Corte Costituzionale, sentenza 17 febbraio 2021 n. 21
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 4-ter, della legge della Regione Toscana 12 gennaio 1994, n. 3 (Recepimento della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”), laddove prevede che: “4 ter. I cacciatori iscritti nel registro di cui all’articolo 28 quater sono equiparati ai cacciatori di cui al comma 4, per le specie di riferimento”, stabilendo che, anche ai fini dell’attuazione dei piani di abbattimento, i cacciatori abilitati alla caccia di selezione agli ungulati e a quella al cinghiale con determinate tecniche («in braccata e girata») sono equiparati a quelli formati e selezionati in base al precedente comma 4.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– Vanno preliminarmente disattese le eccezioni d’inammissibilità spiegate dalla Regione Toscana nella propria memoria.
2.1.– Sotto un primo profilo, argomenta la parte, l’ordinanza di rimessione non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni, essendosi così «verificata una situazione analoga» a quella che avrebbe determinato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dichiarata dalla sentenza di questa Corte n. 160 del 2020.
L’argomento non convince: l’atto introduttivo presenta, infatti, una plausibile e specifica motivazione a sostegno della non manifesta infondatezza, esplicitata sia attraverso il confronto tra il contenuto delle disposizioni censurate e l’elenco di cui all’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, sia con l’affermazione che la maggiore estensione soggettiva delle prime realizzerebbe un’indebita integrazione del secondo e, pertanto, una riduzione del livello minimo e uniforme di tutela in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Inoltre, a differenza di quanto ritiene la Regione, non è apodittica l’affermazione del rimettente sull’impossibilità di superare il dubbio di costituzionalità in ragione del meccanismo di selezione dei soggetti privati coinvolti e del coordinamento su di essi esercitato da quelli pubblici; tale motivazione, benché sintetica, è infatti chiaramente ricollegata, in via principale, alla tassatività dell’elenco, come del resto risultante dalla giurisprudenza di questa Corte.
2.2.– Sotto un secondo profilo, l’eccepita inammissibilità conseguirebbe al difetto di motivazione sulla rilevanza.
Anche tale eccezione va respinta: la motivazione proposta dal rimettente risulta infatti adeguata e sufficiente a superare il vaglio dell’ammissibilità, in quanto, da un lato afferma che il provvedimento impugnato è stato approvato sul fondamento di quanto disposto, tra l’altro, dall’art. 37 della legge reg. Toscana n. 3 del 1994, le cui previsioni inciderebbero immediatamente e direttamente sull’attuazione del piano di controllo del cinghiale; dall’altro, constata che l’eventuale illegittimità costituzionale di quelle non potrebbe che «rendere illegittimo anche il piano de quo».
In effetti, la riferibilità delle attività disciplinate dal piano di controllo al censurato art. 37 emerge già dall’oggetto della delibera di Giunta regionale impugnata, che menziona proprio questa disposizione; inoltre, il contenuto precettivo di ognuna delle disposizioni censurate può agevolmente ritenersi implicato – al contrario di quanto sostenuto dalla difesa regionale – nell’attuazione del piano stesso.
Deve, in sostanza, concludersi che l’ordinanza di rimessione ha sufficientemente dimostrato la necessità di applicare nel giudizio a quo le specifiche norme censurate.
3.– L’esame del merito richiede, preliminarmente, di contestualizzare il contenuto dell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, che il rimettente assume quale parametro interposto per sollevare le questioni di costituzionalità in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Tale disposizione, nell’ambito della legge statale n. 157 del 1992, disciplina il controllo della fauna selvatica nei seguenti termini:
«2. Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l’Istituto verifichi l’inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l’esercizio venatorio».
In base a tale struttura normativa il controllo faunistico si qualifica come un’attività che non è svolta per fini venatori, in quanto attiene prevalentemente alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (sentenza n. 217 del 2018), ma che si intreccia funzionalmente anche con finalità riconducibili a competenze regionali concorrenti o residuali (basti pensare alla tutela del suolo e alla tutela delle produzioni zoo-agro-forestali).
Per questo motivo tale attività, diretta a realizzare il «controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia», da un lato viene assegnata alle Regioni, dall’altro viene procedimentalizzata, prevedendo il rispetto di un principio di gradualità.
