<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 19 marzo 2021 n. 42</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento 23 dicembre 2019, n. 13 (Legge di stabilità provinciale 2020), nella parte in cui introduce il comma 4-bis, lettera b), nell’art. 2 della legge della Provincia autonoma di Trento 2 novembre 1993, n. 29 (Attuazione della delega in materia di Università degli studi di Trento e disposizioni in materia di alta formazione musicale e artistica);</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 1 e 2, della legge prov. Trento n. 13 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione;</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 4, della legge prov. Trento n. 13 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.;</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, della legge prov. Trento n. 13 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.;</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge della Provincia autonoma di Trento 23 dicembre 2019, n. 12 (Legge collegata alla manovra di bilancio provinciale 2020), promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3 e 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost..</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.– Deve preliminarmente osservarsi che le questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi n. 28 e n. 29 del 2020 concernenti altre disposizioni contenute nelle leggi della Provincia autonoma di Trento n. 13 e n. 12 del 2019 sono state già trattate congiuntamente in quanto connesse per materia a disposizioni oggetto di precedenti impugnazioni e decise, nel senso dell’inammissibilità e dell’infondatezza, con la sentenza n. 174 del 2020.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Alla luce di tale precedente trattazione congiunta e tenuto conto dell’analogia tra alcuni profili di censura, oltre che della contestuale adozione delle disposizioni impugnate, i giudizi devono essere riuniti anche con riguardo alla trattazione delle questioni residue promosse con i medesimi ricorsi.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.– In relazione alla questione avente ad oggetto l’art. 10, commi 1 e 2, della legge prov. Trento n. 13 del 2019, la difesa provinciale eccepisce l’inammissibilità delle censure governative in quanto il ricorso introduttivo avrebbe trascurato di considerare gli ambiti di competenza legislativa attribuiti alla Provincia autonoma dallo statuto reg. Trentino-Alto Adige, con particolare riferimento all’«ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto» (art. 8, numero 1), al personale degli enti locali (attribuito alla Provincia autonoma, per gli aspetti inerenti alla contrattazione, dall’art. 88 della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 3 maggio 2018, n. 2, recante «Codice degli enti locali della Regione autonoma Trentino-Alto Adige») e al personale scolastico (art. 9, numero 2, dello statuto reg. Trentino-Alto Adige). La censura sarebbe altresì inammissibile perché non sarebbe dato comprendere, ad avviso della difesa provinciale, come una norma di autorizzazione della spesa per il personale, programmata su base triennale secondo le regole provinciali di bilancio, possa determinare una violazione della competenza statale in materia di ordinamento civile.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.1.– L’eccezione di inammissibilità che lamenta la natura generica e oscura della censura governativa, in quanto logicamente preliminare rispetto a quella concernente la mancata considerazione del parametro statutario, deve essere presa in esame per prima.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Essa è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È costante l’orientamento di questa Corte secondo cui, nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale, il ricorrente ha non solo l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione, ma anche di proporre una motivazione che non sia meramente assertiva e che contenga una specifica e congrua indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati, dovendo contenere una sia pur sintetica argomentazione di merito a sostegno delle censure (ex plurimis, sentenze n. 199, n. 194 e n. 25 del 2020, n. 83 del 2018 e n. 261 del 2017).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il ricorso introduttivo del presente giudizio assume che la determinazione dei suddetti limiti di spesa possa celare eventuali rinnovi per incrementi contrattuali, ma manca del tutto di confrontarsi con il tenore della disposizione oltre che con i riscontri emergenti dai lavori preparatori, dai quali si ricava invece pianamente che lo stanziamento in esame, secondo le previsioni contabili di cui all’art. 63 della legge della Provincia autonoma di Trento 3 aprile 1997, n. 7 (Revisione dell’ordinamento del personale della Provincia autonoma di Trento) e all’art. 85 della legge della Provincia autonoma di Trento 7 agosto 2006, n. 5 (Sistema educativo di istruzione e formazione del Trentino), riguarda voci di spesa “a regime” per il personale che non includono oneri per rinnovi contrattuali.