<p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 16 dicembre 2020 n. 28709</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>PRINCIPIO DI DIRITTO</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>In tema di riscossione ed esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui presupposto impositivo sia stato realizzato dalla società e la cui debenza risulti da un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non impugnato, il socio può impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra l’altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale. In tal caso, se si tratta di società semplice (o irregolare) incombe sul socio l’onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul patrimonio sociale; se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, è l’amministrazione creditrice a dover provare l’insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale (a meno che non risulti aliunde dimostrata in modo certo l’insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito, come, ad esempio, in caso in cui la società sia cancellata). Ne consegue che, se l’amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto; se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà accolto. Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l’applicazione della regola suppletiva posta dall’art. 2697 c.c., comporterà ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l’onere della gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.- Quanto alla pretesa per iva, la questione posta con l’ordinanza interlocutoria identifica quale oggetto della decisione un tema irriducibile alle sole relazioni società in nome collettivo/soci, disciplinate dall’art. 2304 c.c. (che si estende alle società in accomandita semplice e per azioni, per i rinvii degli artt. 2315 e 2461 c.c.), oltre che a quelle società semplice/soci, regolate, per il profilo in esame, dall’art. 2268 c.c. (applicabile anche alle società irregolari, in base agli artt. 2297 e 2317 c.c.). Restando in ambito tributario, anche il cessionario d’azienda o di ramo d’azienda (nonché il conferitario: si veda, anche in relazione al regime antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 16 comma 1, lett. g), che l’ha espressamente contemplato, Cass. 31 ottobre 2019, n. 28057), assume la veste di coobbligato in solido col cedente per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni, nei limiti indicati dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 14, comma 1; e si tratta anche in questo caso di un coobbligato in via sussidiaria, perché gode del beneficio della preventiva escussione del cedente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.1.- Difatti gli orientamenti maturati sull’impugnabilità della cartella per inosservanza del beneficium excussionis, che hanno originato il contrasto rilevato con l’ordinanza interlocutoria, hanno avuto riguardo, indifferentemente, alla posizione del socio illimitatamente responsabile e a quella del cessionario o conferitario d’azienda o di un ramo di essa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.- Di questi orientamenti, secondo quello maggioritario censito con l’ordinanza interlocutoria il beneficio di preventiva escussione opera esclusivamente in sede esecutiva. Resta comunque fermo che si può agire in sede di cognizione al fine di munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio (tra varie, Cass. 12 agosto 2004, n. 15713; 15 luglio 2005, n. 15036; 10 gennaio 2017, n. 279 e, da ultimo, 16 ottobre 2020, n. 22629).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.1.- E poiché, si prosegue, in materia tributaria la cartella di pagamento non è un atto esecutivo, ma si limita a preannunciare l’azione esecutiva, rispondendo per quest’aspetto a funzione di precetto, è in questa fase inapplicabile il beneficium excussionis, l’inosservanza del quale non concreta alcuna violazione deducibile con l’impugnazione della cartella (Cass. 3 gennaio 2014, n. 49; 5 dicembre 2014, n. 25764; 16 giugno 2016, n. 12494; 29 luglio 2016, n. 15966; 21 dicembre 2016, n. 26549; 31 maggio 2018, n. 13917; 24 gennaio 2019, n. 1996).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.- Secondo, invece, l’orientamento minoritario, in caso di ricorso al procedimento di riscossione di tributi mediante ruolo legittimamente l’obbligato in via sussidiaria fa valere il beneficium excussionis con l’impugnazione della cartella di pagamento.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.1.- Si è partiti con l’affermare che la preventiva escussione costituisce un presupposto fondante l’azione di riscossione coattiva nei confronti del socio (Cass. 8 maggio 2003, n. 7000); sicché la pretesa tributaria va fatta valere nei confronti della società e solo dopo l’inutile tentativo di escussione di questa può essere fatta valere la pretesa esecutiva nei confronti del socio (Cass. 9 maggio 2007, n. 10584).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.2.