Essa, infatti, deve essere svolta «di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica» e solo in caso di verificata inefficacia di tali metodi le Regioni possono autorizzare piani di abbattimento, che, a loro volta, devono essere «attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali», cui è consentito avvalersi anche di altri soggetti, però specificamente indicati.
La norma, in altre parole, si sviluppa assegnando alle Regioni l’attività del controllo delle specie di fauna selvatica però coinvolgendo, con riguardo ai piani di abbattimento, soprattutto il personale delle Province.
3.1.– Su tale previsione, a partire dalla sentenza n. 392 del 2005 si è sviluppato un filone giurisprudenziale di questa Corte che ha ritenuto «tassativo» l’elenco dei soggetti autorizzati all’esecuzione dei piani di abbattimento, e ciò sull’assunto per cui «una sua integrazione da parte della legge regionale riduce il livello minimo e uniforme di tutela dell’ambiente» (ex plurimis sentenza n. 139 del 2017).
Tale orientamento, che quindi ha iniziato a formarsi ormai oltre quindici anni fa, deve essere oggi parzialmente riconsiderato alla luce di alcune condizioni specifiche di ordine sia normativo sia fattuale, nel frattempo sensibilmente mutate.
3.1.1. – Quanto alle prime, occorre innanzitutto rilevare che negli ultimi anni l’ente Provincia, alle cui guardie venatorie, come si è visto, l’art. 19 della legge n. 157 del 1992 affida in via principale il compito dell’attuazione dei piani di abbattimento, è stato oggetto di un complesso e travagliato processo di riforma che ha condotto, in ogni caso, all’indubbio esito di un ridimensionamento delle rispettive funzioni e, conseguentemente, anche del relativo personale.
In particolare, per quanto qui interessa, tale processo ha determinato una significativa riduzione del personale appartenente ai corpi e ai servizi di polizia provinciale: ad esempio, negli enti toscani nel periodo dal 2010 al 2019 tale personale si è quasi dimezzato, come risulta dai dati del conto annuale di cui all’art. 60 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) e come anche emerge dagli atti difensivi della Regione (dove si rileva il fenomeno e si sottolinea la recente consistenza di tale personale).
3.1.2.– Quanto alle seconde, va evidenziato l’aumento costante e significativo delle popolazioni di determinate specie di fauna selvatica (specialmente ungulati e, in particolare, cinghiali).
Tale fenomeno trova le sue cause non solo nella descritta riduzione del personale provinciale in concreto destinato al controllo numerico della fauna selvatica, ma anche in altri processi recenti e complessi, tra cui la riduzione delle aree agricole, il correlato spopolamento delle aree collinari e montane, il progressivo aumento delle superfici boscate, la diminuzione del numero di cacciatori (come risulta dalla documentazione prodotta dalla Regione Toscana, con sostanziale conferma nel rapporto ISPRA «Banca dati ungulati. Status, distribuzione, consistenza, gestione e prelievo venatorio delle popolazioni di ungulati in Italia», 2009).
3.1.3. – La combinazione delle suddette condizioni determina rilevanti criticità a danno degli ecosistemi: ad esempio, lo sviluppo sostenibile delle foreste, che implica un equilibrio armonioso tra le componenti forestali e faunistiche, può risultare compromesso dal brucamento selettivo degli ungulati che, nel lungo periodo, può modificare la struttura e la composizione dei popolamenti forestali, se non addirittura comprometterne l’esistenza.
Criticità che si manifestano, peraltro, anche con riguardo alle attività antropiche: ormai significativi sono i danni alle attività agricole, sia in termini economici per il settore che di indennizzi a carico degli enti pubblici; inoltre, è in aumento il numero di incidenti stradali causati da ungulati.
4.– Tale evoluzione non può non essere considerata nello scrutinio sulle questioni sollevate dal rimettente, a partire dalla prima, che concerne il comma 3 dell’art. 37 della legge reg. Toscana n. 3 del 1994.
Essa non è fondata.
La disposizione in oggetto, dopo aver correttamente affermato il ricordato principio di gradualità, in sostanza stabilisce, attraverso il richiamo al successivo art. 51 – rubricato «Vigilanza venatoria» –, che nell’attuazione dei piani di abbattimento la Regione può avvalersi, oltre che di soggetti già previsti o comunque riconducibili al comma 2 dell’art. 19 della legge n. 157 del 1992, anche di ulteriori soggetti, purché muniti di licenza di caccia; si tratta in particolare, ai sensi della lettera f) del suddetto art. 51, delle «guardie venatorie volontarie» e delle «guardie ambientali volontarie» (entrambe figure che individuano soggetti privati muniti anche della qualifica di guardia giurata), nonché, ai sensi della successiva lettera g), delle guardie giurate, «purché adeguatamente preparate sulla normativa di riferimento».
