Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, sentenza 16 febbraio 2021 n. 6087
PRINCIPIO DI DIRITTO
Integra il reato di peculato la condotta del gestore o dell’esercente degli apparecchi da gioco leciti di cui all’art. 110, sesto e settimo comma, TULPS, che si impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del PREU, non versandoli al concessionario competente.
- La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite è la seguente: “se l’omesso versamento del prelievo unico erariale (PREU), dovuto sull’importo delle giocate al netto delle vincite erogate, da parte del “gestore” degli apparecchi da gioco con vincita in denaro o del “concessionario” per l’attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito, costituisca il delitto di peculato”.
- Prima di affrontare il tema in oggetto si ritiene utile, nei limiti di quanto di interesse ai fini della decisione, illustrare sinteticamente la disciplina della tipologia degliapparecchi da gioco lecitocui è applicato il PREU, un settore relativo all’ambito di esercizio del monopolio fiscale su giochi e scommesse, destinato a fornire risorse finanziarie allo Stato, in cui le finalità del controllo pubblico comprendono il contrasto alla ludopatia, la gestione dei flussi di denaro derivanti dal gioco, in maggiore parte destinati all’erario, i sistemi di controllo per evitare frodi ed evasione fiscale.
Nella vicenda sottesa alle condotte oggetto di giudizio viene in rilievo l’utilizzazione di giochi tipo slot-machine, ovvero quegli apparecchi “autosufficienti” che, con varie forme di automatismo, interagendo direttamente con il soggetto scommettitore, consentono la giocata previo inserimento di denaro, elaborano il meccanismo di vincita e, se del caso, consegnano immediatamente il premio al giocatore.
La legge 27 dicembre 2002, n. 289 ha modificato l’art. 110 R.D. 18 giugno 1931 n.773, disciplinando la installazione di apparecchi automatici “leciti” nei seguenti termini: – si è previsto che la installazione degli «apparecchi automatici di cui ai commi 6 e 7, lettera b), dell’articolo in esame è consentita negli esercizi assoggettati ad autorizzazione ai sensi degli articoli 86 o 88» (comma 3); – sono state regolamentate le macchine “autosufficienti” che prevedono la scommessa in denaro ed il gioco gestito esclusivamente dalla macchina locale (comma 6); – sono state previste altre tipologie di macchine che non offrono la vincita diretta in denaro, ma per le quali si introduce un controllo diretto (anche) alla verifica del pagamento delle imposte che gravano sulle stesse (comma 7).
Con riferimento alle macchine “autosufficienti” (che qui maggiormente interessano) la norma prevede precise condizioni per l’esercizio del gioco (si fa riferimento alla previsione attuale, essendo intervenute varie modifiche delle percentuali di destinazione dell’incasso delle giocate): – gli apparecchi, di proprietà privata, sono leciti a condizione che siano «dotati di attestato di conformità alle disposizioni vigenti rilasciato dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato» e siano «obbligatoriamente collegati alla rete telematica di cui all’articolo 14-bis, comma 4, del DPR 26 ottobre 1972, n. 640»; – la giocata ammessa non può superare un euro e la durata della partita non deve essere inferiore a quattro secondi; – la vincita non può essere superiore a Euro 100 e deve essere pagata con denaro erogato direttamente dalla macchina; – su di un ciclo di 140.000 partite, ogni singola macchina deve restituire in premi il 75% delle somme inserite.
- Il sistema essenziale di controllo sul regolare esercizio delle attività di gioco, compresa la gestione degli incassi, previsto da tale normativa si incentra sullacreazione di una rete telematicaper potere avere il controllo diretto ed in tempo reale dell’utilizzazione di ogni singolo apparecchio: a tale fine è stato modificato il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640 (imposta sugli spettacoli) e si è previsto che l’AAMS individui con gare ad evidenza pubblica uno o più concessionari della «rete o delle reti per la gestione telematica degli apparecchi».
Il successivo d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 ha introdotto il sistema di raccolta della quota destinata all’Erario degli introiti degli apparecchi da gioco, lasciati in esercizio ai concessionari delle reti ed ai loro gestori ed esercenti. Il citato decreto-legge, all’art. 39, comma 13, dispone che su tali apparecchi «si applica un Prelievo Erariale Unico fissato in misura del 13,5 per cento delle somme giocate, dovuto dal soggetto al quale l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ha rilasciato il nulla osta di cui all’articolo 38, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni.
A decorrere dal 26 luglio 2004 il soggetto passivo d’imposta è identificato nell’ambito dei concessionari individuati ai sensi dell’articolo 14-bis, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, e successive modificazioni, ove in possesso di tale nulla osta rilasciato dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (…).».
Il PREU è, quindi, configurato come imposta sul consumo. La sua natura tributaria è stata affermata dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 334 del 2006, che, in sede di conflitto di attribuzione tra la Regione Siciliana e lo Stato, ha risolto il dubbio su alcuni profili ambigui della disciplina, ritenendo il PREU una «entrata tributaria erariale», sostitutiva della precedente forma di imposta sugli intrattenimenti applicata agli apparecchi da gioco.
