento di organi centrali a salvaguardia di interessi generali ed unitari" (sentenza n. 44 del 2014), mentre è il prefetto che rileva la mancata attuazione da parte dell'ente locale di quanto prescritto dalla legge; potere "attribuito al Prefetto che lo esercita senza margini di discrezionalità" (ancora, la sentenza n. 44 del 2014).</p> <p style="text-align: justify;">Lo stesso T.U. enti locali, del resto, assegna al Governo il potere sostitutivo in plurime fattispecie di maggiore incidenza nell'autonomia dell'ente locale, quali quelle di sua inattività qualificata (art. 138), di atti viziati da illegittimità (art. 139), di malfunzionamento di organi e servizi o di gravi e persistenti violazioni di legge (art. 141), e finanche per gravi motivi di ordine pubblico (art. 142). Mentre il prefetto può sostituirsi in fattispecie più limitate e circoscritte, come in caso di inosservanza degli obblighi di convocazione del consiglio (art. 39) o di inerzia del sindaco nell'esercizio di funzioni statali (art. 54) ovvero, in via solo provvisoria, per motivi di grave e urgente necessità nei procedimenti di cui agli artt. 141, 142 e 143.</p> <p style="text-align: justify;">Insomma, quanto più il potere sostitutivo, incidente nell'autonomia dell'ente locale territoriale, presenta una connotazione di discrezionalità nei presupposti e nel contenuto, tanto più il livello di assunzione di responsabilità si eleva da quello amministrativo (provvedimento del prefetto) a quello politico (deliberazione del Governo).</p> <p style="text-align: justify;">La garanzia costituzionale di autonomia degli enti locali territoriali (Comuni, Province e Città metropolitane) richiede non solo che i presupposti di tali poteri sostitutivi, incidenti nell'attività dell'ente, siano sufficientemente determinati dalla legge, ma anche che l'eventuale sostituzione a organi dell'ente rispetti il canone dell'art. 120, secondo comma, Cost., integrato dalla norma di attuazione di cui all'art. 8 della L. 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), sull'assunzione a livello governativo della responsabilità per l'esercizio di tali poteri.</p> <p style="text-align: justify;">Invece, la disposizione censurata lascia l'esercizio di un potere sostitutivo, che si è visto essere ampiamente discrezionale, al livello meramente amministrativo dei poteri del prefetto, senza alcun coinvolgimento del Governo (come nell'ipotesi del comma 1 dell'art. 143) e neppure del Ministro dell'interno (come nell'ipotesi del comma 5 della stessa disposizione).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 settembre esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 che ricorda come un soggetto, anche privato, può emanare provvedimenti amministrativi solo nei casi previsti dalla legge, pacifico essendo (in base all' art. 1, comma 1-ter, della L. n. 241 del 1990) che i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative debbano assicurare il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento, e quindi in primis quello all'osservanza della legalità dell'azione amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;">Ritiene l'Adunanza plenaria, che il potere del Gestore di accertare unilateralmente e definitivamente (in via amministrativa) lo stato (eventuale) di inadempienza degli operatori economici rispetto al ridetto obbligo di legge non possa che manifestarsi attraverso la forma ed i contenuti propri dell'attività provvedimentale.</p> <p style="text-align: justify;">Il suddetto potere si inscrive in un rapporto di naturale asimmetria fra le parti, ben rappresentato dalla tradizionale endiadi potestà-soggezione, propria dei rapporti di diritto amministrativo qualificati dalla autoritatività dell'azione del soggetto agente.</p> <p style="text-align: justify;">Se è vero infatti che i poteri sanzionatori non mettono capo al Gestore ma alla AEEG (oggi ARERA, Autorità di regolazione delle Reti e dell'Ambiente), nondimeno appare evidente la stretta correlazione tra l'atto di autonomo accertamento della inadempienza da parte del Gestore ed i meccanismi di riparazione che da tale accertata inadempienza ne derivano, rappresentati in particolare dalla applicazione delle sanzioni pecuniarie per l'inadempimento di competenza dell'Autorità (che - si ripete - viene investita solo ai fini dell'applicazione delle sanzioni) e dagli altri eventuali provvedimenti dei Ministri competenti, cui va inviata da parte del Gestore la comunicazione contenente i nominativi dei soggetti inadempienti.</p> <p style="text-align: justify;">Nessun soggetto dell'ordinamento potrebbe unilateralmente e con carattere di autonomia rispetto ad altre autorità amministrative suggellare il definitivo accertamento della inadempienza di un operatore economico se la legge non intestasse a quel soggetto poteri amministrativi in senso proprio, che si estrinsecano cioè necessariamente con l'adozione di atti aventi natura provvedimentale; rispetto ai quali, le misure di tutela della parte privata si compendiano in via principale nel provocare l'annullamento degli atti di accertamento della inadempienza, previa impugnazione degli stessi nel termine decadenziale di legge dinanzi al giudice amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">Ritiene pertanto l’Adunanza plenaria che, più che sulla forma procedimentalizzata, nei modi dianzi divisati, di esercizio dei poteri amministrativi di controllo in capo al Gestore (non incompatibile ex se con la individuazione di posizioni di diritto soggettivo dei soggetti privati coinvolti) a far propendere per la connotazione autoritativa degli atti di accertamento negativo adottati dal Gestore nell'ambito del procedimento di verifica di che trattasi deponga la natura di quei poteri, estranea al paradigma dell'atto paritetico di mero accertamento ove si risolva nel produrre, con effetto costitutivo, un nuovo status a carico dell'operatore economico (quello appunto, di soggetto inadempiente), suscettibile di rilevare ex se ai fini della applicazione di ulteriori provvedimenti a carattere sanzionatorio.</p> <p style="text-align: justify;">Per vero, non sarebbe coerente con il sistema prefigurare una sanzione (o altro provvedimento sospensivo o limitativo del titolo di esercizio da adottarsi da parte degli altri Ministeri cui va indirizzata la comunicazione di inadempienza accertata dal G.S.) che abbia a presupposto non un atto autoritativo ma di mero accertamento, suscettibile in tesi di essere contestato in via autonoma, nei limiti della prescrizione del diritto, nell'ambito di un rapporto obbligatorio paritetico inter partes ben difficile da ipotizzare nella fattispecie in esame, avuto riguardo alla asimmetria delle posizioni rispettive ed alla natura dei poteri in concreto esercitati dal Gestore.</p> <p style="text-align: justify;">E' evidente come anche tale elemento, che riguarda la stretta correlazione tra atto di accertamento dell'inadempimento (con conseguenziale attribuzione all'operatore economico dello stigma di soggetto inadempiente) ed il sistema delle sanzioni correlate a quell'accertamento, militi nel senso della natura provvedimentale dell'accertamento negativo, avuto riguardo anche alla necessaria esigenza di certezza giuridica e di stabilità del provvedimento del Gestore che accerta l'inadempienza dell'operatore economico rispetto all'obbligo di legge, in funzione propedeutica al sistema sanzionatorio affidato alle cure di altre autorità amministrative. Non sarebbe infatti coerente con il sistema suindicato che il provvedimento sanzionatorio, di sicura matrice provvedimentale, avesse a presupposto un atto di autonomo e insuperabile accertamento della inadempienza potenzialmente cedevole, nel quinquennio, sotto la scure giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;">Per vero, ai limitati fini dell'azione amministrativa volta all'accertamento della inadempienza ed alla applicazione delle sanzioni correlate, vi sono due soggetti dell'ordinamento che agiscono di conserva nell'esercizio di eminenti funzioni pubbliche complementari: il primo (Gestore) accerta (se e in che misura l'obbligo di legge è stato adempiuto) e suggella, ove occorra, lo stato di inadempimento del produttore che non abbia ripianato, nel termine assegnatogli, la situazione debitoria risultante dalla verifica negativa; il secondo (ARERA) che sanziona, ponendo a base della misura riparatoria l'accertamento posto in essere dal Gestore.</p> <p style="text-align: justify;">Ora, poiché la sanzione può conseguire soltanto al definitivo accertamento del dovuto, appare evidente come gli atti posti in essere da ciascuno di tali soggetti debbano necessariamente avere analoga natura giuridica, atteso che - come detto - la sanzione consegue al definitivo accertamento del dovuto. Tale costruzione suppone pertanto la qualificazione della fattispecie in termini di attività provvedimentale suscettibile di giudizio impugnatorio, sia in relazione alla sanzione, sia rispetto al presupposto atto accertativo inerente al mancato assolvimento puntuale della quota d'obbligo prevista dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">Diversamente da quanto previsto nell'ambito del procedimento generale delineato dalla legge di depenalizzazione in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, in cui l'autorità che ingiunge il pagamento della sanzione deve far proprio l'accertamento ("se ritiene fondato l'accertamento" cfr. art. 18, comma 2, L. n. 689 del 1981) , nella fattispecie in esame i compiti di accertamento e di applicazione della sanzione per la mancata osservanza dell'obbligo di legge sono ripartiti secondo una rigida distinzione tra Gestore e ARERA; di modo che, salvi i vizi propri del provvedimento sanzionatorio, non potrebbe darsi impugnazione di tale atto da parte di chi contesti l'an debeatur della sanzione senza che non venga contestualmente mossa contestazione all'accertamento del G.S., soggetto quindi che deve essere giocoforza parte del rapporto giuridico processuale.</p> <p style="text-align: justify;">Giova infatti rammentare che, in termini generali, la posizione di interesse legittimo si collega all'esercizio di una potestà amministrativa rivolta, secondo il suo modello legale, alla cura diretta ed immediata di un interesse della collettività; il diritto soggettivo nei confronti della pubblica amministrazione trova, invece, fondamento in norme che, nella prospettiva della regolazione di interessi sostanziali contrapposti, aventi di regola natura patrimoniale, pongono a carico dell'amministrazione obblighi a garanzia diretta ed immediata di un interesse individuale.</p> <p style="text-align: justify;">Donde il principio che la distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi va fatta con riferimento alla finalità perseguita dalla norma alla quale l'atto si collega e alla conseguente posizione di autorità attribuita all'amministrazione (o al soggetto comunque esercente una pubblica funzione), giacché quando risulti, attraverso i consueti processi interpretativi, che l'ordinamento abbia inteso tutelare in via primaria l'interesse pubblico e che conseguentemente l'amministrazione agisca come autorità, alle contrapposte posizioni sostanziali dei privati non può che essere riconosciuta una protezione mediata che, da un lato, passa necessariamente attraverso la potestà provvedimentale dell'amministrazione e, dall'altro, si traduce nella possibilità di promuovere, davanti al giudice amministrativo, il controllo sulla legittimità dell'atto.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 settembre esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 23540 secondo cui rientra nella giurisdizione esclusiva del GA ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c) del cod. proc. amm. la domanda con cui una concessionaria di pubblico servizio sanitario in seno al Servizio Sanitario nazionale, a seguito dell’invio da parte dell’Amministrazione sanitaria, all’esito dell’esercizio del potere di controllo di cui all’art. 8-octies del d.lgs. n. 502 del 1992 e della relativa normativa di attuazione, della richiesta di emissione di note di credito a titolo di c.d. penalizzazione ai sensi del comma 3, lettera a) di detta norma, e della minaccia, in mancanza di emissione delle stesse, di compensare il preteso su corrispettivi fatturandi dalla concessionaria, chieda in via negativa l’accertamento della mancata adozione di un provvedimento amministrativo sanzionatorio, nonché della inesistenza delle condizioni della minacciata compensazione e di non essere tenuta ad emettere le chieste note di credito.</p> <p style="text-align: justify;">Cass., S.U., n. 18168/2017 costituisce precedente specifico della presente questione. Vi si faceva questione della domanda proposta da una casa di cura del Lazio contro una ASL, per la richiesta di emissione di note di credito conseguenti a controlli effettuati dall’ente territoriale in base alle disposizioni dei Decreti n. 58/2009 e 40/2012, controlli il cui esito aveva fatto emergere situazioni di “inappropriatezza” (secondo il lessico delle regole poste dai Decreti) e di non congruità dei servizi resi dalla struttura accreditata, con derivata richiesta di recupero del fatturato secondo gli schemi applicativi dei Decreti in discorso. Nella decisione della S.C., che ha stabilito nel caso di specie la giurisdizione del giudice amministrativo, si è rilevato: (a) che in linea generale le Convenzioni e gli accordi tra le ASL e le Case di cura private hanno natura di contratti di diritto pubblico e sono qualificabili come concessioni di pubblico servizio (sulla linea, pacifica, che muove da Cass., S.U. n. 28501/2005); (b) che di conseguenza le relative controversie sono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo, a norma dell’art. 133, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 104/2010, codice del processo amministrativo (e, prima, dell’art. 5 della legge n. 1034/1971: Cass., S.U., n. 8212/2004); (c) che – con indiretto riferimento alla sola eccezione predicabile in questo ambito, sulla scia dì Corte cost. n. 204/2004, ossia alla clausola di riserva attributiva all’A.G.O. delle (sole) controversie in tema di concessione di pubblico servizio che abbiano riguardo a “indennità, canoni o altri corrispettivi” – nella fattispecie non veniva in rilievo la sola contestazione di atti di recupero di posizioni creditorie dell’ASL da determinare facendo applicazione di criteri legali predefiniti, bensì era messo in discussione il profilo valutativo che aveva condotto all’applicazione di quelle “sanzioni” (così impropriamente definite nei Decreti 2009 e 2012 già menzionati) attraverso un apprezzamento sulla adeguatezza e congruità dei servizi resi dalla struttura accreditata; (d) che, in presenza dell’esercizio del potere autoritativo di programmazione sanitaria, espresso sia nel relativo budget sia nella definizione del sistema dei controlli a posteriori sull’attività sanitaria e sui criteri operativi, nonché sul correlato potere di applicare le “sanzioni” (penalità patrimoniali), in tanto la struttura sanitaria può contestarne la debenza in quanto, “inevitabilmente”, metta in discussione quei controlli e i rispettivi esiti, contestandone la legittimità e il modo di esercizio, giacché la correlazione tra potere di vigilanza e potere sanzionatorio rende il provvedimento adottato ascrivibile alla materia della concessione di pubblico servizio, risultando la determinazione “sanzionatoria” direttamente funzionale alla tutela dell’interesse pubblico al corretto espletamento del servizio-sanità, in un intreccio di posizioni soggettive di diritto e di interesse che legittima la attribuzione all’A.G.A., in via esclusiva come disposto dalla legge, delle relative controversie (ed è fatto richiamo in tal senso all’applicazione delle penali in materia di servizi pubblici di trasporto, Cass., S.U. n. 12111/2013). Onde la contestazione della debenza della “sanzione” porta con sé, inevitabilmente, lo scrutinio sulla legittimità dell’attività provvedimentale autoritativa e tecnicamente discrezionale della amministrazione, dal che la affermazione della giurisdizione amministrativa di carattere esclusivo.</p> <p style="text-align: justify;">Questi enunciati possono essere qui ribaditi, per pressoché totale sovrapposizione. A ulteriore conferma di questa conclusione sta inoltre la circostanza che, come nel caso deciso dalla citata pronuncia del 2017, l’assunto di base delle censura allora come oggi mossa alle determinazioni dell’amministrazione era rappresentata dalla qualificazione di queste ultime come “sanzioni” amministrative: ieri, per dire che era questa “a tutti gli effetti” la sostanza delle decisioni adottate all’esito dei controlli; oggi per dire che questi esiti non sono stati trasfusi in un provvedimento formale del tipo ordinanza-ingiunzione applicativa di sanzione amministrativa, secondo lo schema della legge n. 689/1981; ma in entrambi i casi per sostenere che si delineerebbe in capo alla struttura privata accreditata, una posizione di diritto soggettivo, tutelabile solo davanti al GO. Questo è infatti il petitum sostanziale – da leggere, come sempre, in connessione con la causa petendi – del ricorso proposto nel caso in esame davanti al giudice ordinario.Ma è una prospettiva non sostenibile, sotto nessuna delle angolature proposte nel ricorso per regolamento. Il meccanismo dei controlli nel campo del servizio sanitario, erogato dalle strutture private attraverso l’accreditamento e con il meccanismo della cd. tariffazione, è predefinito dalla legge, ossia dall’art. 8-quinquies del decreto di riforma del 1992, n. 502: “1. Le regioni, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, definiscono l’ambito di applicazione degli accordi contrattuali ed individuano i soggetti interessati, con specifico riferimento ai seguenti aspetti: a) individuazione delle responsabilità riservate alla regione e di quelle attribuite alle unità sanitarie locali nella definizione degli accordi contrattuali e nella verifica del loro rispetto; b) indirizzi per la formulazione dei programmi di attività delle strutture interessate, con l’indicazione delle funzioni e delle attività da potenziare e da depotenziare, secondo le linee della programmazione regionale e nei rispetto delle priorità indicate dal Piano sanitario nazionale; c) determinazione del piano delle attività relative alle alte specialità ed alla rete dei servizi di emergenza; d) criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura. 2. In attuazione di quanto previsto dal comma 1, la regione e le unità sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, comprese le aziende ospedaliere universitarie, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale, che indicano: a) gli obiettivi di salute e i programmi di integrazione dei servizi; b) il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell’ambito territoriale della medesima unità sanitaria locale, si impegnano ad assicurare, distinto per tipologia e per modalità di assistenza. Le regioni possono individuare prestazioni o gruppi di prestazioni per i quali stabilire la preventiva autorizzazione, da parte dell’azienda sanitaria locale competente, alla fruizione presso le strutture o i professionisti accreditati; c) i requisiti del servizio da rendere, con particolare riguardo ad accessibilità, appropriatezza clinica ed organizzativa, tempi di attesa e continuità assistenziale; (omissis)”.