<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La confisca è misura polimorfa: in date fogge si applica senza condanna (confisca preventiva), in altre la presuppone (confisca successiva, quale misura di sicurezza); talvolta opera su beni strettamente avvinti al commesso reato, talaltra su beni che sono pericolosi perché chi ne dispone ha commesso un certo reato (o, nel caso della confisca preventiva, quand’anche non lo abbia commesso), senza tuttavia che a quest’ultimo (il reato) tali beni siano direttamente legati; talvolta è formalmente e sostanzialmente un misura di sicurezza, come tale applicabile anche retroattivamente, talaltra è nella sostanza una pena (sotto mentite spoglie formali di misura di sicurezza), incorrendo allora nel rigoroso divieto – previsto a livello così interno come internazionale – di applicazione retroattiva </em>in malam partem<em>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">La confisca dei beni del condannato è presente all’interno del <strong>sistema punitivo romano</strong> già in epoca <strong>Repubblicana</strong>, attraverso l’istituto della c.d. <strong><em>publicatio bonorum</em></strong>, disposta <strong>unitamente alla condanna</strong> ed, in genere, <strong>accompagnantesi</strong> alla perdita dello <strong><em>status</em> di cittadino Romano</strong> (c.d. <em>capitis deminutio media</em>); una sorta di <strong>conseguenza necessaria</strong> dunque dell’<strong>accertamento del fatto illecito,</strong> assai più che <strong>semplice accessorio</strong> rispetto all’<strong>irrogazione della pena</strong>, atteso come al giudice sia <strong>sottratta ogni forma di sindacato</strong> (potere <strong>vincolato</strong>) in merito alla <strong>relativa applicazione</strong>, dovendosi assumere la ridetta <em>publicatio bonorum</em> <strong>operativa <em>ipso iure</em></strong>, quale <strong>effetto penale della condanna</strong>. Esclusi i casi in cui essa si atteggia a <strong>sanzione principale</strong> per <strong>delitti meno gravi</strong>, l’ablazione viene dunque in genere correlata – per via <strong>accessoria</strong> - alla commissione di <strong>delitti di particolare gravità</strong>, come la pubblicistica <strong><em>perduellio</em></strong> (genericamente assimilabile ad un <strong>alto tradimento</strong> verso lo <strong>Stato</strong>) ed il privatistico <strong>parricidio</strong> cui segue, di norma, l’irrogazione della <strong>pena capitale</strong>, unica legalmente riconosciuta in epoca repubblicana; solo successivamente, con <strong>l’ampliamento</strong> del novero delle <strong>pene principali</strong> (oltre alla condanna a morte), la misura viene applicata anche in conseguenza della c.d. <strong><em>relegatio</em></strong>, da intendersi genericamente come <strong>deportazione</strong> ed <strong>interdizione</strong>. Si ha <em>publicatio bonorum</em> anche nelle ipotesi, del pari <strong>assai gravi</strong>, di <strong>condanna a pena principale</strong> <em>sub specie</em> di “<strong><em>interdìctio aqua et igni</em></strong>” (<strong>allontanamento coatto e definitivo</strong> dal <strong>territorio romano</strong>: coloro che subiscono questo provvedimento <strong>non possono più rientrare in Patria</strong> e, se varcavano <strong>i confini dell’Urbe</strong>, non solo <strong>non riacquistano</strong> la capacità giuridica del <em>civis Romanus</em>, ma possono financo <strong>essere impunemente aggrediti</strong> da qualsiasi <strong>cittadino</strong>, mentre in <strong>periodo classico</strong> subiscono le <strong>pena pubblica</strong> della <strong><em>deportatio in insulam</em></strong> ); o, più tardi, <em>sub specie</em> di <strong><em>damnàtio ad metalla</em></strong> (<strong>pena corporale</strong> consistente in <strong>lavori forzati</strong> da espiare <strong>presso miniere</strong>; i condannati <em>in metallum</em> sono considerati sostanzialmente <strong>degli schiavi</strong>). Nel sistema punitivo romano della Repubblica dunque la <strong><em>publicatio bonorum</em></strong> si palesa <strong>inscindibilmente avvinta</strong> alla commissione di <strong>delitti</strong> ed alla irrogazione di <strong>pene</strong> che, come è stato fatto notare, comportano la <strong>sostanziale espunzione</strong> del reo dalla <strong>cerchia sociale,</strong> giusta eliminazione fisica (condanna a <strong>morte</strong>) ovvero a seguito di <strong>deportazione;</strong> rispetto a tale allontanamento (o a tale dipartita fisica), il <strong>deferimento al popolo</strong> delle <strong>sostanze</strong> del condannato si colloca in linea di <strong>naturale e logico <em>continuum</em></strong>, quale <strong>ulteriore strumento</strong> (di natura <strong>patrimoniale</strong>) per la <strong>definitiva cancellazione</strong> del <strong>novello</strong> <strong><em>hostis</em></strong> (nemico) dal novero dei <strong><em>cives Romani</em></strong>. Una ablazione peraltro <strong>sprovvista</strong> di qualsivoglia <strong>nesso eziologico</strong> con la <strong>concreta condotta criminosa</strong> perpetrata dal condannato e che – in termini <strong>quantitativi</strong> - abbraccia <strong>l’interezza del relativo patrimonio</strong> senza limitazione alcuna (onde, nelle più blande ipotesi di <strong>deportazione</strong>, in <strong>proprietà</strong> del condannato <strong>non rimane nulla</strong>), senza che <strong>alcun limite</strong> possa riscontrarsi neppure nella <strong>presenza di eredi</strong> i quali, a cagione del reato commesso da loro congiunto (ascendente), vengono di fatto <strong>privati del diritto a succedere</strong>: un temibile strumento dunque, capace di significativa potenza afflittiva non solo nei confronti del condannato, ma anche dei <strong>relativi aventi causa</strong>, onde le <strong>conseguenze nefaste</strong> dell’azione criminosa producevano <strong>effetti infausti</strong> sull’<strong>intera “<em>familia</em>”</strong> del condannato. Proprio per tale <strong>eccessiva afflittività</strong> della misura, in epoca imperiale la relativa applicazione viene sovente mitigata da <strong>interventi correttivi</strong> dell’<strong>Imperatore,</strong> come nel caso del <strong><em>viaticum</em></strong>, quale <strong>piccolo patrimonio</strong> che <strong>l’esule può prendere</strong> perché possa <strong>trasferirsi</strong> ed installarsi nella <strong>terra d’esilio; </strong>o delle “<strong><em>portiones concessae</em></strong>”, <strong>piccoli lasciti</strong> elargiti agli <strong>eredi</strong> a seguito della <strong>condanna del loro dante causa</strong>; o ancora di una <strong>pensione</strong>, sovente consistente, detta “<strong><em>annuum</em></strong>”; istituti di “<strong><em>clemenza</em></strong>” che tuttavia non entrano <strong>in frizione con il principio</strong> onde al reo va confiscata la <strong>totalità dei suoi beni</strong>, compendiando piuttosto <strong>graziose ed arbitrarie concessioni</strong> del <strong>potere imperiale</strong>, tipiche espressioni di quell’<strong><em>imperium</em></strong> sul quale si fonda l’intero sistema punitivo <strong>in epoca classica </strong>(periodo nel quale peraltro – e sul crinale opposto rispetto alla cennata <strong>mitigazione di regime</strong> - la confisca, operativa nella c.d <strong><em>cognitio extra ordinem</em></strong> e dunque ormai al di <strong>fuori</strong> del <strong>processo formulare</strong>, assume il nome di <strong><em>ademptio bonorum</em></strong>, con connotati talvolta di <strong>maggiore autonomia</strong> rispetto alla irrogazione di <strong>specifiche pene principali</strong>, e con confluenza dei beni “<em>confiscati</em>” nel <strong><em>Fiscus</em></strong>). Più tardi, le ridette <strong><em>concessiones</em></strong> si trasformano in <strong>veri e propri diritti</strong> in capo agli <strong>eredi</strong> del condannato ed anzi, per i casi di <strong>condanna a morte</strong>, in presenza di <strong>eredi</strong> la <em>publicatio bonorum</em> prende a <strong>non operare più</strong>, mentre per le fattispecie di <strong>deportazione</strong> l’erario continua a vantare <strong>diritti</strong> sul <strong>patrimonio del reo</strong> e tuttavia <strong>non più per l’intero</strong> ma per <strong>la metà</strong> laddove presenti <strong>figli</strong>, o per <strong>quota ancora minore</strong> in caso di presenza di <strong>altri eredi oltre ai figli.</strong> Nel <strong>421</strong> l’imperatore <strong>Teodosio</strong> sopprime la distinzione tra <strong>condannati a morte</strong> ed <strong>alla deportazione</strong>, con conseguente, sostanziale <strong>inoperatività </strong>della <strong><em>publicatio bonorum</em></strong>; infine il <strong>diritto giustinianeo</strong> - pur informato al principio secondo cui “<em>non enim res qui delinquit, sed qui res possident</em>” (non sono le cose a delinquere, ma coloro che posseggono cose) - sostanzialmente <strong>conferma</strong> la sostanziale <strong>soppressione</strong> della pena della <strong>confisca</strong>. Va precisato tuttavia come il regime resti molto rigoroso in caso di condanna per <em>perduellio</em> onde, stante la gravità del reato in tal caso commesso, il condannato continua ad essere punito con la morte e con la confisca generale dei beni.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1889</strong></p> <p style="text-align: justify;">La codificazione liberale <strong>Zanardelli</strong> non prevede <strong>in via generale</strong> quelle che verranno <strong>poi</strong> definite “<strong><em>misure di sicurezza</em></strong>” (avvincibili al concetto di “<strong><em>pericolosità</em></strong>” del reo); disciplina tuttavia – <strong>senza</strong> una <strong>specifica presa di posizione</strong> sul piano della relativa <strong>collocazione sistematica</strong> - la <strong>confisca</strong> all’<strong>art.36</strong> tra gli “<strong><em>effetti dell’esecuzione delle condanne penali</em></strong>”, onde – in caso di <strong>condanna</strong> – il giudice <strong>può</strong> (<strong>discrezionalmente</strong>) ordinare appunto la <strong>confisca</strong> delle <strong>cose che servirono o furono destinate a commettere il delitto </strong>(non, dunque, la <strong>contravvenzione</strong>), e delle cose che <strong>ne sono il prodotto</strong>, purché <strong>non appartengano a persone estranee</strong> al <strong>delitto</strong> (così palesandosi già una certa <strong>sensibilità</strong> per la <strong>tutela dei terzi</strong>). La norma, al <strong>comma 2</strong>, precisa poi che ove si tratti di cose la cui <strong>fabbricazione</strong>, <strong>uso</strong>, <strong>porto,</strong> <strong>detenzione</strong> o <strong>vendita</strong> costituiscano <strong>reato</strong>, la relativa confisca <strong>è sempre ordinata</strong> dal giudice (e dunque <strong>non è discrezionale</strong>, come nelle ipotesi di cui al comma 1), quand’anche <strong>non vi sia condanna</strong> ed ancorché esse <strong>non appartengano</strong> all’imputato (e dunque appartengano <strong>a terzi</strong>). Un caso particolare di confisca è poi quello disciplinato dall’<strong>art.486</strong> del codice onde, in ogni caso di <strong>contravvenzione</strong> per <strong>giuoco d’azzardo</strong>, il <strong>denaro</strong> esposto nel giuoco e gli <strong>arnesi</strong> od <strong>oggetti</strong> adoperati o destinati per il medesimo “<strong><em>si confiscano</em></strong>”. Su altro crinale, lo stesso codice prevede poi tra le <strong>cause di estinzione della pena</strong> la <strong>morte del reo</strong> all’<strong>art.85</strong>, il cui <strong>comma 2, in caso appunto di morte del condannato, prevede l’estinzione anche della pena pecuniaria non soddisfatta</strong> e di <strong>tutti gli effetti penali della condanna</strong> medesima (che <strong>non si trasferiscono</strong>, dunque, agli <strong>eredi</strong>), pur ribadendo tuttavia come detta morte <strong>non impedisca</strong> l’esecuzione delle <strong>confische</strong>. Tra le <strong>cause di “<em>condono</em>”</strong> (oltre che di <strong>commutazione</strong>) della pena il codice annovera anche <strong>l’indulto e la grazia</strong> all’<strong>art.87</strong>, precisando tuttavia ancora una volta (<strong>art.89</strong>) come il condannato <strong>non abbia in ogni caso diritto</strong> alla <strong>restituzione delle cose confiscate</strong> (né delle <strong>somme</strong> pagate a titolo di <strong>pena pecuniaria</strong>).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Nel codice penale Rocco la confisca viene prevista <strong>all’art.240</strong> quale <strong>misura di sicurezza patrimoniale</strong> legata ad una <strong>intervenuta condanna</strong> in sede di cognizione, tanto nella <strong>versione facoltativa</strong> – onde il giudice penale <strong>può ordinare</strong> la confisca medesima – quanto nella <strong>versione obbligatoria</strong>, concernente <strong>cose legate al commesso reato</strong>, come nel caso (comma 2, n.1) di quelle che <strong>ne costituiscono il prezzo</strong>. Trattandosi di <strong>misura di sicurezza</strong>, la confisca <strong>soggiace</strong> poi al <strong>regime di cui all’art.200</strong> onde le misure di sicurezza sono <strong>regolate</strong> dalla <strong>legge in vigore</strong> al tempo della <strong>loro <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4553.html">applicazione</a></strong>, potendo come tali concernere <strong>anche fatti anteriori</strong> alla ridetta <strong>legge che le prevede</strong>; peraltro, se la legge del <strong>tempo in cui deve eseguirsi</strong> la misura di sicurezza è <strong>diversa</strong>, si applica la legge in vigore <strong>al tempo della <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4554.html">esecuzione</a></strong>. Alla <strong>normale retroattività <em>in malam partem</em></strong> delle <strong>leggi</strong> che prevedeno <strong>misure di sicurezza</strong> si giustappone la <strong>irretroattività</strong> di quelle che invece <strong>prevedono reati e pene</strong>, alla stregua dell’<strong><em>incipit</em></strong> del codice stesso, secondo il cui <strong>articolo 1</strong> nessuno può essere punito per un <strong>fatto</strong> che non sia <strong>espressamente preveduto come <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4329.html">reato</a></strong> dalla <strong>legge</strong>, né con <strong><a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4287.html">pene</a></strong> che non siano <strong>da essa stabilite</strong>, e secondo il cui <strong>articolo 2</strong> nessuno può essere <strong>punito</strong> per un <strong>fatto</strong> che, secondo la <strong>legge del tempo</strong> in cui <strong>fu commesso</strong>, <strong>non costituiva <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4329.html">reato</a>.