La natura di imposta di consumo, quindi, porta a ritenere che rispetto al PREU il giocatore è il contribuente di fatto, mentre il concessionario è il contribuente di diritto; l’imposta, difatti, è computata sull’importo della giocata e non sul reddito di impresa del contribuente di diritto. Le ulteriori norme introdotte con la legge finanziaria del 2006 hanno completato la specifica disciplina del PREU, per il quale è prevista la riscossione mediante ruolo.
Per completare la disciplina della destinazione degli introiti degli apparecchi di gioco lecito, oltre al PREU, determinato per legge, le convenzioni di concessione delle reti per la gestione telematica degli apparecchi, predisposte dall’AAMS in base al D.M. 12 marzo 2004 n. 86 del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Regolamento per la gestione telematica di tali apparecchi da divertimento e intrattenimento), dispongono l’ulteriore destinazione delle somme nette incassate dagli apparecchi da gioco: canone di concessione, destinato alla AAMS, aggio destinato al concessionario, quota residua che va divisa tra il concessionario ed il gestore (o esercente) degli apparecchi. Le somme costituenti aggio e residuo andranno a formare il ricavo di impresa del concessionario.
- Il d.P.R. n. 640 del 1972, come anticipato, prevede che l’esercizio delle attività nel settore in questione sia affidata conconcessione “traslativa”,avente ad oggetto la gestione della rete di controllo e l’esercizio dei singoli apparecchi che sono di proprietà privata, ma devono essere muniti dell’apposito nulla osta rilasciato dall’ente concedente (si tratta dell’attestato di conformità alle disposizioni vigenti, previsto dall’art. 110, comma 6, T.U.L.P.S.).
Si devono quindi chiarire i ruoli dei singoli soggetti che partecipano in vario modo all’esercizio di tale concessione.
In particolare, oltre al concessionario, rilevano le figure del “gestore” e dell’esercente” i quali, pur svolgendo la propria attività nella gestione del gioco sulla base di un contratto di diritto privato con il concessionario, sono figure che ricevono una regolamentazione prevalentemente dalla convenzione di concessione.
4.1. Il gestore è il soggetto che esercita un’attività organizzata diretta alla distribuzione, installazione e gestione economica degli apparecchi da intrattenimento. In particolare, provvede materialmente a prelevare i proventi, mediante l’operazione gergalmente denominata di “scassettamento”; quindi è il gestore che in prima battura ha la disponibilità materiale delle somme contenute nei singoli apparecchi, al netto delle vincite erogate.
L’esercente è il titolare dell’esercizio ove sono installati gli apparecchi, che svolge attività simili quando non vi sia un soggetto gestore. Nel prosieguo si farà riferimento al solo gestore, considerando che comunque le stesse regole valgono anche per l’esercente.
4.2. La convenzione di concessione con l’AAMS (oggi ADM) prevede che il concessionario di rete possa avvalersi nell’attività di gestione degli apparecchi di gioco dei citati ausiliari che devono essere in possesso delle prescritte autorizzazioni, devono essere iscritti nell’apposito elenco di cui all’art. 1, comma 533, della I. 23.12.2005, n. 266 e successive modifiche e sono legati al concessionario da appositi contratti di diritto privato il cui contenuto è predeterminato dall’atto di concessione e dall’AAMS (oggi ADM).
Il gestore è tenuto a rispettare specifici obblighi nello svolgimento dell’attività di interesse dell’Amministrazione.
- Poste queste premesse, va evidenziato che – come sottolineato dall’ordinanza di rimessione – le decisioni che hanno dato luogo al contrasto riguardano casi in cui il soggettogestoreche operava per conto del concessionario nell’effettivo esercizio degli apparecchi si è appropriato di tutte le somme materialmente raccolte nei dispositivi da gioco non riversandole al concessionario; è il caso che ricorre anche nel presente processo in cui l’imputazione fa riferimento non solo all’appropriazione delle somme destinate al pagamento del PREU, ma anche di quelle destinate a canone di concessione e di quelle destinate al concessionario.
5.1. Un primo orientamento, in linea con una giurisprudenza incline a riconoscere la natura pubblica delle somme raccolte da privati abilitati allo svolgimento di svariate tipologie di giochi autorizzati, qualifica il concessionario della gestione della rete telematica come “agente contabile” «atteso che il denaro che riscuote è fin da subito di spettanza della P.A.» come risulta dal decreto 12 marzo 2004 del Ministero dell’Economia e delle Finanze che dispone che il concessionario «contabilizza, per gli apparecchi collegati alla rete telematica affidatagli, il prelievo erariale unico ed esegue il versamento del prelievo stesso, con modalità definite con decreto di AAMS». In questo senso, Sez. 6, n.49070 del 05/10/2017, Corsino, Rv. 271498, secondo la quale «riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il sub- concessionario per la gestione dei giochi telematici, trattandosi di un soggetto che, in virtù di una facoltà riconosciuta al concessionario dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), è investito contrattualmente dell’esercizio dell’attività di agente contabile addetto alla riscossione ed al successivo versamento del prelievo erariale unico sulle giocate previsto dall’art. 2, lett. g), del d.m. 12 marzo 2004».
