<p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 21 dicembre 2020 n. 29171</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.3. Il motivo è infondato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.3.1. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, invero, la giurisdizione sulle domande relative all’affidamento dei figli ed al loro mantenimento, ove pure proposte congiuntamente a quella di separazione giudiziale, appartiene al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente, a norma dell’art. 8 del Regolamento CE n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003. Tale criterio, informato all’interesse superiore del minore e, segnatamente, al criterio della vicinanza, riveste una tale pregnanza da condurre ad escludere che il consenso del genitore alla proroga della giurisdizione quanto alle domande concernenti i minori - pure ammessa dall’art. 12 del citato regolamento, in presenza del consenso di entrambi i coniugi - sia ravvisabile nella mancata contestazione della giurisdizione da parte di un coniuge con riguardo alla domanda di separazione (Cass. Sez. U., 30/12/2011, n. 30646; Cass. Sez. U., 05/06/2017, n. 13912).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.3.2. Da tale affermazione di principio circa il cosiddetto "rapporto di prossimità del minore", discende che nei giudizi di separazione e di divorzio, che attengano - come nella specie - anche all’affidamento ed alla collocazione di un figlio minorenne, al fine di determinare quale sia il giudice nazionale dotato di giurisdizione, deve aversi riguardo alla residenza del nucleo familiare, all’interno del quale il medesimo vive, al momento della proposizione della domanda, rimanendo ininfluente il successivo trasferimento del figlio con un genitore all’estero (Cass. 11/06/2019, n. 15728). In tema di giurisdizione sulle domande inerenti la responsabilità genitoriale su figli minori non residenti abitualmente in Italia, formulate nel giudizio di separazione o di divorzio introdotto dinanzi al giudice italiano, il criterio determinativo cogente della residenza abituale del minore, previsto dall’art. 8, par. 1, del Regolamento CE n. 2201 del 2003 e art. 3 del Regolamento CE n. 4 del 2009, trova, invero, fondamento nel superiore e preminente interesse di quest’ultimo a che i provvedimenti che lo riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo della sua residenza effettiva, nonché nell’esigenza di realizzare la concentrazione di tutte le azioni giudiziarie ad esso relative (Cass. Sez. U., 02/10/2019, n. 24608).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Di conseguenza, anche nel caso in cui nel giudizio di separazione o di divorzio, introdotto innanzi al giudice italiano, siano avanzate domande inerenti la responsabilità genitoriale ed il mantenimento di figli minori, che non siano residenti abitualmente in Italia, ma in altro stato membro dell’Unione Europea, la giurisdizione su tali domande spetta, rispettivamente ai sensi dell’art. 8, par. 1, del Regolamento CE n. 2201 del 2003 e art. 3 del Regolamento CE n. 4 del 2009, all’autorità giudiziaria dello Stato di residenza abituale dei minori al momento della loro proposizione, dovendosi salvaguardare l’interesse superiore e preminente dei medesimi a che i provvedimenti che li riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo di residenza effettiva degli stessi, nonché realizzare la tendenziale concentrazione di tutte le azioni che li riguardano, attesa la natura accessoria della domanda relativa al mantenimento rispetto a quella sulla responsabilità genitoriale (Cass. Sez. U., 27/11/2018, n. 30657).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.3.3. Nel caso di specie, è incontroverso tra le parti - avendolo affermato anche lo stesso ricorrente -, e risulta dalla sentenza di appello, che alla data di proposizione del ricorso per separazione dei coniugi ((</em>omissis<em>)), concernente anche l’affidamento e la collocazione della figlia minore, quest’ultima era ormai stabilmente residente in Italia presso la madre. Tanto da essere stata iscritta come rilevato dalla Corte territoriale - all’asilo nel Comune di (</em>omissis<em>) , nel quale aveva fatto ritorno nel (</em>omissis<em>) , al suo rientro in Italia. Orbene, al fine di accertare quale sia lo Stato in cui ha la residenza abituale un figlio di tenera età, nato da genitori non uniti in matrimonio che vivono in Paesi diversi, e di individuare in conseguenza il giudice nazionale dotato di giurisdizione, al fine di assumere i provvedimenti riguardanti il minore, ben possono valorizzarsi indicatori di natura proiettiva, quali - appunto - l’iscrizione del bambino presso l’asilo in un determinato Paese ed il godimento dell’assistenza sanitaria presso il sistema pediatrico del medesimo Stato (Cass. Sez. U., 30/03/2018, n. 8042).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.3.4. D’altro canto, come evidenziato dalla sentenza di appello lo stesso Tribunale portoghese di Almada, con pronuncia del 20 marzo 2014, non ha dubitato del fatto che D.C.V.V. fosse abitualmente residente in Italia, ove avrebbe dovuto fare rientro, per accordo delle parti, già nell’(OMISSIS) , al punto da accogliere la domanda del Pubblico Ministero di riconsegna della medesima alla madre.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.3.5. Da quanto suesposto discende, pertanto, che deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice italiano a giudicare della presente controversia. 2. Con il secondo e terzo motivo di ricorso, D.C.V.M.A. denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.1. Lamenta il ricorrente che la Corte d’appello non abbia preso adeguatamente in esame le prove documentali prodotte a sostegno della domanda di addebito della separazione alla moglie, nonché a fondamento della richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento, corrisposto a favore della figlia minore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.2. Le censure sono inammissibili.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.2.1. Con il ricorso per cassazione - anche se proposto con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - la parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce, invero, nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., 29/10/2018, n. 27415).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.2.2 Nel caso concreto, l’impugnata sentenza ha adeguatamente motivato - alla stregua delle risultanze probatorie in atti - in ordine alle ragioni per le quali ha disatteso la richiesta di addebito, ritenendo giustificato l’allontanamento dell’odierna resistente dal (</em>omissis<em>) , al fine di riprendere il suo lavoro presso l’Istituto Europeo di Oncologia, "dove era assunta con contratto a tempo indeterminato, essendo scaduto il periodo di aspettativa per maternità", nonché immotivato l’addebito rivolto dal marito alla moglie, di avere quest’ultima privilegiato esclusivamente i propri interessi lavorativi e la propria realizzazione personale, non avendo l’appellante D.C.V. neppure impugnato le motivate statuizioni rese sul punto dal giudice di primo grado. </em><em>2.2.3. Quanto alla richiesta di riduzione dell’assegno, la Corte territoriale è pervenuta alla decisione di lasciarne invariato l’importo stabilito dal Tribunale, sulla base di una motivata valutazione comparativa dei redditi delle parti in causa, e tenuto conto anche dei due diversi contesti geografici nei quali i medesimi si trovano a vivere.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.2.4. A fronte di tali motivate statuizioni, la censura si risolve in una allegazione di questioni di merito, attraverso la sostanziale richiesta di riesame di atti e documenti - le cui risultanze, peraltro, non sempre sono state riprodotte nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza - e la riproposizione di temi di indagini già sottoposi al giudice a quo. Le doglianze devono, pertanto, essere disattese.</em></p> <ol start="3"> <li style="text-align: justify;"><em> Per tutte le ragioni esposte, il ricorso va rigettato, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione della controricorrente.</em></li> </ol> <strong><em>Emilio Barile La Raia</em></strong>