<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 16 marzo 2021 n. 39</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), come modificato dall’art. 1, comma 87, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del 2018, sollevate, in riferimento agli artt. 24, 81, 97, 101, 102 e 108 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.2.– Nel merito, le questioni inerenti alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost. sono manifestamente infondate, poiché prive di argomenti sostanzialmente nuovi rispetto a quelle già sollevate con la menzionata ordinanza del giudice di legittimità e dichiarate non fondate con sentenza n. 158 del 2020.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In tale pronuncia questa Corte ha infatti concluso che il censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 «non si pone in contrasto né con il principio di capacità contributiva, né con quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria, con conseguente non fondatezza delle sollevate questioni».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In particolare, al punto 5.2.3. del Considerato in diritto, si è affermato che «tali parametri [...] sul piano della legittimità costituzionale non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti impositivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, senza alcun rilievo di elementi tratti aliunde, “salvo quanto disposto dagli articoli successivi” dello stesso testo unico.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In tal modo, del resto, il criterio di qualificazione e di sussunzione in via interpretativa risulta omogeneo a quello della tipizzazione, secondo le regole del testo unico e in ragione degli effetti giuridici dei singoli atti distintamente individuati dal legislatore nelle relative voci di tariffa ad esso allegata».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.– Avuto riguardo alle questioni formulate in via subordinata, il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del 2018 in quanto il legislatore, nel disporre che l’art. 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017 «costituisce interpretazione autentica» dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, avrebbe in realtà imposto <strong>la retroattività di quest’ultima norma</strong> «nella sua nuova ridotta portata», in violazione di plurimi parametri costituzionali.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.1.– In particolare, il giudice a quo, dopo aver escluso in premessa – sulla scorta della consolidata giurisprudenza di questa Corte – la decisività della distinzione tra norme innovative o interpretative ai fini del vaglio di legittimità costituzionale, ritiene tuttavia che il censurato art. 1, comma 1084, vìoli, innanzitutto, l’art. 3 Cost. per tre profili di irragionevolezza.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il primo atterrebbe alla mancanza di un «persistente contrasto interpretativo» da risolvere «in nome del supremo principio, nazionale e sovranazionale, di certezza del diritto», in quanto la giurisprudenza di legittimità avrebbe, «pressoché unanimemente», affermato la natura innovativa e non interpretativa dell’intervento legislativo del 2017 (sono citate le sentenze della Corte di cassazione, sezione quinta civile, 26 gennaio 2018, n. 2007; 23 febbraio 2018, n. 4407; 28 febbraio 2018, n. 4589; 28 febbraio 2018, n. 4590; 28 marzo 2018, n. 7637; 8 giugno 2018, n. 14999; 9 gennaio 2019, n. 362).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Inoltre, poiché prima del suddetto intervento, una situazione di «certezza del diritto» «poteva dirsi raggiunta alla luce della uniforme applicazione dell’art. 20 tur (vecchio testo) da parte della giurisprudenza di legittimità», il legislatore, anziché tutelare detto principio, avrebbe in realtà «forzato l’applicazione» della riformulazione operata dall’art. 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017, imponendola a fattispecie poste in essere nel vigore del previgente art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il secondo profilo di irragionevolezza, strettamente collegato al precedente, riguarderebbe la non «prevedibilità del significato precisato» dalla norma indubbiata, stante – ad avviso del rimettente – il «carattere della novità» dell’appena citato art. 1, comma 87.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il terzo, infine, discenderebbe dall’impossibilità di giustificare la retroattività disposta dall’art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del 2018, con «motivi imperativi di interesse generale», secondo il principio desumibile dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, «che la giurisprudenza costituzionale tradu[rrebbe] nell’ordinamento italiano come “tutela di principi, diritti e beni di rilievo costituzionale”»; al contrario, proprio l’intervento normativo del 2017 lederebbe i principi di parità di trattamento e di capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La disposizione censurata recherebbe, inoltre, un vulnus agli artt. 81 e 97 Cost., sotto il profilo del «fondamentale principio dell’equilibrio di bilancio».