La Corte argomenta che il concessionario, nel delegare le proprie attività al “subconcessionario”, ancorché utilizzi lo schema del contratto di diritto privato, comunque «demanda ad altro soggetto l’esercizio dell’attività di agente contabile». Logico corollario di tale impostazione è che la condotta del gestore che si impossessa degli incassi delle giocate, omettendo di versarli al concessionario, integra il peculato ex art. 314 cod. pen.
Tale decisione ritiene che ricorra sostanzialmente lo stesso schema del concessionario dell’attività di raccolta del gioco del lotto, la cui condotta di appropriazione delle giocate è qualificata in giurisprudenza come peculato.
Questa impostazione risulta condivisa anche da Sez.6, n.15860 del 10/4/2018, Cilli, non mass., che, affrontando la questione in sede cautelare, ha ritenuto corretta la contestazione di peculato a fronte della condotta appropriativa del PREU e del canone di concessione posta in essere dal gestore che non aveva versato la raccolta del gioco esercitato con apparecchi del tipo in questione; questa decisione sottolinea, altresì, che la configurabilità del reato non è esclusa dall’eventuale esistenza di contestazioni tra il gestore ed il concessionario circa le somme da riversare all’Erario.
Inoltre, la Corte ha anche precisato che la sussistenza del reato in capo al gestore non è neppure esclusa per effetto dell’adempimento dell’obbligo fiscale da parte del concessionario. Sez. 6 n. 4937 del 30/04/2019, dep. 2020, Defraia, Rv. 278116, è sostanzialmente adesiva alle argomentazioni della sentenza Corsino; difatti, ribadisce con argomentazioni simili che il denaro delle giocate è fin da subito di spettanza della P.A. («il denaro versato dai giocatori diviene ‘pecunia publica’ non appena entra in possesso del soggetto incaricato di raccogliere tale denaro»).
Considera come la natura privatistica del contratto con cui il concessionario “demanda” ad altro soggetto l’esercizio dell’attività di agente contabile non esclude la qualifica di incaricato di pubblico servizio del sub-concessionario/gestore. Il contratto, difatti, regola comunque l’esercizio di servizi pubblici, in quanto il gestore viene investito della partecipazione all’attività di agente contabile quale «addetto alla riscossione ed al successivo versamento del “prelievo erariale unico” sulle giocate, previsto dall’art. 2 lett. g) del D.M. 12 marzo 2004, poiché il servizio del gioco è riservato allo Stato».
In definitiva, anche tale sentenza esclude che l’attività del gestore possa ridursi alla semplice fornitura/assistenza delle macchine e che la sua attività di raccolta degli incassi delle giocate possa essere qualificata come semplice attività materiale.
Le sentenze Sez. 6, n. 35373 del 28/05/2008, Bellebono, non mass., e Sez. 2, n. 18909 del 10/04/2013, Torregrossa, non mass., confermano la configurabilità del reato di peculato nei confronti del gestore che si appropria delle somme destinate a PREU ravvisando la originaria proprietà pubblica degli incassi.
5.2. Il diverso orientamento è rappresentato dalla sentenza Sez. 6, n. 21318 del 05/04/2018, Poggianti, Rv. 272951, che è intervenuta in un caso in cui il gestore degli apparecchi aveva utilizzato un espediente tecnico tale da impedire la comunicazione dei dati delle giocate all’Amministrazione ed in tal modo aveva nascosto l’incasso indebito delle somme non contabilizzate.
La sentenza ha considerato che la normativa positiva disciplina il PREU quale debito tributario. Ha, quindi, affermato che le somme materialmente prelevate dagli apparecchi da gioco sono in possesso del gestore del gioco il quale è tenuto al pagamento del PREU quale soggetto passivo d’imposta, sulla base di un’analitica valutazione di tutte le disposizioni rilevanti di tale normativa che consentono di qualificare il PREU quale imposta «il denaro incassato all’atto della puntata, e a causa di questa, deve ritenersi non immediatamente di proprietà, pro quota, dell’erario (all’epoca dei fatti in misura pari al 12% degli introiti), bensì interamente della società che dispone del congegno da gioco, anche per la parte corrispondente all’importo da versare a titolo di prelievo unico erariale.
Questo perché la giocata genera un ricavo di impresa sul quale è calcolato l’importo che la società deve corrispondere a titolo di debito tributario; quindi, l’impresa che gestisce il congegno da gioco non incassa neppure in parte denaro già in quel momento dell’erario, e, di conseguenza, quando non corrisponde le somme dovute a titolo di prelievo erariale unico, non si appropria di una cosa altrui, ma omette di versare denaro proprio all’Amministrazione finanziaria in adempimento di un’obbligazione tributaria».
La sentenza citata giunge a tale conclusione sulla base dell’esegesi del d.l. 24 novembre 2003, n.326 da cui desume che: – il soggetto passivo di imposta non è individuato nel giocatore, ma nei concessionari della rete (art.39, commi 13 e 13-bis), con i quali i terzi incaricati della raccolta (i cd. gestori) sono solidamente responsabili (art.39-sexies); – l’unità temporale di riferimento per il calcolo finale del PREU è riferita all’anno solare (art.39, comma 13-bis), mediante un versamento finale a saldo dei versamenti periodici;- il PREU è dovuto su tutte le somme giocate tramite apparecchi e congegni che erogano vincite in denaro, anche se questi siano esercitati al di fuori di qualunque autorizzazione e non siano collegati alla rete telematica (art.39- quater).