- Si è poi sottolineato che l’esclusione dalla giurisdizione tributaria delle controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella di pagamento, unitamente all’esclusione delle opposizioni all’esecuzione, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni, comporterebbe che l’obbligato in via sussidiaria non avrebbe alcuna possibilità di ottenere tutela in caso d’inosservanza del beneficium excussionis stabilito in proprio favore. A tanto si è aggiunto che l’iscrizione a ruolo che violi il beneficium excussionis conforma l’attività di riscossione determinandone l’illegittimità, che si riverbera sulla predisposizione e sulla notificazione della cartella. Sicché sarebbe nulla la cartella di pagamento notificata direttamente all’obbligato in via sussidiaria in violazione del beneficium excussionis (Cass. 27 febbraio 2017, n. 4959).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.3.- Si è quindi ribadito il principio anche in esito alla sentenza n. 114/18 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 57, comma 1, lett. a), nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella di pagamento o all’intimazione di pagamento prevista dall’art. 50 del medesimo D.P.R., sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c. (Cass. 27 settembre 2018, n. 23260; 31 gennaio 2019, n. 2878).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.- Con l’ordinanza interlocutoria si prende partito per il primo dei due orientamenti e a tal fine si osserva anzitutto che non v’è più, in esito alla richiamata sentenza n. 114/18 della Corte costituzionale, la necessità di colmare vuoti di tutela per il coobbligato sussidiario, sulla quale puntava l’orientamento minoritario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.1.- Si aggiunge che quest’orientamento comporterebbe un trattamento deteriore per il fisco, il quale sarebbe impossibilitato a perfezionare il titolo esecutivo da far valere nei confronti del socio/coobbligato solidale senza aver prima atteso l’esito dell’escussione coattiva dei beni della società, sicché si troverebbe esposto all’impossibilità di recuperare il proprio credito per intervenuto decorso del termine di decadenza previsto, per la notificazione della cartella, dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 (ossia entro due anni dalla data in cui sono divenuti definitivi gli accertamenti effettuati dall’Ufficio); analoghe considerazioni sono svolte in relazione all’avviso di accertamento esecutivo (cd. atto "impoesattivo"), previsto dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 29, conv., con modif., con L. 30 luglio 2010, n. 122, che il fisco non potrebbe notificare al socio illimitatamente responsabile prima dell’escussione dei beni sociali, esponendosi anche in tal caso al rischio di non poter rispettare i termini previsti a pena di decadenza dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Infine, s’ipotizza che lo spazio applicativo d’impugnazione del precetto per violazione del beneficio della preventiva escussione corrisponda, in ambito tributario, alla formulazione dell’eccezione in questione in sede di impugnazione dell’intimazione ad adempiere prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, atto avente natura esclusiva di precetto.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.2.- In definitiva, il tema oggetto della decisione involge l’ambito di cognizione del giudice deputato a decidere sull’impugnazione della cartella di pagamento ricevuta dall’obbligato in via sussidiaria in relazione a un debito dell’obbligato principale che scaturisce da un avviso di accertamento non impugnato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>E i punti da chiarire concernono l’identificazione della portata soggettiva del titolo esecutivo nella riscossione e nell’esecuzione a mezzo ruolo di imposte, in relazione ai coobbligati in via sussidiaria, nonché i margini entro i quali costoro possono esercitare il proprio diritto di difesa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.- La ricostruzione della portata soggettiva del titolo nella riscossione ed esecuzione di tributi a mezzo ruolo è conformata, sul piano sostanziale, dalla posizione, rispetto all’ente creditore, dell’obbligato in via principale e di quello sussidiario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nei confronti dell’ente creditore il socio illimitatamente responsabile è obbligato, per i debiti sociali, in via sussidiaria, ma al pari della società (Cass., sez. un., 13 febbraio 2015, n. 3022), anche per quelli tributari, e pure se sia receduto -come nel caso in esame-, in base all’art. 2290 c.c. (tra varie, Cass. 22 dicembre 2014, n. 27189 e 4 marzo 2020, n. 6020). Si tratta di una responsabilità "da posizione", perché deriva dalla qualità di socio e concerne indistintamente e automaticamente tutti i debiti della società: quella del socio non è un’obbligazione da fatto proprio, ma è propria, e scaturisce direttamente dalla legge.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.1.- Anche il cessionario o conferitario d’azienda risponde di un’obbligazione propria, perché subentra al cedente, e ne risponde in via sussidiaria, in base al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, pur non avendo realizzato il fatto indice di capacità contributiva (Cass. 12 gennaio 2012, n. 255).