</p> <p style="text-align: justify;">Sulla base di questa norma, nonché dell’art. 79, comma 1-septies, del d.l. n. 112/2008 conv. dalla legge n. 133/2008 (che ha imposto alle Regioni, a fini di economicità e appropriatezza del servizio erogato, un controllo analitico a campione sui dati di ricovero, su base percentuale), i Decreti del 2009 e del 2012 hanno minuziosamente regolato i modi procedimentali del controllo di congruità e di appropriatezza, con la previsione di un contraddittorio con le strutture interessate circa i controlli (i cui esiti possono essere “concordati” con la struttura, o no; e in caso di discordanza è previsto un passaggio presso una Commissione di esperti, con compiti di relazione), e con la prefigurazione di aree percentuali diversificate di scostamento dai parametri di congruità/appropriatezza del servizio, cui corrispondono importi crescenti di recupero delle somme già tariffate e fatturate. Una simile conformazione del modello di controllo ne manifesta la totale incompatibilità giuridica con lo schema di principio che regge la materia delle sanzioni amministrative pecuniarie secondo la legge n. 689/1981 certamente procedimentalizzato (e dunque compatibile con i canoni della legge n. 241/1990), questo meccanismo non consente d ravvisarvi le regole fondanti della attività applicativa di una sanzione in senso proprio. I provvedimenti di recupero degli importi adottati dagli Uffici regionali, anche attraverso l’avvalimento delle ASL quali enti strumentali, non potrebbero trovare fonte nella legge come preteso dalla disciplina della legge n. 689/1981, in particolare e soprattutto, più che per il precetto – in astratto etero-integrabile da parte di fonte secondaria, ma che c’è, a ben vedere: si tratta della cattiva gestione della erogazione del servizio nelle sue molteplici varianti – per la “sanzione””, che non è prevista da fonte primaria ma solo, nella complessa articolazione che si è accennata, da provvedimenti generali di amministrazione. La qualificazione, che si è già detto inappropriata in senso tecnico, di “sanzione” (e la virgolettatura presente in Cass., S.U. n. 18168/2017 cit. ne è conferma) è contenuta bensì nei Decreti del Commissario ad acta del 2009 e del 2012 ma la formula lessicale non può certamente vincolare la Corte in questo senso, trattandosi di conseguenza patrimoniale, prevista non da una fonte legislativa ma da un atto amministrativo, quale conseguenza di controlli sulla complessiva gestione del servizio sanitario affidato ai privati, dunque secondo uno schema assimilabile a “penali” nel campo delle concessioni di servizio pubblico, situazioni a fronte delle quali non è ravvisabile una posizione del concessionario che sia tutelabile davanti al giudice ordinario (Cass., S.U., n. 12111/2013 cit.).</p> <p style="text-align: justify;">A sostegno della conclusione, inoltre, può osservarsi che, più di recente, Cass., S.U., n. 28053/2018, in controversia avente riguardo a una ingiunzione della struttura accreditata per il pagamento di fatture inevase in relazione ai tetti spesa (dunque, con un petitum differente da quello ora in discorso, e riferibile al sub-settore dei “corrispettivi” etc. che fondano la giurisdizione ordinaria), ha significativamente ulteriormente sviluppato i connotati della funzione di controllo (che in quel caso erano stati fatti valere, però, dall’ASL solo in via di replica ossia di eccezione; dal che la decisione in concreto nel senso della attribuzione di quel giudizio all’A.G.O, ma appunto solo per ragioni processuali, che impongono, a fini di statuizione sulla giurisdizione di considerare la sola domanda, non la estensione portata dalla eccezione: Cass., S.U., n. 16700/2012). Essa afferma, sempre sulla premessa che si verte in tema di concessioni di servizio pubblico, che la negazione della soggezione della struttura alla pretesa creditoria dell’ASL involge la negazione del potere autoritativo espresso con le determinazioni della P.A., giacché le specifiche determinazioni dell’Azienda sono attuative della deliberazione “a monte” (in quel caso, del tetto di spesa nel regime di accreditamento provvisorio; nel caso che occupa, dei parametri di congruità e di adeguatezza al cui rispetto sono finalizzati i controlli), ossia di un potere amministrativo riconosciuto dalla legge ed estrinsecato in atti amministrativi a contenuto generale che fissano limiti e condizioni della gestione del servizio e dei relativi emolumenti: “il potere di attuazione da parte di tali organismi [le ASL, n.d.r.], per il fatto stesso che deve in concreto realizzare quanto disposto dalla regione, non può che avere la stessa natura e dunque anch’esso tendenzialmente carattere autoritativo, ancorché diretto a incidere sul profilo del rapporto di concessione di servizio inerente il corrispettivo che è regolato dall’accordo contrattuale …il potere dei detti organismi risulta autoritativo per il fatto stesso che deve attuare l’atto regionale espressione di potere autoritativo e tale natura è rafforzata anche dal fatto che per l’attuazione di quanto disposto da detto atto regionale gli organismi debbono compiere a loro volta valutazioni che implicano apprezzamento di interessi di natura pubblicistica inerenti all’organizzazione del servizio sanitario”; così che “il controllo sull’esercizio di tale potere … non può essere ricondotto nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario inerente alle controversie sulle indennità, sui canoni o altri corrispettivi, ancorché tale provvedimento in concreto incida sulla debenza di tali entità”. E’ quindi da escludere che nella fattispecie si possa individuare un connotato che sia in qualsiasi senso paritetico/negoziale, tale da assegnare la cognizione del giudizio all’A.G.O., anche perché appare evidente che l’applicazione del recupero degli importi già fatturati è del tutto scollegato da un accertamento sulla misura effettiva dello scostamento, parametrato invece – e così necessariamente accettato dalla struttura privata in sede di concessione di servizio, la cui regolazione è data anche dal contenuto dei Decreti 2009 e 2012 – a soglie percentuali che risultano dalla proiezione figurativa dei controlli effettivi; e appare quindi evidente che nella vicenda non si fa questione di “corrispettivi” sinallagmatici in senso proprio.</p> <p style="text-align: justify;">Cass., S.U., n. 14428/2017, conferma quanto espresso fin qui: “Le controversie concernenti «indennità, canoni o altri corrispettivi» riservate alla giurisdizione del giudice ordinario dall’art 5 comma 2, della legge n. 1034 del 1971 e, quindi, dall’art. 133, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 104 del 2010, sono essenzialmente quelle contrassegnate da un contenuto meramente patrimoniale, attinente al rapporto interno tra P.A. concedente e concessionario del bene o del servizio pubblico, mentre, laddove la lite esuli da tali limiti, coinvolgendo la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sull’intera economia del rapporto concessorio, il conflitto tra P.A. e concessionario viene attratto nella sfera della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo.Ne consegue che rientra nella giurisdizione esclusiva di quest’ultima, anche sotto il profilo della lesione dell’affidamento sulla legittimità dell’atto amministrativo, la controversia intrapresa da una casa di cura nei confronti di una AUSL ed inerente il tetto di spesa deliberato per una determinata annualità, la quale, pur formalmente rivolta ad ottenere il pagamento dei corrispettivi spettanti, investe, nella sostanza, la valenza dei “budget” assegnati ed involge un sindacato sull’incidenza dei poteri autoritativi e di controllo che l’Amministrazione regionale conserva anche nella fase attuativa dei rapporti di natura concessoria, in coerenza con l’esigenza che l’attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga nell’ambito di una pianificazione coerente con i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario ed i preventivi annuali delle prestazioni.”.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisdizione amministrativa è altresì coerentemente affermata anche dallo stesso giudice amministrativo: Cons. Stato, Sez. III, n. 3189/2015, resa in giudizio per annullamento (negato) dei provvedimenti commissariali in parola, conferma questi tratti, nel dire che l’applicazione delle “sanzioni” si configura come momento di esecuzione della concessione per la gestione del servizio pubblico, che non può essere considerata espressione di una facoltà improntata a un rapporto partitario [rectius: paritario], in quanto afferisce all’esercizio di specifici poteri di vigilanza e di controllo sulla correttezza della gestione stessa. Il fatto che la riscossione di detta “sanzione” sia operata mediante detrazione dal corrispettivo costituisce null’altro che una modalità attuativa della pretesa, non una circostanza che colloca il soggetto concedente in posizione paritaria. Che è quanto accade nella specie, in cui la riscossione è attuata attraverso richiesta di emissione di note di credito (possibilità, questa, negata dalla struttura ricorrente, ma con notazioni che non solo non fanno parte del contenuto della domanda giudiziale ma che in ogni caso riguardano il merito, senza interferire sulla determinazione della giurisdizione).</p> <p style="text-align: justify;">Mette conto rilevare – con riguardo alla fattispecie che occupa - che la determinazione della giurisdizione sulla controversia, avuto riguardo al fatto che pacificamente essa concerne un rapporto di concessione di servizio pubblico (nel settore sanitario), deve avvenire considerando le previsioni dell’art. 133, comma 1, lett. c), del Codice del processo amministrativo e, dunque, domandandosi se la controversia sia riconducibile oppure no all’àmbito della fattispecie di giurisdizione esclusiva dell’A.G.A. individuata da detta norma. Quest’ultima reca una formulazione che, dopo un esordio espressamente onnicomprensivo riferito alla “controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi”, il quale di per sé sarebbe idoneo ad assoggettare alla giurisdizione esclusiva tutte le controversie in quella materia, cioè che traggano origine da o si ricolleghino ad un rapporto di concessione di pubblico servizio, eventualmente anche con riferimento alla fase della sua insorgenza, in primo luogo stabilisce un’eccezione alla regola generale della soggezione alla giurisdizione esclusiva individuata con il semplice e generico riferimento al detto rapporto. Essa è relativa alle controversie concernenti “indennità, canoni ed altri corrispettivi”. La norma continua, poi, con una serie di previsioni che vorrebbero essere aggiuntive a quella generale, quando – con la congiunzione “ovvero” (da intendersi non nel senso avversativo, bensì in quello simile a “cioè”, “ossia”, e dunque esemplificativo della previsione generale) -riferisce la giurisdizione esclusiva alle controversie “relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servìzio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sui credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”. Si tratta, peraltro, di esemplificazioni che, se non fossero state fatte, non avrebbero comunque – e proprio per il loro carattere esemplificativo – impedito la riconducibilità delle dette controversie alla fattispecie generale di giurisdizione esclusiva. Tale fattispecie, infatti, avrebbe dovuto intendersi secondo la metanorma di cui al comma 1 dell’art. 7 del cod. proc. amm. e, quindi, in modo da comprendere le controversie su “i diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posto in essere da pubbliche amministrazioni”. In base a tale metanorma, com’è noto fotografante i limiti della giurisdizione esclusiva segnati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 204 del 2004, la giurisdizione esclusiva nella materia delle concessioni di pubblico servizio secondo la previsione generale sarebbe stata ed è idonea – al di là delle esemplificazioni fatte poi dalla stessa lettera c), che comunque vanno lette allo stesso modo – a comprendere tutte le controversie che originino da un rapporto concessorio di pubblico servizio o comunque siano relative alla sua insorgenza, in quanto coinvolgano l’esercizio o il mancato esercizio di un potere amministrativo, che si esprima in un provvedimento oppure in un atto o un accordo che sia riconducibile a tale esercizio o mancato esercizio oppure in un comportamento che anche mediatamente a detto potere sia riconducibile. Le esemplificazioni introdotte dalla congiunzione “ovvero” risultano – come s’è già detto – a loro volta da leggersi secondo il disposto della detta metanorma. Al di fuori della fattispecie di giurisdizione esclusiva così individuata sia sulla base della previsione generale, sia, in modo confermativo ed esemplificativo, da quelle particolari, mette conto di rilevare che si colloca soltanto la giurisdizione sulle “controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”.</p> <p style="text-align: justify;">La legge non dice quale sia la giurisdizione su tali controversie, ma, ragionando in negativo e valorizzando l’eccettuazione dalla giurisdizione esclusiva, si potrebbe pensare che essa sia regolata dal criterio normale di riparto della giurisdizione, quello imperniato sulla distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi. Ne seguirebbe che, quando siffatte controversie riguardino la tutela di una situazione di diritto soggettivo spetterebbero all’A.G.O., mentre spetterebbero all’A.G.A. se riguardino la tutela di una situazione di interesse legittimo. In realtà, conforme a quanto nella materia doveva ritenersi nella vigenza della I. n. 1034 del 1971, l’eccettuazione implica che le controversie in discorso siano attribuite alla giurisdizione ordinaria se ed in quanto la loro decisione non postuli la cognizione di diritti soggettivi riguardo ai quali, secondo la previsione generale e, se si vuole, le esemplificazioni di cui si è detto, non si configura la giurisdizione esclusiva dell’A.G.A.: tale conclusione è obbligata perché la giurisdizione del giudice amministrativo in via esclusiva sul rapporto concessorio è esclusiva e comprende l’esame di posizioni di diritto soggettivo alle condizioni indicate dall’art. 7, comma 1, del cod. proc. amm.: se, per individuare l’àmbito della giurisdizione dell’A.G.O. sulle controversie relative a canoni, indennità e corrispettivi, si applicasse il normale criterio di riparto imperniato sulla distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi, si verificherebbe una palese contraddizione con l’attribuzione all’A.G.A. della giurisdizione esclusiva sul rapporto concessorio, che comprende anche i diritti soggettivi, sebbene alla condizione indicata dall’art. 7, comma 1, citato.