Secondo la sentenza in esame, la specifica disciplina, dettata per la categoria di apparecchi da gioco in esame, consentirebbe di affermare che il soggetto passivo dell’imposta non è il giocatore, bensì il concessionario ed il terzo incaricato della raccolta, sicché, ove il denaro non venga riversato all’AAMS (oggi ADM), non si configurerebbe l’appropriazione di somme già appartenenti all’erario, bensì un tipico caso di omesso versamento di un tributo (nel caso di specie il PREU). Corollario di tale affermazione è che il denaro raccolto mediante le giocate altro non è che il ricavo di un’attività commerciale, che a prescindere dal fatto che sia svolta in forma lecita o illecita, genera in ogni caso l’insorgere dell’obbligazione tributaria.
Nell’ordinanza di rimessione, oltre a considerare in modo dettagliato gli argomenti della sentenza Poggianti, si osserva che, in tale prospettiva, «il soggetto che incassa le somme delle giocate non ha il possesso o la disponibilità di denaro altrui, ovviamente per la parte da versare all’Amministrazione finanziaria a titolo di prelievo erariale unico, ma, diversamente, è debitore nei confronti di questa in relazione ad una obbligazione pecuniaria commisurata all’entità del denaro percepito».
In definitiva, secondo tale impostazione il denaro incassato non è di proprietà pubblica, bensì del concessionario della rete il quale, su tale incasso dei “propri” apparecchi di gioco, assume un’obbligazione tributaria. Per tale ragione, la condotta di appropriazione non integra il reato di peculato.
- Il contrasto scaturisce da un’unica decisione rispetto ad un orientamento sostanzialmente stabile. Va sottolineato che la differenza di ricostruzione, che porta alla alternativa qualificazione giuridica della condotta di indebito trattenimento degli incassi delle giocate, non verte sulla natura di obbligazione tributaria del versamento del PREU, bensì sulla proprietà del denaro versato dai giocatori negli apparecchi da gioco, al netto di quanto restituito direttamente in vincite.
Secondo il primo indirizzo, tale denaro è incassato, a prescindere dalla proprietà dei dispositivi di gioco, nell’esercizio della concessione e per conto della concedente, e, quindi, appartiene alla Amministrazione; la peculiare modalità di riversamento del denaro, con il meccanismo tributario per una gran parte (il PREU) e con il canone di concessione per altra, non incide sulla natura di denaro pubblico, dato rilevante ai fini che qui interessano.
L’altro indirizzo, invece, accentuando il profilo di natura tributaria e, qualificando il PREU come imposta sui redditi di impresa (come sembra affermare quando parametra l’imposta al «ricavo di impresa») anziché come imposta sui consumi, usa tale argomento per affermare che l’incasso delle somme residuate dalle giocate, detratte le vincite, rappresenta un “guadagno” privato sottoposto, appunto, ad imposta (PREU).
- Questo Collegio condivide la conclusione cui giunge il primo indirizzo, con le precisazioni di cui appresso.
Devono, innanzitutto, essere distinti due diversi profili, quello riguardante la proprietà delle somme incassate dagli apparecchi da gioco, di cui (una gran) parte destinata al pagamento del PREU, e quello relativo all’obbligo di versamento del PREU quale tributo. Tale profilo appare dirimente per rispondere al quesito posto dalla ordinanza di rimessione quanto alla qualità di incaricato di pubblico servizio del gestore.
7.1 La soluzione prescelta poggia sulla considerazione che non è dubitabile che (tutti) i proventi del gioco presenti negli apparecchi, al netto del denaro restituito quale vincita agli scommettitori, appartengano all’Amministrazione. La questione della proprietà degli incassi è già stata risolta dalle Sezioni Unite civili di questa Corte che in più occasioni hanno confermato la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti dei concessionari di rete, chiamati dal giudice contabile alla resa del conto giudiziale, ai sensi del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, per la gestione degli incassi, in quanto originariamente appartenenti alla pubblica amministrazione concedente e gestiti dai soggetti concessionari nel ruolo di “agente contabile“.
In tali termini si sono espresse in primo luogo Sez. U. civ. n. 13330 dell’01/06/2010, Rv. 613290, secondo cui «la società contabilizza, per gli apparecchi collegati alla rete telematica affidatale, il prelievo erariale unico e ne esegue il versamento; come tale essa riveste la qualifica di agente della riscossione tenuto al versamento di quanto riscosso e, dunque, al conto giudiziale degli introiti complessivamente derivanti dalla gestione telematica del gioco lecito, compreso il compenso del concessionario».
Un’altra decisione ha precisato che la società concessionaria dell’Azienda Autonoma dei Monopoli dello Stato per la attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito assicura che la rete telematica affidatale contabilizzi le somme giocate, le vincite ed il prelievo erariale unico, nonché la trasmissione periodica di tali informazioni al sistema centrale, e, inoltre, provvede a contabilizzare, per gli apparecchi collegati alla rete telematica affidatale, il prelievo erariale unico, seguendone il versamento (così, Sez. U civ., ord. n. 14891 del 21/06/2010, Rv. 613822).