</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Viene varata la <strong>Costituzione</strong> che all’<strong>art.25</strong> prevede <strong><em>in primis</em></strong> (<strong>comma 2</strong>) come <strong>nessuno</strong> può essere <strong>punito</strong> se non in forza di <strong>una legge</strong> che sia <strong><a href="https://www.brocardi.it/dizionario/292.html">entrata in vigore</a> prima del fatto commesso</strong>, cristallizzando in tal modo il <strong>principio di legalità</strong>, massime sul crinale della <strong>non retroattività della norma penale</strong> (sfavorevole). Il successivo <strong>comma 3</strong> viene esplicitamente dedicato alle <strong>misure di sicurezza</strong>, prevedendo che <strong>nessuno</strong> possa essere sottoposto appunto a dette misure di sicurezza se non nei <strong>casi previsti dalla legge</strong>: viene dunque confermato che è <strong>la legge</strong> a dire <strong>in quali casi</strong> può essere applicata una <strong>misura di sicurezza</strong>, ma in questo ipotesi <strong>non necessariamente</strong> per <strong>fatti commessi dopo</strong>, potendo applicarsi anche a <strong>fatti commessi antecedentemente</strong> alla relativa <strong>entrata in vigore</strong>. Si prevede poi la <strong>natura personale della responsabilità penale</strong>, cui è connessa la <strong>funzione tendenzialmente rieducativa della pena</strong> (art.27): il condannato deve percepire la pena come tendenzialmente rieducativa per la commissione di un fatto penalmente rilevante <strong>che gli viene rimproverato</strong>, circostanza particolarmente importante in fattispecie, come le <strong>misure di sicurezza (anche) patrimoniali</strong>, in cui la <strong>pericolosità</strong> del soggetto diviene <strong>motivo di rimprovero</strong> al soggetto medesimo e “<strong><em>causa</em></strong>” della misura stessa, nell’<strong>interesse generale</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1950 </strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 novembre viene firmata a Roma la <strong>Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali</strong> (CEDU). Importante qui, <strong><em>ratione materiae</em></strong>, il relativo <strong>articolo 7</strong>, significativamente rubricato <strong><em>nulla poena sine lege</em></strong>, secondo il cui <strong>comma 1</strong> <strong>nessuno</strong> può essere <strong>condannato</strong> per una <strong>azione o una omissione</strong> che, al momento in cui <strong>è stata commessa</strong>, <strong>non costituiva reato</strong> secondo il <strong>diritto interno o internazionale</strong>, né può essergli inflitta <strong>una pena più grave</strong> di quella <strong>applicabile</strong> al momento in cui il reato <strong>è stato commesso</strong>. Al comma 2 si chiarisce poi che <strong>nessun ostacolo</strong> verrà frapposto al <strong>giudizio</strong> e alla <strong>condanna</strong> di una persona <strong>colpevole</strong> di una <strong>azione</strong> o di una <strong>omissione</strong> che, al momento in cui <strong>è stata commessa</strong>, costituiva un <strong>crimine</strong> secondo i <strong>principi generali</strong> <strong>di diritto</strong> riconosciuti dalle <strong>nazioni civili</strong>. La norma ricollega la <strong>irretroattività</strong> ad una <strong>nozione “<em>sostanziale</em>” di pena</strong>, alla quale <strong>potrebbe essere ricondotta</strong> – per quanto concerne <strong>l’Italia</strong> – anche quella che <strong>formalmente</strong> è una <strong>misura di sicurezza</strong>, per la quale <strong>vige invece</strong> il <strong>principio opposto</strong> della <strong>retroattività applicativa ex art.200</strong> c.p., profilandosi in tal modo una <strong>potenziale frizione</strong> tra le <strong>due disposizioni</strong>, almeno per quanto concerne <strong>confische di tipo diverso</strong> rispetto a <strong>quella di cui all’art.240</strong> c.p., quali verranno <strong>via via introdotte</strong> dal <strong>legislatore interno</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1955</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 agosto viene varata la legge n.848, con la quale <strong>l’Italia ratifica la CEDU</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 giugno viene varato il <strong>decreto legge n. 306</strong>, recante <strong>modifiche urgenti</strong> al <strong>nuovo codice di procedura penale</strong> e provvedimenti di <strong>contrasto alla criminalita' mafiosa</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto viene varata la <strong>legge n.356</strong> che <strong>converte in legge</strong>, con modificazioni, il <strong>decreto legge n.306</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 giugno viene varato il <strong>decreto legge n.399</strong>, che dispone (con <strong>l'art. 2, comma 1</strong>) l'introduzione dell'<strong>art. 12.sexies</strong> nel <strong>decreto legge n.306.92</strong>. Fa il proprio <strong>ingresso</strong> nel sistema ordinamentale la figura della c.d. <strong>confisca “<em>allargata</em>”</strong>, di natura <strong>obbligatoria</strong>, applicabile in seguito a <strong>condanna</strong> per <strong>taluni delitti</strong> di <strong>stampo mafioso</strong> ovvero concernenti il <strong>traffico illecito di sostanze stupefacenti</strong>. Si tratta di <strong>confisca “<em>allargata</em>”</strong> perché muove dalla <strong>individuazione di tutti i beni</strong> rientranti nella <strong>disponibilità del condannato</strong>, quand’anche <strong>per interposta persona</strong>, e dalla <strong>presa d’atto</strong> della <strong>sproporzione</strong> tra <strong>tale patrimonio complessivo</strong> ed i <strong>redditi dichiarati</strong> o comunque <strong>derivanti da attività lecite</strong> del medesimo, <strong>senza</strong> che il condannato riesca a <strong>giustificare tale sproporzione</strong> provando la <strong>provenienza (lecita)</strong> delle <strong>entità patrimoniali “<em>fuori asse</em>”</strong> rispetto alle <strong>proprie entrate reddituali</strong>: in queste ipotesi, il <strong><em>surplus</em> “<em>sproporzionato</em>”</strong> è appunto <strong>oggetto di confisca “<em>allargata</em>”</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 agosto viene varata la <strong>legge n.501</strong> che converte, con modificazioni, il <strong>decreto legge 399</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1995</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 febbraio esce la <a href="http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=700358&portal=hbkm&source=externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649">sentenza della <strong>Corte EDU</strong> n. <strong>307A/1995</strong>, <strong><em>Welch v. Regno unito</em></strong></a>, che assume <strong>in frizione</strong> con i <strong>principi sanciti dall’art. 7 della CEDU</strong> l’applicazione <strong>retroattiva</strong> di una <strong>confisca di beni</strong> riconducibile ad un’ipotesi di <strong>confisca “<em>per equivalente</em>”</strong> (come tale, avente ad oggetto beni <strong>non avvinti direttamente al reato</strong>, ma di <strong>valore corrispondente</strong> al <strong>profitto</strong> che dal reato stesso ha ritratto il soggetto agente).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 febbraio viene varata la <strong>legge n.45</strong>, il cui art.24 <strong>estende</strong> il regime della <strong>confisca allargata</strong> di cui all’<strong>art.12.sexies</strong> del decreto legge 306.92 alla <strong>condanna</strong> per <strong>delitti con finalità di terrorismo</strong> o di <strong>eversione dell’ordine costituzionale</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 gennaio esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> della Cassazione n.920, <strong><em>Montella</em></strong>, che si occupa della <strong>c.d. confisca “<em>allargata</em>”</strong>. Per la Corte il legislatore, nel <strong>disegnare</strong> tale peculiare tipo di <strong>misura ablatoria</strong>, <strong>non</strong> ha previsto <strong>alcun collegamento</strong> tra il <strong>singolo e specifico episodio criminoso</strong> per il quale il soggetto <strong>viene condannato</strong> e la <strong>provenienza dei beni o delle utilità</strong> oggetto di confisca. E’ sufficiente infatti che il soggetto <strong>venga condannato</strong> per <strong>uno dei reati</strong> previsti dalla <strong>legge</strong> - e che <strong>si accerti</strong> che <strong>egli “<em>comunque</em>” disponga</strong> un <strong>patrimonio sproporzionato</strong> rispetto ai <strong>propri redditi leciti</strong> senza che <strong>possa giustificare</strong> la <strong>provenienza</strong> di tale <strong><em>surplus</em> sproporzionato</strong> – per procedere alla <strong>confisca</strong> in parola: si è dunque al cospetto, per la Corte, di una <strong>misura di sicurezza atipica</strong> che ha <strong>funzione di tipo preventivo e dissuasivo</strong>, e che si fonda su una <strong>presunzione relativa</strong> di <strong>ingiustificata locupletazione</strong>, in forza della quale si aggrediscono <strong>poste patrimoniali</strong> del <strong>soggetto inciso</strong>. La <strong>funzione</strong> della misura ablatoria è dunque <strong>special-preventiva</strong>, e come tale <strong>non impone</strong> la <strong>prova positiva</strong> di un <strong>collegamento</strong>, <em>sub specie</em> di <strong>nesso di derivazione</strong>, tra i <strong>beni confiscabili</strong> ed il <strong>reato</strong> per il quale si è proceduto, né più in generale <strong>tra i ridetti beni confiscabili</strong> e <strong>l’attività criminosa</strong> portata avanti dal soggetto interessatovi, potendo essa <strong>essere applicata anche</strong> qualora i <strong>beni</strong> che contribuiscono alla <strong>sproporzione</strong> (o comunque parte di essi) <strong>sia stata acquisita</strong> dal soggetto agente <strong>prima</strong> del reato commesso, <strong>la condanna per il quale</strong> dà la stura alla confisca medesima, ovvero <strong>dopo di esso</strong>, e quand’anche <strong>il relativo valore superi</strong> il <strong>concreto provento</strong> del delitto, per l’appunto, oggetto di condanna. In sostanza, data la <strong>condanna</strong> di un soggetto per un <strong>determinato delitto</strong> (tra <strong>quelli previsti dalla legge</strong> ai pertinenti fini), si profila <strong>pericolosa</strong> la <strong>detenzione attuale</strong> di un <strong>cospicuo ed ingente patrimonio</strong> (beni) in capo al <strong>soggetto</strong> medesimo <strong>a prescindere dalla provenienza</strong> (anche in termini temporali) o <strong>dalla destinazione</strong> dei beni medesimi, onde <strong>non è pericoloso il coacervo di beni</strong> in sé considerato, quanto piuttosto <strong>i detti beni</strong> nella <strong>loro specifica relazione</strong> con il <strong>soggetto condannato</strong>, in forza di una <strong>presunzione di pericolosità</strong> di tale relazione: onde il fatto che tale soggetto <strong>disponga di un patrimonio sproporzionato</strong> rispetto alla <strong>propria lecita redditualità</strong>, e che si tratti di un <strong>soggetto condannato</strong> per <strong>particolari (e gravi) delitti</strong> lascia affiorare – seppure per via <strong>presuntiva</strong> – una <strong>pericolosità sociale</strong> ed insieme una <strong>capacità criminale</strong> (tanto sul crinale <strong>oggettivo</strong> quanto su quello <strong>soggettivo</strong>) tale da <strong>imporre e legittimare</strong> appunto la <strong>confisca del surplus patrimoniale</strong> che il condannato <strong>non è capace di giustificare</strong> in termini di <strong>legittima provenienza</strong> rispetto al proprio <strong>reddito lecito</strong>. In conclusione, le SSUU ribadiscono la natura di <strong>misura di sicurezza “<em>atipica</em>”</strong> della <strong>confisca c.d. “<em>allargata</em>”</strong>, secondo uno stilema pretorio che <strong>sarà confermato</strong> dalla giurisprudenza successiva della Corte, cimentantesi in vario modo <strong>sul riparto dell’onere della prova</strong> tra PM e soggetto inciso dall’ablazione. Tra le considerazioni <strong>più interessanti</strong> operate dalla Corte vi è anche quella afferente al <strong><em>modus</em></strong> con il quale il <strong>giudice del merito</strong> deve <strong>accertare la sproporzione</strong> tra <strong>reddito dichiarato</strong> o <strong>attività economica lecita esercitata</strong>, da un lato, e <strong>beni acquistati</strong>, dall’altro: per la Corte <strong>non</strong> si tratta di operare un <strong>raffronto</strong> a livello <strong>globale </strong>(con riguardo al <strong>patrimonio come complesso unitario</strong>), ma con riferimento ai <strong>singoli acquisti di beni</strong>, onde va raffrontato il <strong>valore</strong> dei <strong>beni di volta in volta acquisiti</strong> dal soggetto attivo e rapportarla al <strong>reddito</strong> e all’<strong>attività economica</strong> dello stesso così come <strong>si compendiano</strong> <strong>nel momento</strong> appunto di <strong>ciascun singolo acquisto</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 dicembre viene varata la <strong>legge n.296</strong> (legge <strong>finanziaria 2007</strong>), il cui <strong>art.1</strong> <strong>estende</strong> il regime della <strong>confisca allargata</strong> di cui all’<strong>art.12.sexies del decreto legge 306.92</strong> alla condanna per <strong>taluni reati contro la PA</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 dicembre viene varata la <strong>legge n.244</strong>, il cui <strong>articolo 1, comma 143</strong>, <strong>estende</strong> ai <strong>reati tributari</strong> – segnatamente, quelli previsti dagli articoli <strong>2, 3, 4, 5, 8, 10.bis, 10.ter,e 11</strong> del <strong>decreto legislativo 74.00</strong> - la c.d. <strong>confisca “<em>per equivalente</em>”</strong>, come tale avente ad oggetto <strong>beni del reo</strong> per un <strong>valore corrispondente</strong> a quello del <strong>profitto ritratto dal reato</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 maggio viene varato il <strong>decreto legge n.92</strong>, che reca <strong>misure urgenti</strong> in materia di <strong>sicurezza pubblica</strong> e che introduce nell’<strong>art.2.bis</strong> della <strong>legge 575.65</strong> (attraverso il relativo articolo 10, comma 1, lettera c) un <strong>comma 6.bis</strong>, alla cui stregua le <strong>misure di prevenzione (antimafia)</strong> <strong>personali e patrimoniali</strong> – tra queste ultime, in particolare la <strong>confisca</strong> - possono essere richieste e applicate <strong>disgiuntamente</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 luglio viene varata la <strong>legge n.125</strong> che <strong>converte</strong> con modificazioni il <strong>decreto legge n.92</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 luglio esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n.26654 che afferma <strong>non potersi parlare</strong>, nel <strong>contesto ordinamentale vigente</strong>, di <strong>confisca</strong> quanto piuttosto di “<strong><em>confische</em></strong>”, trovandosi al cospetto di un <strong>sistema di tipo “<em>proteiforme</em>”</strong> delle <strong>singole “<em>confische</em>”</strong> compendiante <strong>figure eterogenee</strong> tra loro. La pronuncia si occupa segnatamente del <strong>profitto del reato</strong> oggetto di <strong>confisca</strong> ai sensi dell’<strong>art. 19 d.lgs. n. 231/01</strong>, identificandolo nel <strong>vantaggio economico</strong> di <strong>diretta e immediata derivazione causale dal reato</strong> <strong>presupposto</strong> (nel caso di specie, <strong>truffa ai danni di enti pubblici</strong>, in relazione alla materia dei <strong>rifiuti</strong>) e chiarendo ad un tempo come la nozione stessa di <strong>profitto</strong> oggetto di confisca <strong>non possa essere estesa</strong> (fino ad arrivare ad una <strong>duplicazione della sanzione</strong>) allorché l’ente, in adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto, abbia posto in essere <strong>un’attività</strong> per <strong>i cui risultati economici</strong> <strong>manchi</strong> un <strong>nesso diretto</strong> <strong>ed immediato</strong> con il <strong>reato medesimo</strong> (non potendosi dunque confondere il “<strong><em>profitto del contratto</em></strong>”, <strong>non confiscabile</strong>, dal “<strong><em>profitto del reato</em></strong>”, <strong>confiscabile</strong>).