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.2.- L’esistenza dell’obbligo della società o del cedente, quindi, è costitutiva dell’obbligo del socio illimitatamente responsabile o di quello del cessionario/conferitario; e quest’obbligo, sebbene diverso per causa, concerne il medesimo oggetto, ossia il debito d’imposta.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>8.- Si spiega, allora, perché l’ente creditore notifica soltanto alla società o soltanto al cedente l’avviso di accertamento, senza necessità di simultaneus processus con i soci o col cessionario/conferitario (tra varie, Cass. 21 novembre 2014, n. 24795; 5 dicembre 2014, n. 25765; 11 maggio 2016, n. 9527): i soggetti passivi del tributo sono appunto loro ed è rispetto a loro che va accertato che il tributo è dovuto, ai fini della formazione del titolo esecutivo, ossia del ruolo (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, comma 1).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>8.1.- È quindi sufficiente notificare ai soci illimitatamente responsabili e al cessionario/conferitario d’azienda o di un ramo di essa la cartella di pagamento (Cass. n. 15966/16, cit.) o anche soltanto l’avviso di mora - oggi, l’intimazione di pagamento- (Cass. 13 gennaio 2006, n. 618; 16 maggio 2007, n. 11228; 1 ottobre 2014, n. 20704; n. 25765/14, cit.; 16 marzo 2018, n. 6531), atti giuridicamente dipendenti dal ruolo già formatosi nei confronti del soggetto passivo d’imposta (sulla giuridica dipendenza della cartella dal ruolo, si veda Cass., sez. un., 2 ottobre 2015, n. 19704).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.- L’ente creditore agisce quindi, per mezzo dell’agente della riscossione, azionando un titolo, ossia il ruolo, che si è formato nei confronti del proprio debitore d’imposta, ossia dell’obbligato in via principale. Ma è pur sempre quel titolo che diviene riferibile ai coobbligati in via sussidiaria, anche se in base a presupposti distinti.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ed è da quel titolo, che concerne il tributo, che dipende la cartella notificata al coobbligato: il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 1, stabilisce difatti che "il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza", entro i termini ivi previsti.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.1.- La cartella vale come notificazione di quel ruolo, e determina, al pari del precetto, la pretesa esecutiva (Cass., sez. un., 14 aprile 2020, n. 7822, punto 3.2). Sicché tramite l’impugnazione della cartella il socio contesta il diritto di procedere all’esecuzione con riferimento a quel titolo, e quindi per debiti tributari, allo stesso modo in cui per gli altri debiti sociali egli può contestare la propria responsabilità mediante opposizione all’esecuzione (Cass. 14 maggio 2019, n. 12714, in motivazione).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.2.- E qualora, come nel caso in esame, l’iscrizione sia avvenuta in base a un avviso notificato alla società e da questa non impugnato, il socio può lamentare non soltanto l’inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo formatosi nei confronti della società, ma anche l’inesistenza originaria o sopravvenuta del credito in esso consacrato, ossia della pretesa tributaria, per inesistenza dei fatti costitutivi o per esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi (arg. da Cass., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Egli può poi contestare il fondamento della propria responsabilità, ossia la propria qualità di socio, allegando ad esempio il recesso dalla compagine sociale in epoca antecedente al sorgere del debito d’imposta, oppure la qualità di semplice accomandante di una società in accomandita semplice, oppure ancora l’esistenza di un patto limitativo della responsabilità, purché opponibile al terzo ai sensi dell’art. 2267 c.c., comma 2: in questo modo ha la possibilità di sottrarsi all’efficacia esecutiva del titolo "sociale" (sulla possibilità per il socio di contestare la propria responsabilità mediante opposizione all’esecuzione si vedano, tra varie, Cass. 14 giugno 1999, n. 5884; 6 ottobre 2004, n. 19946).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>E, ancora, egli può far valere l’improcedibilità dell’azione esecutiva nei propri confronti perché l’ente creditore non si è soddisfatto prima sui beni che compongono il patrimonio sociale. Il beneficium excussionis presidia difatti il patrimonio del socio nei confronti del creditore sociale, perché subordina la garanzia generale da esso offerta a quella correlata al patrimonio della società, sicché spetta al socio decidere se valersene, o no (Cass. 11 giugno 1987, n. 5106; 12 aprile 1994, n. 3399).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.3.