Secondo queste decisioni la società concessionaria riveste la qualifica di agente della riscossione tenuto al versamento di quanto riscosso e, dunque, al conto giudiziale degli introiti complessivamente derivanti dalla gestione telematica del gioco lecito, compreso il compenso del concessionario.
Negli stessi termini e con più ampio sviluppo, proprio degli aspetti rilevanti ai fini della odierna decisione, sono intervenute di recente Sez. U civ., n. 14697 del 29/05/2019, Rv. 653988, che hanno ritenuto espressamente la natura pubblica di tutti gli incassi degli apparecchi da gioco in questione proprio in considerazione della funzione del collegamento diretto del sistema centrale dell’Amministrazione rispetto ai singoli apparecchi da gioco e hanno affermato che questo «sistema di collegamento diretto, rivolto in particolare al flusso di denaro, riscosso in conseguenza del gioco lecito, ed alle sue destinazioni (vincite, canone di concessione, deposito cauzionale, obbligazioni tributarie, compenso del concessionario) così come previste dalla legge, ne evidenzia la diretta appartenenza pubblica».
Soprattutto, le Sezioni Unite civili risolvono l’aspetto qui rilevante, escludendo che vi sia contrasto tra l’essere il concessionario soggetto passivo d’imposta rispetto al PREU e l’essere gli incassi del gioco di proprietà pubblica: il regime fiscale previsto dal legislatore non incide sull’obbligo del concessionario di assicurare, mediante, la conduzione operativa della rete telematica, la contabilizzazione delle somme giocate, delle vincite e del P.R.E.U.
La natura tributaria dell’imposta (Corte cost. 334 del 2006) e la qualificazione del concessionario come soggetto passivo d’imposta (ex art. 1, comma 81 della legge n. 296 del 2006) operano limitatamente al rapporto di natura tributaria, senza incidere sulla funzione di agente della riscossione di denaro pubblico derivante dalla configurazione complessiva dell’attività di gioco lecito mediante apparecchi o congegni elettronici, caratterizzata dalla predeterminazione dettagliata delle modalità di svolgimento dell’attività e della funzione del concessionario rispetto agli esercenti, in particolare sotto il profilo del controllo periodico della destinazione delle somme riscosse(Sez. Un. civ. n. 14697 del 2019, cit.).
7.2. La soluzione recepita dalle Sezioni unite civili è in linea con la consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti, competente ad esercitare il controllo sui concessionari in virtù della loro qualificazione quali “agenti contabili”. Il problema sottoposto al Collegio si era già ampiamente posto dinanzi al giudice contabile, sostanzialmente nei medesimi termini circa l’esatta qualificazione del PREU come un’entrata erariale qualificabile come tale ab origine, piuttosto che come un ordinario tributo rispetto al quale il concessionario non poteva assumere il ruolo di agente contabile, ma solo quello di soggetto passivo d’imposta.
Nella sentenza resa da Sez. I App., n. 1086 del 18.09. 2014, la Corte dei Conti ha testualmente affermato: «la società appellata è concessionaria dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli dello Stato per l’attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito.
Essa assicura, perciò, che la rete telematica affidatale contabilizzi le somme giocate, le vincite ed il prelievo erariale unico, nonché la trasmissione periodica di tali informazioni al sistema centrale. La società – inoltre – contabilizza, per gli apparecchi collegati alla rete telematica affidatale, il prelievo erariale unico e ne esegue il versamento.
Tanto precisato, essa riveste la qualifica di agente della riscossione (agente contabile), tenuto al versamento di quanto riscosso e, dunque, al conto giudiziale degli introiti complessivamente derivanti dalla gestione telematica del gioco lecito, compreso il compenso del concessionario».
La suddetta pronuncia si confronta espressamente anche con la presunta incompatibilità tra la qualifica di agente contabile, derivante dalla riscossione di denaro pubblico, rispetto alla disciplina tributaria del PREU, laddove argomenta che «la sottoposizione del concessionario al prelievo erariale unico (PREU) non incide sulla sua natura di agente contabile, stante che tale prelievo è solo la modalità con cui l’Amministrazione ottiene il versamento da parte del concessionario di somme dovute da calcolarsi, però, su conti da rendersi da chi rivesta la qualifica di contabile, per avere maneggio delle somme di denaro su cui anche il PREU deve calcolarsi».
L’appartenenza del denaro oggetto di PREU all’erario è esplicitata in maniera ancor più netta da Corte Conti Lazio, sez. reg. giurisd., n. 2110 del 05/11/2010, secondo cui «è proprio la gestione in via esclusiva di un’attività propria del soggetto pubblico con attribuzione di poteri pubblici al concessionario ed imposizione di particolari obblighi a determinare la nascita di un soggetto che ha la disponibilità materiale di beni, materie e valori di pertinenza pubblica. Lo stesso denaro raccolto con l’utilizzo di apparecchiature collegate alla rete telematica della P.A. deve ritenersi, quindi, denaro pubblico e ciò, ovviamente, non tanto in ragione della sua provenienza, che è squisitamente privata, ma in forza del titolo di legittimazione alla giocata che rende lecito un gioco d’azzardo altrimenti vietato.
