<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 03 marzo 2021 n. 28</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>1.− Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con ordinanza del 3 luglio 2019, iscritta al n. 195 del reg. ord. 2019, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 3, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.− La norma è sospettata di illegittimità costituzionale nella parte in cui «per il caso di “gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti” non esclude dal computo dei consentiti 18 mesi di assenza per malattia i periodi non computabili secondo l’art. 35, comma 14, c.c.n.l. 2006-2009 – comparto Università, vale a dire i “giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital e quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie”».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.− Deduce il rimettente che il periodo di assenza per malattia, nel pubblico impiego non privatizzato, è disciplinato dagli artt. 68 e 70 del d.P.R. n. 3 del 1957, che prevedono un periodo massimo di assenza continuata pari a diciotto mesi, e un periodo massimo cumulato di assenza per malattia e per motivi di famiglia, pari a due anni e mezzo nel quinquennio (con possibilità di una ulteriore estensione, su domanda, per altri sei mesi, e dunque per un totale di tre anni), senza escludere dal computo i periodi di assenza per grave patologia, per ricovero e intervento chirurgico e successive terapie salvavita, ciò che invece è previsto per l’impiego pubblico contrattualizzato.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>A tal fine si prende in considerazione la disciplina dettata dall’art. 35 del Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) relativo al personale del comparto Università per il quadriennio normativo 2006-2009 e il biennio economico 2006-2007, il cui comma 14, in particolare, prevede: «In caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia di cui al comma 1 del presente articolo, oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital anche quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie […]».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Pertanto, si delineerebbe una disparità di trattamento tra le due categorie di dipendenti pubblici, una «discriminazione rilevante ai· sensi degli artt. 3 e 32 Cost.».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.1.− La norma censurata, come emerge dall’esame complessivo delle deduzioni svolte dal rimettente, violerebbe anche il principio di ragionevolezza, in quanto, sebbene intenda garantire il diritto alla conservazione del posto di lavoro rispetto alle assenze per malattia, non tiene conto delle situazioni derivanti dalle moderne terapie salvavita, caratterizzate dalla obbiettiva impossibilità di adempiere ai doveri d’ufficio.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.− Va premesso che per i dipendenti pubblici, così come per i lavoratori del settore privato, la malattia come causa di sospensione del rapporto di lavoro trova la sua regolazione nell’art. 2110 del codice civile, il quale, nell’affermare in via di principio la conservazione del posto di lavoro ed il relativo trattamento economico, rinvia per gli aspetti quantitativi e temporali alla legge o al contratto collettivo di riferimento.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>È dunque possibile che fra le due discipline emergano differenze anche sostanziali; ed è ciò che in effetti accade nel caso di specie in ordine al riconoscimento del cosiddetto periodo di comporto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.− Venendo al merito della questione sollevata, non può condividersi l’assunto del rimettente che tale differenza sarebbe lesiva dell’art. 3 Cost. sotto il profilo del principio di uguaglianza.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.1.− Si deve osservare, in linea generale, che i due tipi di rapporto di lavoro che vengono in rilievo presentano caratteristiche strutturali che con l’andare del tempo si sono sempre più differenziate, e ciò lungi dal potersi considerare una anomalia, suscettibile di censura ai sensi del principio di uguaglianza, risponde alle obiettive differenze di status, legate al carattere privatizzato o meno del rapporto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>È questo, in particolare, che è avvenuto nel caso di specie in cui esistono due diverse discipline delle complessive relazioni fra malattia e rapporto di lavoro, discipline espressione di delicati punti di equilibrio, che sono legati alle specificità del relativo rapporto, e che pertanto non sono suscettibili di un confronto diretto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.2.− A maggior ragione poi non è possibile prendere in considerazione il trattamento del particolare profilo qui in esame, elevando il contenuto di una delle due discipline – nella specie quella contrattuale – a tertium comparationis, non essendo in alcun modo possibile una sua valutazione isolata dal contesto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>6.− Tuttavia il mancato riconoscimento del periodo di comporto manifesta una intrinseca irrazionalità che lo rende costituzionalmente illegittimo per violazione, sotto questo diverso profilo, dell’art. 3 Cost., con assorbimento del residuo parametro (art. 32 Cost.).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>7.− Esso infatti è la manifestazione di un ritardo storico del legislatore rispetto alla contrattazione collettiva.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Quest’ultima (il CCNL del comparto Università non è isolato al riguardo), con la sua naturale dinamicità, è stata in grado di tener conto del progressivo sviluppo dei protocolli di cura per le gravi patologie, e in particolare delle cosiddette terapie salvavita con i loro pesanti effetti invalidanti; ciò al contrario non è avvenuto per la disciplina normativa, che, risalente ad anni ormai lontani, non è più adeguata al contesto attuale, caratterizzato – come si è detto – dalla profonda evoluzione delle terapie.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>8.− Né può affermarsi – come prospettato dalla difesa dello Stato − che i princìpi di cui agli artt. 9 e 33 Cost., trattandosi, nel caso di specie, di personale docente universitario, impedirebbero una così prolungata assenza dal servizio.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>È vero, infatti, che i valori protetti da questi articoli sono meritevoli della massima considerazione, ma non possono costituire un ostacolo alla stabilità del rapporto di lavoro.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>9.− Pertanto, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 68, comma 3, del d.P.R. n. 3 del 1957, nella parte in cui, per il caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti, non esclude dal computo dei consentiti diciotto mesi di assenza per malattia i giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital e quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie.</em></p>