</p> <p style="text-align: justify;">E’ sulla base di tale convincimento che le Sezioni Unite hanno già rilevato (nella sentenza n. 28053 del 2018, che, si nota, ha superato Cass., Sez. Un., (ord.) n. 30975 del 2017, evocata nel ricorso): a) che quando la legge […] allude a dette controversie, usa una formulazione che certamente si presta in prima battuta ad essere intesa come comprensiva anche delle liti nelle quali si discute della pretesa a dette spettanze in quanto dovute sulla base della disciplina del rapporto di concessione e, dunque, anche con riferimento alle varie modalità che esso prevede per la loro determinazione e ciò indipendentemente dal fatto che si tratti di modalità di determinazione espressione di poteri soggetti al diritto comune o di modalità di determinazione espressione di poteri autoritativi della p.a. concedente; b) che, tuttavia, in concreto l’ampiezza della formulazione non toglie che il legislatore abbia inteso riferirsi ad esse solo nel primo senso e dunque esclusivamente alla controversia sulla determinazione che dipenda dall’applicazione della disciplina del rapporto concessorio in quanto connotata da una posizione di pariteticità delle parti e pertanto dall’assenza di poteri autoritativi della p.a. concedente e dall’attribuzione ad essa soltanto di poteri iure privatorum, cioè dei normali poteri riconosciuti ad una parte di un rapporto di diritto comune, qual è l’accordo contrattuale che la p.a. e il concessionario stipulano per dar corso al regime di erogazione delle prestazioni in c.d. accreditamento; c) che se ed invece la controversia riguardi quella determinazione in quanto dipendente da poteri autoritativi pubblicistici riconosciuti alla p.a., nel senso di abilitarla ad intervenire autoritativamente sulle indennità, sui canoni, sui corrispettivi, la formulazione attributiva della giurisdizione al giudice ordinario non può essere intesa nel senso che ad esso competa di controllare la legittimità dell’esercizio di quel potere; d) che questa seconda opzione esegetica è giustificata alla stregua dell’interpretazione costituzionale che si impone in base alla norma dell’art. 113, terzo comma, della Costituzione, giacché tale norma, nel disporre che «la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge“ esige che una legge ordinaria dica espressamente quando la giurisdizione ordinaria in una determinata materia può annullare un atto della pubblica amministrazione e che ne indichi gli effetti ; e) che il riferimento all’annullamento, concretandosi l’annullamento nella negazione dell’efficacia provvedimentale dell’atto, va inteso non solo nel senso che occorre che la legge debba attribuire un potere di annullamento espressamente, ma anche correlativamente nel senso che, in mancanza di tale attribuzione, l’a.g.o., quando le sia attribuita la giurisdizione su un rapporto con una p.a. non può neppure negare quella efficacia sebbene non tramite un formale annullamento, ma disconoscendola, atteso che tale disconoscimento si risolverebbe in una sorta di annullamento in senso sostanziale; f) che, poiché nel caso di specie la formulazione eccettuativa dall’àmbito della giurisdizione esclusiva delle controversie su canoni, etc., non dice espressamente che l’a.g.o. ha il potere di annullare eventuali atti autoritativi incidenti sulla determinazione delle indennità, dei canoni e dei corrispettivi, deve escludersi che la detta giurisdizione possa comprendere la possibilità del giudice ordinario investito di una controversia al riguardo di deciderla eventualmente annullando formalmente o disconoscendo sostanzialmente l’efficacia (e, dunque, facendo luogo ad una sorta di annullamento sostanziale) il provvedimento della p.a. che abbia inciso in qualche modo sull’obbligazione di corresponsione di indennità, canoni e corrispettivi, con la conseguenza che il giudice ordinario non può essere adito con una domanda che postuli la corresponsione di indennità, canoni o corrispettivi previo annullamento dell’eventuale deliberazione autoritativa della p.a. che abbia inciso in qualche modo sulla loro relativa debenza; g) che poiché la giurisdizione si determina dalla domanda, sebbene secondo il criterio del c.d. petitum sostanziale, la stessa soluzione si giustifica nel caso in cui con la domanda si chieda la corresponsione di indennità, canoni o corrispettivi postulando l’accertamento incidentale dell’invalidità della suddetta deliberazione in quanto incidente sulla loro determinazione e ciò per la ragione che, quando si prospetti con la domanda giudiziale un determinato modo di essere di un rapporto pregiudicante, qual è una deliberazione di quel genere, la domanda, pur se il petitum formale immediato non concerna tale accertamento, deve ritenersi comprensiva di esso, giacché l’art. 34 cod. proc. civ. concepisce la possibilità di un accertamento incidentale del rapporto pregiudicante (qual è quello concretatosi nella deliberazione incidente) come possibile solo se la contestazione sul suo modo di essere sia prospettata dal convenuto, mentre se esso sia prospettato come contestato dallo stesso attore il relativo accertamento è oggetto della domanda giudiziale; h) che in questo caso il giudice ordinario deve ritenersi investito di una domanda di accertamento della illegittimità della deliberazione e, quindi, secondo il criterio del petitum sostanziale, di una domanda di annullamento di essa e deve su tale domanda declinare la giurisdizione, trattenendo la sola domanda di condanna alle indennità, canoni o corrispettivi (salvo poi sospendere il giudizio ex art. 295 cod. proc. civ. su di essa in attesa della definizione di quello rimesso all’A.G.A.; i) che la domanda di annullamento proposta espressamente o impropriamente in via incidentale, una volta considerato che nella materia la giurisdizione del giudice amministrativo è esclusiva, è da ascrivere alla giurisdizione del giudice amministrativo secondo tale qualificazione e non in via di sola legittimità, con la conseguenza che concerne indifferentemente tanto la cognizione degli interessi legittimi quanto quella dei diritti soggettivi.</p> <p style="text-align: justify;">Dunque, l’àmbito della giurisdizione ordinaria quando si discuta di indennità, canoni e corrispettivi risulta escluso allorché la discussione sulla loro determinazione e debenza riguardi l’incidenza di poteri autoritativi riconosciuti alla p.a. ed è possibile solo se riguardi profili paritetici esulanti dall’incidenza di tali poteri oppure se si è ottenuta dinanzi all’A.G.A. tutela contro l’esercizio di quei poteri (si veda già per questa precisazione Cass., Sez. Un., (ord.) n. 21111 del 2017). La stessa decisione appena evocata ha sottolineato che, quando penda il giudizio amministrativo sull’impugnazione del provvedimento incidente, il giudice ordinario chiamato a decidere sulla debenza di canoni, indennità e corrispettivi deve sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. Sulla base di queste considerazioni, venendo alla fattispecie oggetto della controversia viene in rilievo che: aa) la domanda proposta dalla ricorrente concerne nella sostanza l’accertamento negativo di un preteso “indebito” concernente somme da essa riscosse in ragione delle prestazioni concessone nel 2013. Credito da “indebito” vantato dall’Amministrazione con la richiesta di emissione di note di credito, accompagnata dalla prospettazione, in mancanza, di una “compensazione” con quanto dovuto per somme fatturande dalla ricorrente quale corrispettivo di prestazioni non ancora pagate; bb) la domanda si presenta certamente riconducibile alla nozione delle “controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”, in quanto la pretesa delle Amministrazioni si risolve nella postulazione che una parte dei corrispettivi riscossi non siano dovuti e debbano restituirsi; cc) la richiesta delle Amministrazioni appare, però, giustificata sulla base dell’esercizio di un’attività riconducibile ad un potere autoritativo riconosciuto dalla legge ed attuato con i decreti del commissario ad acta e le domande proposte dalla ricorrente tendono ad accertare – come domande di accertamento negativo di pretesa vantata da esse -l’inesistenza del presupposto per la restituzione o, se si vuole, della non debenza di parte dei corrispettivi pagati. Il potere il cui esercizio sorregge la pretesa delle Amministrazioni è quello di cui all’art. 8-octies del d.lgs. n. 502 del 1992, come inserito dall’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 229 del 1999 e, quindi, ulteriormente integrato dall’art. 8, comma 3, lett. o) del d.lgs. n. 254 del 2000, là dove, sotto la rubrica “controlli”, al comma 1 si dispone che “La regione e le aziende unità sanitarie locali attivano un sistema di monitoraggio e controllo sulla definizione e sul rispetto degli accordi contrattuali da parte di tutti i soggetti interessati nonché sulla qualità della assistenza e sulla appropriatezza delle prestazioni rese” e, quindi al comma 3, lettera a), per quanto in questa sede interessa, si prevede che: “con atto di indirizzo e coordinamento, emanato entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, sentita l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono stabiliti, sulla base dei criteri di cui al l’articolo 8-quinquies, i principi in base ai quali la regione assicura la funzione di controllo esterno sulla appropriatezza e sulla qualità della assistenza prestata dalle strutture interessate”, per poi, sotto la lettera a) stabilire che “Le regioni, in attuazione dell’atto di indirizzo e coordinamento, entro sessanta giorni determinano […] le regole per l’esercizio della funzione di controllo esterno e per la risoluzione delle eventuali contestazioni, stabilendo le relative penalizzazioni”. L’accertamento dell’esistenza in astratto ed in concreto del detto potere rientra, senza possibilità di una rilevanza della connotazione della situazione giuridica coinvolta sotto le categorie del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo, nella giurisdizione dell’A.G.A.</p> <p style="text-align: justify;">La ricorrente ha prospettato nel ricorso ed argomenta ulteriormente nella memoria che il “vanto” così manifestato dalle amministrazioni (con le richieste di note di credito indicate sopra nel “rilevato che”) non si sarebbe concretato in un provvedimento di c.d. penalizzazione e su questa base ha sostenuto e sostiene che in difetto di provvedimento, proprio sulla base di Cass., Sez. Un., n. 20853 del 2018, si dovrebbe configurare la giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la mancanza di un provvedimento collocherebbe la vicenda su un piano paritetico, cioè quello di un mero inadempimento del rapporto concessorio. L’assunto è privo di pregio: è sufficiente rilevare che l’invio delle note di credito integra comportamenti che la p.a. ha giustificato, come del resto è scritto nel punto 7 e nel punto 8 delle premesse del ricorso introduttivo del giudizio dinanzi al tribunale capitolino, sulla base delle risultanze dell’esercizio del potere di controllo previsto dalle disposizioni del citato art. 8-octies, come attuate sulla base dei decreti del commissario ad acta. Sotto tale profilo il “vanto” espresso nella richiesta delle note di credito e la stessa minaccia di compensazione in mancanza integrano, alla stregua dell’art. 7, comma 1, cod. proc. amm., “comportamenti” riconducibili all’esercizio del potere di controllo. Il fatto che tali comportamenti non costituiscano un provvedimento non toglie che la discussione su di essi inerisca alla giurisdizione esclusiva dell’A.G.A., secondo la previsione del comma 1 dell’art. 7 del cod. proc. amm., atteso che si tratta di comportamenti prodromici all’eventuale emissione di un provvedimento e comunque considerato che sono comportamenti che si collocano successivamente all’esercizio dell’attività di controllo, che, essendo procedimentalizzata si è essa stessa collocata, sotto il profilo della giurisdizione, nella fattispecie esemplificatoria riconducibile, al di là dell’assorbenza della già segnalata previsione generale della giurisdizione sul rapporto concessorio, all’ipotesi esemplificatoria dell’attività procedimentale diretta a sfociare in un provvedimento. Rappresentando lo svolgimento procedimentale ed i suoi atti e comportamenti pur sempre comportamenti riconducibili e finalizzati all’esercizio del potere di controllo secondo il comma 1 del citato art. 7. E’ appena il caso, poi, di rilevare che la questione della possibilità di adire quella giurisdizione sotto il profilo della esperibilità dell’azione di accertamento negativo in mancanza di emissione di un provvedimento è, naturalmente, una questione che inerisce le condizioni di esercizio della tutela giurisdizionale amministrativa e, dunque, inerente al “merito” dello svolgimento della cognizione di quella giurisdizione, non potendo, del resto, l’eventuale inammissibilità secondo il cod. proc. amm. di un’azione di accertamento negativo (come emergerebbe dagli artt. 29, 30 e 31 di quel codice e non senza rilevare che la tecnica di cui all’art. 31 bene potrebbe svolgere una funzione in qualche modo succedanea) non giustificherebbe affatto una sorta di residuale giurisdizione dell’A.G.O.: ciò proprio in quanto l’accertamento negativo è una tecnica di tutela, sicché la mancata previsione dinanzi alla giurisdizione amministrativa resterebbe un limite interno a quella giurisdizione.</p> <p style="text-align: justify;">Del tutto priva di rilievo è l’ulteriore prospettazione della ricorrente, che nella specie si sarebbe in presenza di un’attività sanzionatola riconducibile alla tutela esperibile davanti al giudice ordinario ai sensi della I. n. 689 del 1981. Si rileva che, se pure la c.d. penalizzazione si configurasse come una sanzione amministrativa assimilabile a quelle disciplinate dalla I. n. 689 del 1981, l’ampiezza già segnalata della giurisdizione esclusiva di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 133 in ogni caso e ciò anche a prescindere da una riconduzione della fattispecie alla previsione generale della giurisdizione esclusiva, piuttosto che a quella esemplificativa sui controlli, comporterebbe che la controversia sul potere pur in ipotesi “sanzionatorio” e, quindi, sulla comunicazione delle sue condizioni e sulla minaccia del suo esercizio, come nella specie, rientrerebbe comunque nella giurisdizione esclusiva, non avendola eccettuata il legislatore. Tanto rende irrilevanti, al di là di ogni valutazione sulla fondatezza del valore che gli attribuisce la ricorrente nella memoria, le considerazioni basate sull’art. 9, commi 2, 3 e 4, della legge Regione Lazio n. 13 del 2018, là dove si usa l’espressione sanzione amministrativa. Le svolte considerazioni si intendono formulate a precisazione ed integrazione di quelle di cui a Cass., sez. Un., n. 18168 del 2017.</p> <p style="text-align: justify;">Deve, in conclusione dichiararsi la sussistenza sulla controversia della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c) e ciò alla stregua del seguente principio di diritto: “Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c) del cod. proc. amm. la domanda con cui una concessionaria di pubblico servizio sanitario in seno al Servizio Sanitario nazionale, a seguito dell’invio da parte dell’amministrazione sanitaria, all’esito dell’esercizio del potere di controllo di cui all’art. 8-octies del d.lgs. n. 502 del 1992 e della relativa normativa di attuazione, della richiesta di emissione di note di credito a titolo di c.d. penalizzazione ai sensi del comma 3, lettera a) di detta norma, e della minaccia, in mancanza di emissione delle stesse, di compensare il preteso su corrispettivi fatturandi dalla concessionaria, chieda in via negativa l’accertamento della mancata adozione di un provvedimento amministrativo sanzionatorio, nonché della inesistenza delle condizioni della minacciata compensazione e di non essere tenuta ad emettere le chieste note di credito”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 ottobre esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 24609 che ribadisce in primo luogo che la giurisdizione del GO, con riguardo a una domanda proposta dal privato nei confronti della P.A., non può essere esclusa (a vantaggio della giurisdizione del GA) nemmeno allorquando essa contenga la richiesta di annullamento di un atto amministrativo, giacché ove tale richiesta si ricolleghi alla tutela di una posizione di diritto soggettivo (c.d. <em>petitum</em> sostanziale) in considerazione della dedotta inosservanza di norme di relazione da parte dell'Amministrazione, quella giurisdizione va affermata, fermo restando il potere del GO di provvedere alla sola disapplicazione dell'atto amministrativo nel caso concreto, in quanto lesivo di detto diritto soggettivo</p> <p style="text-align: justify;">E’ dunque al GO che va riconosciuta spettare la giurisdizione tanto sul provvedimento amministrativo sanzionatorio in materia bancaria, siccome alfine irrogato dalla Banca d’Italia, quanto sui relativi atti amministrativi e regolamentari presupposti. Per il Collegio, nella specie gli atti amministrativi e regolamentari costituenti presupposto e fondamento dell'irrogazione del provvedimento amministrativo sanzionatorio da parte della Banca d'Italia non possono essere logicamente considerati astrattamente di per sé e in termini avulsi da quest'ultimo, il quale del relativo procedimento costituisce atto finale, ma vanno funzionalmente valutati unitamente al medesimo, di cui nello specifico caso concreto costituiscono il fondamento, connotando la relativa incidenza su posizioni di diritto soggettivo del sanzionato.</p> <p style="text-align: justify;">La questione sottoposta all'attenzione delle Sezioni Unite è se al giudice che ha giurisdizione sull'asseritamente illegittimo provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa irrogata dalla Banca d’Italia spetti la cognizione anche dei relativi atti amministrativi e regolamentari presupposti. La risposta data dal massimo Collegio è affermativa.</p> <p style="text-align: justify;">Come le Sezioni Unite hanno già avuto più volte modo di affermare, la giurisdizione va determinata sulla base della domanda, e ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non già la prospettazione compiuta dalle parti bensì il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronunzia che si chiede al giudice bensì in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati. In altri termini, il petitum sostanziale va identificato non solo in base al provvedimento che si chiede al giudice, ma anche alla causa petendi, dovendo il giudice indagare sulla effettiva natura della controversia in relazione alle caratteristiche del particolare rapporto fatto valere in giudizio ed alla consistenza delle situazioni giuridiche soggettive in cui esso si articola e si svolge.</p> <p style="text-align: justify;">Si è al riguardo altresì precisato che, a tale stregua, la giurisdizione del giudice ordinario, con riguardo a una domanda proposta dal privato nei confronti della P.A., non può essere esclusa nemmeno allorquando contenga la richiesta di annullamento di un atto amministrativo, giacché ove tale richiesta si ricolleghi alla tutela di una posizione di diritto soggettivo in considerazione della dedotta inosservanza di norme di relazione da parte dell'Amministrazione, quella giurisdizione va affermata, fermo restando il potere del giudice ordinario di provvedere alla sola disapplicazione dell'atto amministrativo nel caso concreto, in quanto lesivo di detto diritto soggettivo. Si è d'altro canto ulteriormente sottolineato che, anche nelle ipotesi in cui in particolari materie la giurisdizione risulta normativamente attribuita al giudice amministrativo, essa non si estende ad «ogni controversia» in qualche modo concernente la materia devoluta alla relativa giurisdizione esclusiva, non essendo sufficiente il dato della mera attinenza ad essa della controversia, ma soltanto alle controversie che abbiano in concreto ad oggetto la valutazione di legittimità di provvedimenti amministrativi espressione di pubblici poteri.