Ed allora, se il privato deve utilizzare l’apposito canale pubblico rappresentato dalle apparecchiature elettroniche collegate alla rete telematica della Pubblica Amministrazione per effettuare la sua giocata, ne consegue che il denaro impiegato diventa denaro pubblico, soggetto alle regole pubbliche di rendicontazione e il cui maneggio genera ex se l’imprescindibile obbligo dell’agente a rendere giudiziale ragione della gestione attraverso un documento contabile che dia contezza della stessa e delle sue risultanze».
Nell’ambito di tale sistema, pertanto, i concessionari gestiscono l’attività di gioco nell’ambito di un continuo controllo realizzato per il tramite del collegamento alla rete telematica dei singoli apparecchi. Proprio tale «sistema di collegamento diretto, rivolto in particolare al flusso di denaro, riscosso in conseguenza del gioco lecito, ed alle sue destinazioni (vincite, canone di concessione, deposito cauzionale, obbligazioni tributarie, compenso del concessionario) così come previste dalla legge, ne evidenzia la diretta appartenenza pubblica».
La tesi secondo cui il denaro provento delle giocate è di immediata appartenenza pubblica non è contraddetta neppure dal particolare regime fiscale adottato dal legislatore, lì dove il PREU viene qualificato quale prelievo di natura tributaria (come riconosciuto anche da Corte cost., n.334 del 2006) ed il concessionario è indicato quale soggetto passivo di imposta.
Secondo le Sezioni unite civili, infatti, la natura tributaria del PREU non esclude la «funzione di agente della riscossione di denaro pubblico derivante dalla configurazione complessiva dell’attività di gioco lecito mediante apparecchi o congegni elettronici, caratterizzata dalla predeterminazione dettagliata delle modalità di svolgimento dell’attività e della funzione del concessionario rispetto agli esercenti, in particolare sotto il profilo del controllo periodico della destinazione delle somme riscosse». Sulla base di tali argomentazioni le Sezioni unite civili ritengono che il denaro provento delle giocate, a prescindere dalla specifica destinazione pro quota dello stesso, è di «diretta appartenenza pubblica».
7.3. L’interpretazione data dalle SS.UU. civili e dal giudice contabile è univoca e ne vanno condivisi gli argomenti.
Il privato concessionario gestisce in via esclusiva un’attività propria dell’Amministrazione, rientrante nell’ambito di un monopolio legale, esercitandone i medesimi poteri pubblici. In un tale contesto, il concessionario procede alla raccolta di denaro, tramite gli apparecchi collegati alla rete telematica della Pubblica Amministrazione, attività che assume carattere pubblico in forza del titolo di legittimazione alla giocata che rende lecito un gioco d’azzardo che, altrimenti, integrerebbe un’attività assolutamente vietata dall’art. 110 T.U.L.P.S. e sanzionata.
7.4. Il soggetto al quale viene affidata dalla Pubblica Amministrazione la gestione della funzione pubblica del gioco lecito ed, in particolare, deputato istituzionalmente al maneggio di tale denaro pubblico, riveste obiettivamente il ruolo di agente contabile ex art. 178, R.D. 23 maggio 1924 n. 827 in virtù delle regole che gli conferiscono specifici compiti di raccolta, rendicontazione e riversamento della quota parte della giocata sotto forma di prelievo unico erariale, secondo quanto previsto testualmente dalla convenzione di concessione in conformità alle inequivoche disposizioni del D. M. 12 marzo 2004, n. 86 (Regolamento concernente disposizioni per la gestione telematica degli apparecchi in questione).
- A questo punto può offrirsi una prima risposta alla questione essenziale che ha dato luogo al contrasto: non è in discussione se il PREU in sé sia un’imposta, in quanto questa natura è pacifica proprio alla luce della normativa inequivoca che lo disciplina. E’, invece, in questione la natura pubblica degli incassi del gioco realizzati utilizzando una certa tipologia di apparecchi.
L’orientamento minoritario che ritiene che gli incassi degli apparecchi rappresentino “ricavi” dell’attività imprenditoriale svolta dalla concessionaria non può essere condiviso per gli argomenti in precedenza illustrati che dimostrano che la proprietà degli incassi, proprio per l’attività dalla quale provengono, non può essere attribuita al privato.
Come sopra argomentato, è corretto quanto affermato dal primo indirizzo che, del resto, non qualifica quale peculato il mancato pagamento del PREU quale imposta, bensì l’indebita appropriazione dell’intero incasso prelevato dagli apparecchi di cui una (maggior) parte, ma non il tutto, destinata al pagamento del PREU.
La condanna del Rubbo è stata disposta espressamente per essersi appropriato anche della quota destinata, come aggio e come ricavo residuo, al concessionario, nonché delle somme destinate a canone di convenzione come ben chiarito nel prospetto fatto nel corpo della motivazione della sentenza di primo grado. La risposta al quesito, per quanto riguarda il concessionario di rete, è quindi nel senso che lo stesso è responsabile del reato di peculato lì dove si appropri degli incassi (anche) per la parte destinata a PREU, perché si tratta di “denaro pubblico”, che egli gestisce in veste formale di agente contabile indipendentemente dalla ulteriore considerazione se, nella gestione del gioco lecito, svolga un pubblico servizio.