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 aprile esce l’<strong>ordinanza</strong> della <strong>Corte costituzionale n.97</strong>, che dichiara la <strong>manifesta infondatezza</strong> della questione di legittimità costituzionale degli <strong>artt. 200, 322-ter del codice penale</strong> e <strong>1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244</strong> (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – <strong>legge finanziaria</strong> <strong>2008</strong>), sollevata, in riferimento <strong>all’art. 117 della Costituzione</strong>, dal Giudice dell’udienza preliminare di Trento. Il problema è quello di stabilire se è <strong>costituzionalmente legittima</strong> la disciplina che prevede la <strong>confisca obbligatoria di beni</strong> di cui il reo <strong>abbia la disponibilità</strong> per un <strong>valore corrispondente</strong> a quello del <strong>profitto conseguito con il reato</strong> (c.d. confisca “<strong><em>per equivalente</em></strong>”), laddove applicata <strong>anche</strong> ai <strong>reati tributari</strong> commessi <strong>antecedentemente</strong> alla <strong>entrata in vigore</strong> della <strong>pertinente disciplina</strong>. Il giudice rimettente ha assunto che, poiché il <strong>principio di irretroattività della legge penale</strong> si applica <strong>solo alle norme penali incriminatrici</strong> ed alle <strong>pene</strong>, ma <strong>non</strong> alle <strong>misure di sicurezza</strong>, la confisca per equivalente (formalmente, una <strong>misura di sicurezza</strong>) si applica <strong>ex art.200</strong> c.p. <strong>anche ai reati tributari commessi anteriormente</strong> all’entrata in vigore della legge 244.07; corollario di questa conclusione è <strong>la frizione</strong> con <strong>l’art.117, comma 1, Cost</strong>., attraverso il contrasto con <strong>l’art.7 della CEDU</strong> (quale parametro di costituzionalità “<strong><em>interposto</em></strong>”): si è al cospetto di un <strong>prelievo pubblico</strong> che la Cassazione assume di <strong>natura “<em>sanzionatoria</em>”</strong>, configurando dunque - sostanzialmente ed <strong>al di là</strong> della relativa qualifica, meramente <strong>formale</strong>, in termini di <strong>misura di sicurezza patrimoniale</strong> - una “<strong><em>pena</em></strong>” ai sensi del ridetto <strong>art.7</strong>, siccome <strong>interpretato dalla Corte EDU</strong>, con conseguente <strong>illegittimità costituzionale</strong> della disciplina che ne prevede <strong>l’applicazione retroattiva</strong>. Per la Corte tuttavia la questione di costituzionalità è <strong>manifestamente infondata</strong> in quanto <strong>non è corretta l’interpretazione</strong> della normativa pertinente fornita dal <strong>giudice <em>a quo</em></strong>: per la Corte in realtà si tratta di <strong>nuove previsioni</strong> a carattere <strong>non retroattivo</strong>. Ciò in quanto, proprio perché si tratta di <strong>confisca per equivalente</strong>, essa concerne <strong>beni intrinsecamente non pericolosi</strong>, e peraltro <strong>scevri da un rapporto di “<em>pertinenzialità</em>”</strong> con il <strong>commesso reato</strong>, <strong>non</strong> essendovi <strong>avvinti</strong> da quel <strong>nesso diretto, attuale e strumentale</strong> che in genere <strong>giustifica</strong> la confisca intesa quale <strong>misura di sicurezza</strong>: si è dunque al cospetto di una <strong>misura prevalentemente afflittiva</strong> dalla <strong>natura eminentemente sanzionatoria</strong>, onde ne è <strong>impedita già per via interpretativa costituzionalmente orientata</strong> la applicabilità a <strong>fattispecie pregresse</strong> sulla scorta dell’art.200 c.p., che si riferisce a <strong>misure di sicurezza non afflittive</strong>. Rilevano per la Corte, nel caso di specie, tanto l’<strong>art.25, comma 2</strong>, <strong>Cost</strong>., laddove prevede la <strong>non retroattività della pena</strong>, quanto <strong>l’art.7 della CEDU</strong>, per come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, richiamando la <strong><a href="http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=700358&portal=hbkm&source=externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649">sentenza n. 307A/1995, <em>Welch</em> <em>v. Regno Unito</em></a></strong> laddove ha assunto <strong>in frizione</strong> con i principi sanciti dall’art. 7 della Convenzione <strong>l’applicazione retroattiva</strong> di una <strong>confisca</strong> di beni riconducibile <strong>proprio</strong> ad un’ipotesi di <strong>confisca per equivalente</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 giugno esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.25096 che, in tema di <strong>confisca c.d. “<em>allargata</em>”</strong>, ne ribadisce in primo luogo la <strong>natura di misura di sicurezza</strong>. Nella fattispecie scandagliata il competente <strong>Tribunale</strong> ha ritenuto tale misura ablatoria <strong>non applicabile</strong> ad una <strong>fattispecie di corruzione</strong> commessa <strong>prima del gennaio 2007</strong>, anno in cui tale genere di confisca è stato <strong>esteso</strong> a <strong>taluni reati contro la PA</strong> tra i quali, appunto, la <strong>corruzione</strong>: per il Tribunale si tratta di una <strong>misura</strong> la cui <strong>natura</strong> è <strong>sostanzialmente sanzionatoria</strong>, onde <strong>non opera l’art.200</strong> c.p., quanto piuttosto l’art.2 c.p. (e l’<strong>art.25, comma 2</strong>, <strong>Cost.</strong>), con conseguente <strong>irretroattività</strong> della <strong>pertinente previsione</strong> estensiva. La Corte, nel <strong>cassare</strong> il provvedimento del Tribunale, conferma invece la <strong>natura preminente</strong> di <strong>misura di sicurezza</strong> della <strong>confisca</strong> <em>de qua</em>, in una con la <strong>funzione essenzialmente special preventiva</strong> da essa <strong>svolta </strong>(intesa <strong>non già a punire</strong>, quanto piuttosto a <strong>neutralizzare</strong> la <strong>pericolosità sociale del reo</strong>, laddove <strong>può disporre</strong> di un <strong>cospicuo patrimonio sproporzionato</strong> rispetto al proprio <strong>reddito lecito</strong>), con conseguente applicazione degli <strong>articoli 25, comma 3, Cost</strong>. e <strong>199 e 200</strong> c.p., e del <strong>principio di retroattività</strong> delle <strong>misure di sicurezza</strong> in essi inscritto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 luglio viene varata la <strong>legge n.94</strong> che, <strong>novellando l’art.2.bis</strong>, <strong>comma 6.bis</strong>, della <strong>legge 575.65</strong>, ribadisce che le <strong>misure di prevenzione (antimafia)</strong> <strong>personali</strong> e <strong>patrimoniali</strong> possono essere richieste e applicate <strong>disgiuntamente</strong> precisando inoltre che, per le <strong>misure di prevenzione patrimoniali</strong> (e dunque, in <em>primis</em>, per la <strong>confisca di prevenzione antimafia</strong>), tale applicazione è <strong>indipendente</strong> dalla <strong>pericolosita' sociale attuale</strong> del <strong>soggetto proposto</strong> al momento della <strong>richiesta</strong> della misura di prevenzione medesima: in sostanza, se <strong>viene meno</strong> la <strong>pericolosità sociale</strong> del proposto, <strong>non possono</strong> applicarglisi le <strong>misure di prevenzione personali</strong>, mentre <strong>può continuare ad applicarglisi</strong> la <strong>misura di prevenzione patrimoniale</strong>, e dunque la <strong>confisca</strong>, per la quale <strong>l’attualità</strong> della ridetta <strong>pericolosità</strong> <strong>non è più requisito imprescindibile</strong> di richiesta e di applicazione, pur rimanendo tuttavia <strong>necessario</strong> l’<strong>accertamento</strong> da parte del giudice della <strong>inquadrabilità</strong> del proposto medesimo nel <strong>novero</strong> di quelli <strong>cui può essere applicata</strong> la ridetta <strong>misura di prevenzione ablatoria</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre esce l’<strong>ordinanza</strong> della <strong>Corte costituzionale n.301</strong> che – nel dichiarare la <strong>manifesta infondatezza</strong> della questione di legittimità costituzionale degli artt. 200 e 322-ter del codice penale, dell’art. 321, comma 2, del codice di procedura penale, nonché dell’<strong>art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244</strong> (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – <strong>legge finanziaria 2008</strong>), sollevata, in riferimento agli <strong>artt. 3, primo comma, e 117, primo comma</strong>, della Costituzione, questa volta dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli – <strong>ribadisce</strong> le <strong>conclusioni già raggiunte</strong> con l’ordinanza <strong>n.97</strong> del medesimo anno.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 settembre viene varato il <strong>decreto legislativo n.159</strong>, recante <strong>codice delle leggi antimafia</strong> e delle <strong>misure di prevenzione</strong>, nonché <strong>nuove disposizioni</strong> in materia di <strong>documentazione antimafia</strong>, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136. In particolare, la <strong>confisca di prevenzione</strong> viene disciplinata agli <strong>articoli 24 e seguenti</strong> del codice, il quale <strong>abroga la legge 575.65</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.44534 che <strong>ribadisce</strong> come la <strong>confisca</strong> prevista dall'<strong>art. 12 sexies</strong> d.l. <strong>n. 306 del 1992</strong>, conv., con modificazioni, in l. n. 356 del 1992 (c.d. <strong>confisca “<em>allargata</em>”</strong>) esplichi una <strong>funzione preventiva</strong> e quindi mantenga le <strong>caratteristiche proprie</strong> della <strong>misura di sicurezza patrimoniale</strong>, ancorché <strong>atipica</strong>. Deve quindi ritenersi che essa <strong>sia soggetta</strong> alla disciplina dettata dal <strong>combinato disposto</strong> degli <strong>art. 200 e 236 c.p.</strong> e possa, conseguentemente, trovare applicazione <strong>anche</strong> nel caso in cui sia <strong>correlata</strong> a <strong>reato commesso prima</strong> dell'<strong>entrata in vigore</strong> della <strong>norma che l'ha introdotta</strong> nell'ordinamento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.14044, <strong><em>Occhipinti</em></strong>, che si occupa della questione se la <strong>confisca di prevenzione antimafia</strong> di cui all’<strong>art.2.bis</strong>, <strong>comma 6.bis</strong>, della <strong>legge 575.65</strong> (ormai <strong>abrogato</strong> dal nuovo <strong>codice antimafia n.159.11</strong>) possa o meno <strong>applicarsi retroattivamente</strong>, nella parte in cui - <strong><em>contra reum</em></strong> – ne è stata prevista <strong>nel 2009</strong> l’applicazione anche in <strong>difetto</strong> di <strong>attuale pericolosità del proposto</strong>. In sostanza, si tratta di capire se la <strong>confisca di prevenzione antimafia</strong> sia assimilabile, quanto a <strong>natura giuridica</strong>, ad una <strong>misura di sicurezza</strong>, con connessa <strong>possibile applicazione retroattiva ex art.200</strong> c.p., ovvero ad una <strong>sanzione penale</strong>, con conseguente <strong>rilievo dell’art.2 c.p.</strong> e della <strong>irretroattività</strong> in esso iscritta. Per la Corte, il fatto che sia <strong>venuto meno</strong> il requisito della <strong>attualità</strong> con riguardo alla <strong>pericolosità del proposto</strong> fa della <strong>“<em>nuova</em>” confisca di prevenzione antimafia</strong> non più una <strong>misura di sicurezza</strong> (in termini di <strong>natura giuridica</strong>), <strong>l’obiettivo</strong> preso di mira dal legislatore palesandosi <strong>non più quello di neutralizzare la pericolosità sociale</strong> del proposto; si tratta <strong>ormai</strong>, piuttosto, di una <strong>misura ablatoria</strong> che si connota per una <strong>finalità decisamente afflittiva e sanzionatoria</strong>, atteggiandosi ormai <strong>più a pena in senso proprio</strong> che a misura di sicurezza, con conseguente <strong>soggezione</strong> della <strong>nuova disciplina del 2008-2009</strong> al principio di <strong>irretroattività</strong> delle <strong>norme penali incriminatrici</strong>, in piena conformità peraltro sia con <strong>l’art.25, comma 2, Cost</strong>., sia con <strong>l’art.7 della CEDU</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 aprile esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n.18374, onde la <strong>confisca per equivalente</strong> introdotta per i <strong>reati tributari</strong> dall’<strong>art.1, comma 143</strong>, della legge n.<strong>244.07</strong> (finanziaria 2008) ha <strong>natura eminentemente sanzionatoria</strong>, <strong>non</strong> potendosi <strong>applicare</strong> – come tale – <strong>retroattivamente</strong> per <strong>inoperatività</strong> con riguardo ad essa <strong>dell’art.200 c.p.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.39204, <strong><em>Ferrara</em></strong>, che si occupa ancora della questione se la <strong>confisca di prevenzione antimafia</strong> di cui all’<strong>art.2.bis</strong>, <strong>comma 6.bis</strong>, della <strong>legge 575.65</strong> (ormai <strong>abrogato</strong> dal nuovo <strong>codice antimafia n.159.11</strong>) possa o meno <strong>applicarsi retroattivamente</strong>, nella parte in cui - <strong><em>contra reum</em></strong> – ne è stata prevista <strong>nel 2009</strong> l’applicazione anche in <strong>difetto</strong> di <strong>attuale pericolosità del proposto</strong>. In sostanza, si tratta di capire se la <strong>confisca di prevenzione antimafia</strong> sia assimilabile, quanto a <strong>natura giuridica</strong>, ad una <strong>misura di sicurezza</strong>, con connessa <strong>possibile applicazione retroattiva ex art.200</strong> c.p., ovvero ad una <strong>sanzione penale</strong>, con conseguente <strong>rilievo dell’art.2 c.p.</strong> e della <strong>irretroattività</strong> in esso iscritta. Per la Corte, che va in <strong>contrario avviso</strong> rispetto al precedente di marzo della V sezione, <strong>anche dopo la novella del 2008-2009</strong>, la <strong>confisca di prevenzione antimafia</strong> resta, quanto a <strong>natura giuridica</strong>, una <strong>misura di sicurezza</strong> e <strong>non</strong> una <strong>pena</strong>, con conseguente <strong>possibilità di applicazione retroattiva</strong> della nuova disciplina. Tale confisca mira infatti a <strong>neutralizzare</strong> una <strong>pericolosità</strong> che deriva da <strong>come il capitale illecito</strong> oggetto di confisca <strong>è stato acquistato</strong> dal proposto: è <strong>come il proposto ha accumulato il patrimonio illecito</strong> che è <strong>pericoloso</strong>, onde la confisca si pone l’obiettivo di <strong>sottrarre</strong> questo patrimonio “<strong><em>originariamente</em></strong>” <strong>pericoloso</strong> dal <strong>circuito</strong> del <strong>sistema economico legale</strong>, al fine di scongiurare che <strong>tale circuito economico legale</strong> possa essere <strong>alterato</strong> da <strong>accumuli anomali di ricchezza illecita</strong>. In sostanza, anche se <strong>non serve più l’attualità della pericolosità</strong> per applicare la confisca di prevenzione antimafia, occorre comunque <strong>neutralizzare il “<em>modus</em>”</strong> <strong>pericoloso</strong> con il quale il proposto medesimo ha <strong>illecitamente accumulato ricchezza</strong>. Per questo motivo si tratta <strong>ancora</strong> – quanto a <strong>natura giuridica</strong> - di <strong>misura di sicurezza</strong>, che soggiace al <strong>regime</strong> di cui <strong>all’art.200 c.p.