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Oltre a ciò, è evidentemente contraddittorio che il ricorrente imputi alle disposizioni di cui all’art. 10, commi 1 e 2, della legge prov. Trento n. 13 del 2019 di aver surrettiziamente stabilito ciò che, con tutta evidenza, dispone l’articolo immediatamente successivo (art. 11, comma 1), che determina proprio l’ammontare degli oneri per i rinnovi contrattuali per il medesimo arco temporale (2020-2022) e che il ricorrente, peraltro, impugna con il secondo motivo di ricorso.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Alla luce di ciò, la questione avente ad oggetto l’art. 10, commi 1 e 2, della legge prov. Trento n. 13 del 2019 deve essere dichiarata inammissibile perché formulata in modo generico e assertivo (ex plurimis, sentenze n. 144 del 2020 e n. 286 del 2019) e perché si limita a prospettare un contenuto lesivo delle norme impugnate in termini solo eventuali e ipotetici, laddove sarebbe semmai spettato al ricorrente dimostrare che gli stanziamenti previsti ricomprendono anche oneri per il rinnovo della contrattazione collettiva (analogamente, sentenze n. 130 e n. 117 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.– In relazione alla questione avente ad oggetto l’art. 11, comma 1, della legge prov. Trento n. 13 del 2019, la difesa provinciale ha formulato ragioni di inammissibilità analoghe a quelle rivolte nei confronti delle censure già prese in esame con riferimento all’art. 10, commi 1 e 2, della legge prov. Trento n. 13 del 2019. Con la memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, la difesa della resistente ha altresì sollecitato una dichiarazione di cessazione della materia del contendere, perché la disposizione impugnata è stata abrogata dall’art. 9, comma 8, della legge della Provincia autonoma di Trento 28 dicembre 2020, n. 16 (Legge di stabilità provinciale 2021), a decorrere dal 1° gennaio 2021.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.1.– Occorre, innanzi tutto, verificare l’effetto dell’intervenuta abrogazione della disposizione ora richiamata sul giudizio in corso.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, una modifica della disposizione oggetto della questione di legittimità costituzionale promossa in via principale che sia intervenuta a seguito dell’instaurazione del giudizio determina la cessazione della materia del contendere «quando ricorrono, al contempo, due condizioni: il carattere satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e il fatto che la disposizione censurata non abbia avuto medio tempore applicazione (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 200, n. 70 e n. 25 del 2020, n. 287 e n. 56 del 2019)» (sentenza n. 7 del 2021).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel caso di specie, non può dubitarsi, secondo quanto del resto attestato dall’Avvocatura generale in pubblica udienza, che l’intervenuta abrogazione della disposizione impugnata abbia carattere satisfattivo delle richieste del ricorrente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Risulta altresì evidente che alla medesima disposizione non è stata data applicazione, in quanto la Provincia autonoma non ha proceduto, nel periodo considerato, ad alcun rinnovo contrattuale e, anzi, con l’art. 9, comma 7, della legge prov. Trento n. 16 del 2020 ha stabilito che alle riferite categorie di personale sia corrisposta l’indennità di vacanza contrattuale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ricorrono, pertanto, i presupposti perché debba essere dichiarata, in relazione alla questione avente ad oggetto l’art. 11, comma 1, della legge prov. Trento n. 13 del 2019, la cessazione della materia del contendere.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.2.– Quanto alla questione avente ad oggetto l’art. 11, comma 4, della legge prov. Trento n. 13 del 2019, deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa provinciale, che ha lamentato l’assenza di qualsiasi motivazione a supporto della relativa censura.