- Ulteriore problema è quello di verificare se il concessionario vada qualificato quale incaricato di pubblico servizio per la complessiva attività svolta, a prescindere dal ruolo di agente contabile.
Si tratta di un passaggio necessario per ritenere che tale qualificazione spetti anche al gestore il cui eventuale ruolo di incaricato di pubblico servizio è condizionato dall’esserlo il concessionario dal quale, in ipotesi, deriverebbe il conferimento dei compiti nella conduzione del servizio pubblico.
Il tema, inoltre, va esplicitamente affrontato anche perchè la questione del ruolo del concessionario, al di là dell’ambito del maneggio di denaro di proprietà pubblica, è stata posta in termini dubitativi dall’ordinanza di rimessione.
L’ordinanza, dopo avere richiamato i comuni principi secondo i quali il soggetto “incaricato di pubblico servizio” va individuato sotto il profilo funzionale della attività effettivamente svolta, ritiene che proprio le Sezioni Unite civili, in particolare con l’ordinanza n. 14697 del 2019, dubitino che nella attività devoluta al concessionario di rete vi sia un contenuto di pubblico servizio.
Secondo la Sezione rimettente tale ordinanza espressamente afferma che la società ricorrente è concessionaria di un’attività che non ha né natura di servizio pubblico, né assolve una funzione neanche latu sensu “pubblicistica” (p. 9), evidentemente riferendosi alla intrinseca estraneità dell’esercizio del gioco d’azzardo da parte dello Stato dal perimetro proprio ai pubblici servizi, ove si astragga dalle connesse entrate tributarie e dal vantaggio erariale che ad esse consegue.
Va invero chiarito che questo passaggio della decisione citata va collegato a quanto sostenuto nella ordinanza delle Sezioni Unite civili che, subito dopo avere escluso la funzione pubblicistica del gioco d’azzardo in sé, fa riferimento al compito proprio del concessionario di esercizio della rete telematica deputata al controllo ed afferma che solo all’interno «di queste rigide maglie» il gioco può ritenersi lecito.
Il “pubblico servizio” è, quindi, rappresentato dal diretto e continuativo controllo di un’attività che, altrimenti, sarebbe illecita. L’ambito del pubblico servizio attribuito al concessionario di rete è chiaramente individuato anche dalla recente giurisprudenza costituzionale.
Infatti, la sentenza costituzionale n. 56 del 2015, proprio con riferimento alla tipologia di concessioni riferite agli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, T.U.L.P.S., ne ha rammentato la natura di “concessione traslativa“, in quanto «la materia dei giochi pubblici è riservata al monopolio dello Stato, che ne può affidare a privati l’organizzazione e l’esercizio in regime di concessione di servizio, sulla base di una disciplina che trova origine negli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496 (Disciplina dell’attività di giuoco)».
In particolare, ravvisa gli interessi pubblici tutelati dalla normativa che disciplina tali giochi nella «pubblica fede, l’ordine pubblico e la sicurezza, la salute dei giocatori, la protezione dei minori e delle fasce di giocatori adulti più deboli, la protezione degli interessi erariali relativamente ai proventi pubblici derivanti dalla raccolta del gioco».
Quindi, l’attività di gestione della rete di controllo deve qualificarsi come pubblico servizio, come del resto chiarisce il decreto ministeriale 12 marzo 2004, n. 86, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, contenente il Regolamento per la gestione telematica degli apparecchi da divertimento e intrattenimento in questione, secondo il quale la Amministrazione «affida in concessione l’attivazione e la gestione operativa delle reti telematiche» e non l’esercizio del gioco d’azzardo. È inoltre un pubblico servizio l’esercizio del monopolio fiscale connesso ai giochi leciti.
Nel già citato d.l. n. 269 del 2003, n. 269, istitutivo del PREU, si fa riferimento più volte a tale monopolio con riferimento alla gestione delle entrate fiscali (art. 39, comma 13-quinquies: «Al fine di evitare fenomeni di elusione del monopolio statale dei giuochi …», «attività di giuoco riservato allo Stato»).
In definitiva, non può dubitarsi che il concessionario svolga in regime di concessione un pubblico servizio, riservato al monopolio statale, che consiste proprio nel controllo delle attività di gioco sia per il rispetto dei limiti entro quale può ritenersi lecito, svolgendo quella funzione pubblica, più volte dichiarata nella normativa, di contrasto alla diffusione della ludopatia e delle attività criminali nel dato settore, sia per la gestione degli incassi delle giocate, destinati all’Erario.
- Per quanto riguarda il ruolo del gestore, quanto sinora esposto chiarisce che il denaro che le figure di supporto dell’attività del concessionario hanno in gestione non può mai definirsi a loro appartenente.
La stessa questione controversa, verte sul profilo della spettanza degli incassi allo Stato, concedente dell’esercizio del gioco lecito, o al concessionario. In ogni caso, il gestore non assume mai il possesso autonomo del denaro, secondo gli schemi della convenzione di concessione che non consente di “cedere” la concessione, ma solo di avvalersi di soggetti addetti ai dati compiti, imponendo contenuti ai contratti di collaborazione per funzioni di garanzia del corretto esercizio dell’attività.