</p> <p style="text-align: justify;">In tema non solo di sanzioni amministrative, si è dalle Sezioni Unite sottolineato che il sindacato del giudice del provvedimento sanzionatorio si estende, in ossequio al principio accessorium sequitur principale, alla validità sostanziale del rapporto presupposto, concernendo tutte le fasi procedimentali in cui lo stesso si scandisce nonché gli atti presupposti e regolamentari posti a fondamento dell'emissione del provvedimento impugnato, i quali delineano il modus di esercizio della potestas iudicandi. A tale stregua, con riferimento al procedimento sfociato nell'emissione della sanzione amministrativa ex art. 145 d.lgs. n. 385 del 1993 in argomento, come invero correttamente osservato (anche) dal giudice di prime cure, la cognizione degli atti presupposti che hanno condotto all'emissione del provvedimento di relativa adozione spetta al giudice che in ordine al medesimo ha giurisdizione, costituendo essi la concreta e diretta ragione giustificativa della potestà sanzionatoria nel caso esercitata. In altri termini, la valutazione dell'esercizio dei poteri da parte dell'Autorità spetta al giudice che ha giurisdizione sul provvedimento finale, che di tali poteri costituisce espressione. La valutazione da parte di tale giudice va infatti estesa agli atti e ai regolamenti presupposti e funzionalmente collegati all'adozione, pretesamente illegittima, del provvedimento sanzionatorio finale, costituendone l'imprescindibile ragione giustificativa, quali specifici presupposti ed elementi costitutivi del rapporto giuridico dato, e non già elementi da quest'ultimo avulsi, quali beni della vita su cui possa configurarsi tutela autonoma e diversa da quella assicurata dalla loro eventuale disapplicazione. Disapplicazione che costituisce modalità di piena tutela delle posizioni di diritto soggettivo incise dal provvedimento amministrativo illegittimo garantita dal giudice ordinario, e volta al raggiungimento del risultato finale perseguito dall'istante. Tanto risulta confermato dalla considerazione nella specie del petitum sostanziale della domanda del soggetto sanzionato odierno controricorrente, che va propriamente ravvisato nella caducazíone del provvedimento avente ad oggetto la sanzione amministrativa, in quanto asseritamente deliberata e irrogata in base ad atti amministrativi e regolamentari dei quali si è lamentata l'illegittimità e per questi ultimi il contrasto con normativa di rango superiore, e non già concernente una lesione direttamente derivante dai suddetti atti presupposti, i quali assumono rilevanza concreta se e in quanto abbiano come nella specie dato luogo all'irrogazione della sanzione amministrativa, di cui è stata appunto richiesta l'eliminazione.</p> <p style="text-align: justify;">Emerge evidente, a tale stregua, come non possa invero riconoscersi pregio all'argomento secondo cui in base all'interpretazione qui accolta nei confronti degli atti regolamentari in argomento rimane l'impossibilità di generale annullamento, difettando per il giudice ordinario il potere di annullarli e disapplicarli erga omnes. Ne discende altresì, quale corollario, l'irrilevanza e non decisività della questione di legittimità costituzionale dell'art. 145 d.lgs. n. 385 del 1993 -per violazione degli artt. 103, 113 e 3 Cost.- in ragione della «esistenza nel nostro ordinamento di regolamenti non suscettibili di annullamento la cui rimozione sarebbe rimessa alla mercé della stessa Autorità di vigilanza che li ha emanati». Orbene, come le Sezioni Unite hanno già avuto modo di porre in rilievo, anche dopo l'entrata in vigore della L. n. 205 del 2000 (il cui art. 7 ha introdotto un nuovo testo dell'art. 33 d.lgs. n. 80 del 1998) le controversie relative all'applicazione delle sanzioni amministrative irrogate ai sensi dell'art. 145 d.lgs. n. 385 del 1993 per la violazione delle norme che disciplinano l'esercizio dell'attività bancaria sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario. Si è altresì precisato che l'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 5 del 2003 ha una portata meramente ricognitiva della giurisdizione del giudice ordinario e della competenza della Corte d'Appello di Roma, posto che il citato art. 33 d.lgs. n. 80 del 1998 (come sostituito dall'art. 7 L. n. 205 del 2000) non ha determinato l'attribuzione al giudice amministrativo delle controversie in tema di sanzioni amministrative bancarie, emergendo dalla relativa formulazione come essa non fosse ricompresa nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto espressamente riferita alle "controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito", sicché la giurisdizione e la competenza permangono in capo alla Corte d'Appello di Roma, senza alcuna soluzione di continuità con il regime anteriore alla riforma del c.d. rito societario. Tale conclusione risulta invero confermata anche dal giudice di legittimità costituzionale delle leggi nel dichiarare costituzionalmente illegittimo -per violazione dell'art. 76 Cost.- l'art. 4, comma 1, n. 17), dell'Allegato 4 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, nella parte in cui abrogava l'art. 145, commi da 4 a 8, d.lgs. n. 385 del 1993, il quale attribuisce alla Corte d'Appello di Roma la competenza funzionale per le controversie in materia di sanzioni inflitte dalla Banca d'Italia.</p> <p style="text-align: justify;">Alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto, viene dunque affermato che al giudice ordinario va riconosciuto spettare la giurisdizione sia in ordine al provvedimento amministrativo sanzionatorio in materia bancaria che relativamente ai relativi atti amministrativi e regolamentari presupposti. Con la conseguenza che nella specie gli atti amministrativi e regolamentari costituenti presupposto e fondamento dell'irrogazione del provvedimento amministrativo sanzionatorio da parte della Banca d'Italia non possono essere logicamente considerati astrattamente di per sé e in termini avulsi da quest'ultimo, il quale del relativo procedimento costituisce atto finale, ma vanno funzionalmente valutati unitamente al medesimo, di cui nello specifico caso concreto costituiscono il fondamento, connotando la relativa incidenza su posizioni di diritto soggettivo del sanzionato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 aprile esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 che, intervenendo in un giudizio sull’accesso agli atti di un appalto, ha modo di affrontare diverse questioni problematiche e in particolare:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, previste dal d. lgs. n. 33 del 2013, e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.</li> <li>b) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria;</li> <li>c) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Ritiene il Collegio che l’istanza di accesso documentale ben possa concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva possa essere contestualmente formulata dal privato con riferimento tanto all’una che all’altra forma di accesso.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 5, comma 11, del d. lgs. n. 33 del 2013 ammette chiaramente il concorso tra le diverse forme di accesso, allorquando specifica che restano ferme, accanto all’accesso civico c.d. semplice (comma 1) e quello c.d. generalizzato (comma 2), anche «le diverse forme di accesso degli interessati previste dal capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241».</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza è consolidata e uniforme nell’ammettere il concorso degli accessi, al di là della specifica questione qui controversa circa la loro coesistenza in rapporto alla specifica materia dei contratti pubblici: nulla infatti, nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze di accesso.</p> <p style="text-align: justify;">Il solo riferimento dell’istanza ai soli presupposti dell’accesso documentale non preclude alla pubblica amministrazione di esaminare l’istanza anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, laddove l’istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo che il privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo solo all’uno o all’altro aspetto.</p> <p style="text-align: justify;">Se è vero che l’accesso documentale e quello civico generalizzato differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, infatti, la pubblica amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito ostensivo”, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame.</p> <p style="text-align: justify;">Con riferimento al dato procedimentale, infatti, in materia di accesso opera il principio di stretta necessità, che si traduce nel principio del minor aggravio possibile nell’esercizio del diritto, con il divieto di vincolare l’accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la soddisfazione.</p> <p style="text-align: justify;">La coesistenza dei due regimi e la possibilità di proporre entrambe le istanze, anche uno actu, è certo uno degli aspetti più critici dell’attuale disciplina perché, come ha bene messo in rilievo l’ANAC nelle Linee guida di cui alla delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016 (par. 2.3, p. 7) – di qui in avanti, per brevità, Linee guida – l’accesso agli atti di cui alla l. n. 241 del 1990 continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi, e la proposizione contestuale di entrambi gli accessi, può comportare un evidente aggravio per l’amministrazione (del quale l’interprete non può che limitarsi a prendere atto), dal momento che dovrà applicare e valutare regole e limiti differenti.</p> <p style="text-align: justify;">Tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi e tuttavia, come si è detto, le due fattispecie di accesso ben possono concorrere, senza reciproca esclusione, e completarsi, secondo quanto si chiarirà.</p> <p style="text-align: justify;">Il bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso previsto dalla l. n. 241 del 1990, dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti, e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti), ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni.</p> <p style="text-align: justify;">L’ANAC ha osservato che i dinieghi di accesso agli atti e documenti di cui alla l. n. 241 del 1990, se motivati con esigenze di “riservatezza” pubblica o privata, devono essere considerati attentamente anche ai fini dell’accesso generalizzato, ove l’istanza relativa a quest’ultimo sia identica e presentata nel medesimo contesto temporale a quella dell’accesso di cui alla l. n. 241 del 1990, indipendentemente dal soggetto che l’ha proposta.</p> <p style="text-align: justify;">Con ciò essa ha inteso dire, cioè, che laddove l’amministrazione, con riferimento agli stessi dati, documenti e informazioni, abbia negato il diritto di accesso ex l. 241/1990, motivando nel merito, cioè con la necessità di tutelare un interesse pubblico o privato prevalente, e quindi nonostante l’esistenza di una posizione soggettiva legittimante ai sensi della 241/1990, per ragioni di coerenza sistematica e a garanzia di posizioni individuali specificamente riconosciute dall’ordinamento, si deve ritenere che le stesse esigenze di tutela dell’interesse pubblico o privato sussistano anche in presenza di una richiesta di accesso generalizzato, anche presentata da altri soggetti.</p> <p style="text-align: justify;">Se questo è vero, non può nemmeno escludersi tuttavia, per converso, che un’istanza di accesso documentale, non accoglibile per l’assenza di un interesse attuale e concreto, possa essere invece accolta sub specie di accesso civico generalizzato fermi restando i limiti di cui ai cennati commi 1 e 2 dell’art. 5-bis d. lgs. n. 33 del 2013, limiti che, come ha ricordato anche l’ordinanza di rimessione, sono certamente più ampi e oggetto di una valutazione a più alto tasso di discrezionalità.</p> <p style="text-align: justify;">A fronte di una istanza che non fa riferimento in modo specifico e circostanziato alla disciplina dell’accesso procedimentale o a quella dell’accesso civico generalizzato e non ha inteso ricondurre o limitare l’interesse ostensivo all’una o all’altra disciplina, ma si muove sull’incerto crinale tra l’uno e l’altro, la pubblica amministrazione ha il dovere di rispondere, in modo motivato, sulla sussistenza o meno dei presupposti per riconoscere i presupposti dell’una e dell’altra forma di accesso, laddove essi siano stati comunque, e sostanzialmente, rappresentati nell’istanza.</p> <p style="text-align: justify;">A tale conclusione non osta il fatto che l’istanza di accesso civico generalizzato non debba rappresentare l’esistenza di un interesse qualificato, a differenza di quella relativa all’accesso documentale, e che non debba essere nemmeno motivata, perché l’interesse e i motivi rappresentati, indistintamente ed eventualmente, al fine di sostenere l’esistenza di un interesse uti singulus, ai fini dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ben possono essere considerati dalla pubblica amministrazione per valutare l’esistenza dei presupposti atti a riconoscere l’accesso generalizzato uti civis, quantomeno per il limitato profilo, di cui oltre si tratterà, del c.d. public interest test.</p> <p style="text-align: justify;">In questo senso si è espresso anche il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione nella Circolare n. 2 del 6 giugno 2017 sull’Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA) – di qui in avanti, per brevità, Circolare FOIA n. 2/2017 – laddove, nel valorizzare il criterio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo, ha chiarito al par. 2.2 che «dato che l’istituto dell’accesso generalizzato assicura una più ampia tutela all’interesse conoscitivo, qualora non sia specificato un diverso titolo giuridico della domanda (ad es. procedimentale, ambientale, ecc.), la stessa dovrà essere trattata dall’amministrazione come richiesta di accesso generalizzato».</p> <p style="text-align: justify;">Solo ove l’istante abbia inteso, espressamente e inequivocabilmente, limitare l’interesse ostensivo ad uno specifico profilo, quello documentale o quello civico, la pubblica amministrazione dovrà limitarsi ad esaminare quello specifico profilo, senza essere tenuta a pronunciarsi sui presupposti dell’altra forma di accesso, non richiesta dall’interessato.</p> <p style="text-align: justify;">A questo punto, l’Adunanza Plenaria ritiene di esaminare anche la questione circa il campo di indagine della PA a fronte di un’istanza che faccia esclusivo riferimento alla l. 241/90.</p> <p style="text-align: justify;">Al riguardo, ritiene il Collegio che, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, non può esaminare la richiesta di accesso civico generalizzato, a meno che non sia accertato che l’interessato abbia inteso richiedere, al di là del mero riferimento alla l. n. 241 del 1990, anche l’accesso civico generalizzato e non abbia inteso limitare il proprio interesse ostensivo al solo accesso documentale, uti singulus.</p> <p style="text-align: justify;">Diversamente, infatti, la pubblica amministrazione si pronuncerebbe, con una sorta di diniego difensivo “in prevenzione”, su una istanza, quella di accesso civico generalizzato, mai proposta, nemmeno in forma, per così dire, implicita e/o congiunta o, comunque, ancipite dall’interessato, che si è limitato a richiedere l’accesso ai sensi della l. n. 241 del 1990.</p> <p style="text-align: justify;">Ne discende che al giudice amministrativo, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, è precluso di accertare la sussistenza del diritto del richiedente secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato, stante l’impossibilità di convertire, in sede di ricorso giurisdizionale, il titolo dell’accesso eventualmente rappresentato all’amministrazione sotto l’uno o l’altro profilo.</p> <p style="text-align: justify;">In altri termini, electa una via in sede procedimentale, alla parte è preclusa la conversione dell’istanza da un modello all’altro, che non può essere né imposta alla pubblica amministrazione né ammessa – ancorché su impulso del privato – in sede di riesame o di ricorso giurisdizionale, ferma restando però, come si è già rilevato, la possibilità di strutturare in termini alternativi, cumulativi o condizionati la pretesa ostensiva in sede procedimentale.</p> <p style="text-align: justify;">Se è vero che il rapporto tra le diverse forme di accesso, generali e anche speciali, deve essere letto secondo un criterio di integrazione e non secondo una logica di irriducibile separazione, per la miglior soddisfazione dell’interesse conoscitivo, è d’altro lato innegabile che questo interesse conoscitivo nella sua integralità e multiformità deve essere stato fatto valere e rappresentato, anzitutto, in sede procedimentale dal diretto interessato e valutato dalla pubblica amministrazione nell’esercizio del suo potere, non potendo il giudice pronunciarsi su un potere non ancora esercitato, stante il divieto dell’art. 34, comma 2, c.p.a., per non essere stato nemmeno sollecitato dall’istante.</p> <p style="text-align: justify;">È vero che il giudizio in materia di accesso, pur seguendo lo schema impugnatorio, non ha sostanzialmente natura impugnatoria, ma è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo e, in tal senso, è dunque un “giudizio sul rapporto”, come del resto si evince dall’art. 116, comma 4, del d. lgs. n. 104 del 2010, secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei documenti richiesti. Ma il c.d. giudizio sul rapporto, pur in sede di giurisdizione esclusiva, non può essere la ragione né la sede per esaminare la prima volta avanti al giudice questo rapporto perché è il procedimento la sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la tecnica del bilanciamento, deve essere compiuta da parte del soggetto pubblico competente, senza alcuna inversione tra procedimento e processo.</p> <p style="text-align: justify;">Il secondo quesito posto a questa Adunanza plenaria consiste nel chiarire se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza plenaria ritiene che gli operatori economici, che abbiano preso parte alla gara, sono legittimati ad accedere agli atti della fase esecutiva, con le limitazioni di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, purché abbiano un interesse attuale, concreto e diretto a conoscere tali atti.