- Allo stesso modo si può regolare il cessionario di azienda o di un ramo di essa, che pure può contestare l’obbligo tributario del cedente e il titolo formatosi nei suoi confronti, ma anche il presupposto della propria obbligazione, ossia il contratto di cessione, e può far valere la natura sussidiaria della propria responsabilità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>10.- Dei possibili profili di contestazione proponibili dal socio quale coobbligato in via sussidiaria, questa Corte con l’ordinanza interlocutoria affronta solo quello concernente la violazione della sussidiarietà dell’obbligazione, introdotto mediante la denuncia di violazione del beneficium excussionis, previsto nel caso in esame dall’art. 2304 c.c., ed esclude in assoluto che esso possa trovare ingresso nella fase antecedente all’inizio dell’esecuzione forzata, salvo che nel caso in cui sia stata notificata l’intimazione ad adempiere prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>10.1.- La pienezza di tutela affermata dalla giurisprudenza costituzionale (e, in particolare, da Corte Cost. n. 114/18) starebbe dunque nel fatto che le azioni non esercitabili davanti al giudice tributario sarebbero "compensate" dalla facoltà di proporre opposizione all’esecuzione davanti al giudice ordinario ex art. 615 c.p.c., contro il pignoramento.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>11.- La tesi non può essere seguita, perché comporta un vistoso vuoto di tutela per il coobbligato sussidiario, che sarebbe costretto ad aspettare il pignoramento, per natura invasivo della sua sfera giuridica, per far valere l’improcedibilità dell’azione esecutiva, oppure a sperare, per poterlo fare, che gli sia notificata l’intimazione ad adempiere, la quale è soltanto eventuale (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2 e del cit. D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. e), come convertito).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>11.1.- E il vuoto di tutela è del tutto ingiustificato: ormai da tempo questa Corte ha sottolineato che anche a fronte della mera minaccia di esecuzione v’è l’interesse dell’obbligato a paralizzare il diritto del creditore di agire in via esecutiva, facendo leva sulla sussidiarietà della propria obbligazione (in termini, Cass. 15 luglio 2005, n. 15036 e 14 novembre 2011, n. 23749).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>11.2.- Il vuoto di tutela è stato del resto escluso proprio dalla Corte costituzionale: "...la prevista inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione, quando riguarda atti che radicano la giurisdizione del giudice tributario, non segna una carenza di tutela del contribuente assoggettato a riscossione esattoriale, perché questa c’è comunque innanzi ad un giudice, quello tributario. L’inammissibilità dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., si salda, in simmetria complementare, con la proponibilità del ricorso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, assicurando, in questa parte, la continuità della tutela giurisdizionale" (Corte Cost. n. 114/18, punto 11; in termini, Cass. 28 novembre 2019, n. 31090).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>12.- Il socio può dunque impugnare la cartella proponendo l’intera gamma delle contestazioni che gli spettano.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>E, per farlo, si deve rivolgere al giudice tributario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La cartella che impugna riguarda difatti un credito tributario e, quindi, la materia tributaria.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel momento in cui del D.P.R. n. 602 del 1973, citato art. 25, individua come destinatario della notificazione della cartella di pagamento il coobbligato d’imposta, attrae necessariamente la controversia instaurata avverso tale cartella nell’ambito della cognizione del giudice tributario. Per orientamento costante di queste sezioni unite, difatti, la giurisdizione si ripartisce tra giudice ordinario e tributario a seconda della natura del credito azionato (tra varie, Cass., sez. un., 7 luglio 2014, n. 15425; sez. un., 31 luglio 2017, n. 18979). La giurisdizione tributaria ha carattere pieno ed esclusivo, appunto ratione materiae (Cass., sez. un., 16 marzo 2009, n. 6315) e si radica indipendentemente dal contenuto della domanda (Cass., sez. un., 27 settembre 2006, n. 20889).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>12.1.- E l’ambito di cognizione del giudice tributario si estende sino all’inizio della fase dell’esecuzione forzata, sicché sono sottratte alla giurisdizione tributaria le sole controversie attinenti alla fase dell’esecuzione forzata, mentre quelle scaturite dall’impugnazione degli atti prodromici all’esecuzione, quali la cartella di pagamento o l’intimazione di pagamento, se autonomamente impugnabili ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie (Cass., sez. un., 31 marzo 2008, n. 8279; sez. un., 3 maggio 2016, n. 8770).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>13.