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Anche tale eccezione è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il ricorso introduttivo si limita infatti a riassumere il tenore della disposizione censurata e a evocare la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., adducendo una ragione di illegittimità costituzionale riferibile esclusivamente alla disposizione di cui all’art. 11, comma 1. Il ricorrente ha quindi mancato di offrire una sia pure sintetica argomentazione di merito idonea a far sì che possa «ritenersi raggiunta quella “soglia minima di chiarezza e completezza” (ex plurimis, sentenza n. 83 del 2018), “che rende ammissibile l’impugnativa proposta” (sentenza n. 201 del 2018)» (sentenza n. 25 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.– Con il terzo motivo è impugnato l’art. 15, comma 1, della legge prov. Trento n. 13 del 2019, nella parte in cui introduce il comma 4-bis, lettera b), nell’art. 2 della legge prov. Trento n. 29 del 1993. Tale disposizione prevede che «[c]on riferimento ai test di ingresso ai corsi universitari la Provincia, nell’ambito dell’intesa di cui al comma 1, può promuovere […] b) una riserva di un numero di posti non inferiore al 10 per cento per candidati residenti in provincia di Trento, nell’ipotesi di parità di merito con candidati non residenti».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il motivo di doglianza avanzato dal ricorrente, secondo cui tale disposizione comporterebbe una lesione del principio di uguaglianza e di non discriminazione per il fatto di introdurre un criterio di preferenza non legato al merito o agli obiettivi che l’istituzione universitaria è chiamata a perseguire, è ritenuto privo di fondamento dalla difesa provinciale. In primo luogo, la disposizione impugnata non introdurrebbe alcuna riserva di posti, ma si limiterebbe a stabilire un criterio di preferenza destinato ad operare in ipotesi eventuali e comunque del tutto residuali, quando cioè gli ultimi posti in graduatoria siano contesi da più candidati collocati a parità di merito che eccedano il numero di posti disponibili. In secondo luogo, essa troverebbe comunque la sua giustificazione nella necessità per la Provincia autonoma di Trento di garantire che l’università insediata sul suo territorio, favorendo l’accesso agli studi universitari della popolazione residente, si faccia carico anche di una funzione sociale ponendosi come strumento di progresso per la collettività locale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.1.– Preliminarmente, deve rilevarsi che, pur se il ricorrente lamenta, nelle conclusioni dell’atto introduttivo, la violazione del secondo comma dell’art. 3 Cost., dal tenore complessivo dello stesso ricorso e della delibera governativa di autorizzazione si ricava, implicitamente ma chiaramente, la denuncia di violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3, primo comma, Cost. È quindi con riferimento a tale parametro che la questione deve essere scrutinata nel merito.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.2.– Sempre in via preliminare, va osservato che la disposizione impugnata interviene a definire i contenuti dell’atto di indirizzo per l’università e la ricerca, che la Giunta provinciale aggiorna annualmente previa intesa con l’Università degli studi di Trento ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge prov. Trento n. 29 del 1993, come modificato dall’art. 68, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2011, n. 18, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 (Legge finanziaria provinciale 2012)». In particolare, il comma 4-bis, lettere a) e b), del medesimo art. 2, introdotto dall’art. 15, comma 1, della legge prov. Trento n. 13 del 2019, attribuisce alla Provincia autonoma la facoltà di promuovere, con riferimento ai test di ingresso universitari e nell’ambito dell’intesa dianzi richiamata, sia «l’eliminazione della media dei voti d’esame di stato relativo al secondo ciclo» (lettera a), sia «una riserva di posti di un numero non inferiore al 10 per cento per candidati residenti in Provincia di Trento, nell’ipotesi di parità di merito con candidati non residenti» (lettera b, impugnata nel presente giudizio).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Con il novellato art. 2 della legge prov. Trento n. 29 del 1993, la Provincia autonoma di Trento ha individuato nell’«atto di indirizzo per l’università e la ricerca» lo strumento chiamato a dare attuazione alla delega di funzioni contenuta nell’art. 2 del decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 142 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige recanti delega di funzioni legislative ed amministrative statali alla Provincia di Trento in materia di Università degli studi), che individua ambiti di intervento, criteri e procedure per la definizione dei rapporti finanziari tra la Provincia medesima e l’Università degli studi di Trento. L’art. 3 del d.lgs. n. 142 del 2011 prevede invece, al comma 1, che «[l]’Università è disciplinata dal proprio Statuto, definito nel rispetto della Costituzione e di quanto disposto dal presente decreto», il quale infatti detta nel medesimo art. 3, comma 1, principi e criteri direttivi cui l’Università deve attenersi in sede di redazione del relativo Statuto, oltre che specifici requisiti organizzativi e funzionali (art. 3, comma 2).