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’imposizione della retroattività priverebbe infatti, a parere del giudice a quo, «l’erario […] di diritti che [sarebbero] già acquisiti all’erario stesso, sia pure in nuce», con un conseguente squilibrio di bilancio e una perdita di risorse economiche «necessarie ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’Unione Europea».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Sarebbero altresì lesi, secondo il rimettente, gli artt. 101, 102 e 108 Cost., in quanto «[p]ur se la questione della sussistenza di una riserva di giurisdizione è tema controvertibile (e denso di implicazioni dogmatiche e politiche), non vi è dubbio che, nel caso di specie, il legislatore [sarebbe intervenuto] “a piè pari”, per interpretare una norma, in senso radicalmente difforme rispetto alla interpretazione unanime della giurisprudenza».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Risulterebbe, infine, violato l’art. 24 Cost., poiché l’art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del 2018 menomerebbe l’Agenzia delle entrate nel diritto di difendersi «secondo la legislazione su cui aveva impostato la propria costituzione con le controdeduzioni».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.2.– Le questioni sollevate in riferimento all’art. 3 Cost. non sono fondate.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.2.1.– Al fine di inquadrarle correttamente, occorre innanzitutto soffermarsi sulla natura della norma censurata (art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del 2018), che stabilisce: «[l]’articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce <strong>interpretazione autentica</strong> dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Si tratta a ben vedere di una peculiare vicenda normativa: la suddetta disposizione, infatti, introdotta nel 2018 con il maxiemendamento alla legge di bilancio, non detta direttamente, come spesso avviene, un contenuto che viene definito dalla stessa quale interpretazione autentica di una precedente disciplina. Essa è invece rivolta a definire, esplicitandola con la forza della legge, la natura di un <strong>pregresso intervento legislativo</strong>, quello del 2017, che non si era auto-qualificato, affermandone il carattere di interpretazione autentica e di conseguenza determinandone l’efficacia retroattiva.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ne discende che, in questo caso, ai fini del sindacato di costituzionalità è opportuno preliminarmente misurarsi non con la norma del 2018, ma con quella del 2017.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Una volta assunta questa prospettiva, va ulteriormente precisato che non diventa però dirimente stabilire se la novella del 2017 abbia carattere innovativo o interpretativo: questione, peraltro, sulla quale la dottrina si è divisa; la giurisprudenza di legittimità, come ricordato dal rimettente, ha optato (anteriormente all’intervento del 2018) per la prima soluzione; parte di quella di merito per la seconda (ad esempio, Commissione tributaria regionale di Reggio Emilia, sezione nona, sentenza 22 gennaio 2018, n. 199).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>È pur vero che questa Corte, infatti, in più occasioni, con riguardo a norme che pretendono di avere natura interpretativa, ha ritenuto che la palese erroneità di tale auto-qualificazione può costituire un indice della irragionevolezza della disposizione impugnata (in tal senso, sentenza n. 103 del 2013); così come ha affermato che la natura realmente interpretativa di una determinata disciplina può non risultare indifferente ai fini dell’esito del controllo di legittimità costituzionale (sentenza n. 108 del 2019).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ma sia in un caso che nell’altro ha ritenuto, in ultima analisi, non dirimente tale accertamento, essendosi «ripetutamente espressa nel senso della sostanziale indifferenza, quanto allo scrutinio di legittimità costituzionale», della distinzione tra norme di interpretazione autentica e norme innovative con efficacia retroattiva, in quanto ciò che risulta realmente decisivo è <strong>che la retroattività trovi adeguata giustificazione</strong> sul piano della <strong>ragionevolezza</strong> – certamente valutata anche, ma non solo, alla luce dei suddetti indici – e non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti (sentenza n. 73 del 2017).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.2.2.– Nel caso di specie ciò che viene in considerazione non è quindi l’indirizzo giurisprudenziale maturato nel brevissimo lasso temporale intercorrente tra i due interventi normativi e che, secondo il rimettente, «aveva riconosciuto, pressoché unanimemente, la natura innovativa e non interpretativa» della «novella del 2017».