- Sebbene pertanto il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, si limiti a individuare gli atti di cui possono conoscere le commissioni tributarie, senza precisare quale possa essere l’oggetto del giudizio, deriva chiaramente dal sistema che anche in materia tributaria si possono svolgere contestazioni a tutto tondo: chi ricorre contro atti relativi a crediti tributari è quindi ammesso a denunciarne l’irregolarità formale, introducendo contenuti analoghi a quelli che, nel sistema del codice di rito, rientrano nel perimetro dell’opposizione agli atti esecutivi (in termini, Cass., sez. un., 5 maggio 2011, n. 9840; sez. un., 17 aprile 2012, n. 5994); ma egli è anche ammesso, qualora non si siano formate preclusioni, a contestare il diritto del creditore di procedere esecutivamente, introducendo contenuti analoghi a quelli che, nel sistema del codice di rito, appartengono al perimetro dell’opposizione all’esecuzione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Laddove restano esclusi dalla giurisdizione tributaria gli atti dell’esecuzione tributaria successivi alla notificazione, effettivamente e validamente eseguita, della cartella o dell’intimazione di pagamento (Cass., sez. un., n. 7822/20, cit., punto 3.5.).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>13.1.- Nè vale sostenere, come fa la Procura generale, che in questo modo verrebbe attribuita al giudice tributario un’azione innaturale di mero accertamento, poiché quella davanti alla giurisdizione tributaria è pur sempre inscrivibile nel modello impugnatorio delineato dal suddetto art. 19 (ancora Cass., sez. un., n. 7822/20, punto 5.1.).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>14.- Non avrebbe senso una tutela aggiuntiva dinanzi alla giurisdizione ordinaria (del resto esclusa da Corte Cost. n. 114/18, cit.), magari al solo fine di ottenere la sola tutela prevista dall’art. 615 c.p.c., comma 1, ossia la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo: il giudice tributario, difatti, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47, investito del giudizio d’impugnazione di atti della riscossione, può appunto sospendere l’esecuzione dell’atto impugnato, qualora al ricorrente possa derivare dall’atto un danno grave e irreparabile, e, quindi, può disporre per quest’aspetto tutele corrispondenti a quelle interne al procedimento di opposizione all’esecuzione (Corte Cost. n. 114/18, punto 9, ultimo cpv; Cass., sez. un., n. 7822/20, cit., punto 3.8.1).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>14.1.- D’altronde, qualora l’opposizione si basi anche sull’illegittimità della pretesa tributaria il giudice civile non potrebbe avere cognizione integrale, ex art. 615 c.p.c., comma 1, del fumus boni iuris che deve comunque sorreggere il provvedimento di sospensione (avente natura cautelare, sia pure sui generis: Cass., sez. un., n. 19889/19, punto 43); e ciò perché la valutazione di plausibile illegittimità di quella pretesa è comunque demandata ratione materiae al giudice tributario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>15.- L’assetto così delineato trova conferma in caso d’impugnazione dell’accertamento esecutivo (c.d. atto impoesattivo) dinanzi richiamato, che realizza l’accorpamento in un solo atto delle funzioni di atto impositivo, titolo esecutivo e precetto. Eliminata l’iscrizione a ruolo, non v’è più necessità di notificare la cartella di pagamento. Sicché il coobbligato deve ricevere la notificazione dell’accertamento esecutivo, e non può che impugnarlo dinanzi al giudice tributario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>15.1.- Una linea avanzata verso questo assetto emerge, peraltro, nella giurisprudenza che ha ammesso la facoltà di notificare l’avviso di rettifica dell’iva di una società di persone anche ai soci illimitatamente responsabili e il conseguente onere di costoro di contestare la qualità sociale mediante l’impugnazione dell’avviso (Cass. 23 gennaio 2020, n. 1504; in precedenza, Cass. 28 luglio 2006, n. 17225).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>16.- Il sistema così prefigurato inquadra la questione della violazione del beneficium excussionis nell’ordinaria dinamica processuale tra parti contrapposte, diversamente da come indicato nell’ordinanza interlocutoria.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sul punto la sezione tributaria, si è visto, paventa il pregiudizio per il fisco, che non potrebbe notificare la cartella di pagamento al coobbligato sussidiario prima della conclusione dell’escussione dei beni della società, di modo che, nel caso in cui l’escussione sia totalmente o parzialmente infruttuosa, si troverebbe nell’impossibilità di recuperare il proprio credito nei confronti del coobbligato sussidiario a causa del decorso dei termini di decadenza fissati per la notificazione della cartella.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>16.1.