</strong> ed alla conseguente <strong>possibile applicazione retroattiva</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 marzo esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.11752 che <strong>rimette alle SSUU</strong> la delicata questione se la <strong>confisca di prevenzione antimafia</strong> di cui all’<strong>art.2.bis</strong>, <strong>comma 6.bis</strong>, della <strong>legge 575.65</strong> (ormai <strong>abrogato</strong> dal nuovo <strong>codice antimafia n.159.11</strong>) possa o meno <strong>applicarsi retroattivamente</strong>, nella parte in cui - <strong><em>contra reum</em></strong> – ne è stata prevista <strong>nel 2009</strong> l’applicazione anche in <strong>difetto</strong> di <strong>attuale pericolosità del proposto</strong>. In sostanza, si tratta di capire se la <strong>confisca di prevenzione antimafia</strong> sia assimilabile, quanto a <strong>natura giuridica</strong>, ad una <strong>misura di sicurezza</strong>, con connessa <strong>possibile applicazione retroattiva ex art.200</strong> c.p., ovvero ad una <strong>sanzione penale</strong>, con conseguente <strong>rilievo dell’art.2 c.p.</strong> e della <strong>irretroattività</strong> in esso iscritta.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 febbraio esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> della Cassazione n.4880 che ribadisce, assecondando <strong>l’orientamento pretorio maggioritario</strong>, la <strong>natura giuridica</strong> di “<strong><em>misura di sicurezza</em></strong>”, e non già di “<strong><em>pena</em></strong>”, della <strong>confisca di prevenzione antimafia</strong> uscita dalla <strong>novella del 2008-2009</strong>, quand’anche essa <strong>prescinda ormai</strong> dal <strong>predicato d’attualità</strong> della <strong>pericolosità del proposto</strong>, con conseguente <strong>possibile applicazione retroattiva</strong> del <strong>nuovo regime</strong> ai sensi dell’<strong>art.200</strong> c.p. <strong>Non</strong> si tratta, afferma la Corte, di una <strong>misura afflittiva para-penale</strong>, quanto piuttosto ancora di una <strong>misura di sicurezza</strong> in quanto essa può essere applicata, <strong>indefettibilmente</strong>, <strong>solo</strong> previo <strong>accertamento</strong> della <strong>pericolosità sociale</strong> del proposto, ancorché <strong>non debba più</strong> trattarsi di una <strong>pericolosità “<em>attuale</em>”</strong>; in sostanza, il giudice è dispensato solo dal verificare che <strong>la pericolosità sociale</strong> sia <strong>attuale</strong>, ma non già <strong>dall’accertamento della pericolosità stessa</strong> che deve <strong>pur sempre essere acclarata</strong>, indipendentemente dall’<strong>epoca</strong> in cui <strong>si è manifestata</strong>. Resta fondamentale per la Corte <strong>accertare</strong> che il proposto rientra nelle <strong>categorie “<em>soggettive</em>” di pericolosità</strong> siccome <strong>disegnate</strong> dal legislatore, ancorché <strong>con riferimento all’acquisto delle res</strong> oggetto di confisca, <strong>senza</strong> che tale pericolosità <strong>permanga</strong> <strong>come tale</strong> al <strong>momento</strong> in cui la misura ablatoria <strong>viene richiesta e irrogata</strong>: l’<strong>attualità della pericolosità</strong> del proposto è infatti <strong>indefettibile presupposto</strong> delle <strong>sole misure di prevenzione personali</strong>, che <strong>non</strong> possono essere applicate ad un soggetto che <strong>non sia “<em>attualmente pericoloso</em>”</strong>, mentre <strong>discorso diverso</strong> va fatto per le <strong>misure di prevenzione patrimoniali</strong>, come appunto <strong>la confisca</strong>, laddove la <strong>pericolosità</strong> è <strong>connotazione immanente alla <em>res</em></strong> e sgorga dalla <strong>relativa illecita acquisizione</strong>, con conseguente <strong>inerenza della pericolosità alla <em>res</em></strong> medesima in via <strong>permanente</strong> e tendenzialmente <strong>indissolubile</strong>. Per la Corte occorre considerare un <strong>dato della realtà fenomenica</strong> che è decisamente scontato, compendiantesi nella <strong>contrapposizione ontologico-naturalistica</strong> tra <strong>persona</strong> e <strong><em>res</em></strong>: alla <strong>prima</strong> (persona) va <strong>ordinariamente associato</strong> un <strong>certo qual dinamismo</strong> legato all’<strong>evoluzione</strong> propria dell’<strong>essere umano</strong> nel relativo <strong>percorso esistenziale</strong>, onde in sostanza una <strong>persona pericolosa</strong> può ad un certo punto <strong>divenire non più tale</strong>, non potendosi dunque applicare <strong>misure di prevenzione personali</strong>; alla <strong>seconda</strong> (<em>res</em>) è invece <strong>inerente una certa qual strutturale staticità</strong> che - lasciando da parte <strong>possibili erosioni</strong> legate a <strong>vetustà</strong> o ad <strong>agenti atmosferici</strong> – ne mantiene nel tempo <strong>l’oggettiva consistenza</strong>, onde – pare di capire dal ragionamento della Corte – la <strong>pericolosità “<em>genetica</em>”</strong> della <em>res</em>, avvinta alla <strong>relativa illecita acquisizione</strong> da parte del proposto, <strong>non muta nel tempo</strong> (anche se il <strong>proposto</strong>, come persona, <strong>non è più pericoloso</strong>) e resta <strong>condizione necessaria e sufficiente</strong> per l’applicazione di una <strong>misura ablatoria</strong> (la confisca di prevenzione antimafia) che è <strong>diretta a neutralizzare tale pericolosità</strong> <strong>della <em>res</em></strong> <strong>sganciandola</strong> dal <strong>soggetto</strong> che ne ha la <strong>disponibilità</strong>, con conseguente <strong>natura di “<em>misura di sicurezza</em>”</strong> ed applicabilità <strong>retroattiva</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.12047 onde la <strong>confisca c.d. “<em>allargata</em>”</strong> prevista dal D.L. 8 giugno 1992 n. 306, <strong>art. 12 sexies</strong>, <strong>non</strong> può essere disposta in relazione a <strong>beni acquistati dal condannato dopo la sentenza di condanna</strong>, giacché da un lato <strong>si vanificherebbe ogni distinzione</strong> della <strong>disciplina</strong> di tale <strong>tipo di confisca</strong> con quella delle <strong>misure di prevenzione</strong> e, dall'altro, si attribuirebbero al <strong>giudice dell'esecuzione</strong> <strong>compiti</strong> di <strong>accertamento</strong> tipici del <strong>giudizio di cognizione.</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 ottobre viene varata la <strong>legge n.161</strong> che – oltre ad <strong>innovare significativamente</strong> l’impianto normativo in tema di <strong>prevenzione patrimoniale</strong> finalizzata al <strong>contrasto della criminalità organizzata di tipo mafioso</strong> (novellando <em>ratione materiae</em> il c.d. <strong>codice antimafia</strong>) – rivede con <strong>consistenti novità</strong> anche la <strong>c.d. confisca allargata o per sproporzione</strong>, introdotta dall’<strong>art. 12 <em>sexies</em> del D.L. 306/1992</strong> convertito nella L. 356/1992, incidendo tanto sul crinale <strong>processuale</strong> quanto su quello <strong>sostanziale</strong>. Sul piano <strong>processuale</strong>, importante la <strong>nuova previsione</strong> onde i <strong>terzi titolari di diritti reali o personali di godimento</strong> sui <strong>beni sequestrati</strong> di cui l’imputato risulti <strong>avere la disponibilità a qualsiasi titolo</strong> vanno <strong>citati in giudizio</strong> in modo da <strong>garantire</strong> la relativa <strong>partecipazione al contraddittorio</strong> e <strong>tutelarne i diritti di difesa</strong>, con attribuzione al <strong>giudice competente</strong> di <strong>funzioni assimilabili</strong> a quelle proprie del <strong>giudice delegato</strong> nelle <strong>procedure di prevenzione patrimoniale</strong>. Viene poi assegnato al <strong>giudice dell’esecuzione</strong> il potere di <strong>confisca</strong> sia <strong>allargata</strong> che <strong>per equivalente</strong> allorché vi si debba provvedere <strong>dopo il passaggio in giudicato</strong> della <strong>sentenza</strong>, disponendosi che <strong>in caso di morte</strong> del destinatario di una <strong>confisca</strong> pronunciata con <strong>sentenza di condanna</strong> il procedimento <strong>prosegue</strong> nei confronti <strong>degli eredi o aventi causa</strong>. Sul crinale sostanziale, oltre ad un <strong>ulteriore ampliamento</strong> dell’elenco delle <strong>fattispecie incriminatrici</strong> che implicano <strong>tale tipologia di confisca</strong> (viene ora richiamata <strong>l’intera categoria dei reati</strong> menzionati <strong>dall’art. 51 comma 3 bis</strong> c.p.p.), la <strong>confisca “<em>allargata</em>”</strong> è ora disposta <strong>anche</strong> nei casi in cui il giudizio <strong>si concluda</strong> con <strong>sentenza di non doversi procedere</strong> per <strong>amnistia</strong> o <strong>prescrizione</strong>, purché <strong>in precedenza</strong> sia comunque <strong>già intervenuta una sentenza di condanna nel merito</strong>; viene inoltre <strong>esplicitamente esclusa</strong> l’efficacia della <strong>giustificazione</strong> della <strong>legittima provenienza</strong> dei beni confiscabili fondata sulla <strong>dimostrazione</strong> della <strong>disponibilità di redditi nascosti all’amministrazione finanziaria</strong> e quindi oggetto di <strong>evasione</strong>, onde l’evasione fiscale <strong>non costituisce più “<em>giustificazione</em>”</strong> al fine di <strong>scongiurare</strong> la misura ablatoria <em>de qua</em>, nel senso onde <strong>essa rileva ormai</strong> <strong><em>in malam partem</em></strong> ed a fini di “<strong><em>sproporzione</em></strong>”, <strong>non più in <em>bonam partem</em></strong> ed a fini di “<strong><em>proporzione</em></strong>”.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 27 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.53625 onde la <strong>confisca c.d. “<em>allargata</em>”</strong> prevista dal D.L. 8 giugno 1992 n. 306, <strong>art. 12 sexies</strong>, <strong>non</strong> può essere disposta in relazione a <strong>beni acquistati dal condannato dopo la sentenza di condanna</strong>, giacché da un lato <strong>si vanificherebbe ogni distinzione</strong> della <strong>disciplina</strong> di tale <strong>tipo di confisca</strong> con quella delle <strong>misure di prevenzione</strong> e, dall'altro, si attribuirebbero al <strong>giudice dell'esecuzione</strong> <strong>compiti</strong> di <strong>accertamento</strong> tipici del <strong>giudizio di cognizione.</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 febbraio esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 33 che dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione – dell’art. 12-<em>sexies</em>, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in cui include il delitto di ricettazione tra quelli per i quali, nel caso di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, è sempre disposta la speciale confisca prevista dal medesimo art. 12-<em>sexies</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo esce la sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia nelle cause riunite C-596/16 e C-597/16 onde l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/6, letto in combinato disposto con gli articoli 2 e 3 della direttiva medesima, impone agli Stati membri di prevedere sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive per le violazioni del divieto di abuso di informazioni privilegiate. Se è pur vero che la Corte ha statuito che l’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva si limita a imporre agli Stati membri l’obbligo di prevedere sanzioni amministrative che presentino siffatte caratteristiche, senza imporre agli Stati membri di prevedere anche sanzioni penali nei confronti degli autori di abusi di informazioni privilegiate, cionondimeno gli Stati membri possono anche legittimamente prevedere un cumulo di sanzioni penali e amministrative, sia pure nel rispetto dei limiti che risultano dal diritto dell’Unione e, segnatamente, dei limiti derivanti dal principio del ne bis in idem, garantito dall’articolo 50 della Carta, posto che questi ultimi si impongono, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, di quest’ultima, in sede di attuazione del diritto medesimo. Tuttavia, l’applicazione di sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive, prevista dall’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/6 nell’ipotesi di violazione del divieto di abusi di informazioni privilegiate, presuppone che le autorità nazionali competenti accertino fatti che dimostrino l’esistenza, nella fattispecie in esame, di un’operazione tale da giustificare l’irrogazione di una sanzione amministrativa. Orbene, ai sensi dell’articolo 187 undecies del TUF, la Consob dispone della facoltà di partecipare al procedimento penale, segnatamente costituendosi come parte civile, ed è inoltre tenuta, ai sensi dell’articolo 187 decies del TUF, a trasmettere alle autorità giudiziarie la documentazione raccolta nell’esercizio della sua attività di controllo. Alla luce di tali elementi, risulta che la Consob può effettivamente accertare che una sentenza penale di condanna o, come nel caso dei procedimenti principali, di assoluzione sia pronunciata tenendo conto di tutti gli elementi di prova di cui dispone detta autorità ai fini dell’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’articolo 187 bis del TUF. Pertanto, l’autorità di cosa giudicata che una disposizione nazionale conferisce alle affermazioni in punto di fatto di una siffatta sentenza penale nei confronti del procedimento inteso all’irrogazione di una sanzione amministrativa non osta a che violazioni della normativa sugli abusi di informazioni privilegiate possano essere accertate e sanzionate in modo effettivo nell’ipotesi in cui, a termini di tale sentenza penale, i fatti in causa siano provati. Nell’ipotesi opposta, l’obbligo, prescritto agli Stati membri dall’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/6, di prevedere sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive non potrebbe portare a escludere l’autorità di cosa giudicata che una sentenza penale di assoluzione possiede in forza di una disposizione nazionale quale l’articolo 654 del CPP, nei confronti di un procedimento inteso all’irrogazione di una sanzione amministrativa vertente sui medesimi fatti di cui detta sentenza ha statuito che non risultano provati. Una tale valutazione fa salva la possibilità, prevista dall’articolo 4, paragrafo 2, del protocollo n. 7 alla CEDU, di eventuale riapertura del processo penale, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza penale pronunciata.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 maggio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n. 24156 onde non appare rilevante il rischio di una duplicazione di conseguenze patrimoniali sfavorevoli per gli imputati a causa della previsione di cui all'art. 322-ter cod. pen., che impone la confisca dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato o di beni di valore corrispondente, e la funzione del risarcimento del danno correlata alla costituzione di parte civile nel processo. La funzione dell'istituto della confisca e quello del risarcimento del danno sono, infatti, nettamente differenziate tra di loro poiché l'istituto della confisca vuole evitare che il reo tragga un vantaggio economico dal reato; non opera a vantaggio della vittima e anche nel caso in cui sia disposto in forma diretta ha natura specificamente sanzionatoria mentre il secondo, mira specificamente al ristoro del danneggiato e prescinde dall'esistenza di vantaggi conseguiti dal reo, che potrebbero anche non essersi realizzati. La costituita parte civile, assume la posizione di vittima e non vi sono ragioni per escludere l'applicabilità della previsione di cui all'art. 185, secondo comma, cod. pen., fermo restando l'apprezzamento riservato al giudice di merito, per individuare il concreto contenuto del danno non patrimoniale e l'adozione, ai fini del perseguimento del ristoro del danno subito, delle procedure di legge a tanto preposte, e che non possono essere superate mediante la retrocessione alla parte civile della somma di denaro confiscata.