Si tratta quindi di soggetti ulteriori, rispetto a quelli elencati dalla norma statale, ma che non sono identificabili in meri cacciatori: presentano, infatti, elementi di qualificazione pubblicistica, essendo, in forme diverse, ricompresi tra le persone già abilitate, peraltro in seguito a una specifica formazione, allo svolgimento dell’attività di vigilanza venatoria, e ciò in forza di quanto stabilisce l’art. 27, comma 6, della stessa legge n. 157 del 1992, che prevede, per queste figure, «corsi di preparazione e di aggiornamento […] sulla tutela dell’ambiente e della fauna e sulla salvaguardia delle produzioni agricole».
Inoltre, la norma impugnata dispone espressamente che al «corpo di polizia provinciale» rimanga assegnato il ruolo del «coordinamento» dei piani di abbattimento, a dimostrazione che questi ulteriori soggetti risultano, in ogni caso, coinvolti in un ruolo meramente ausiliario.
4.1. – In questi termini e alla luce del quadro in precedenza descritto, l’integrazione disposta dalla norma regionale censurata merita di essere considerata come un’espressione legislativa che aumenta lo standard minimo di tutela ambientale previsto dalla disposizione statale: è infatti rivolta a riportare a un livello fisiologico la consistenza del personale qualificato destinato a eseguire i piani di abbattimento, ciò che appare necessario per attuare gli obiettivi, anche di tutela dell’ecosistema, previsti dallo stesso comma 2 dell’art. 19 della legge n. 157 del 1992.
La giurisprudenza di questa Corte, del resto, è costante nell’affermare che la collocazione della materia «tutela dell’ambiente [e] dell’ecosistema» tra quelle di esclusiva competenza statale non comporta che la disciplina statale vincoli in ogni caso l’autonomia delle Regioni. «Il carattere trasversale della materia, e quindi la sua potenzialità di estendersi anche nell’ambito delle competenze riconosciute alle Regioni, mantiene, infatti, salva la facoltà di queste di adottare, nell’esercizio delle loro attribuzioni legislative, norme di tutela più elevata» (sentenza n. 7 del 2019).
Questa Corte ha anche precisato che «la valutazione intorno alla previsione di standard ambientali più elevati non può essere realizzata nei termini di un mero automatismo o di una semplice sommatoria […] ma deve essere valutata alla luce della ratio sottesa all’intervento normativo e dell’assetto di interessi che lo Stato ha ritenuto di delineare nell’esercizio della sua competenza esclusiva» (sentenza n. 147 del 2019).
È quindi certamente significativo, proprio in questa prospettiva, considerare che lo stesso ISPRA, e già prima l’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), hanno realisticamente riconosciuto che «[m]olto spesso la disponibilità di personale d’istituto [ossia le guardie provinciali e gli altri soggetti pubblici di cui all’art. 19, comma 2, della legge statale] non è sufficiente per la realizzazione dei piani di controllo» (ISPRA, Linee guida per la gestione degli ungulati, 2013), rilevando altresì che «una intensa e diffusa attività di controllo necessita un impegno in termini di personale al quale difficilmente si riesce a far fronte con l’intervento delle sole figure istituzionali» (INFS, Linee guida per la gestione del cinghiale, 2003).
Si può quindi concludere che la censurata integrazione, da un lato, non si svolge in contrasto con la ratio della disposizione statale, né altera la procedimentalizzazione da questa prevista: l’autorizzazione dei piani di abbattimento e la verifica dell’attuazione dei medesimi restano, infatti, attività di esclusiva competenza dell’amministrazione pubblica, al cui personale rimane inoltre assegnato il coordinamento della fase esecutiva.
Dall’altro, essa è funzionale all’effettivo conseguimento anche delle stesse, prevalenti, finalità di tutela ambientale – che altrimenti rischierebbero di rimanere inattuate a causa di un’inadeguata disponibilità di personale qualificato – in ragione delle quali la norma statale prevede il controllo faunistico.