- Anzitutto, non si configura alcuna impossibilità di notificare al coobbligato sussidiario la cartella prima dell’escussione dei beni dell’obbligato principale. È pur sempre il coobbligato beneficiato che deve far valere il beneficio (addirittura provvedendo, qualora si applichi l’art. 2268 c.c., a indicare i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi), al fine d’impedire che inizi l’esecuzione vera e propria, oppure di bloccarla dopo che sia iniziata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Si rivela, allora, eccessivo l’orientamento minoritario, là dove sostiene che l’escussione del patrimonio sociale debba comunque precedere la notificazione della cartella al socio, la quale, altrimenti, sarebbe nulla ab origine. La violazione del beneficium excussionis non configura difatti un vizio proprio della cartella, perché la relativa deduzione è eccezione che va a integrare autonoma causa petendi d’impugnazione appartenente al perimetro dell’opposizione all’esecuzione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>17.- Inoltre, la mera violazione dell’ordine che il creditore deve seguire per far valere le proprie ragioni non può di per sé comportare la caducazione della pretesa rivolta al socio, ma al più può fondare la richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’atto riscossivo impugnato, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 47.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>17.1.- In tal caso, per ottenere la sospensione occorre provare il fumus boni iuris, ossia o, in radice, l’insussistenza della qualità di socio illimitatamente responsabile, o la violazione dell’ordine; è altresì necessario che l’istante evidenzi la propria situazione economica, gli effetti lesivi irreversibili e inadeguatamente ristorabili dell’esecuzione e, comunque, l’intollerabile scarto tra il pregiudizio derivante dall’esecuzione dell’atto e le concrete possibilità di risarcimento in caso di accoglimento del ricorso (vedi, sul punto, le considerazioni di Corte Cost. 7 giugno 2010, n. 217, punto 2.3.).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>17.2.- Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47, evita d’altronde la protrazione della sospensione per un tempo irragionevole.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Per un verso, con norma acceleratoria il comma 6, stabilisce che "Nei casi di sospensione dell’atto impugnato la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia" e, per altro verso, il successivo comma 8, prevede che "In caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza...". Con norma di chiusura, poi, il comma 7 dispone che la pubblicazione della sentenza in ogni caso determina la cessazione degli effetti della sospensione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>18.- Soprattutto, quel che conta, per poter affermare l’inoperatività della responsabilità sussidiaria, è, quanto al rapporto società/soci, la dimostrazione che la società ha la capacità patrimoniale di soddisfare i propri debiti (Cass. 8 luglio 1983, n. 4606; 3 marzo 2011, n. 5136).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La responsabilità sussidiaria può difatti scattare soltanto quando il creditore non riesca a soddisfarsi, in tutto o in parte, sui beni dell’obbligato principale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>18.1.- Si tratta, quindi, di una questione di prova di esistenza, o di inesistenza, di quella capacità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Del resto, quando l’incapacità patrimoniale della società è accertata con sentenza che ne dichiara il fallimento, la legge ammette, immediatamente e senza attendere i risultati dell’esecuzione concorsuale, l’azione esecutiva del creditore sociale sul patrimonio del socio, facendo conseguire al fallimento della società quello dei soci illimitatamente responsabili (L. Fall., art. 147).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>19.- Nella società semplice (e nelle società irregolari) è sul socio che incombe l’onere di provare che il creditore può agevolmente soddisfarsi sul patrimonio sociale (arg. da Cass. 15 dicembre 1990, n. 11921 e da Cass. n. 7000/03, cit.). Nel caso della società in nome collettivo e di quelle in accomandita semplice e per azioni l’onere della prova s’inverte: qui è il creditore a dover provare l’insufficienza del patrimonio sociale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Queste diverse modalità processuali si spiegano nel sistema del codice civile per la diversa condizione giuridica della società registrata rispetto a quella non registrata: è soltanto in relazione alla prima, difatti, che il creditore sociale è posto in grado di conoscere, attraverso la pubblicità del contratto sociale e delle sue modificazioni, i conferimenti dei soci e le loro successive vicende, sicché il socio è giustamente dispensato dall’onere d’indicargli i beni sui quali potersi soddisfare. E una scelta analoga a quella relativa alla società registrata è stata adottata in favore del cessionario d’azienda o di ramo di essa (D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 14).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>20.- Le modalità della prova divengono poi tanto più gravose, e il coefficiente di rischio di soccombenza aumenta, quanto più dubbie siano le circostanze.