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 giugno esce la sentenza della Grande Camera della Corte EDU sul caso G.i.e.m.S.r.l.ealtri c. Italia ove, compiendo un passo indietro rispetto al precedente giudizio sul caso Varvara, viene affermata la compatibilità convenzionale della confisca urbanistica disposta a seguito di un proscioglimento per prescrizione, pur ribadendo la necessità di accertare tutti gli elementi costitutivi del reato di lottizzazione abusiva. Tuttavia, la Corte ritiene che la sentenza che applichi la confisca urbanistica a una persona fisica o giuridica che non abbia preso parte al processo nel cui ambito la misura è stata disposta viola il principio secondo cui un soggetto non può essere punito per un atto relativo alla responsabilità di altri ed è quindi incompatibile con l’art. 7 Cedu; principio applicabile in quanto tale pronuncia deve essere qualificata condanna ai sensi del citato art. 7. Inoltre, una simile condanna si pone altresì in contrasto con l’art. 1 del protocollo addizionale n. 1 Cedu in quanto interferente con il diritto di proprietà in modo sproporzionato rispetto allo scopo perseguito dalla misura ablativa. In proposito la dottrina ha subito evidenziato la necessità di individuare una interpretazione convenzionalmente conforme dell’istituto che il giudice nazionale possa fare propria, nelle more di un auspicato intervento legislativo che gli restituisca compatibilità convenzionale</p> <p style="text-align: justify;">3 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 29923 onde ove il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su un conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura fungibile del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto dell’ablazione e il reato, poiché la misura <em>de qua</em> non deve necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensì la somma corrispondente al loro valore nominale. Pertanto, il sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta può avere ad oggetto anche le somme di denaro che siano entrante nella disponibilità dell’ente percettore del profitto del reato soltanto in epoca successiva all’esecuzione del decreto applicativo della misura cautelare reale, fino alla concorrenza e nei limiti dell’importo confiscabile indicato nell’originario provvedimento ablatorio.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 agosto esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 37558 che ribadisce i noti principi espressi dalla giurisprudenza in materia di tutela dei terzi creditori in costanza della disciplina previgente, già positivamente orientata, nella sua evoluzione - posta la necessità di contemperare la natura della confisca «speciale», prevista dalla normativa antimafia, e la tutela del diritto di credito assistito da garanzia reale sulla <em>res </em>confiscata in capo a un terzo potenzialmente estraneo all'attività illecita «a ritenere che la devoluzione del bene alla mano pubblica non comporta di per sé la totale 'cancellazione' della storia del bene medesimo e non comporta l'automatica estinzione dei diritti dei terzi gravanti sull'oggetto, a condizione che il terzo, pur se creditore garantito da ipoteca, dimostri in concreto la sua posizione di 'buona fede' e di 'affidamento incolpevole' nei momenti essenziali della intervenuta contrattazione civilistica». La configurazione della nozione di estraneità al reato su basi esclusivamente oggettive, indipendenti cioè dall'affidamento incolpevole, oltre a contrastare con i principi accolti dall'ordinamento in ordine alla circolazione giuridica dei beni mobili, condurrebbe a risultati lesivi del principio di personalità della responsabilità penale sancito dall'art. 27, primo comma, Cost. (sent. n. 232 del 1998) e ha puntualizzato che la salvaguardia del preminente interesse pubblico non può giustificare il sacrificio inflitto al terzo, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, soltanto ed esclusivamente quando esso sia in buona fede, dovendo considerarsi la sua posizione tutelabile quando possa utilmente richiamarsi il «principio della tutela dell'affidamento incolpevole, che permea di sé ogni ambito dell'ordinamento giuridico» (Corte Cost. n. 1 del 1997).</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 50157 onde relazione alla determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, suscettibile dapprima di sequestro e poi di confisca, è pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui spetta esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l'ammontare dell'imposta evasa, da intendersi come l'intera imposta dovuta, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria In altri termini, deve ammettersi che il giudice penale ben possa, sulla scorta di elementi di fatto, discostarsi dalla quantificazione del profitto come risultante dalla conclusione di accordi conciliativi con l'agenzia delle entrate, ma nell'esercizio di tale autonomo potere deve darne congrua argomentazione, diversamente ragionando si perverrebbe alla introduzione di una pregiudiziale tributaria non prevista nell'ordinamento giuridico.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 50949 che afferma come nessuna norma sanziona penalmente l'uso non autorizzato di marchi o segni distintivi autentici apposti si beni che non abbiano caratteristiche intrinseche tali da non potere essere commercializzati secondo il contratto fra titolare del marchio e produttore dei beni dal marchio contrassegnati; tale commercializzazione costituisce, in tesi, illecito civile, atteso che, per il divieto di analogia in materia di norme incriminatrici, non può ritenersi configurabile né il reato previsto dall'art. 474 cod. pen. (che punisce, per quanto qui interessa, il commercio di prodotti con marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, ma non l'utilizzazione di marchi o segni distintivi autentici senza o oltre il consenso del titolare), né quello previsto dall'art. 471 cod. pen. - che punisce l'uso non autorizzato di sigilli e strumenti di autenticazione "veri", ma non quello di marchi o altri segni distintivi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 novembre esce la sentenza della III sezione civile della Cassazione n. 30990 che ribadisce l’orientamento secondo cui l'eventuale conflitto tra i diritti dei creditori del condannato stesso (anche se essi siano assistiti da garanzia reale sul bene e/o abbiano già proceduto al pignoramento) e quelli dello Stato, beneficiario del provvedimento stesso, non si risolve, sul piano civilistico, in base all'anteriorità della iscrizione o trascrizione nei registri immobiliari dei relativi acquisti, essendo sufficiente, per la prevalenza degli effetti civili della confisca, che questa intervenga (a prescindere dalla sua trascrizione) nel momento in cui il bene confiscato risulti ancora di proprietà del condannato (o quanto meno esso non sia stato già oggetto di un provvedimento di aggiudicazione in favore di un terzo, in sede di esecuzione forzata, secondo quanto espressamente previsto dalle disposizioni in tema di confisca di prevenzione: in questo senso, dunque, e solo in questo senso, può affermarsi la natura "derivativa" del relativo acquisto in favore dello Stato); il suddetto conflitto, ai fini della tutela dei diritti dei terzi creditori, può essere risolto invece sul piano penalistico, in sede di incidente di esecuzione della misura.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 54024 che esclude la confisca ex art. 609-septies c.p. ai casi di condanna per il reato di caporalato. Eventualmente, i beni che costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto del delitto potranno essere confiscati solo in ragione della specifica previsione dell’art. 603-bis n. 2 c.p., con esclusivo riferimento ai fatti commessi a decorrere dal 4.11.2016, data di entrata in vigore di tale ipotesi specifica di confisca obbligatoria, diretta o per equivalente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 105 onde, pur rilevato, in linea di principio, che nei confronti del soggetto impersonale il quale, in via di fatto, si sia avvantaggiato della commissione del reato fiscale commesso dal proprio legale rappresentante, è ammissibile la sola confisca diretta e non anche quella per equivalente (laddove non ricorra la ipotesi residuale del soggetto persona giuridica che costituisca, tuttavia, un mero schermo dietro il quale agisca direttamente la persona fisica del suo amministratore, ipotesi nella quale è consentita, attesa la mera apparenza della soggettività della persona giuridica, anche la confisca per equivalente), va tuttavia, altresì, ricordato che, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, in caso di sequestro di danaro, la misura cautelare deve intendersi prodromica ad una confisca diretta, posto che il danaro, costituendo comunque il frutto del risparmio di spesa derivante dall'omesso versamento tributario, è, stante la naturale fungibilità del bene in questione, ordinariamente legato ad un rapporto di pertinenzialità con il reato in provvisoria contestazione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 15745 onde, in tema di reati fiscali, la confisca per equivalente non si applica ai fatti di occultamento o distruzione di documenti contabili commessi fino al 20 ottobre 2015, data di entrata in vigore dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 17399 in tema di lottizzazione abusiva secondo cui, pur se resta estraneo al relativo procedimento penale, l’acquirente degli immobili, in cui tale reato edilizio si è concretato, non è automaticamente qualificabile come terzo in buona fede rispetto all’attività criminosa; in altri termini, non può, sempre automaticamente, rimanere indenne dalla confisca degli immobili stessi. Infatti, qualora – al momento dell’acquisto e nel periodo delle prodromiche trattative – si comporti in modo imprudente e negligente, con tale condotta l’acquirente si pone in una situazione di inconsapevolezza che apporta un determinante contributo causale all’attività illecita.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 17535 secondo cui, nei reati dichiarativi, come l’omesso versamento IVA, la sanzione tributaria non rientra nel concetto di “profitto”, ma di “costo” del reato, che trova origine nella commissione del reato e, di conseguenza, la commisurazione della confisca anche sull’importo della sanzione tributaria deve ritenersi illegittima, dovendo individuare il profitto nella sola imposta evasa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 maggio esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 112 che, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998, nel testo originariamente introdotto dall’art. 9, comma 2, lettera a), della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto; viene inoltre dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998, nella versione risultante dalle modifiche apportate dall’art. 4, comma 14, del decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 107, recante «Norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato e che abroga la direttiva 2003/6/CE e le direttive 2003/124/UE, 2003/125/CE e 2004/72/CE», nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell’illecito, e non del solo profitto.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo la Corte, la combinazione tra una sanzione pecuniaria di eccezionale severità, ma graduabile in funzione della concreta gravità dell’illecito e delle condizioni economiche dell’autore dell’infrazione, e una ulteriore sanzione anch’essa di carattere “punitivo” come quella rappresentata dalla confisca del prodotto e dei beni utilizzati per commettere l’illecito, che per di più non consente all’autorità amministrativa e poi al giudice alcuna modulazione quantitativa, necessariamente conduce, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori manifestamente sproporzionati.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n. 26255 che richiama l’orientamento secondo cui solo l'integrale pagamento del debito può condurre alla non operatività della confisca, essendo insufficiente la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento.</p> <p style="text-align: justify;">La natura sanzionatoria della confisca per equivalente ed il tenore della norma che prevede la misura ablativa rende illegittimo il ragionamento del giudice del patteggiamento che applichi incongruamente il principio espresso nella pronuncia Sez.3, n. 44446 del 15/10/2013, secondo cui "la confisca del profitto non può essere disposta nel caso di restituzione integrale all'erario della somma anticipata dallo Stato, giacché tale comportamento elimina in radice l'oggetto della misura ablatoria". Il principio affermato, invero esclude implicitamente che un adempimento parziale possa autorizzare a non disporre la confisca del profitto.</p> <p style="text-align: justify;">L'elisione del profitto illecito può avvenire soltanto come conseguenza di «integrale pagamento del profitto realizzato» e non in presenza di un programma di rateizzazione delle somme dovute, dall'esito incerto fino all'ultima rata. A tale applicazione dell'istituto non potrebbe conseguire una duplicazione dei versamenti, atteso che la stessa confisca sarà interamente operativa solo con il verificarsi delle condizione del mancato pagamento dei ratei e quindi, dopo il passaggio in giudicato della decisione, il Pubblico Ministero potrà mettere in esecuzione la misura qualora sia stato accertato l'inadempimento dell'accordo ed il mancato versamento dei ratei previsti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 29091 che richiama il principio secondo cui in caso di reati tributari commessi dall'amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all'esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti dell'ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 36341 che affronta la questione giuridica afferente alla confisca del bene sequestrato a seguito di una sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato.</p> <p style="text-align: justify;">Orbene, negli ultimi anni si è assistito ad un vero e proprio dialogo, in alcuni casi acuitosi fino ad apparire come un vero e proprio scontro, tra le Corti nazionali e sovranazionali sulla questione afferente l'indefettibilità di una sentenza di condanna per l'applicazione della confisca. Ovviamente non di scarso rilievo sono le conseguenze derivanti dall'individuazione o meno nella prima di un presupposto della seconda, essendo in gioco da un lato le molteplici finalità politico-criminali della misura ablativa (reintegrare l'ordine giuridico violato - funzione compensativo/riparatoria; garantire un effetto deterrente-funzione generai/preventiva o neutralizzante- funzione special/preventiva), dall'altro la salvaguardia degli interessi individuali del destinatario del provvedimento.</p> <p style="text-align: justify;">Il problema dell'applicabilità della confisca in assenza di un espresso accertamento della responsabilità penale si presenta, ga va sans dire, non nei casi di proscioglimento per insussistenza del fatto, ma piuttosto in quelle situazioni processuali in cui, sebbene non si sia giunti ad una sentenza di condanna in senso formale, sia tuttavia emersa obbiettivamente, nel corso del procedimento, la commissione del fatto tipico e la sua ascrivibilità all'imputato, come può verificarsi qualora quest'ultimo venga prosciolto per l'intervento di una causa di estinzione del reato. Il contesto normativo nazionale non fornisce alcun appiglio all'interprete, dal momento che la previa condanna è indicata positivamente come presupposto solo per alcune figure di confisca (art. 240, c.1, c.p.; art. 12-sexies L. n. 356/1992), sebbene non siano mancate pronunce giurisprudenziali che hanno affermato la non necessarietà della condanna, e ciò, presumibilmente, proprio al fine di consentire l'esplicazione delle sue funzioni politico-criminali della confisca, recte compensative e preventive, diverse da quella punitiva. A tale confusione si aggiunge quindi la peculiare ambiguità funzionale della misura ablativa. Non mancano tuttavia ipotesi in cui è normativamente esclusa la condanna come presupposto per l'applicazione della confisca, come ad esempio per le cose obbiettivamente illecite (art. 240, c.2, c.p.) o ancora la confisca di prevenzione la quale in quanto misura ante o praeter delictum, non richiede il previo accertamento della commissione di un reato.