La norma censurata, riconducibile, come si è visto, anche a plurime competenze legislative regionali (tra le quali il governo del territorio, l’agricoltura, la protezione civile, la tutela della salute), risulta quindi funzionale a consentire di perseguire effettivamente le suddette finalità; pertanto si dimostra idonea a incrementare lo standard minimo di tutela ambientale stabilito dalla legge statale.
5.– La seconda questione sollevata dal rimettente riguarda il comma 4 dell’art. 37 della legge reg. Toscana n. 3 del 1994 e si sviluppa sul presupposto interpretativo che tra i soggetti considerati dalla norma vi sarebbero anche i cacciatori, che la Regione potrebbe affiancare al personale preposto per interventi di tutela della produzione agricola e zootecnica, compresi i piani di abbattimento, in contrasto con il carattere tassativo dell’elenco di cui al comma 2 dell’art. 19 della legge n. 157 del 1992.
5.1.– Tale presupposto è corretto, in quanto la norma censurata appare rivolta a ricomprendere interventi di controllo numerico della fauna selvatica e a coinvolgere, per l’attuazione dei connessi piani di abbattimento, anche i cacciatori, sempre «che abbiano frequentato appositi corsi di preparazione organizzati dalla Regione stessa sulla base di programmi concordati con l’ISPRA».
In questa direzione depongono alcuni indici, in particolare: a) l’uso del termine «cacciatori», riferito alla disposizione in esame, da parte del successivo comma 4-ter; b) l’interpretazione storico-sistematica del comma 4 in combinato disposto con il comma 3 (laddove, in precedenza, la Provincia era sia competente ad autorizzare i piani di abbattimento di cui al comma 3 e ad attuarli con le proprie guardie dipendenti, sia facoltizzata ad «affiancare al proprio personale» i soggetti di cui al comma 4, plausibilmente anche per l’attuazione dei predetti piani); c) l’attuazione regolamentare data alla disposizione stessa, in base alla quale ai corsi di abilitazione al controllo della fauna selvatica potevano essere ammessi «i cacciatori in possesso dell’abilitazione all’esercizio venatorio da almeno un anno» (art. 113, comma 6, del decreto del Presidente della Giunta della Regione Toscana 26 luglio 2011, n. 33, recante «Regolamento di attuazione della legge regionale 12 gennaio 1994, n. 3 “Recepimento della legge 11 febbraio 1992, n. 157 – Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”»).
5.2.– La questione non è fondata.
Si ripropongono infatti le medesime argomentazioni sviluppate al punto 4.1., con la conseguenza che l’integrazione disposta dalla norma regionale, anche in questo caso, e peraltro con evidenza ancora maggiore, assume il carattere di un intervento rivolto a incrementare lo standard di tutela ambientale fissato dalla disposizione statale.
Nell’impianto dell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, infatti, la possibilità di coinvolgere i cacciatori nei piani di abbattimento dipende unicamente: a) dalla loro qualità di proprietari o conduttori dei fondi interessati dai piani di abbattimento, oppure b) dalla circostanza di essere convocati dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Al contrario, nella norma censurata, la medesima possibilità è subordinata alla ben più pertinente condizione di aver acquisito una formazione specifica, «sulla base di programmi concordati con l’ISPRA», senza che sia sufficiente la mera titolarità di una licenza venatoria, come invece stabilito, da questo punto di vista, dalla norma statale. Non è peraltro indifferente precisare, anche in questo caso, che proprio il citato INFS ha avuto modo di soffermarsi sulla «figura del “coadiutore ai piani di controllo”, qualifica che può essere conseguita dalle diverse tipologie di cacciatori di ungulati in seguito ad uno specifico corso di formazione con relativo esame di abilitazione» (INFS, Linee guida per la gestione del cinghiale, 2003).
Infine, va anche qui considerato che il coinvolgimento di tale categoria di cacciatori non può che avvenire sotto il coordinamento della polizia provinciale, come del resto è espressamente stabilito dal precedente comma 3 con riguardo alla disciplina generale dei piani di abbattimento.
6.– La terza censura del rimettente concerne invece il comma 4-ter dell’art. 37 della legge reg. Toscana n. 3 del 1994, in quanto in sostanza stabilisce che, anche ai fini dell’attuazione dei piani di abbattimento, i cacciatori abilitati alla caccia di selezione agli ungulati e a quella al cinghiale con determinate tecniche («in braccata e girata») sono equiparati a quelli formati e selezionati in base al precedente comma 4.