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza è univoca nell’ammettere l’accesso documentale, ricorrendone le condizioni previste dagli artt. 22 e ss. dell’art. 241 del 1990, anche agli atti della fase esecutiva laddove funzionale, ad esempio, a dimostrare, attraverso la prova dell’inadempimento delle prestazioni contrattuali, l’originaria inadeguatezza dell’offerta vincitrice della gara, contestata dall’istante nel giudizio promosso contro gli atti di aggiudicazione del servizio.</p> <p style="text-align: justify;">L’accesso documentale agli atti della fase esecutiva è ammesso espressamente dallo stesso art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, laddove esso rimette alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici», ma anche e più in generale dalla l. n. 241 del 1990, richiamata dall’art. 53 testé citato.</p> <p style="text-align: justify;">Questa, dopo la riforma della l. n. 15 del 2015 che ha recepito l’orientamento consolidato dell’Adunanza.</p> <p style="text-align: justify;">Non rileva, pertanto, che la fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche, poiché anche e, si direbbe, soprattutto questa fase rimane ispirata e finalizzata alla cura in concreto di un pubblico interesse, lo stesso che è alla base dell’indizione della gara e/o dell’affidamento della commessa, che anzi trova la sua compiuta realizzazione proprio nella fase di realizzazione dell’opera o del servizio; e lo stesso accesso documentale, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce, come prevede l’art. 22, comma 2, della l. n. 241 del 1990, siccome sostituito dall’art. 10 della l. n. 69 del 2009, «principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza»: dell’attività amministrativa, quindi, considerata nel suo complesso.</p> <p style="text-align: justify;">Esiste, in altri termini, una rilevanza pubblicistica (anche) della fase di esecuzione del contratto, dovuta alla compresenza di fondamentali interessi pubblici, che comporta una disciplina autonoma e parallela rispetto alle disposizioni del codice civile – applicabili «per quanto non espressamente previsto dal presente codice e negli atti attuativi»: art. 30, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016) – e questa disciplina si traduce sia nella previsione di disposizioni speciali nel codice dei contratti pubblici (artt. 100-113-bis del d. lgs. n. 50 del 2016), sia in penetranti controlli da parte delle autorità preposte a prevenire e a sanzionare l’inefficienza, la corruzione o l’infiltrazione mafiosa manifestatasi nello svolgimento del rapporto negoziale.</p> <p style="text-align: justify;">Sotto tale ultimo profilo, basti menzionare, tra gli altri, le funzioni di vigilanza attribuite all’ANAC dall’art. 213, comma 3, lett. b) e c), del d. lgs. n. 50 del 2016 in materia di esecuzione dei contratti pubblici, o i controlli antimafia da parte del prefetto, con gli effetti interdittivi di cui all’art. 88, comma 4-bis, del d. lgs. n. 159 del 2011.</p> <p style="text-align: justify;">Sotto il profilo degli interessi pubblici sottesi alla fase dell’esecuzione del rapporto, vanno richiamati il principio di trasparenza e quello di concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">LLa trasparenza, nella forma della pubblicazione degli atti (c.d. discosclure proattiva), è espressamente disciplinata dall’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016; alla disciplina dell’accesso agli atti è dedicato l’art. 53 dello stesso codice dei contratti pubblici, che tuttavia rinvia, in generale, alla disciplina della l. n. 241 del 1990, salvi gli specifici limiti all’accesso e alla divulgazione previsti dal comma 2 al comma 6 dello stesso art. 53.</p> <p style="text-align: justify;">Ma a esigenze di trasparenza, che sorregge il correlativo diritto alla conoscenza degli atti anche nella fase di esecuzione del contratto, conducono anche il principio di concorrenza e il tradizionale principio dell’evidenza pubblica che mira alla scelta del miglior concorrente, principio che non può non ricomprendere la realizzazione corretta dell’opera affidata in esecuzione all’esito della gara.</p> <p style="text-align: justify;">È vero che il codice dei contratti pubblici, pur nell’esigenza che l’esecuzione dell’appalto garantisca la qualità delle prestazioni, menziona i principî di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza solo in riferimento alla fase pubblicistica dell’affidamento di appalti e di concessioni, ma non vi è dubbio che la fase dell’esecuzione, se si eccettuano le varianti in corso d’opera ammesse dalla legge e le specifiche circostanze sopravvenute tali da incidere sullo svolgimento del rapporto contrattuale, deve rispecchiare e rispettare l’esito della gara condotto secondo le regole della trasparenza, della non discriminazione e della concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">L’attuazione in concreto dell’offerta risultata migliore, all’esito della gara, e l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del concessionario devono dunque essere lo specchio fedele di quanto risultato all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza, formalmente seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica all’aggiudicazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il delineato quadro normativo e di principî rende ben evidente l’esistenza di situazioni giuridicamente tutelate in capo agli altri operatori economici, che abbiano partecipato alla gara e, in certe ipotesi, che non abbiano partecipato alla gara, interessati a conoscere illegittimità o inadempimenti manifestatisi dalla fase di approvazione del contratto sino alla sua completa esecuzione, non solo per far valere vizi originari dell’offerta nel giudizio promosso contro l’aggiudicazione, ma anche con riferimento alla sua esecuzione, per potere, una volta risolto il rapporto con l’aggiudicatario, subentrare nel contratto od ottenere la riedizione della gara con chance di aggiudicarsela.</p> <p style="text-align: justify;">La persistenza di un rilevante interesse pubblico nella fase esecutiva del contratto, idoneo a sorreggere situazioni sostanziali e strumentali di altri soggetti privati, in primis il diritto a una corretta informazione sulle vicende contrattuali, è dimostrato, sul piano positivo, da una serie di disposizioni che si vengono a richiamare.</p> <p style="text-align: justify;">Vanno anzitutto ricordate, a monte del costituendo rapporto, le regole del codice dei contratti pubblici che prevedono in generale i controlli di legittimità sull’aggiudicatario previsti dalle disposizioni proprie delle stazioni appaltanti, il cui esito positivo costituisce condizione sospensiva del contratto insieme con l’approvazione del contratto stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Nel corso del rapporto, poi, rilevano le molteplici, complesse, ipotesi di recesso facoltativo da parte della stazione appaltante, che configurano, in realtà, altrettante ipotesi di autotutela pubblicistica, frutto di valutazione discrezionale e riconducibili al generale paradigma dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990.</p> <p style="text-align: justify;">Ci si riferisce in particolare, tra le ipotesi che consentono il recesso facoltativo –contemplate, rispettivamente per i contratti e le concessioni, dall’art. 108, comma 1, e dall’art. 176, commi 1 e 2, del codice – alle eventuali modifiche sostanziali del contratto, che avrebbero richiesto una nuova procedura di appalto ai sensi dell’art. 106 (art. 108, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 50 del 2016); al manifestarsi di una delle cause di esclusione dalla gara, previste dall’art. 80 del d. lgs. n. 50 del 2016, al momento dell’aggiudicazione; alla violazione di gravi obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in un procedimento di infrazione ai sensi dell’art. 258 TFUE.</p> <p style="text-align: justify;">Vi sono poi specifiche ipotesi di risoluzione di natura privatistica ammesse dal codice dei contratti pubblici, oltre a quelle previste in via generale dal codice civile, per gravi inadempimenti da parte dell’appaltatore, tali da compromettere la buona riuscita delle prestazioni, accertate dal direttore dei lavori o dal responsabile dell’esecuzione del contratto, se nominato (art. 108, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016) o comunque, anche al di fuori delle ipotesi di grave inadempimento, ipotesi di ritardi per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del contratto (art. 108, comma 4, del d. lgs. n. 50 del 2016).</p> <p style="text-align: justify;">E deve qui ricordarsi, peraltro, che i gravi e persistenti inadempimenti dell’operatore economico nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto o di concessione, che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento o la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili, costituiscono, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, causa di esclusione dalla gara e tali circostanze assumono particolare rilievo ai fini della partecipazione alla gara.</p> <p style="text-align: justify;">Ancora, più radicalmente, peraltro, la rilevanza della vicenda contrattuale anche nella fase di esecuzione è confermata dalle ipotesi di recesso obbligatorio dal rapporto contrattuale, previste dall’art. 110, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, che in realtà configurano forme di autotutela pubblicistica c.d. doverosa (con la conseguente, pacifica, giurisdizione del giudice amministrativo: Cons. St., sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2212), per l’intervenuta decadenza dell’attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci o per il sopraggiungere di un provvedimento definitivo, che dispone l’applicazione di una delle misure di prevenzione previste dal d. lgs. n. 159 del 2011, con effetto interdittivo antimafia; o per l’intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per uno dei reati di cui all’art. 80 (art. 108, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016); o, ancora, per il recesso di cui all’art. 88, comma 4-ter, del d. lgs. n. 159 del 2011, in seguito a comunicazione o informazione antimafia adottata dal Prefetto (art. 110, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016).</p> <p style="text-align: justify;">In tutte queste ipotesi l’art. 110, comma 1, del vigente d. lgs. n. 50 del 2016 prevede che la stazione appaltante, se intende mantenere l’affidamento alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di offerta, proceda allo scorrimento della graduatoria, esercitando quella che pur sempre, nonostante il contrario avviso di autorevole dottrina, è rimasta anche nel nuovo codice dei contratti pubblici una facoltà discrezionale della pubblica amministrazione, come è reso manifesto dalla lettera dell’art. 108, comma 8, del medesimo d. lgs. n. 50 del 2016, laddove menziona «la facoltà prevista dall’art. 110, comma 1».</p> <p style="text-align: justify;">La circostanza che tuttavia la stazione appaltante, al ricorrere delle ipotesi di risoluzione di cui all’art. 108, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, abbia la mera facoltà di procedere allo scorrimento della graduatoria, con il subentro del secondo classificato o dei successivi secondo l’ordine della stessa, o di indire una nuova gara per il soddisfacimento delle proprie esigenze, laddove permangano immutate – e salva, ovviamente, l’eccezionale facoltà di revocare l’intera procedura di gara stessa, se queste esigenze siano addirittura venute meno, e di non bandirne più nessuna – non rende tuttavia evanescente l’interesse dell’operatore economico, che abbia partecipato alla gara, quantomeno meno a conoscere illegittimità, afferenti alla pregressa fase pubblicistica ma emersi solo in sede di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso pubblicistico o, più precisamente, forme di annullamento in autotutela, discrezionale o doverosa, secondo le ipotesi sopra ricordate in via esemplificativa), o comunque inadempimenti manifestatisi in fase di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso privatistico).</p> <p style="text-align: justify;">L’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione, se riguardata infatti anche dal necessario versante del diritto amministrativo e delle norme del codice dei contratti pubblici, che pure la regolano in ossequio ai dettami del diritto dell’Unione, non è una “terra di nessuno”, un rapporto rigorosamente privatistico tra la pubblica amministrazione e il contraente escludente qualsivoglia altro rapporto o interesse, ma è invece soggetta, oltre al controllo dei soggetti pubblici, anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara.</p> <p style="text-align: justify;">L’interesse concorrenziale alla corretta esecuzione del contratto riacquista concretezza ed attualità, in altri termini, in tutte le ipotesi in cui la fase dell’esecuzione non rispecchi più quella dell’aggiudicazione, conseguita all’esito di un trasparente, imparziale, corretto gioco concorrenziale, o per il manifestarsi di vizi che già in origine rendevano illegittima l’aggiudicazione o per la sopravvenienza di illegittimità che precludano la prosecuzione del rapporto (c.d. risoluzione pubblicistica, facoltativa o doverosa) o per inadempimenti che ne determinino l’inefficacia sopravvenuta (c.d. risoluzione privatistica), sì che emerga una distorsione di tutte quelle regole concorrenziali che avevano condotto all’aggiudicazione della gara in favore del miglior concorrente per la miglior soddisfazione dell’interesse pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Tanto chiarito sulla sussistenza di un interesse, e sulla conseguente legittimazione che deriva dalla titolarità dello stesso, alla conoscenza dello svolgimento del rapporto contrattuale, occorre però, ai fini dell’accesso, che l’interesse dell’istante, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto, attuale, diretto, e, in particolare, che preesista all’istanza di accesso e non ne sia, invece, conseguenza; in altri termini, che l’esistenza di detto interesse – per il verificarsi, ad esempio, di una delle situazioni che legittimerebbe o addirittura imporrebbe la risoluzione del rapporto con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 108, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, e potrebbero indurre l’amministrazione a scorrere la graduatoria – sia anteriore all’istanza di accesso documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a “costruire” ad hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post.</p> <p style="text-align: justify;">Diversamente, infatti, l’accesso documentale assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 4, della l. n. 241 del 1990).</p> <p style="text-align: justify;">Invero, la situazione dell’operatore economico che abbia partecipato alla gara, collocandosi in graduatoria, non gli conferisce infatti, nemmeno ai fini dell’accesso, una sorta di superlegittimazione di stampo popolare a conoscere gli atti della fase esecutiva, laddove egli non possa vantare un interesse corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al cui accesso aspira (art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990).</p> <p style="text-align: justify;">Se l’accesso documentale soddisfa un bisogno di conoscenza (c.d. need to know) strumentale alla difesa di una situazione giuridica, che peraltro non necessariamente deve sfociare in un esito contenzioso (essendo la situazione legittimante all’accesso autonoma e distinta da quella legittimante all’impugnativa giudiziale e dall’esito stesso di questa impugnativa), questa situazione giuridica deve necessariamente precedere e, per di più, motivare l’accesso stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Né giova opporre che l’accesso documentale è proprio finalizzato a fornire la prova di questo riattualizzato interesse perché altro è il bisogno di conoscere per tutelare una interesse collegato ad una situazione competitiva già esistente o chiaramente delineatasi, laddove il principio di concorrenza già opera in fase di gara e al fine eventuale di impugnare il provvedimento di aggiudicazione, e altro, evidentemente, il desiderio di conoscere per sapere se questa situazione possa crearsi per l’occasione, del tutto eventuale, di un inadempimento contrattuale.</p> <p style="text-align: justify;">E proprio nella distanza che intercorre tra bisogno di conoscenza e desiderio di conoscenza sta del resto il tratto distintivo che, al di là di ulteriori aspetti, connota l’accesso documentale rispetto a quello civico generalizzato, nel quale la conoscenza si atteggia quale diritto fondamentale (c.d. right to know), in sé, che è premessa autonoma e fondamentale per l’esercizio di qualsivoglia altro diritto.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza plenaria, proprio con riguardo all’accesso documentale, ha precisato che essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è una condizione sufficiente perché l’interesse rivendicato possa considerarsi «diretto, concreto e attuale», poiché è anche necessario che la documentazione cui si chiede di accedere sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio passa a esaminare l’ultimo quesito, posto dall’ordinanza di rimessione, e cioè se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso d. lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, introdotto dall’art. 6 del d. lgs. n. 97 del 2016, prevede testualmente che il diritto di accesso civico generalizzato, di cui all’art. 5, comma 2, del medesimo d. lgs. n. 33 del 2013, «è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990».</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede, a sua volta, che «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241».</p> <p style="text-align: justify;">In proposito l’Adunanza Plenaria delinea le due posizioni giurisprudenziali contrastanti.