</p> <p style="text-align: justify;">Proprio con riferimento a tali fattispecie, e per quelle relativamente alle quali il presupposto-condanna non costituisce un dato certo, è sorto il dubbio sulla compatibilità con i principi costituzionali e con le fonti sovranazionali sovraordinate.</p> <p style="text-align: justify;">Infatti, mentre la previsione di cui al secondo comma dell'art. 240 c.p. appare coerente con la sua finalità, ossia sottrarre alla disponibilità dei privati cose illecite in quanto dotate, per presunzione legislativa, di intrinseca pericolosità, ciò giustificando il sacrificio del diritto di proprietà del titolare anche se non formalmente condannato, più complicata è l'applicabilità della confisca in assenza di pronuncia di condanna penale per confisca "di prevenzione", soprattutto agli occhi di coloro che vedono in tale misura patrimoniale una vera e propria pena mascherata che, in quanto sostanzialmente tale, non dovrebbe essere applicabile al di fuori delle garanzie del processo penale e in assenza di condanna penale.</p> <p style="text-align: justify;">Per le figure di confisca rispetto alle quali il presupposto della condanna non è, a livello normativo, né espressamente escluso né previsto, sono sorti nella giurisprudenza non pochi contrasti, sopiti solo temporaneamente da una sentenza del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la quale aveva accolto la tesi favorevole al vincolo condanna-confisca. Successive sentenze hanno ammesso il potere del giudice, in caso di proscioglimento per estinzione del reato, di procedere ugualmente, ai fini della confisca, ad accertare la responsabilità penale dell'imputato. Una ulteriore sentenza del giudice (Sez. U, n. 31617 del 26 giugno 2015, n. 31617) di legittimità nella sua più autorevole composizione è giunta ad una posizione "mediana", riconoscendo l'applicabilità della confisca diretta del prezzo del reato anche in caso di. intervenuta prescrizione, purché nel corso del processo fosse già intervenuta pronuncia di condanna, ovviamente non definitiva, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del fatto illecito, alla responsabilità dell'imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato.</p> <p style="text-align: justify;">In tema di lottizzazione abusiva, la dottrina si è divisa circa la natura della confisca prevista dall'art. 44, c.2, D.P.R. n.380/2001: secondo taluni essa costituiva una misura di sicurezza patrimoniale; secondo talaltri una sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale. Tale ultimo orientamento è quello condiviso dalla giurisprudenza, rilevando l'impossibilità di parlare di un istituto assimilabile alla confisca facoltativa, ex all'art. 240, c.1, c.p., in quanto obbligatoria da irrogare indipendentemente da una sentenza di condanna, considerando anche che i terreni sono destinati al patrimonio comunale invece che a quello statale. Analogamente non potrebbe parlarsi di confisca obbligatoria, ai sensi del secondo comma dell'art. 240 c.p., essendo il terreno abusivamente frazionato non intrinsecamente connotato da pericolosità, sanzionandosi piuttosto una specifica destinazione di esso la quale sarà antigiuridica se non autorizzata.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza dominante, sulla base del dato testuale dell'art. 44, c. 2, D.P.R. n. 380/2001, era pervenuta alla conclusione che la condanna non fosse presupposto necessario di applicabilità della misura, conclusione confortata non solo dal silenzio del legislatore ma anche dalla asserita natura di sanzione amministrativa della confisca, applicabile dunque anche in caso di assoluzione per causa diversa dall'insussistenza del fatto, laddove fosse stata accertata in giudizio la realizzazione obiettiva del fatto tipico. È stato però osservato che la confisca in questione interessa un duplice oggetto, ossia i terreni e fabbricati oggetto di lottizzazione, apparendo diversa la funzione politico-criminale della misura a seconda che si prendano in considerazione gli uni o gli altri: mentre la confisca delle opere abusivamente costruite è teleologicamente diretta al ripristino dello status quo ante, il quale sembra opportuno garantire anche in assenza di una condanna in senso formale, relativamente ai terreni abusivamente lottizzati non si rinverrebbe una funzione riparatoria/ripristinatoria, bensì, essenzialmente, ad una punitiva e general/preventiva, con indefettibilità dell'accertamento della responsabilità penale.</p> <p style="text-align: justify;">Tale orientamento è stato ridimensionato a seguito della pronuncia della Corte EDU sul caso Sud Fondi c. Italia del 2009: i giudici di Strasburgo, rilevata la finalità non meramente compensativo/riparatoria della confisca (proprio in virtù della sua applicazione, nel caso concreto, anche a terreni non ancora edificati), hanno affermato la natura sanzionatoria della misura, con conseguente applicazione delle garanzie previste dalla Cedu per la materia penale. I giudici nazionali, sebbene abbiano aderito alla tesi della natura sanzionatoria della confisca, negandone l'applicabilità nelle ipotesi di assoluzione per assenza di colpevolezza, hanno comunque continuato ad ammetterla, pur in assenza di una condanna formale, per i casi di proscioglimento motivato dalla esistenza di una causa di estinzione del reato (soprattutto per prescrizione).</p> <p style="text-align: justify;">In tale quadro vengono a collocarsi la sentenza del 2013 della Corte Edu sul caso Varvara c. Italia, alla quale fece seguito la pronuncia della Corte Costituzionale n.49/2015.</p> <p style="text-align: justify;">Con la prima decisione, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha confermato la posizione precedentemente espressa circa l'incompatibilità con diverse norme Cedu (l'art. 7 e dell'art. 1, prot. n. 1) dell'applicazione della confisca urbanistica in assenza di condanna, sebbene in tale fattispecie il proscioglimento era stato dovuto all'estinzione del reato per prescrizione (ipotesi nella quale la giurisprudenza italiana aveva manifestato maggiori resistenze vertendosi in ipotesi in cui, sebbene il reato fosse stato accertato in tutti i suoi elementi costitutivi, la punibilità risultava tuttavia preclusa a seguito dell'intervento della prescrizione).</p> <p style="text-align: justify;">La Corte Costituzionale, investita di due questioni di legittimità dell'art. 44, c. 2, D.P.R. n. 380/2001, ne ha dichiarato l'inammissibilità, procedendo ad una reinterpretazione della disposizione la quale potesse essere ritenuta compatibile con i principi costituzionali e, al contempo, con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, rammentando che il dovere del giudice di interpretare il diritto interno in senso conforme alla Cedu è comunque subordinato al prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme, riflettendo tale modus operandi il "predominio assiologico" della Costituzione sul testo convenzionale. Il giudice delle leggi ha abbracciato una posizione mediana, sostenendo la non automatica preclusione dell'applicabilità della confisca urbanistica nel caso in cui non si sia pervenuti ad una condanna, ciò in particolare qualora il reato venga dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, purché, in sede di giudizio penale, sia stato effettuato un adeguato accertamento di responsabilità penale. Pertanto, solo in presenza di un simile accertamento sarebbe legittimo applicare la misura ablativa, ricorrendone il presupposto sostanziale della realizzazione di un fatto penalmente illecito, rimanendo invece irrilevante la pronuncia di una condanna in senso formale.</p> <p style="text-align: justify;">Sulla questione è poi tornata per una terza volta la Corte Edu, Grand Chambre, nel caso GIEM ed altri c. Italia: in linea con quanto affermato nel giudizio precedente del 2013, è stato ribadito che l'art. 7 Cedu esclude la possibilità di irrogare una sanzione penale nei confronti di una persona senza un previo accertamento e declaratoria della sua responsabilità, dovendosi la confisca ritenere sostanzialmente una sanzione, in applicazione degli Engel's criteria. Tuttavia, cogliendo la voce della Corte Costituzionale, i giudici di Strasburgo hanno precisato che nel caso in cui tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva siano sostanzialmente evincibili dagli atti, ed il processo si sia concluso con sentenza dichiarativa dell'intervenuta prescrizione del reato, le risultanze processuali possono essere considerate come una "condanna" in senso sostanziale, sicché l'art. 7 Cedu non risulterebbe violato. Ad avviso della Corte, infatti, è necessario guardare oltre le apparenze e il linguaggio adoperato, concentrandosi, oltre che sul dispositivo del provvedimento anche sulla motivazione, costituente una parte integrante della sentenza. Si rammenta inoltre che il giudice nazionale è tenuto al rispetto del principio di proporzionalità nell'individuazione dei beni oggetto della misura ablativa, onde evitare un pregiudizio sproporzionato del diritto di proprietà, tutelato ex art. 1 Prot. 1 Cedu.</p> <p style="text-align: justify;">Coerentemente con tale orientamento, la Corte di Cassazione ha precisato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei terreni, oggetto di ipotizzata lottizzazione abusiva, non può essere legittimamente adottato quando l'esercizio dell'azione penale risulti precluso, essendo già maturata la prescrizione del reato, poiché in tal caso è impedito al giudice di compiere, nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piena partecipazione degli interessati, l'accertamento del fatto illecito, sotto il profilo oggettivo e soggettivo (richiedendosi almeno la colpa). Ne consegue che il principio generale dell'obbligo di immediata declaratoria di una causa estintiva del reato risulta recessivo rispetto alle disposizioni speciali che prevedono l'applicazione di misure le quali, per essere disposte, richiedono inevitabilmente la prosecuzione del processo e la conseguente acquisizione delle prove in funzione di quell'accertamento strumentale all'emanazione del provvedimento finale. Nella sentenza Martino, la Corte di Cassazione (Sez. 3, n. 53692 del 13/07/2017 - dep. 29/11/2017, Martino, Rv. 272791) ha affermato che, in presenza di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca urbanistica, il giudice del dibattimento, qualora maturi una causa di estinzione del reato non ha l'obbligo di immediata declaratoria della causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p., potendo disporre la confisca urbanistica, anche in assenza di una sentenza di condanna, purché il fatto-reato sia stato previamente accertato nelle sue componenti oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio. A tal fine, quindi, il giudice, pur in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato avrebbe dovuto proseguire nell'istruttoria dibattimentale, differendo la declaratoria di estinzione del reato all'esito del giudizio e disponendo la confisca urbanistica qualora fosse risultata provata l'avvenuta lottizzazione abusiva e la stessa possa essere ascritta all'imputato almeno a titolo di colpa.</p> <p style="text-align: justify;">In linea con tale orientamento è intervenuto il legislatore italiano il quale, con il D.Igs. n. 21/2018, ha introdotto l'art. 578-bis c.p.p., in forza del quale "quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell'articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato". Il riferimento ad "altre disposizioni di legge", come osservato in dottrina, rende applicabile la disposizione processuale anche alla confisca disposta ai sensi dell'art. 44 D.P.R. 380/01.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 ottobre esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 40847 che fissa il seguente principio di diritto: il divieto di restituzione di cui all’art. 324 c.p.p., comma 7, opera anche in caso di annullamento del decreto di sequestro probatorio; tale divieto riguarda le cose soggette a confisca obbligatoria ex art. 240 c.p., comma 2, ma non anche le cose soggette a confisca obbligatoria contemplata da previsioni speciali, con l’eccezione del caso in cui tali previsioni richiamino l’art. 240 c.p., comma 2, o, comunque, si riferiscano al prezzo del reato o a cose la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte affronta la questione circa l’ampiezza del divieto di restituzione di cui all’art. 324 c.p.p., comma 7, che si riferisce espressamente ai "casi indicati nell’art. 240 c.p., comma 2", ovvero alle cose soggette a confisca obbligatoria ai sensi di tale comma, ma è stato esteso, da una parte della giurisprudenza di legittimità, anche ad altre categorie di cose soggette a confisca. Si tratta di una questione ascrivibile essenzialmente all’ambito del diritto sostanziale, che è resa complessa dall’eterogeneità della casistica di cui all’art. 240 c.p., comma 2, nella formulazione attualmente vigente; eterogeneità che rende problematica l’individuazione della ratio del divieto di restituzione, perché, al prezzo del reato e alle cose intrinsecamente criminose confiscabili anche senza condanna, si aggiungono ormai cose dotate di caratteristiche che sarebbero riconducibili, sul piano sistematico, a categorie contemplate da altre disposizioni.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo le Sezioni Unite, risulta insuperabile, sul piano letterale, il riferimento alle sole confische di cui all’art. 240 c.p., comma 2, aventi ad oggetto, nella formulazione originaria della norma, le cose intrinsecamente pericolose, per le quali la restituzione è comunque esclusa ben al di là della fase cautelare e indipendentemente dall’esito del giudizio di merito. Ed è questa intrinseca pericolosità che distingueva, nell’originaria intenzione del legislatore, tali tipologie di confisca dalle confische obbligatorie previste da altre disposizioni. Il quadro era complicato, già in origine, dalla compresenza, nell’ambito del richiamato comma 2, del n. 1), riferito al prezzo del reato, di per sé normalmente rappresentato da denaro o beni fungibili e, dunque, privo di intrinseca pericolosità. Sul punto, conformemente a quanto statuito dalle sentenze Sez. U, n. 5 del 25/03/1993, Carlea, Rv. 193119, e Sez. U, n. 38834 del 10/07/2008, De Maio, Rv. 240565, ha a lungo dominato l’opinione per cui la confisca del prezzo del reato si distingueva dalla confisca delle cose ai sensi del n. 2) dell’art. 240 c.p., esigendo, a differenza di queste, una sentenza di condanna, al cospetto della quale scattava la previsione di obbligatorietà. Tale ricostruzione si basava sulla valorizzazione del dato letterale, per cui l’utilizzazione dell’avverbio "sempre", all’inizio dell’art. 240 c.p., comma 2, intende rendere obbligatoria, diversamente da quanto previsto dal comma 1 del medesimo articolo, una confisca che altrimenti sarebbe stata facoltativa; mentre solo nei casi indicati nel n. 2) del comma 2 dell’articolo l’obbligatorietà è destinata ad operare "anche se non è stata pronunciata condanna". A ciò si aggiungeva, per sostenere l’affermazione secondo cui l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione impedisce la confisca delle cose che costituiscono il prezzo del reato, il rilievo che la misura ablativa è prevista non in ragione dell’intrinseca illiceità delle stesse bensì in forza del loro peculiare collegamento con il reato, il cui positivo accertamento è necessario presupposto (argomento ex Sez. 1, n. 7860 del 20/01/2015, Meli, Rv. 262759; Sez. 6, n. 8382 del 09/02/2011, Ferone, Rv. 249590). L’orientamento in questione è, però, superato da Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434, secondo cui il giudice può applicare, a norma dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 1), la confisca del prezzo del reato e, a norma dell’art. 322 ter, la confisca del prezzo o del profitto del reato, sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell’imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato (in senso conforme, Sez. 2, n. 51088, del 20/10/2017, Marrazzo). E tale interpretazione garantisce una maggiore uniformità alle due categorie dei numeri 1) e 2) del richiamato comma 2, giacché per entrambe la confisca può prescindere dalla condanna, anche se in relazione al prezzo presuppone necessariamente che vi sia stato un accertamento di responsabilità comunque divenuto definitivo. In tale quadro sistematico si inserisce nella già delineata evoluzione del testo dell’art. 240 c.p., comma 2, sulla quale è necessaria una precisazione. Come già evidenziato, si tratta, infatti, di un percorso che non appare del tutto coerente, in quanto, al nucleo essenziale del prezzo del reato e delle cose intrinsecamente pericolose di cui ai nn. 1) e 2), si sono venute aggiungendo cose che certamente presentano caratteristiche diverse (n. 1-bis). Ne consegue un’indubbia tensione rispetto all’originaria ratio della disposizione quanto alla natura di misura di sicurezza della confisca ivi prevista, che giustificava con chiarezza il divieto di restituzione di cui all’art. 324, comma 7. Per contro, deve rilevarsi che l’effetto della riconduzione di categorie eterogenee di cose oggetto di confisca alla disposizione dell’art. 240 c.p., comma 2 è comunque quello di non consentirne la restituzione anche all’esito del giudizio di merito; cosicché, almeno sotto questo profilo, permane un parallelismo con quanto avviene in sede cautelare.