La questione è fondata.
Pur essendo previsto che anche questa specifica categoria di cacciatori debba frequentare un corso e superare una prova finale, è dirimente considerare che la disposizione che li abilita (l’art. 28-quater, comma 2, della medesima legge reg. Toscana n. 3 del 1994) non esplicita, a differenza del precedente comma 4, che i programmi del corso sono concordati con l’ISPRA e riguardano anche le modalità con cui effettuare il controllo. Più genericamente si limita a prevedere, come nota il rimettente, «la frequenza ad un corso ed il superamento di un esame finale comprendente una prova scritta e una prova di tiro con carabina».
La differenza assume un rilievo sostanziale, trattandosi di abilitazioni relative ad attività di natura diversa: l’una di carattere meramente venatorio, seppur “qualificata”, l’altra, quella prevista dal comma 4, realizzata per finalità di tutela ambientale.
È quindi evidente che la norma censurata, a differenza delle altre due prima considerate, deroga all’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, ma non realizza un incremento dello standard minimo di tutela ambientale fissato dalla disposizione statale: essa si pone quindi in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Da questo punto di vista, a differenza dell’ipotesi prima considerata, trova conferma la giurisprudenza di questa Corte che ha costantemente escluso che l’elenco dei soggetti abilitati a partecipare alla realizzazione dei piani di abbattimento possa essere integrato attraverso il mero coinvolgimento dei cacciatori (da ultimo, sentenze n. 44 del 2019 e n. 217 del 2018), senza quindi la previsione di specifici e adeguati programmi di formazione in materia di tutela ambientale.
7.– Infine, oggetto dell’ultima questione sollevata è la previsione di cui al comma 4-quater dell’art. 37 della legge reg. Toscana n. 3 del 1994, ai sensi del quale «[l]a Regione per prevenire o eliminare i danni alle produzioni agricole autorizza, in qualsiasi periodo dell’anno, i cacciatori abilitati ai sensi del comma 4, i soggetti di cui all’articolo 51, i proprietari o conduttori dei fondi interessati e le squadre di caccia al cinghiale, indicate dall’ATC, al controllo dei cinghiali».
Secondo il rimettente, anche questa norma realizzerebbe il denunciato contrasto con la norma interposta statale, laddove consentirebbe di autorizzare al «controllo dei cinghiali» anche le guardie giurate private, mediante il richiamo ai soggetti di cui all’art. 51 della stessa legge reg. Toscana n. 3 del 1994, e i cacciatori; questi ultimi, sia in quanto abilitati ai sensi del precedente comma 4, sia come componenti delle «squadre di caccia al cinghiale».
7.1.– La questione non è fondata, nei termini che seguono.
È infatti possibile, a differenza di quanto ritenuto dal rimettente, una lettura costituzionalmente orientata della suddetta norma, nel senso che il termine «controllo dei cinghiali», genericamente utilizzato nella stessa, è bensì riferibile esclusivamente a quello attuato con metodi ecologici, senza alcuna possibilità di estenderlo anche ai piani di abbattimento, del resto mai evocati nel testo della disposizione in oggetto.
Da ciò consegue che la norma censurata viene ad assumere, con riferimento alla specie cinghiale, un carattere di chiusura nel sistema delineato dall’art. 37 della legge reg. Toscana n. 3 del 1994, e che non sussiste alcun contrasto con il comma 2 dell’art. 19 della legge n. 157 del 1992. L’elenco dei soggetti previsto da tale norma statale si riferisce, infatti, soltanto all’attuazione dei piani di abbattimento, in quanto realizzano la extrema ratio del controllo faunistico, mentre la medesima prescrizione la norma statale non dispone in relazione a quei metodi che, in quanto ecologici, non possono nemmeno potenzialmente trasmodare «nella compromissione della sopravvivenza di alcune specie faunistiche ancorché nocive» (sentenza n. 392 del 2005).
Pertanto, così interpretato, il censurato comma 4-quater dell’art. 37 della legge reg. Toscana n. 3 del 1994 non determina alcun contrasto con la norma interposta statale, dal momento che è da intendersi riferito esclusivamente al controllo ecologico.