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo l’orientamento espresso dalla sentenza n. 3780 del 5 giugno 2019 (condiviso, anche nella giurisprudenza di primo grado, da numerose pronunce), il richiamo dell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui rinvia agli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, non può condurre alla generale esclusione dell’accesso civico generalizzato in relazione ai contratti pubblici perché il richiamo a specifiche condizioni, modalità e limiti si riferisce a determinati casi in cui, per una materia altrimenti ricompresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali o l’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990 possono prevedere specifiche restrizioni.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò non implicherebbe, però, che intere materie siano sottratte all’accesso civico generalizzato, se è vero che l’ambito delle materie sottratte deve essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa, dovendosi distinguere, nell’ambito delle eccezioni assolute previste dall’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016, tra materie sottratte interamente e singoli casi sottratti nell’ambito di materie altrimenti aperte all’accesso generalizzato. Mentre il riferimento alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990 costituirebbe il mero frutto di un mancato coordinamento del legislatore tra le due normative.</p> <p style="text-align: justify;">Un diverso orientamento ha seguito invece la V sezione di questo Consiglio di Stato, insieme con numerose altre pronunce dei giudici di primo grado.</p> <p style="text-align: justify;">Anzitutto, sul piano della interpretazione letterale, questo secondo orientamento ritiene che l’eccezione assoluta, contemplata nell’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2016, ben possa essere riferita a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazioni, e che l’eccezione non riguardi quindi soltanto le ipotesi in cui la disciplina vigente abbia quale suo unico contenuto un divieto assoluto o relativo di pubblicazione o di divulgazione «se non altro perché tale ipotesi è separatamente contemplata nella medesima disposizione» (Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).</p> <p style="text-align: justify;">Si tratterebbe, insomma, di effettuare un coordinamento volta per volta, verificando se la disciplina settoriale, da prendere prioritariamente in considerazione in ossequio al principio di specialità, consenta la reciproca integrazione ovvero assuma portata derogatoria.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo l’Adunanza plenaria ritiene che l’accesso civico generalizzato debba trovare applicazione, per le ragioni che si esporranno, anche alla materia dei contratti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">Come è stato esattamente osservato, l’accesso civico generalizzato introdotto nel corpus normativo del d. lgs. n. 33 del 2013 dal d. lgs. n. 97 del 2016, in attuazione della delega contenuta nell’art. 7 della l. n. 124 del 2015, come diritto di “chiunque”, non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza, viene riconosciuto e tutelato «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013).</p> <p style="text-align: justify;">L’esplicita precisazione del legislatore evidenzia proprio la volontà di superare quello che era e resta il limite connaturato all’accesso documentale che, come si è detto, non può essere preordinato ad un controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, della l. n. 241 del 1990).</p> <p style="text-align: justify;">Nell’accesso documentale ordinario, “classico”, si è dunque al cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l’interesse pubblico alla trasparenza ad essere, come taluno ha osservato, “occasionalmente protetto” per il c.d. need to know, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione giuridica pregressa. Per converso, nell’accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">Nel parere n. 515 del 24 febbraio 2016, il Consiglio di Stato, fornendo indicazioni sulle modifiche normative da introdurre nel d. lgs. n. 33 del 2013, ha evidenziato nel par. 11.2 che «il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.O.I.A.) rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine […] della Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro”».</p> <p style="text-align: justify;">Anche nel nostro ordinamento l’evoluzione della visibilità del potere, con la conseguente accessibilità generalizzata dei suoi atti sul modello del FOIA, è la storia del lento cammino verso la democrazia e, con il progressivo superamento degli arcana imperii di tacitiana memoria, garantisce la necessaria democraticità del processo continuo di informazione e formazione dell’opinione pubblica (Corte cost., 7 maggio 2002, n. 155).</p> <p style="text-align: justify;">Il principio di trasparenza, che si esprime anche nella conoscibilità dei documenti amministrativi, rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno Stato di diritto, se è vero che la democrazia, secondo una celebre formula ricordata dallo stesso parere n. 515 del 24 febbraio 2016, è il governo del potere pubblico in pubblico, ma costituisce anche un caposaldo del principio di buon funzionamento della pubblica amministrazione, quale “casa di vetro” improntata ad imparzialità, intesa non quale mera conoscibilità, garantita dalla pubblicità, ma anche come intelligibilità dei processi decisionali e assenza di corruzione.</p> <p style="text-align: justify;">La stessa Corte costituzionale, ancor di recente (sent. n. 20 del 21 febbraio 2019), ha rimarcato che il diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della pubblica amministrazione, sul modello del c.d. FOIA (Freedom of information act), risponde a principî di pubblicità e trasparenza, riferiti non solo, quale principio democratico (art. 1 Cost.), a tutti gli aspetti rilevanti dalla vita pubblica e istituzionale, ma anche, ai sensi dell’art. 97 Cost., al buon funzionamento della pubblica amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">La stessa impostazione si rinviene ormai anche nel consolidato orientamento del Consiglio di Stato non solo in sede consultiva, come nel citato parere n. 515 del 2016, ma anche in sede giurisdizionale, laddove numerose pronunce rimarcano che il nuovo accesso civico risponde pienamente ai principi del nostro ordinamento nazionale di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa e di partecipazione diffusa dei cittadini alla gestione della “cosa pubblica”, ai sensi degli artt. 1 e 2 Cost., nonché, ovviamente, dell’art. 97 Cost., secondo il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost..</p> <p style="text-align: justify;">Il FOIA si fonda sul riconoscimento del c.d. “diritto di conoscere” (right to know) alla stregua di un diritto fondamentale, al pari di molti altri ordinamenti europei ed extraeuropei, come del resto si evince espressamente anche dall’art. 1, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, secondo cui le disposizioni dello stesso decreto, tra le quali anzitutto quelle dettate per l’accesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost..</p> <p style="text-align: justify;">Non solo, peraltro, l’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come “accessibilità totale” (Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20), è un diritto fondamentale, in sé, ma contribuisce, nell’ottica del legislatore (v., infatti, art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013), al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.</p> <p style="text-align: justify;">Bene si è osservato che il diritto di accesso civico è precondizione, in questo senso, per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento perché solo conoscere consente di determinarsi, in una visione nuova del rapporto tra potere e cittadino che, improntata ad un aperto e, perciò stesso, dialettico confronto tra l’interesse pubblico e quello privato, fuoriesce dalla logica binaria e conflittuale autorità/libertà.</p> <p style="text-align: justify;">La luce della trasparenza feconda il seme della conoscenza tra i cittadini e concorre, da un lato, al buon funzionamento della pubblica amministrazione ma, dall’altro, anche al soddisfacimento dei diritti fondamentali della persona, se è vero che organizzazione amministrativa e diritti fondamentali sono strettamente interrelati.</p> <p style="text-align: justify;">La natura fondamentale del diritto di accesso civico generalizzato, oltre che essere evincibile dagli artt. 1, 2, 97 e 117 Cost e riconosciuta dall’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per gli atti delle istituzioni europee, deve però collocarsi anche in una prospettiva convenzionale europea, laddove essa rinviene un sicuro fondamento nell’art. 10 CEDU, come hanno rilevato le citate Linee guida dell’ANAC, nel par. 2.1, e le Circolari FOIA n. 2/2017 (par. 2.1) e n. 1/2019 (par. 3).</p> <p style="text-align: justify;">Ricostruita così la natura del c.d. accesso civico generalizzato, quale “terza generazione” del diritto all’accesso, dopo quello documentale di cui alla l. n. 241 del 1990 e quello civico c.d. semplice di cui all’originaria formulazione del d. lgs. n. 33 del 2013, occorre interrogarsi sulle c.d. eccezioni assolute, previste dal già richiamato art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016, con particolare riferimento alla materia qui controversa.</p> <p style="text-align: justify;">Nella disciplina delle c.d. eccezioni relative ed assolute, infatti, il nostro ordinamento ha seguito una soluzione simile a quella adottata dall’ordinamento anglosassone, che distingue tra absolute exemptions e qualified exemptions.</p> <p style="text-align: justify;">Questa disposizione detta, a ben vedere, tre ipotesi di eccezioni assolute: i documenti coperti da segreto di Stato; gli altri casi di divieti previsti dalla legge, compresi quelli in cui l’accesso è subordinato al rispetto di specifiche condizioni, modalità e limiti; le ipotesi contemplate dall’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990.</p> <p style="text-align: justify;">Le eccezioni assolute sono state previste dal legislatore per garantire un livello di protezione massima a determinati interessi, ritenuti di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico, come è in modo emblematico per il segreto di Stato, sicché il legislatore ha operato già a monte una valutazione assiologica e li ha ritenuti superiori rispetto alla conoscibilità diffusa di dati e documenti amministrativi.</p> <p style="text-align: justify;">In questo caso la pubblica amministrazione esercita un potere vincolato, che deve essere necessariamente preceduto da un’attenta e motivata valutazione in ordine alla ricorrenza, rispetto alla singola istanza, di una eccezione assoluta e alla sussunzione del caso nell’ambito dell’eccezione assoluta, che è di stretta interpretazione.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza plenaria, pur consapevole della infelice formulazione della disposizione, ne ritiene preferibile una lettura unitaria – a partire dall’endiadi «segreti e altri divieti di divulgazione» – evitando di scomporla e di trarne con ciò stesso dei nuovi, autonomi l’uno dagli altri, limiti, perché una lettura sistematica, costituzionalmente e convenzionalmente orientata, impone un necessario approccio restrittivo (ai limiti) secondo una interpretazione tassativizzante.</p> <p style="text-align: justify;">La disposizione non può invero essere intesa nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedano casi di accesso limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. n. 241 del 1990, perché, se così fosse, il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e “fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato.</p> <p style="text-align: justify;">Verrebbe meno così, radicalmente, il concorso tra le due forme di accesso – documentale e generalizzato – che, per quanto problematico, è fatto salvo dall’art. 5, comma 11, del d. lgs. n. 33 del 2013, che mantiene ferme «le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241».</p> <p style="text-align: justify;">Ma in linea generale il rapporto tra le due discipline generali dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato e, a sua volta, il rapporto tra queste due discipline generali e quelle settoriali – si pensi, tra le più importanti, all’accesso civico di cui all’art. 10 del d. lgs. n. 267 del 2000 e a quello ambientale di cui all’art. 3 del d. lgs. n. 195 del 2005 – non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla reazione tra le discipline non è quella della separazione, ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline.</p> <p style="text-align: justify;">Occorre, cioè, indagare circa la portata e il senso di tali limiti per verificare, caso per caso (la disposizione, appunto parla di “casi”) e non per interi ambiti di materia, se il filtro posto dal legislatore a determinati casi di accesso sia radicalmente incompatibile con l’accesso civico generalizzato quale esercizio di una libertà fondamentale da parte dei consociati. Anche le eccezioni assolute insomma, come osservato pure in dottrina, non sono preclusioni assolute perché l’interprete dovrà valutare, appunto, la volontà del legislatore di fissare in determinati casi limiti più stringenti all’accesso civico generalizzato.</p> <p style="text-align: justify;">Un diverso ragionamento interpretativo, che identificasse interi ambiti di materia esclusi dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, avallerebbe il rischio, ben avvertito in dottrina, che i casi del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013, letti in modo frazionato e non sistematico, si trasformino in un “buco nero” della trasparenza – frutto anche di un sistema di limiti che si apre ad altri che rinviano ad ulteriori con un potenziale circolo vizioso e un regressus ad infinitum – ove è risucchiato l’accesso generalizzato, con un ritorno all’opacità dell’azione amministrativa per effetto di una interpretazione che trasforma l’eccezione in regola e conduce fatalmente alla creazione in via pretoria di quelli che, con felice espressione, sono stati definiti “segreti di fatto” accanto ai “segreti di diritto”, espressamente contemplati dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 53, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede infatti che – fatta salva la disciplina dettata dal codice dei contratti pubblici per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza (ipotesi straordinarie sicuramente rientranti tra le eccezioni accesso di cui all’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013 per il divieto assoluto di divulgazione e accesso) – il diritto di accesso sia semplicemente differito, in relazione al nominativo dei soggetti che nelle procedure aperte hanno presentato offerte o, nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare informali, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito e che hanno manifestato il loro interesse e in relazione alle offerte stesse, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime offerte; in relazione alle offerte e al procedimento di verifica dell’anomalia, fino all’aggiudicazione.</p> <p style="text-align: justify;">Questi atti, fino alla scadenza di termini indicati, «non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti» (art. 53, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016) e la trasgressione di tale divieto è presidiata dalla sanzione penale di cui all’art. 326 c.p..</p> <p style="text-align: justify;">È questa una esclusione assoluta del diritto di accesso, per quanto temporalmente limitata, incompatibile con il diritto di accesso civico generalizzato, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013, perché finalizzata a preservare la regolare competizione tra i concorrenti e il buon andamento della procedura di gara da indebite influenze, intromissioni, e turbamenti, e quindi dalla conoscenza di tali atti, prima della gara, da parte di chiunque, uti singulus ed uti civis.</p> <p style="text-align: justify;">Viene qui in rilievo una disciplina speciale, il cui nucleo centrale è costituito dalla conoscibilità progressiva della documentazione di gara, regolata da precise scansioni temporali volte a contemperare le ragioni dell’accesso con l’esigenza di assicurare il regolare svolgimento delle procedure selettive.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 53, comma 5, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede, parimenti, una esclusione assoluta del diritto di accesso in relazione:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici e commerciali;</li> <li>b) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del codice dei contratti pubblici per la soluzione delle liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici;</li> <li>c) alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto;</li> <li>d) alle soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">L’unica deroga a queste eccezioni assolute è prevista, nel comma 6 dell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, per l’accesso documentale c.d. difensivo del concorrente in ordine alle informazioni contenute nell’offerta o nelle giustificazioni di altro concorrente per la tutela in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto, in linea, del resto, con quanto prevede in generale l’art. 23, comma 6, della l. n. 241 del 1990 per la prevalenza dell’accesso documentale c.d. difensivo.</p> <p style="text-align: justify;">La portata limitata anche temporalmente e motivata di questi casi, peraltro di stretta interpretazione, non può comportare ex se l’esclusione dell’intera materia dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, che riacquista la sua naturale vis expansiva una volta venute meno le ragioni che giustificano siffatti limiti, condizioni o modalità di accesso.