</p> <p style="text-align: justify;">Le SU si allineano all’orientamento maggioritario anche nella parte in cui - evidentemente valorizzando la ratio originaria della disposizione - consente di ritenere comprese nel divieto di restituzione anche quelle confische che, pur previste da disposizioni diverse, riguardino cose intrinsecamente pericolose, perché tali cose rientrerebbero comunque nell’ambito di applicazione dell’art. 240 c.p., comma 2, se non fossero contemplate da leggi speciali.</p> <p style="text-align: justify;">A tali rilievi deve aggiungersi la considerazione, di carattere generale, che l’estensione del divieto di cui all’art. 324 c.p.p., comma 7, a tutti i casi di confisca obbligatoria, diversi da quelli ricadenti nella previsione dell’art. 240 c.p., comma 2, costituirebbe un’applicazione analogica della norma, che non appare corretta sul piano ermeneutico, perché, pur trattandosi di disposizione processuale, deve essere considerata la particolare funzione che il divieto di restituzione assolve.</p> <p style="text-align: justify;">Un ulteriore argomento a favore della tesi qui condivisa deriva dalla giurisprudenza in materia di decreto penale di condanna, la quale, nella quasi totalità dei casi, interpreta in senso restrittivo l’art. 460 c.p.p., comma 2, che prevede, con una formula sostanzialmente identica a quella dell’art. 324 c.p.p., comma 7, che: "Con il decreto di condanna il giudice (...) ordina la confisca, nei casi previsti dall’art. 240 c.p., comma 2, o la restituzione delle cose sequestrate". Si nega, in particolare, che possa essere disposta con decreto la confisca obbligatoria del mezzo utilizzato per il trasporto abusivo di rifiuti, ovvero dell’area adibita a discarica abusiva. Nè può dirsi che la soluzione qui prospettata presenti inconvenienti di carattere pratico, perché, al fine di evitare la restituzione di cose soggette a confisca ma non sottoposte al divieto dell’art. 324, comma 7, il pubblico ministero potrà sempre assumere - ricorrendone i presupposti - l’iniziativa di un nuovo sequestro.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’8 novembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n. 45535 onde, nei casi di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90 non è consentita la confisca "obbligatoria" del denaro inteso quale prodotto o profitto del reato ai sensi della legge n. 356 del 1992, art. 12 sexies. Ove il denaro costituisca prodotto o profitto o provento del reato di cessione di sostanze stupefacenti, la confisca è comunque consentita solo se ricorrano le condizioni per farsi luogo ad essa ai sensi della disposizione generale del codice penale, ossia la sussistenza del vincolo di pertinenzialità tra somma e reato ex art. 240 comma 1 cod. pen. Il provvedimento impugnato non individua detto vincolo, non potendosi ritenere esaustiva la generica affermazione circa il quantitativo di dosi rinvenuto e l'assenza di mezzi leciti di sostentamento in capo all'imputato, né essendo oggetto di contestazione specifici episodi di cessione che avrebbero consentito di configurare in modo tranquillante il nesso di pertinenzialità.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 47101 che ricorda che in tema di caccia esiste un rapporto di specialità tra la disciplina delle armi e la disciplina venatoria. Pertanto l'applicabilità della confisca delle armi utilizzate per la commissione dei reati venatori richiamati dall'art. 28, secondo comma della Legge n. 157/1992, è possibile solo in caso di condanna e non risulta quindi applicabile la disciplina di cui all'articolo 6 I. n.152/75.</p> <p style="text-align: justify;">Quest'ultima prevede una più ampia ipotesi di confisca obbligatoria di cose intrinsecamente pericolose, costituenti corpo di reato, anche se in concreto non sia stata pronunciata condanna ed è applicabili solo in caso di specifica contestazione di violazione in materia di armi e munizioni. Del resto, il richiamo operato dal legislatore alla disciplina delle armi non ha natura di rinvio in senso tecnico tale da determinare un collegamento sanzionatorio tra la normativa sulla caccia e quella in materia di armi, ma in virtù del rapporto di specialità che intercorre tra le due discipline viene esclusa la possibilità di applicare il combinato disposto degli artt. 240 cpv. C.P. e 6 I. 22 maggio 1975 n. 152, in forza del quale può disporsi la confisca anche in assenza di una pronuncia di condanna quando si trattasi di reati concernenti le armi.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 47837 onde la confisca diretta o di valore dei beni costituenti il profitto o il prodotto del reato non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro, quando viene assunto un impegno formale con le modalità previste per legge, permanendo, invece, per le parti residue.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 225 che ribadisce l’orientamento consolidato secondo cui la confisca può essere ordinata anche in assenza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro, purché sussistano norme che la consentano od impongano, a prescindere dalla eventualità che, per l'assenza di precedente tempestiva cautela reale, il provvedimento ablativo della proprietà non riesca a conseguire gli effetti concreti che gli sono propri; il giudice della cognizione, nei limiti del valore corrispondente al profitto del reato, può emettere il provvedimento ablatorio anche in mancanza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro e senza necessità della individuazione specifica dei beni da apprendere, potendo il destinatario ricorrere al giudice dell'esecuzione qualora dovesse ritenersi pregiudicato dai criteri adottati dal P.M. nella selezione dei cespiti da confiscare.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 aprile esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 13539 che affronta il seguente quesito di diritto: "Se, in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, sia consentito l’annullamento con rinvio limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione da parte del giudice di rinvio della proporzionalità della misura, secondo il principio indicato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. e altri c. Italia".</p> <p style="text-align: justify;">La suddetta questione presuppone che, con riguardo al reato oggetto di condanna, sia maturato il corrispondente termine di prescrizione.</p> <p style="text-align: justify;">Residua, infatti, su un piano che è innanzitutto di dommatica generale del processo penale, la necessità di accertare se, all’annullamento senza rinvio "della sentenza impugnata", possano resistere singole statuizioni della stessa, sulla base della possibilità di individuare una sostanziale autonomia di esse; ciò che, in definitiva, rappresenta il presupposto per dare risposta alla questione rimessa alle Sezioni Unite, ovvero la possibilità che la Corte di Cassazione, annullando la sentenza di condanna per il reato di lottizzazione in quanto estinto per prescrizione, possa, allo stesso tempo, decidere dell’impugnazione quanto alla confisca, in ciò dunque compresa, per venire alla specificità del quesito posto, anche la possibilità di annullare con rinvio, quanto a tale limitato aspetto, al giudice di merito.</p> <p style="text-align: justify;">Deve subito dirsi che, salvo a volere arbitrariamente frammentare la portata unitaria dell’annullamento della sentenza logicamente derivante dalla prescrizione del reato quale causa di estinzione dello stesso, la possibilità di individuare all’interno della sentenza statuizioni che restino "immuni" rispetto all’effetto caducante esercitato dalla prescrizione stessa, non può che essere il frutto di disposizioni normative che, espressamente o implicitamente, consentano una tale operazione.</p> <p style="text-align: justify;">Del resto, la stessa ordinanza di rimessione è giunta ad interrogarsi sulla legittima attribuzione alla Corte del potere di annullamento con rinvio della sentenza limitatamente alla confisca proprio nella ritenuta impossibilità di rinvenire una norma che tale facoltà consenta.</p> <p style="text-align: justify;">La questione è peraltro inevitabilmente connessa, trovando in essa il suo presupposto logico, a quella più in generale riguardante i rapporti intercorrenti tra declaratoria di prescrizione, da un lato, e adozione della confisca lottizzatoria, dall’altro, posto che, evidentemente, se detta declaratoria impedisse radicalmente di potere disporre la confisca, lo stesso interrogativo posto alle Sezioni Unite in ordine ai poteri del giudice di legittimità resterebbe privo di senso giacché lo stesso, una volta constatata la prescrizione del reato, non potrebbe fare altro che annullare senza rinvio in toto la sentenza impugnata.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo un orientamento consolidato, essenzialmente fondato sulla lettera del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2 ("La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca del terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite"), la confisca dei terreni ben può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato purché sia accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva.</p> <p style="text-align: justify;">Condensato inizialmente nella semplice affermazione della compatibilità tra dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato e confisca delle aree lottizzate in ragione della sufficienza di un accertamento del reato, il principio si è via via irrobustito, forgiato anche dall’apporto della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale, attraverso, dapprima, la indicazione della "latitudine" dell’accertamento, necessariamente comprensivo, per tenere conto delle indicazioni a suo tempo giunte dalla sentenza della Corte EDU 30/08/2007, Sud Fondi c. Italia, sia dell’elemento oggettivo che di quello soggettivo del reato e, successivamente, attraverso la predisposizione di modalità procedimentali coerenti con i principi del "giusto processo", come tali richiedenti la sussistenza del contraddittorio delle parti quale elemento imprescindibile dell’accertamento stesso.</p> <p style="text-align: justify;">E seppure in un primo momento l’assunto si sia trovato in dissonanza con la giurisprudenza della Corte EDU, da ultimo, invece, come già anticipato, lo stesso ha incontrato, nella lettura della Corte sovranazionale, la affermazione di una sua compatibilità con i principi della Convenzione.</p> <p style="text-align: justify;">Se infatti la pronuncia della Corte EDU 29/10/2013, Varvara c. Italia, aveva affermato l’incompatibilità con le garanzie previste dalla CEDU di un sistema in cui una persona dichiarata innocente o, comunque, senza alcun grado di responsabilità penale constatata in una sentenza di colpevolezza, potesse subire una "pena" (tale dovendo secondo la Corte essere considerata la confisca lottizzatoria), in contrasto con la previsione dell’art. 7 CEDU, successivamente, sia l’elaborazione della Corte costituzionale che la "rilettura" operata, in tempi più recenti, dalla Corte EDU, hanno offerto ulteriore fondamento all’indirizzo esegetico ricordato.</p> <p style="text-align: justify;">Segnatamente, con la sentenza n. 49 del 2015, la Corte costituzionale ha ribadito la necessità, ai fini della confisca urbanistica, di un pieno accertamento della responsabilità dell’imputato e della malafede del terzo eventualmente colpito dalla confisca, precisando tuttavia che un tale "pieno accertamento" non sarebbe precluso nel caso di proscioglimento dovuto a prescrizione, atteso che tale pronuncia ben potrebbe "accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato"; in altri termini, ai fini della confisca urbanistica, ben potrebbe tenersi conto "non della forma della pronuncia, ma della sostanza dell’accertamento", valorizzandosi le potenzialità di accertamento del fatto di reato consentite anche a fronte di pronuncia di sentenza di proscioglimento; in definitiva, secondo la Corte, "nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione di un reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità".</p> <p style="text-align: justify;">Quanto poi alla Corte EDU, la stessa, nella pronuncia della Grande Camera 28/06/2018, G.I.E.M. S.r.l. c. Italia, ribadendo che i principi di legalità e colpevolezza, condensati nell’art. 7 CEDU, rendono "necessario impegnarsi, al di là delle apparenze e del vocabolario utilizzato, ad individuare la realtà di una situazione", andando "oltre al dispositivo di una decisione interna", per "tener conto della sua sostanza, in quanto la motivazione costituisce parte integrante della decisione", ha affermato che "qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell’art. 7, che in questo caso non è violato".</p> <p style="text-align: justify;">Può dunque dirsi che, nella "lettura" data dalla Cassazione, l’art. 44 cit., là dove ricollega la confisca lottizzatoria all’accertamento del reato, consente di prescindere dalla necessità di una sentenza di condanna "formale" permettendo di fondare la "legittimità" del provvedimento ablatorio su un accertamento del fatto che, pur assumendo le forme esteriori di una pronuncia di proscioglimento, equivale, in forza della sua necessaria latitudine (estesa alla verifica, oltre che dell’elemento oggettivo, anche dell’esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l’aspetto dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) e delle sue modalità di formazione (caratterizzate da un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati), ad una pronuncia di condanna come tale rispettosa ad un tempo dei principi del giusto processo e dei principi convenzionali, proprio come riconosciuto, da ultimo, anche dalla Corte EDU.</p> <p style="text-align: justify;">Tornando, dunque, al quesito rimesso, le pronunce che hanno inizialmente affermato la possibilità di annullamento con rinvio, hanno evidentemente individuato un tale esito come un logico ed inevitabile corollario proprio del principio poco sopra ricordato, pena, diversamente, la sua declamazione solo virtuale: infatti, la possibilità di coesistenza della prescrizione e della confisca, riconosciuta, da ultimo, anche dalla Corte EDU, acquista un concreto valore, in quanto si consenta che, nonostante la intervenuta prescrizione maturata nel corso del giudizio di impugnazione, il giudice possa ugualmente disporre la misura in oggetto.