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Così, quando risulti aliunde dimostrata in modo certo l’insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito (ad esempio, in caso in cui la società sia cancellata), non c’è necessità per il creditore di sperimentare l’azione esecutiva sul patrimonio della società (Cass. n. 4606/83, cit.). Sul versante opposto, anche l’esito negativo del pignoramento presso terzi è inidoneo a far ritenere certa l’incapienza del patrimonio societario, potendo la società disporre di altri beni sufficienti a garantire il soddisfacimento del credito (così Cass. n. 5136/11, cit.).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>21.- Sicché se l’amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto. Se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà accolto. Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l’applicazione della regola suppletiva posta dall’art. 2697 c.c., comporterà che il ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l’onere della prova gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>21.1.- E l’accoglimento, totale o parziale, del ricorso non potrà che condurre al corrispondente annullamento della cartella nei confronti del socio. Il che esclude in radice che si ponga il problema della decadenza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>22.- Il coobbligato beneficiato, inoltre, non decade dal diritto di far valere il beneficio, sicché se non lo fa valere impugnando la cartella, lo potrà fare contro l’eventuale intimazione successiva e, in mancanza, impugnando il pignoramento, ma stavolta dinanzi al giudice dell’esecuzione: e ciò perché la natura sussidiaria della propria obbligazione resta tale anche se non la si fa valere immediatamente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>23.- In questo contesto il primo motivo di ricorso, che coinvolge l’atto impositivo prodromico alla cartella di pagamento, è in astratto ammissibile anche in relazione alla pretesa per iva; ma, in concreto, si rivela comunque inammissibile per le ragioni sopra illustrate a proposito della pretesa per irap. E sorte analoga a quella già indicata subisce il secondo motivo di ricorso.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>23.1.- Il quarto e il quinto motivo di ricorso, da esaminare prima del terzo, perché rispetto a questo prodromici, coi quali ci si duole dell’omessa pronuncia sul fatto decisivo che la società di persone non si può considerare estinta nonostante l’intervenuta cancellazione qualora sopravvengano passività di natura fiscale (quarto motivo) e della pronuncia su un fatto non dedotto dall’Agenzia, ossia l’intervenuta cancellazione (quinto motivo), sono poi inammissibili perché non congruenti col contenuto della decisione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Con la sentenza impugnata il giudice d’appello ha escluso qualsiasi violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. In effetti, emerge dal testo della sentenza di primo grado, trascritto in quella impugnata, che la Commissione tributaria provinciale non ha valutato la cancellazione, ma ha constatato che la società "...si sciolse nel 2004, quindi non era attiva e non era in liquidazione al momento delle notifiche dell’avviso di accertamento e della cartella di pagamento": e da questi elementi ha inferito l’inesistenza del patrimonio sociale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>24.- Il relativo accertamento è quindi destinato a restar fermo e comporta l’infondatezza del terzo motivo di ricorso, col quale ci si duole della violazione del beneficio di preventiva escussione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>25.- In definitiva, il ricorso va respinto, con l’affermazione del seguente principio di diritto:</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>"<strong>In tema di riscossione ed esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui presupposto impositivo sia stato realizzato dalla società e la cui debenza risulti da un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non impugnato, il socio può impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra l’altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale. In tal caso, se si tratta di società semplice (o irregolare) incombe sul socio l’onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul patrimonio sociale; se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, è l’amministrazione creditrice a dover provare l’insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale (a meno che non risulti aliunde dimostrata in modo certo l’insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito, come, ad esempio, in caso in cui la società sia cancellata). Ne consegue che, se l’amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto; se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà accolto. Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l’applicazione della regola suppletiva posta dall’art. 2697 c.c., comporterà ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l’onere della gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario"</strong>.</em></p> <em><strong>Emilio Barile La Raia</strong></em>