</p> <p style="text-align: justify;">Le conclusioni sin qui raggiunte si rinvengono sostanzialmente anche nella delibera ANAC n. 317 del 29 marzo 2017 nella quale l’Autorità ha chiarito che, se è esatto che tra i limiti all’accesso civico generalizzato di cui agli artt. 5 e 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 ci sono le pertinenti disposizioni del codice dei contratti pubblici, deve per converso ritenersi che, una volta venute meno le condizioni che sorreggevano quei limiti, e quindi successivamente all’aggiudicazione della gara, il diritto di accesso debba essere consentito a chiunque, ancorché nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">Con specifico riferimento alla materia dei contratti pubblici, le esigenze di accesso civico generalizzato, assumono, a ben vedere, una particolare e più pregnante connotazione, perché costituiscono la «fisiologica conseguenza» dell’evidenza pubblica, in quanto che ciò che è pubblicamente evidente, per definizione, deve anche essere pubblicamente conoscibile, salvi, ovviamente, i limiti di legge e solo di legge, per le ragioni già esposte.</p> <p style="text-align: justify;">È vero che la l. n. 190 del 2012 ha previsto, nel comma 32, numerosi obblighi di pubblicazione degli atti di gara e l’art. 37 del d. lgs. n. 33 del 2013, in attuazione di tale delega, stabilisce un generale regime di pubblicità per tali atti. E l’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016, come si è già accennato, ha disciplinato in modo analitico la pubblicazione di tali atti. Ma la sussistenza di obblighi di pubblicazione di numerosi atti in materia di gara non può condurre all’esclusione dell’accesso civico generalizzato sul rilievo che gli obblighi “proattivi” di pubblicazione soddisferebbero già, in questa materia, il bisogno o, comunque, il desiderio di conoscenza che contraddistingue il principio di trasparenza.</p> <p style="text-align: justify;">Una siffatta lettura, ancora una volta, sconta una logica di separatezza anzi che di integrazione tra le diverse tipologie di accesso che il legislatore ha inteso lasciar coesistere nel nostro ordinamento. Per contro, è proprio questa logica ermeneutica di integrazione che induce a ritenere che la obbligatoria pubblicità di determinati atti (c.d. disclosure proattiva) è solo un aspetto, pur fondamentale, della trasparenza, che tuttavia si manifesta e si completa nell’accessibilità degli atti (c.d. disclosure reattiva) nei termini previsti per l’accesso civico generalizzato.</p> <p style="text-align: justify;">Del resto la configurazione di una trasparenza che risponda a “un controllo diffuso” della collettività sull’azione amministrativa è particolarmente avvertita nella materia dei contratti pubblici e delle concessioni e, in particolare, nell’esecuzione di tali rapporti, dove spesso si annidano fenomeni di cattiva amministrazione, corruzione e infiltrazione mafiosa, con esiti di inefficienza e aree di malgoverno per le opere costruite o i servizi forniti dalla pubblica amministrazione e gravi carenze organizzative tali da pregiudicare persino il godimento di diritti fondamentali da parte dei cittadini nella loro pretesa ai cc.dd. diritti sociali.</p> <p style="text-align: justify;">Non è più possibile affermare, in un quadro evolutivo così complesso che impone una visione d’insieme anche alla luce delle coordinate costituzionali, eurounitarie e convenzionali, che l’accesso agli atti di gara costituisca un microcosmo normativo compiuto e chiuso.</p> <p style="text-align: justify;">La lettura unitaria, armonizzante, integratrice tra le singole discipline, divenuta predominante nella giurisprudenza di questo Consiglio già nel rapporto tra l’accesso agli atti di gara e l’accesso documentale della l. n. 241 del 1990 in termini di complementarietà, deve essere estesa a tutte le tipologie di accesso, ivi incluso quello civico, semplice e generalizzato, come suggerisce condivisibilmente l’ordinanza di rimessione, senza peraltro dover fare riferimento alla pur raffinata tecnica del rinvio “mobile” dell’art. 53 alla l. n. 241 del 1990, per le ragioni tutte esplicitate, alle disposizioni della l. n. 241 del 1990 siccome integrate/combinate con il complesso normativo del d. lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">Le sentenze n. 5502 e n. 5503 del 2 agosto 2019 della V sezione hanno ben richiamato l’essenziale ruolo di vigilanza svolto dall’ANAC in questo settore, ma non va trascurato il ruolo che un controllo generalizzato sull’aggiudicazione e sull’esecuzione del contratto svolge proprio l’accesso civico generalizzato, come ridisegnato dal d. lgs. n. 96 del 2017, con la conseguente possibilità di effettuare segnalazioni documentate da parte di terzi, una volta ottenuta la relativa documentazione con l’accesso, anche all’ANAC, che può esercitare il suo potere di raccomandazione ai sensi dell’art. 213 del d. lgs. n. 50 del 2016 anche nella fase esecutiva.</p> <p style="text-align: justify;">Il vigente Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di contratti pubblici, adottato dall’ANAC e pubblicato sulla G.U. del 16 ottobre 2018, prevede, all’art. 12, comma 1, lett. b), che il procedimento di vigilanza possa concludersi, infatti, con «l’accertamento di atti illegittimi o irregolari della procedura di gara o dell’esecuzione del contratto, eventualmente accompagnato da raccomandazioni, rivolte alle stazioni appaltanti interessate, a rimuovere le illegittimità o irregolarità riscontrate, ovvero ad adottare atti volti a prevenire, per il futuro, il ripetersi di tali illegittimità e irregolarità». E particolare attenzione a sua volta l’art. 24 del Regolamento, dedica, sempre in relazione alla fase esecutiva, alle varianti in corso d’opera.</p> <p style="text-align: justify;">Risulta così confermato che, nel nostro ordinamento, l’esecuzione del contratto non è una terra di nessuno, lasciata all’arbitrio dei contraenti e all’indifferenza dei terzi, ma sottoposta all’attività di vigilanza da parte dell’ANAC, trattandosi di una fase rilevante per l’ordinamento giuridico, come dimostrano le funzioni pubbliche di vigilanza e controllo previste, nella cui cornice trova spazio, in funzione si direbbe complementare e strumentale, anche l’accesso generalizzato dei cittadini.</p> <p style="text-align: justify;">Questo, invero, non solo non è escluso dall’attività di vigilanza dell’ANAC, ma anzi può ben porsi rispetto alla stessa in funzione, come si è appena ricordato, strumentale; può consentire, infatti, che, tramite l’accesso civico generalizzato, siano valutate «le segnalazioni di violazione della normativa in materia di contratti pubblici presentate da terzi, compatibilmente con le esigenze organizzative e di funzionamento degli uffici, tenendo conto in via prioritaria della gravità della violazione e della rilevanza degli interessi coinvolti dall’appalto» (art. 4, comma 4, del Regolamento) e che l’apposito modulo della segnalazione, predisposto dall’ANAC, sia «corredato della eventuale documentazione» (art. 5, comma 2, del Regolamento) acquisita in occasione dell’accesso generalizzato, essendo altrimenti di fatto impossibile per il cittadino “contribuente” segnalare eventuali violazioni all’Autorità di settore, come invece auspica il considerando n. 122, in maniera consapevole e documentata.</p> <p style="text-align: justify;">Argomenti di carattere letterale, teleologico e sistematico come quelli esposti depongono, dunque, nel senso di una accessibilità totale degli atti di gara, seppur sempre nel rispetto degli interessi-limite, pubblici e privati, e delle conseguenti eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">A questo punto, secondo il Collegio occorre però tener conto di ulteriori importanti questioni.</p> <p style="text-align: justify;">La prima questione concernente il delicato bilanciamento tra il valore, fondamentale dell’accesso e quello, altrettanto fondamentale, della riservatezza, la circostanza che l’accesso possa prevedibilmente soccombere di fronte alle ragioni normativamente connesse alla riservatezza dei dati dei concorrenti non può condurre a un’aprioristica esclusione dell’accesso.</p> <p style="text-align: justify;">Tutte le eccezioni relative all’accesso civico generalizzato implicano e richiedono un bilanciamento da parte della pubblica amministrazione, in concreto, tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza, secondo i criteri utilizzati anche in altri ordinamenti, quali il cd. test del danno (harm test), utilizzato per esempio in Germania, o il c.d. public interest test o public interest override, tipico dell’ordinamento statunitense o di quello dell’Unione europea (art. 4, par. 2, del reg. (CE) n. 1049/2001: v., per un’applicazione giurisprudenziale, Trib. UE, sez. I, 7 febbraio 2018, in T-851/16), in base al quale occorre valutare se sussista un interesse pubblico al rilascio delle informazioni richieste rispetto al pregiudizio per l’interesse-limite contrapposto.</p> <p style="text-align: justify;">È vero, infatti, che escludere dall’accesso anche generalizzato la documentazione suscettibile di rivelare gli aspetti tecnologici, produttivi, commerciali e organizzativi, costituenti i punti di forza o di debolezza delle offerte nel confronto competitivo, costituisce un obiettivo delle norme in materia di appalti pubblici dell’Unione, e che per conseguire tale obiettivo è necessario che le autorità aggiudicatrici non divulghino informazioni il cui contenuto potrebbe essere utilizzato per falsare la concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">E tuttavia questo obiettivo può e deve essere conseguito appunto, in una equilibrata applicazione del limite previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d. lgs. n. 33 del 2013, secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno (c.d. harm test), che preservi il know-how industriale e commerciale dell’aggiudicatario o di altro operatore economico partecipante senza sacrificare del tutto l’esigenza di una anche parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how o comunque ad essi non necessariamente legati, e ciò nell’interesse pubblico a conoscere, per esempio, come certe opere pubbliche di rilevanza strategica siano realizzate o certi livelli essenziali di assistenza vengano erogati da pubblici concessionari.</p> <p style="text-align: justify;">Va ribadito – concludendo sul punto – che ciò che distingue le eccezioni relative dalle eccezioni assolute è proprio il fatto che non sussista a monte, nella scala valoriale del legislatore, una priorità ontologica o una prevalenza assiologica di alcuni interessi rispetto ad altri, sicché è rimesso all’amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti..</p> <p style="text-align: justify;">La seconda questione riguarda il notevole aumento dei costi di gestione del procedimento di accesso, da parte delle singole pubbliche amministrazioni, aumento che, in una prospettiva di diffusa applicazione dell’accesso civico generalizzato anche ai contratti pubblici, necessiterebbe di apposita disposizione di legge.</p> <p style="text-align: justify;">Se il nostro ordinamento ha ormai accolto il c.d. modello FOIA non è l’accesso pubblico generalizzato degli atti a dover essere, ogni volta, ammesso dalla legge, ma sono semmai le sue eccezioni a dovere rinvenire un preciso, tassativo, fondamento nella legge.</p> <p style="text-align: justify;">Non deve nemmeno essere drammatizzato l’abuso dell’istituto, che possa condurre a una sorta di eccesso di accesso.</p> <p style="text-align: justify;">Innanzi tutto, va rilevato che l’esperienza applicativa del FOIA nei primi tre anni dalla sua introduzione, come emerge dai dati pubblicati dal Dipartimento della funzione pubblica, rivela un uso “normale” delle istanze di accesso civico; infatti, le istanze pervenute ai ministeri sono aumentate da 1146 nel 2017 a 1818 nel 2018, con una media, nel secondo anno, di 11 richieste mensili per ministero, assolutamente in linea con la media europea e con un tasso di risposte evase da parte dei ministeri nel termine di legge (trenta giorni), in aumento, dal 74% nel 2017 all’83% nel 2018.</p> <p style="text-align: justify;">In secondo luogo, è ovvio che l’accesso, finalizzato a garantire, con il diritto all’informazione, il buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), non può finire per intralciare proprio il funzionamento della stessa, sicché il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale principio solidaristico (art. 2 Cost.).</p> <p style="text-align: justify;">Il diritto di accesso civico generalizzato, se ha un’impronta essenzialmente personalistica, quale esercizio di un diritto fondamentale, conserva una connotazione solidaristica, nel senso che l’apertura della pubblica amministrazione alla conoscenza collettiva è funzionale alla disponibilità di dati di affidabile provenienza pubblica per informare correttamente i cittadini ed evitare il propagarsi di pseudoconoscenze e pseudocoscienze a livello diffuso, in modo – come è stato efficacemente detto – da «contribuire a salvare la democrazia dai suoi demoni, fungendo da antidoto alla tendenza […] a manipolare i dati di realtà».</p> <p style="text-align: justify;">Sarà così possibile e doveroso evitare e respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste massive uniche (v., sul punto, Circolare FOIA n. 2/2017, par. 7, lett. d; Cons. St., sez. VI, 13 agosto 2019, n. 5702), contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi; richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi.</p> <p style="text-align: justify;">La terza questione riguarda la possibilità che l’ammissibilità dell’accesso civico generalizzato, in questa materia, verrebbe utilizzato per la soddisfazione di interessi economici e commerciali del singolo operatore, nell’intento di superare i limiti interni dei rimedi specificamente posti dall’ordinamento a tutela di tali interessi, ove compromessi dalla conduzione delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">La circostanza che l’interessato non abbia un interesse diretto, attuale e concreto ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, non per questo rende inammissibile l’istanza di accesso civico generalizzato, nata anche per superare le restrizioni imposte dalla legittimazione all’accesso documentale.</p> <p style="text-align: justify;">Non si deve confondere da questo punto di vista la ratio dell’istituto con l’interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, per quanto, come detto, certamente non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò che va tutelato è l’interesse alla conoscenza del dato e questa conoscenza non può essere negata.</p> <p style="text-align: justify;">Conclusivamente, vengono enunciati i seguenti principi di diritto:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento;</li> <li>b) è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale;</li> <li>c) la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 aprile esce il parere della I sezione del Consiglio di Stato n. 735 secondo cui deve ammettersi la perdurante vigenza, con riguardo agli enti locali, dell’annullamento straordinario previsto dall’art. 138 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e dall’art. 2, comma 3, lettera p), della legge n. 400 del 1988, pur dopo la riforma del titolo V della Costituzione introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto compatibile con le prerogative riconosciute agli enti locali dal nuovo Titolo V, se applicate nelle materie riservate alla competenza esclusiva dello Stato.</p> <p style="text-align: justify;">Il potere di annullamento straordinario ex art. 138 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 trova infatti la sua ragion d’essere nell’obbligo gravante sul Presidente del Consiglio dei Ministri, sancito dall’art. 95 Cost., di assicurare il mantenimento dell’unità di indirizzo politico ed amministrativo, nel quadro di unità e di indivisibilità della Repubblica, di cui all’art. 5 Cost. (2).</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue, a giudizio del Consiglio, che può essere annullata in via straordinaria ex art. 138 del T.U.E.L. l’ordinanza del Sindaco di Messina del 5 aprile 2020 la quale introduce l’obbligo per chiunque intende fare ingresso in Sicilia attraverso il Porto di Messina, sia che viaggi a piedi sia che viaggi a bordo di un qualsiasi mezzo di trasporto di registrarsi, almeno 48 ore prima dell’orario previsto di partenza, nel sistema di registrazione on-line, fornendo una serie di dati identificativi personali e relativi alla località di provenienza, a quella di destinazione e ai motivi del trasferimento, e di attendere il rilascio da parte del Comune di Messina, e per esso della Polizia Municipale alla quale è demandata l’attuazione e la vigilanza sulla esecuzione della presente Ordinanza, del Nulla Osta allo spostamento.</p> <p style="text-align: justify;">L’articolo 3 del d.l. 25 marzo 2020 n. 19 riconosce un’autonoma competenza ai presidenti delle regioni e ai sindaci ma solo al ricorrere di questi presupposti e delle seguenti condizioni: a) nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento; b) in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso; tali circostanze, in applicazione delle ordinarie regole sulla motivazione del provvedimento amministrativo, non devono solo essere enunciate ma anche dimostrate; c) esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza; d) senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste l’attività di controllo in ambito amministrativo?