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Rileva piuttosto l’intera, decennale, vicenda che ha interessato la complessa questione dell’applicazione dell’imposta di registro, caratterizzata, come questa Corte ha evidenziato nella sentenza n. 158 del 2020, da uno stratificarsi di interpretazioni, che la giurisprudenza ha sviluppato anche in risposta alle varie forme in cui l’ordinamento si andava evolvendo per volontà del legislatore (che, dapprima, ha introdotto, nella disciplina dell’imposta, l’esplicito riferimento agli «effetti giuridici» dell’atto e poi, più in generale, per tutti i tributi, ha disciplinato <strong>l’abuso del diritto</strong>).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In tale sentenza, questa Corte ha precisato che l’art. 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017, «appare finalizzato a ricondurre il citato art. 20 all’interno del suo alveo originario, dove l’interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione (ovverossia al gestum, rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al testo unico)», concludendo che «proprio la clausola finale del censurato art. 20 “salvo quanto disposto dagli articoli successivi” concorre ad avvalorare la suddetta valenza sistematica dell’intervento legislativo del 2017 nell’assetto della disciplina del tributo».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tale valenza sistematica, nella medesima sentenza, è stata peraltro evidenziata anche nel <strong>raccordo con l’abuso del diritto</strong>, precisando «sul piano costituzionale, che l’interpretazione evolutiva, patrocinata dal rimettente, di detto art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Infatti, consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea)».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.2.3.– Alla luce di quanto appena chiarito le questioni sollevate in riferimento all’art. 3 Cost., sotto tutti i profili indicati, non sono fondate.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.2.3.1.– Quanto al primo profilo, si deve escludere che possa essere considerato irragionevole attribuire efficacia retroattiva a un intervento che, come quello descritto, <strong>ha assunto un carattere di sistema</strong>.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Senza che sia necessario addentrarsi a stabilire se la presa di posizione del legislatore del 2017 abbia o meno esplicitato una delle possibili variabili di senso ascrivibili alla precedente formulazione dell’art. 20, rileva prima di tutto che tale intervento ha certamente fissato uno dei contenuti normativi riconducibili, più che all’ambito semantico di una singola disposizione, a quello dell’intero «impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro», dove la sua origine storica di “imposta d’atto” «non risulta superata dal legislatore positivo» (sentenza n. 158 del 2020).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Solo su un altro piano – che, essendo stato sviluppato unicamente nella prospettiva delle possibili, future, scelte legislative, però non rileva nella presente valutazione – nella medesima sentenza è stato poi precisato che «[r]esta ovviamente riservato alla discrezionalità del legislatore provvedere – compatibilmente con le coordinate stabilite dal diritto dell’Unione europea – a un eventuale aggiornamento della disciplina dell’imposta di registro che tenga conto della complessità delle moderne tecniche contrattuali e dell’attuale stato di evoluzione tecnologica, con riguardo, in particolare, sia al sistema di registrazione degli atti notarili, sia a quello di gestione della documentazione da parte degli uffici amministrativi finanziari».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Né alla suddetta conclusione può opporsi quanto dedotto dal rimettente in ordine alla «certezza del diritto» che, prima dell’intervento del 2017, «poteva dirsi raggiunta alla luce della uniforme applicazione dell’art. 20 tur (vecchio testo) da parte della giurisprudenza di legittimità» (interpretazione in realtà non del tutto unanime nella stessa giurisprudenza di legittimità, come già rilevato nella sentenza n. 158 del 2020, e fortemente avversata dalla dottrina).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Infatti, la legittimità di un intervento che attribuisce forza retroattiva a una genuina norma di sistema non è contestabile nemmeno quando esso sia determinato dall’intento di rimediare a un’opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore (sentenza n. 402 del 1993).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.2.3.2.– Il secondo profilo di irragionevolezza, strettamente collegato al precedente, atterrebbe alla non «prevedibilità del significato precisato» dalla norma censurata, stante «il carattere della novità» dell’intervento normativo sull’art. 20 operato dall’art. 