</p> <p style="text-align: justify;">E sempre tali pronunce hanno trovato una conferma di ciò nell’art. 578-bis c.p.p. secondo cui "quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dall’art. 240-bis c.p., comma 1 e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall’art. 322-ter c.p., il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato".</p> <p style="text-align: justify;">È senz’altro esatto che la formulazione originaria della norma, introdotta dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 6, comma 4, (di attuazione della delega per la riserva di codice), e da ultimo modificata con la L. n. 3 del 2019 (che vi ha inserito l’inciso relativo alla "confisca prevista dall’art. 322-ter c.p."), ha rappresentato, salva la precisazione di cui oltre, il sostanziale trapianto, nel codice di rito, del contenuto del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, comma 4-septies, secondo cui "le disposizioni di cui ai commi precedenti, ad eccezione del comma 2-ter, si applicano quando, pronunziata sentenza di condanna in uno dei gradi di giudizio, il giudice di appello o la Corte di cassazione dichiarano estinto il reato per prescrizione o per amnistia, decidendo sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato".</p> <p style="text-align: justify;">Infatti, il riferimento ai "commi precedenti" effettuato da tale norma ricomprendeva anche il comma 1 con il quale, per determinate ipotesi di reato, si prevedeva che, in casi di sentenza di condanna o di applicazione della pena, fosse sempre disposta la confisca cosiddetta "allargata", ovvero quella concernente i beni di cui il condannato non potesse giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito; e tale comma è stato sostanzialmente trasfuso nell’art. 240-bis c.p., nel comma 1 inserito nel codice dal D.Lgs. n. 21 del 2018 cit., art. 6, comma 1, e richiamato espressamente dall’art. 578-bis (così come, appunto, l’art. 12-sexies, comma 4-septies cit. richiamava il comma 1).</p> <p style="text-align: justify;">Ed è ulteriormente esatto che l’art. 12-sexies cit., comma 1 (e, conseguentemente, in virtù della già indicata corrispondenza, l’art. 240 bis cit., comma 1), prevedeva, come sopra anticipato, la sola confisca cosiddetta "per sproporzione", senza in alcun modo contemplare la confisca urbanistica, ma è anche vero che l’art. 578-bis non si è limitato a richiamare la "confisca in casi particolari prevista dall’art. 240-bis c.p., comma 1" ma ha ulteriormente aggiunto, sin dalla versione originaria, il richiamo alla confisca "prevista da altre disposizioni di legge" e, successivamente, per effetto della modifica intervenuta ad opera della L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1, comma 4, lett. f), il richiamo alla confisca "prevista dall’art. 322-ter c.p.".</p> <p style="text-align: justify;">È pertanto evidente che, quali che siano state le ragioni che hanno determinato il legislatore ad introdurre la norma in oggetto nel codice di rito, la stessa non può che essere letta secondo quanto in essa espressamente contenuto, in particolare non potendo non riconoscersi al richiamo alla confisca "prevista da altre disposizioni di legge", formulato senza ulteriori specificazioni, una valenza di carattere generale, capace di ricomprendere in essa anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale.</p> <p style="text-align: justify;">Va aggiunto che già le Sezioni Unite avevano significativamente affermato come il riferimento dell’art. 578-bis c.p.p. alle "altre disposizioni di legge" evocasse "le plurime forme di confisca previste dalle leggi penali speciali", in tal modo condividendo la legittimità di una lettura ad ampio raggio, non limitata alla sola confisca "per sproporzione".</p> <p style="text-align: justify;">Del resto, la riferibilità dell’art. 578-bis cit. anche alla confisca urbanistica poggia anche su un criterio di evidente razionalità: l’esigenza che ha spinto il legislatore a dettare una norma volta, in chiara analogia con la disposizione dell’art. 578 c.p.p. (non a caso immediatamente precedente nella topografia codicistica), ad evitare che la prescrizione del reato, a fronte di un’affermazione di responsabilità che resta, nella sostanza, immutata, vanifichi la confisca di cui all’art. 240-bis cit. nel frattempo disposta in primo grado o in grado di appello (a seconda che la prescrizione maturi rispettivamente nel giudizio di appello o in quello di legittimità), in linea con il principio di conservazione degli effetti delle pronunce di merito sul punto non sovvertite nei gradi successivi (così come, con riguardo all’art. 578, si è voluta evitare la dissipazione degli effetti sul piano delle statuizioni civili), è ancor più tangibile nel caso della confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44.</p> <p style="text-align: justify;">Come si è già detto, infatti, ai fini di disporre la confisca lottizzatoria non è necessaria una pronuncia di condanna, essendo invece sufficiente il "sostanziale" accertamento del fatto, sia pure circondato dalle garanzie sostanziali e processuali già ricordate sopra; non si comprende allora quale senso potrebbe avere consentire che il mero fatto di una prescrizione sopravvenuta in grado di appello o in quello di legittimità (ovvero, in altri termini, il sopravvenire di una situazione che, ove prodottasi già in primo grado, non avrebbe comunque potuto impedire la sanzione amministrativa de qua) impedisca al giudice dell’impugnazione di decidere comunque agli effetti della confisca.</p> <p style="text-align: justify;">Da tale punto di vista, dunque, il parallelismo che, con riguardo alla confisca "per sproporzione", il legislatore ha posto, per le altre confische, tra la norma sostanziale di cui all’art. 240-bis e quella processuale di cui all’art. 578-bis, va, con riguardo alla confisca urbanistica, più specificamente instaurato tra il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 (quale "legge speciale" richiamata dalla norma del codice di procedura) e l’art. 578-bis.</p> <p style="text-align: justify;">Il parallelismo appena evidenziato, è, allo stesso tempo, la ragione per la quale l’art. 578-bis c.p.p. non può presupporre che ai fini della confisca urbanistica sia sempre necessaria, in primo grado, una pronuncia di condanna.</p> <p style="text-align: justify;">Premesso che la formulazione letterale della norma in sé considerata non contiene alcun espresso riferimento a tale presupposto (venendo unicamente menzionata la necessità di una previa confisca), il necessario antecedente di una sentenza di condanna non può neppure essere rinvenuto nell’incipit dell’art. 240 bis, comma 1, cit., che menziona la condanna (nonché la sentenza di applicazione della pena), appunto perché, come appena detto, il necessario referente dell’art. 578-bis, per quanto riguardante specificamente la confisca urbanistica, non può essere l’art. 240-bis bensì il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 che opera il chiaro riferimento al solo "accertamento".</p> <p style="text-align: justify;">Allo stesso tempo, tuttavia, va necessariamente precisato, affinché sia razionalmente ricostruito il "sistema" ricavato dalle norme appena ricordate, che la possibilità per il giudice dell’impugnazione, che dichiari la prescrizione, di decidere comunque agli effetti della confisca, non può implicare, come invece ritenuto da alcune pronunce, che il giudizio di primo grado, una volta intervenuta la prescrizione e non ancora accertato il fatto, possa comunque proseguire a tali soli fini di accertamento.</p> <p style="text-align: justify;">Vengono, in definitiva, enunciati i seguenti principi di diritto: "La confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 1, proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento.</p> <p style="text-align: justify;">In caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis c.p.p., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44".</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 15308 che si allinea all’orientamento secondo cui le somme di denaro oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, che costituiscono il profitto del reato oppure un valore ad esso equivalente, non possono essere sostituite con beni mobili od immobili di identico valore, perché tale operazione comporta la permuta di un bene di immediata escussione con un diritto di proprietà non immediatamente convertibile in un valore corrispondente al profitto del reato.</p> <p style="text-align: justify;">Osserva ancora il Collegio che non è ammissibile - neppure qualora vi sia il consenso del soggetto interessato - sottoporre a vincolo un bene immobile di proprietà del soggetto che si è avvantaggiato del reato ma che, a quanto pacificamente risulta, non costituisce profitto, nemmeno indiretto, dell'illecito. Si tratterebbe di un vincolo preordinato ad una confisca per equivalente del profitto che la legge non prevede in capo al soggetto che si è avvantaggiato del reato, essendo la stessa prevista - e solo in caso di impossibilità della confisca del profitto del reato - nei riguardi dell'autore dello stesso. Nonostante il consenso del soggetto interessato al trasferimento del sequestro dal denaro all'immobile l'eventuale sentenza di condanna non potrebbe mai disporre la confisca di quel bene, non prevista né consentita dalla legge, sicché il provvedimento cautelare si rivelerebbe privo degli effetti che gli sono propri. Le disposizioni sulla confisca, di fatti, rivestono carattere di stretta interpretazione e, avendo spiccata natura pubblicistica, il loro contenuto ed i loro effetti non possono formare oggetto di pattuizioni che si muovono nell'ambito dell'autonomia negoziale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 settembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n. 25609 onde, secondo il chiaro disposto dell'art. 648-quater, comma secondo, cod. pen., la c.d. “confisca di valore” può essere disposta soltanto "nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca di cui al primo comma", id est all'ablazione del prodotto o del profitto dei reati-presupposto.</p> <p style="text-align: justify;">In ossequio all'inequivoco dato testuale della norma, la costante giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere che la confisca per equivalente del compendio delittuoso possa essere legittimamente disposta solo se, per una qualsivoglia ragione, i proventi dell'attività illecita, di cui pure sia certa l'esistenza, non siano rinvenuti nella sfera giuridico – patrimoniale dell'agente.</p> <p style="text-align: justify;">L'ablazione per equivalente, o di valore, è invero prevista per il solo caso in cui non sia possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, a cagione del mancato loro reperimento, e consente di apprendere utilità patrimoniali di valore corrispondente, di cui il reo abbia la disponibilità: in tale caso, l'ablazione per equivalente può riguardare un qualunque bene di cui l'imputato abbia la disponibilità, anche in modo legittimo e, comunque, indipendentemente dalla commissione dell'illecito penale a lui contestato, a condizione — si ribadisce — che nella sfera giuridico - patrimoniale del soggetto attivo non sia rinvenuto, per una qualsivoglia ragione, il prezzo o profitto del reato per cui si proceda, ma di cui sia ovviamente certa l'esistenza.</p> <p style="text-align: justify;">In applicazione di tale principio di diritto, allorchè, nel patrimonio dell'autore del reato ovvero di taluno dei concorrenti, siano individuabili denaro o beni fungibili costituenti profitto del reato, prima di poter disporre la confisca per equivalente in sentenza (anche di applicazione della pena su richiesta) è necessario previamente disporre, o quantomeno tentare, l'ablazione diretta dei valori costituenti provento di reato, di tal che la confisca di valore è possibile soltanto nel caso in cui il tentativo di aggressione diretta del profitto si sia rivelato infruttuoso per l'indisponibilità materiale di beni da apprendere.</p> <p style="text-align: justify;">Sempre in linea generale, va evidenziato che, come sancito dalle Sezioni Unite, qualora il profitto sia costituito da una somma di denaro - bene fungibile per eccellenza -, essa non è assoggettabile a confisca per equivalente, in quanto il denaro è sempre oggetto di confisca diretta, e la sua trasformazione in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è di ostacolo al sequestro preventivo, che può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito.</p> <p style="text-align: justify;">D'altra parte, costituiscono "profitto" del reato anche gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa e i beni in cui questo è trasformato, in quanto tali attività di impiego di trasformazione non possono impedire che venga sottoposto ad ablazione ciò che rappresenta l'obiettivo del reato posto in essere. Ed invero, nel sistema penale non costituiscono ostacolo alla confisca (e, quindi, nella fase delle indagini, al sequestro) le trasformazioni o modifiche che il prodotto del reato abbia subito, cosicché ove le cose da sequestrare siano per loro natura fungibili - originariamente o a seguito di trasformazione - l'eventuale commistione tra cose lecite e cose illecite, appartenenti allo stesso genere, costituisce una forma di trasformazione dell'originario prodotto del reato in cose comunque separabili con operazioni di peso, misurazione o numerazione. Il tutto in conformità della regola civilistica che prevede, per le obbligazioni che hanno ad oggetto denaro o altre cose fungibili, l'obbligo di restituire "altrettante cose della stessa specie e qualità", regola generale applicabile anche in sede penale, in considerazione della natura patrimoniale della misura di sicurezza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In che senso deve parlarsi di “confische” e non già di confisca?</strong></p> <p style="text-align: justify;">Le <strong>varie confische</strong> previste dal legislatore italiano sono <strong>eterogenee</strong> tra loro anche in termini di <strong>natura giuridica</strong> ed assolvono a <strong>funzioni diverse</strong>, pure essendo <strong>tutte chiamate “<em>confische</em>”</strong>, con conseguente <strong>necessità</strong> di valutare <strong>di volta in volta</strong> se opera o meno la <strong>retroattività <em>in malam partem</em></strong> autorizzata dall’<strong>art.200 c.p.</strong> e vietata dall’<strong>art.2</strong> c.p. e dall’<strong>art.25</strong> della <strong>Costituzione</strong>:</p> <ol> <li style="text-align: justify;">confisca come <strong>misura di sicurezza</strong>;</li> <li style="text-align: justify;">confisca come <strong>vera e propria pena</strong> in senso stretto;</li> <li style="text-align: justify;">confisca come <strong>misura di carattere generale preventivo</strong>, orientata come tale a <strong>scoraggiare</strong> la collettività dalla <strong>promiscuità</strong> con <strong>aree comportamentali di illecito</strong>;</li> <li style="text-align: justify;">confisca come <strong>misura di carattere preventivo</strong>, <strong>non collegata</strong> ad alcuna <strong>previa condanna</strong> ed orientata – sulla scorta di <strong>indizi oggettivi</strong> - a <strong>neutralizzare la pericolosità</strong> del soggetto che la subisce <strong>prima ancora</strong> che quegli <strong>commetta reato</strong>;</li> <li style="text-align: justify;">confisca come <strong>misura compensativa</strong>, tendente al <strong>recupero</strong> per compensazione di <strong>quanto</strong> l’illecito <strong>ha consentito</strong> al soggetto agente di <strong>sottrarre alla collettività</strong>;</li> <li style="text-align: justify;">confisca come <strong>misura retributiva</strong>, orientata a “<strong><em>rispondere</em></strong>” dal punto di vista <strong>sanzionatorio</strong> al <strong>contegno illecito</strong> del soggetto agente.</li> </ol>