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>è una <strong>attività strumentale ed accessoria</strong> rispetto alla c.d. <strong>amministrazione attiva</strong>;</li> <li>ha ad oggetto <strong>atti o attività</strong>, dal punto di vista <strong>oggettivo</strong>, o <strong>soggetti od organi</strong>, dal punto di vista <strong>soggettivo</strong>; in quest’ultimo caso, nondimeno (ed in disparte le ipotesi di <strong>scioglimento </strong>dell’organo<strong>)</strong>, il controllo <strong>non riguarda </strong>generalmente – in via<strong> immediata e diretta </strong>-<strong> il soggetto o l’organo in sé</strong>, ma <strong>gli atti o l’attività</strong> di tale soggetto od organo, che funge dunque da <strong>punto di riferimento</strong> degli <strong>atti</strong> o delle <strong>attività</strong> da controllare;</li> <li>viene <strong>disimpegnato da organi</strong> nell’ambito dello <strong>stesso soggetto</strong> (<strong>controllo interno</strong>: organo controllante e organo controllato), ovvero da un <strong>soggetto</strong> nei confronti di <strong>atti, attività od organi di un soggetto diverso</strong> (<strong>controllo esterno</strong>: soggetto controllante e soggetto controllato);</li> <li>ha l’obiettivo di verificare la <strong>legittimità</strong> o il <strong>merito</strong> (c.d. <strong>buona amministrazione</strong>, che richiama il <strong>buon andamento</strong> di cui all’art.97 Cost.) dell’atto o dell’attività del controllato;</li> <li>può avere ad oggetto <strong>l’astratta legittimità</strong> degli atti od attività (modello recessivo: c.d. <strong>amministrazione “<em>per atti</em>”</strong>) ovvero il <strong>risultato</strong> – in termini di <strong>gestione pubblica</strong> - raggiunto attraverso tali atti o attività (modello sempre più accreditato: c.d. <strong>amministrazione “<em>per risultati</em>”</strong>);</li> <li>il modello <strong>dell’amministrazione “<em>per atti</em>”</strong> appare maggiormente conforme a <strong>moduli organizzativi</strong> strutturati sul <strong>principio di gerarchia</strong>; il modello dell’amministrazione “<strong><em>per risultati</em></strong>” appare più coerente con <strong>moduli organizzativi</strong> strutturati su <strong>direzione e coordinamento</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si articola il controllo sui soggetti o sugli organi?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>ha in genere l’obiettivo di <strong>controllare</strong> <strong>non già il soggetto o l’organo</strong> in sé, quanto piuttosto <strong>i relativi atti od attività</strong>, che devono <strong>uniformarsi al canone costituzionale del c.d. buon andamento</strong> ex art.97 Cost.; l’organo o il soggetto fungono allora da <strong>punto di riferimento degli atti oggetto del controllo</strong> da parte del c.d. controllore;</li> <li>è <strong>meramente ispettivo</strong>: il controllore opera delle <strong>verifiche</strong>, ma <strong>non può sanzionare né sostituirsi</strong> al controllato;</li> <li>è <strong>ispettivo e repressivo</strong>: la legge lo forgia in modo tale da <strong>autorizzare il controllore ad irrogare</strong>, all’esito delle verifiche operate, delle <strong>sanzioni</strong> al controllato;</li> <li>è <strong>ispettivo e sostitutivo c.d. semplice</strong>: la legge lo forgia in modo tale da <strong>autorizzare</strong> il controllore, all’esito delle verifiche operate, ad <strong>eventualmente sostituirsi al controllato</strong>, in via <strong>diretta</strong> o giusta <strong>nomina di un commissario <em>ad acta</em></strong>, con <strong>effetti giuridici ed economici</strong> che nondimeno <strong>si imputano al controllato</strong>;</li> <li>è <strong>ispettivo e sostitutivo c.d. sanzionatorio</strong>: la legge lo forgia in modo tale da <strong>autorizzare</strong> il controllore, all’esito delle verifiche operate, tanto ad <strong>irrogare sanzioni</strong> quanto ad <strong>eventualmente sostituirsi al controllato</strong>, in via <strong>diretta</strong> o giusta nomina di un <strong>commissario <em>ad acta</em></strong>, con <strong>effetti giuridici ed economici</strong> che nondimeno <strong>si imputano al controllato</strong>;</li> <li>è <strong>connaturato al rapporto di gerarchia</strong>, ovvero al <strong>rapporto di direzione o vigilanza</strong> (tipico esempio di quest’ultima fattispecie è la relazione intercorrente tra <strong>Ministero vigilante ed Ente vigilato</strong>): tutti moduli nel cui contesto il <strong>principio di alterità del controllo</strong> (controllante e controllato sono organi o soggetti distinti) si declina attraverso il <strong>rapporto di sovraordinazione e sottoordinazione</strong>, potendo il soggetto od organo sovraordinato <strong>annullare, revocare o riformare</strong> gli atti del soggetto od organo sottoordinato, oltre a poter <strong>sanzionare</strong> quest’ultimo e ad essere legittimato ad <strong>avocarne il potere di adozione</strong> dei competenti atti;</li> <li>è <strong>di necessaria ed espressa previsione legislativa</strong> (e dunque <strong>non connaturato</strong>) allorché <strong>non sussista</strong> tra controllante e controllato <strong>né gerarchia, né direzione, né vigilanza</strong>, trovandosi essi su un <strong>piano di equiordinazione</strong>; occorre peraltro <strong>espressa copertura costituzionale</strong> quando i due soggetti equiordinati, controllore e controllato, si trovino in <strong>rapporto di reciproca autonomia ed indipendenza</strong> come da disegno della Costituzione (l’esempio tipico è quello dei rapporti tra <strong>Corte dei Conti</strong>, controllore, e <strong>Regioni</strong>, controllate);</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si articola il controllo sugli atti?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>ha ad oggetto <strong>la legittimità</strong> dell’atto (o conformità dello stesso <strong>al diritto oggettivo</strong>), nel qual caso è espressione di un <strong>potere di vigilanza del controllante</strong>, ovvero il <strong>merito</strong> (opportunità) dell’atto stesso, nel quale caso è espressione di un <strong>potere di autotutela</strong> riconosciuto al soggetto controllante;</li> <li>può essere <strong>preventivo antecedente</strong> (come il <strong>visto</strong> o l’<strong>autorizzazione</strong>), se interviene <strong>prima dell’adozione e dell’efficacia dell’atto</strong>, condizionando tale adozione (nel qual caso ne è <strong>elemento costitutivo</strong>) o <strong>tale efficacia</strong>; può essere <strong>preventivo susseguente</strong> (come l’<strong>approvazione</strong> o l’<strong>omologazione</strong>), se interviene <strong>dopo l’adozione</strong>, ma <strong>prima dell’efficacia dell’atto</strong>, condizionando tale efficacia (<strong><em>condicio iuris</em></strong>: la PA conclude il contratto con l’interlocutore privato, ma tale contratto <strong>non ha effetto</strong> se non interviene il <strong>d. controllo preventivo susseguente</strong>); può essere <strong>successivo</strong>, laddove intervenga quando l’atto <strong>è già perfetto e produttivo di effetti</strong>, come nel caso di un atto, perfetto ed efficace, che sia tuttavia <strong>annullato in sede di controllo</strong> (per l’appunto, successivo);</li> <li>può essere <strong>di tipo impeditivo</strong>, laddove <strong>l’atto viene rimosso</strong> se a valle della verifica se ne riscontra <strong>la illegittimità o l’inopportunità</strong>; può essere <strong>di tipo collaborativo</strong>, laddove l’obiettivo <strong>non è quello di rimuovere atti</strong> (<em>ex post</em>), quanto piuttosto (<strong><em>ex ante</em></strong>) di <strong>rendere pareri o raccomandazioni</strong> capaci di <strong>rendere ottimale l’azione e la gestione</strong> del controllato;</li> <li>può essere <strong>esterno o intersoggettivo</strong> se il controllante è <strong>soggetto esterno</strong> rispetto al controllato dei cui atti si tratta; può essere <strong>interno o interorganico</strong> se il controllante è <strong>organo del medesimo soggetto</strong> cui appartiene il controllato (del pari organo) dei cui atti si tratta.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono, a livello classificatorio, i principali atti di controllo?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>l’<strong>autorizzazione</strong>: è <strong>atto preventivo antecedente</strong> giusta il quale il controllante, <strong>prima che l’atto si perfezioni</strong> e <strong>acquisti validità</strong>, ne controlla <strong>tanto la legittimità quanto il merito</strong> (atto di controllo preventivo antecedente di legittimità e di merito);</li> <li>il <strong>visto</strong>: è <strong>atto preventivo susseguente</strong> giusta il quale il controllante, <strong>prima che l’atto (già perfetto) acquisti efficacia</strong>, verifica la <strong>sola legittimità</strong> dell’atto controllato; ha natura <strong>non discrezionale</strong>, ma <strong>vincolata</strong>, potendo essere denegato (con conseguente <strong>mancata acquisizione di efficacia</strong> in capo all’atto controllato) solo laddove si riscontri che l’atto controllato è <strong>illegittimo</strong> e quindi <strong>non conforme al quadro del diritto oggettivo</strong> (atto di controllo preventivo susseguente di legittimità);</li> <li>l’<strong>approvazione</strong>: è <strong>atto preventivo</strong> giusta il quale il controllante, <strong>prima che l’atto acquisti efficacia</strong>, verifica <strong>non solo la legittimità ma anche l’opportunità</strong> dell’atto controllato (atto di controllo preventivo susseguente di legittimità e di merito); l’approvazione può essere <strong>sostituita ovvero integrata</strong> da un <strong>ulteriore atto</strong> <strong>di controllo</strong> che ha le medesime caratteristiche, detto <strong>omologazione</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si articola il controllo c.d. di gestione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>ha ad oggetto <strong>non già singoli atti</strong> del controllato, quanto <strong>l’attività globalmente intesa</strong> del medesimo, e dunque la relativa <strong>attività gestoria o gestione nell’interesse pubblico</strong>;</li> <li>si tratta di verificare se il controllato <strong>ha una gestione</strong> della propria attività <strong>conforme</strong> massime ai <strong>parametri di cui all’art.1 della legge 241.90</strong>, con particolare riguardo alla <strong>economicità</strong> ed alla <strong>efficacia</strong> della gestione medesima, oltre che <strong>all’efficienza</strong>;</li> <li>è <strong>controllo interno di gestione</strong>: il controllore è un <strong>organo interno dell’Amministrazione controllata</strong>, che dispiega tale controllo <strong>in via permanente</strong> avendo come <strong>punti di riferimento</strong> gli <strong>obiettivi</strong> che all’Amministrazione controllata assegna da un lato <strong>la legge</strong> <strong>in via immediata e diretta</strong> (massima la legge che ha istituito la PA considerata), dall’altro il <strong>vertice politico</strong> (ad esempio il Ministro o il Sindaco), questi ultimi normalmente con <strong>cadenza annuale</strong>; l’Amministrazione ha in particolare una <strong>dotazione di risorse umane</strong> e di <strong>beni</strong>, la <strong>gestione</strong> delle prime e lo <strong>sfruttamento</strong> dei secondi dovendo essere improntato a <strong>verificati criteri di razionalità</strong>; il controllore interno opera peraltro <strong>nell’interesse dell’Amministrazione controllata</strong> (Stato Apparato);</li> <li>è <strong>controllo esterno di gestione</strong>: il controllore è <strong>soggetto esterno all’Amministrazione controllata</strong>, come nel classico caso della <strong>Corte dei Conti</strong>; il controllore esterno opera peraltro <strong>nell’interesse pubblico al buon andamento dell’azione amministrativa</strong> (Stato Comunità).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quando il controllante ha meri poteri ispettivi, e non anche repressivi, cosa può fare se il controllato non si adegua alle indicazioni di controllo?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>prima tesi: il controllante, che <strong>non può annullare d’ufficio</strong> l’atto riscontrato illegittimo proprio perché <strong>non ha poteri repressivi</strong>, è <strong>legittimato</strong> e <strong>interessato</strong> a <strong>ricorrere per chiedere l’annullamento</strong> in sede <strong>giurisdizionale</strong> dell’atto non conforme al quadro ordinamentale vigente;</li> <li>seconda tesi: il controllante, che <strong>non può annullare d’ufficio</strong> l’atto riscontrato illegittimo proprio perché <strong>non ha poteri repressivi</strong>, non è <strong>neppure legittimato</strong> (quand’anche interessato) a <strong>ricorrere</strong> per chiedere l’annullamento <strong>in sede giurisdizionale</strong> dell’atto non conforme al quadro ordinamentale vigente, dovendosi in caso contrario assumere <strong>titolare</strong> (seppure indirettamente) di un <strong>potere repressivo</strong> che in realtà <strong>la legge non gli conferisce</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Da quando decorre il termine decadenziale per impugnare un atto sottoposto a controllo?</strong></p> <p style="text-align: justify;">Si registrano in giurisprudenza <strong>3 diverse prese di posizione</strong>, che dipendono dal <strong>tipo di atto da impugnare</strong>, specie con riguardo al momento in cui esso <strong>acquista efficacia (lesiva);</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>da quando si ha <strong>piena conoscenza dell’atto controllato</strong>;</li> <li>da quando viene <strong>adottato l’atto di controllo</strong>;</li> <li>da quando si ha <strong>piena conoscenza dell’atto di controllo</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali posizioni si contendono il campo laddove un atto (lesivo) soggetto a controllo preventivo sia portato subito ad esecuzione dalla PA?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>una posizione <strong>più garantista</strong>, propria della <strong>giurisprudenza</strong>: la PA <strong>porta subito ad esecuzione</strong> l’atto controllando – ancora <strong>inefficace</strong> – e correlativamente il privato può <strong>tempestivamente impugnarlo</strong> <strong>senza attendere l’atto di controllo</strong> che ne <strong>consoliderebbe la lesività</strong>; tuttavia <strong>non è tenuto a farlo</strong>, potendo comunque <strong>attendere</strong> per l’impugnativa l’adozione e la conoscenza di tale <strong>atto di controllo positivo</strong>;</li> <li>una posizione <strong>più rigorista</strong>, propria della <strong>dottrina</strong>: la PA <strong>porta subito ad esecuzione</strong> l’atto controllando – ancora <strong>inefficace</strong> – e correlativamente il privato <strong>deve tempestivamente impugnarlo</strong> senza attendere l’atto di controllo che <strong>ne consoliderebbe la lesività</strong>; è <strong>tenuto</strong> a farlo, <strong>non potendo comunque attendere</strong> per l’impugnativa l’adozione e la conoscenza di tale <strong>atto di controllo positivo</strong>, pena la <strong>decadenza dall’impugnativa</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali considerazioni sostengono la tesi della consumazione del potere di controllo laddove un primo atto negativo sia annullato con sentenza passata in giudicato?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="340"> <li>il <strong>controllo</strong> appare <strong>sempre meno</strong> avere ad oggetto <strong>singoli atti</strong>, e sempre più <strong>attività globalmente considerate</strong>; in sostanza, <strong>garantire l’efficienza</strong> significa (in ottica sostanziale) <strong>privilegiare l’esecutività immediata</strong> dell’atto sottoposto a controllo, privilegiando un <strong>controllo globale <em>ex post</em></strong> sull’azione amministrativa <strong>globalmente intesa</strong> piuttosto che un <strong>controllo <em>ex ante</em></strong> (formalistico e paralizzante) sui <strong>singoli atti</strong> della medesima, come dimostra anche <strong>l’art.27, comma 1</strong>, della legge 340.00 per quanto concerne il “<strong><em>silenzio assenso</em></strong>” di cui al <strong>controllo preventivo di legittimità</strong> affidato alla Corte dei Conti;</li> <li>va salvaguardato il <strong>canone dell’efficienza amministrativa</strong>, compromesso laddove la PA dovesse <strong>assumersi</strong> – dopo una <strong>prima sentenza passata in giudicato</strong> che, annullando l’atto negativo di controllo, ne abbia <strong>confortato la legittimità dell’azione</strong> – comunque esposta ad <strong>almeno un altro provvedimento negativo di controllo</strong>;</li> <li>l’<strong>26, comma 2, della legge 1034.71</strong> e la <strong>normativa successiva</strong> che fa <strong>salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione</strong> non si riferisce ad un <strong>principio di carattere generale</strong>, ma fa riferimento in via <strong>meramente ricognitiva</strong> ai casi in cui <strong>disposizioni di legge espressamente prevedono</strong> tali <strong>ulteriori provvedimenti</strong> (nel caso di specie dunque il controllante dovrebbe essere <strong>esplicitamente autorizzato da una espressa disposizione di legge</strong> a rieditare il proprio potere di controllo);</li> <li>l’<strong>atto controllato</strong> dunque, una volta <strong>passata in giudicato la sentenza che annulla l’atto negativo di controllo</strong>, diviene <strong>definitivamente efficace</strong> e il privato che si assuma leso dalla <strong>ritardata efficacia di tale atto</strong> può chiedere il <strong>risarcimento del danno</strong> connesso proprio alla <strong>ritardata efficacia di tale atto</strong> e della <strong>correlata</strong>, <strong>ritardata acquisizione del bene della vita</strong> sotteso all’atto (positivo per il privato) del quale è stata <strong>ritardata l’efficacia</strong> in virtù di un <strong>atto di controllo negativo illegittimo</strong> (e non reiterabile);</li> <li>intervenuta <strong>sentenza passata in giudicato</strong> che <strong>annulla l’atto negativo di controllo</strong>, <strong>non occorre l’ottemperanza</strong> in quanto si è al cospetto di una <strong>vicenda auto-esecutiva</strong>: l’atto soggetto a controllo <strong>inizia a spiegare i propri effetti</strong> (o ricomincia a spiegali, nel caso si tratti di controllo successivo e non preventivo), e non occorre adottare <strong>nessun specifico atto</strong> in sede di <strong>ottemperanza</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p>