Quindi, il rapporto del gestore con il denaro che raccoglie dagli apparecchi è di detenzione nomine alieno, che ai fini dell’art. 314 cod. pen., integra la condizione di altruità della cosa. Il gestore, comunque, sicuramente non riveste in proprio il ruolo di agente contabile.
Si è detto come tale ruolo risulti già attribuito al concessionario, né la convenzione di concessione, che pure disciplina il rapporto dei gestori, assegna loro alcun ruolo autonomo nel “maneggio” degli incassi, quanto ad autonomia e responsabilità di gestione.
Del resto, un ruolo autonomo di agente contabile del gestore contrasterebbe con quello, avente lo stesso oggetto, del concessionario, e vi dovrebbe essere una autonoma relazione, quanto alla resa del conto ex R.D. 23 maggio 1924, n. 827, tra i “subconcessionari” ed il giudice contabile.
Dal punto di vista del Regolamento di contabilità, del resto, la posizione degli ausiliari rientra agevolmente nell’art. 188 del R.D. 23 maggio 1924 n. 827, che prevede la responsabilità dell’agente contabile nei confronti dell’Amministrazione anche per le attività dei propri ausiliari con funzione di cassieri etc. «anche se la loro assunzione sia stata approvata dalle autorità competenti».
Va ora verificato se il gestore (o l’esercente) svolga, su incarico del concessionario, solo attività comuni o anche compiti rientranti nel pubblico servizio quale sopra delineato, in modo da acquisire a sua volta la qualità pubblicistica in base al quale la sua condotta di appropriazione del denaro altrui integra il peculato: diversamente, ricorrerebbe l’appropriazione indebita o un diverso reato “comune”, come nel caso della sentenza Poggianti che, ricorrendo le ulteriori condizioni di occultamento fraudolento degli incassi, ha qualificato la condotta quale truffa.
La questione si pone poiché, non essendo neanche prevista la figura del gestore dal citato regolamento di cui al D.M. n. 86 del 2004, le attività previste dai contratti di collaborazione con il concessionario, quali la collocazione fisica degli apparecchi, la verifica del loro corretto funzionamento e la necessaria manutenzione, lo “scassettamento” del denaro e la sua movimentazione, potrebbero valutarsi quali attività meramente materiali e non di partecipazione all’esercizio del servizio pubblico.
Invero, il contenuto della convenzione di concessione dimostra che l’Amministrazione impone che i soggetti delegati all’esercizio dei dati compiti per conto del concessionario esercitino anche attività proprie del pubblico servizio.
In particolare, pur se non si prevede alcun rapporto diretto ed obbligo di rendiconto direttamente nei confronti dell’Amministrazione, il gestore (che può essere anche proprietario delle macchine o può operare con apparecchi altrui) svolge la sua attività in autonomia, senza il controllo diretto del concessionario, ed a lui è affidata, tra l’altro, la verifica della funzionalità della rete telematica con obblighi di segnalazione di anomalie, risultando già solo per questo avere un ruolo determinante nel profilo che qualifica l’attività data in concessione quale pubblico servizio.
Inoltre, tali soggetti, pur non essendo loro assegnato un ruolo diretto ed autonomo nella gestione del denaro per conto dell’ente pubblico proprietario, lì dove delegati anche alla gestione degli incassi, sono comunque destinatari, secondo la convenzione di concessione (artt. 6-bis, del contratto con il gestore, e 6, del contratto con l’esercente), di penetranti obblighi di controllo, offerta di garanzie, tracciabilità; tali obblighi sono evidentemente fondamentali per la verifica dei corretti flussi finanziari per la prevenzione dell’inserimento di fenomeni criminali, anche di riciclaggio, così realizzando altri interessi pubblici sottesi alla gestione monopolistica nei termini di cui si è già detto.
Si può, quindi, affermare che anche il gestore riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio quando, come nel caso qui in considerazione, abbia la gestione degli incassi, trovandosi a detenere nomine alieno il denaro per ragione del suo servizio pubblico.
Difatti partecipa, per la parte delegatagli, all’esercizio delle attività in concessione e, in particolare, partecipa anche all’esercizio della stessa attività di agente contabile del concessionario, svolgendo rispetto a questa, pur nell’ambito del rapporto di dipendenza considerato dal citato art. 188, R.D. 23 maggio 1924 n. 827, funzioni che non sono di mero concetto, essendogli delegate parte delle necessarie attività di contabilizzazione e movimentazione che il gestore svolge in piena autonomia ed al di fuori del diretto controllo del suo committente, condizioni che, a ben vedere, hanno consentito proprio nella vicenda oggetto di questo processo la rilevante sottrazione di incassi per un ampio arco temporale.
In definitiva, la condotta del gestore (cui, si rammenta, va equiparato l’esercente) di appropriazione degli incassi degli apparecchi da gioco, in quanto denaro “altrui” del quale ha il possesso per ragione del suo ufficio di incaricato di pubblico servizio, è quindi correttamente qualificata come peculato.
- Inconclusione, in risposta al quesito va affermato il seguente principio di diritto: “Integra il reato di peculato la condotta del gestore o dell’esercente degli apparecchi da gioco leciti di cui all’art. 110, sesto e settimo comma, TULPS, che si impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del PREU, non versandoli al concessionario competente“.