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Anche tale censura, svolta peraltro in evidente contraddizione con la premessa formulata dallo stesso rimettente circa l’irrilevanza della distinzione tra norme innovative e interpretative, è infondata: essa rimane, infatti, integralmente assorbita dalle considerazioni appena svolte. Peraltro, i tre elementi di novità – evidenziati dal rimettente (utilizzo del singolare “atto”; divieto di valorizzazione degli elementi extratestuali e atti collegati; salvezza degli articoli successivi anche al fine di contestare l’abuso) allo scopo di dolersi della non prevedibilità e dunque dell’irragionevolezza – sono in buona parte quelli sulla cui base questa Corte nella sentenza n. 158 del 2020 ha riconosciuto «rispettata la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.2.3.3.– Il terzo profilo di irragionevolezza, infine, discenderebbe, ad avviso del rimettente, dall’impossibilità di giustificare la retroattività della norma per «motivi imperativi di interesse generale» secondo il principio desumibile dall’art. 6 CEDU, «che la giurisprudenza costituzionale traduce nell’ordinamento italiano come “tutela di principi, diritti e beni di rilievo costituzionale”»: secondo il giudice a quo proprio l’intervento normativo del 2017 lederebbe «il principio di parità di trattamento (uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost.) e di capacità contributiva (art. 53 Cost.)».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Neanche questa censura è fondata. Non solo la sentenza n. 158 del 2020 ha escluso, come detto, che la disciplina del 2017 leda gli artt. 3 e 53 Cost., ma soprattutto, come altresì notato dall’amicus curiae (l’Associazione nazionale tributaristi italiani, sezione Lombardia), nella giurisprudenza sovranazionale si riconosce che le norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti della persona «contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione» e non viceversa, come invece, paradossalmente, rappresentato dal rimettente.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.3.– Le questioni sollevate in riferimento agli artt. 81 e 97 Cost. sono inammissibili.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il rimettente, infatti, non lamenta un difetto di copertura ai sensi dell’art. 81, terzo comma, Cost., ma una lesione del «fondamentale principio dell’equilibrio di bilancio», evocando in modo meramente assertivo un nesso di causalità tra la norma censurata e la perdita per l’erario delle risorse «necessarie ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’Unione Europea».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La censura, da un lato, afferma in modo contraddittorio che si tratterebbe di «diritti che sono già acquisti all’erario stesso, sia pure in nuce» e, dall’altro, trascura del tutto di considerare che la «riqualificazione in termini sostanziali di operazioni economiche complesse» di cui sarebbe stata privata, a suo dire, l’Amministrazione finanziaria, continua invece a essere praticabile dalla stessa secondo le regole procedurali e sostanziali prescritte per l’accertamento dell’abuso del diritto (art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente»).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La dedotta lesione dell’art. 97 Cost., poi, non è sostenuta da alcuna argomentazione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Alla luce dei rilievi che precedono è evidente che il rimettente non ha assolto l’onere di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza del prospettato dubbio di legittimità costituzionale, formulando la doglianza in modo generico e finanche ipotetico.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.4.– Altresì inammissibile è la questione inerente alla violazione degli artt. 101, 102 e 108 Cost., evocati cumulativamente.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Lo stesso rimettente premette, delimitando la propria prospettazione, che la «sussistenza di una riserva di giurisdizione è tema controvertibile (e denso di implicazioni dogmatiche e politiche)» senza tuttavia poi esplicitare alcun ulteriore argomento giuridico per cui, in confronto con gli stessi, sarebbe censurabile l’intervento del legislatore.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La questione è pertanto inammissibile, in quanto formulata in modo addirittura perplesso, così da risultare generica e, comunque, immotivata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.5.– Inammissibile, infine, è anche la questione sollevata in riferimento all’art. 24 Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il rimettente si limita a dolersi della violazione di un asserito diritto dell’Agenzia delle entrate a difendersi sulla base di un quadro normativo cristallizzato al tempo della predisposizione delle proprie difese. Tuttavia, tale assunto, non ulteriormente declinato attraverso adeguate argomentazioni, si risolve in una indimostrata e meramente affermata impossibilità per il legislatore di emanare norme retroattive che incidano su giudizi in corso: va conseguentemente dichiarata l’inammissibilità della questione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p>