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.3.– Poste tali premesse, la questione è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La disposizione impugnata incide oggettivamente sui termini di godimento del diritto allo studio universitario, per il fatto di prefigurare in astratto un criterio di preferenza, incentrato sul requisito della residenza nel territorio provinciale, in grado di determinare l’esclusione di candidati non residenti collocati nelle graduatorie per l’accesso ai corsi universitari a parità di punteggio sulla base dei requisiti di merito.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Secondo l’orientamento costante di questa Corte, disposizioni legislative che individuino nella residenza più o meno prolungata in un determinato territorio la condizione o anche solo un elemento di favore per l’accesso a determinate prestazioni (sentenze n. 9 del 2021, n. 281 e n. 44 del 2020, n. 166 del 2018) o per l’ammissione a procedure selettive (sentenza n. 151 del 2020) superano il vaglio di legittimità soltanto se mostrano una idonea e ragionevole correlazione con la funzione e la finalità dei servizi o delle prestazioni il cui godimento è inciso dalle disposizioni oggetto di esame.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel caso di specie, non può intravedersi alcuna ragionevole correlazione tra il requisito della residenza nel territorio provinciale e l’accesso ai corsi universitari.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa Corte ha già chiarito che il diritto allo studio «comporta non solo il diritto di tutti di accedere gratuitamente alla istruzione inferiore, ma altresì quello – in un sistema in cui “la scuola è aperta a tutti” (art. 34, primo comma, della Costituzione) – di accedere, in base alle proprie capacità e ai propri meriti, ai “gradi più alti degli studi” (art. 34, terzo comma): espressione, quest’ultima, in cui deve ritenersi incluso ogni livello e ogni ambito di formazione previsti dall’ordinamento» (sentenza n. 219 del 2002). Al godimento del diritto allo studio si correla funzionalmente la stessa autonomia attribuita dall’art. 33, sesto comma, Cost., alle università, che infatti non assume rilievo unicamente per i profili organizzativi interni, ma anche per il «rapporto di necessaria reciproca implicazione» con i diritti costituzionalmente garantiti di accesso all’istruzione universitaria (sentenze n. 42 del 2017 e n. 383 del 1998).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Assumere che il requisito della residenza possa operare come criterio di favore nelle circostanze indicate, pertanto, non solo non trova giustificazione nelle finalità che il diritto ad accedere ai corsi universitari persegue, che sono legate al rafforzamento della capacità e del merito individuali, ma contraddice anche la naturale vocazione dell’istituzione universitaria a favorire la mobilità, oltre che dei docenti, anche degli studenti, al fine di incentivare e valorizzare le attività sue proprie e la loro tendenziale universalità. Proprio al perseguimento di tale obiettivo, del resto, è vincolata la stessa Università degli studi di Trento, il cui statuto, secondo quanto prescrive l’art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 142 del 2011, è tenuto al rispetto del principio del «perseguimento dell’attrazione di studenti meritevoli e di risorse umane altamente qualificate, come elemento base per il perseguimento dell’alta qualità di cui alla lettera a)».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’assenza di una ragionevole correlazione, nel senso richiesto dall’art. 3 Cost., tra il requisito della residenza nel territorio provinciale e l’accesso ai corsi universitari è inoltre comprovata dalla circostanza che la discriminazione operata a danno degli aspiranti studenti universitari non residenti, contrariamente a quanto asserisce la difesa provinciale, non può ritenersi necessariamente ristretta ad ipotesi meramente residuali. L’operatività della riserva di posti introdotta dalla disposizione impugnata, peraltro fissata nella sola misura minima del 10 per cento, si presta ad assumere infatti una portata lesiva del principio di uguaglianza, potenzialmente ben più ampia di quella prospettata dalla Provincia alla luce di quanto prevede la lettera a) del nuovo comma 4-bis dell’art. 2 della legge prov. Trento n. 29 del 1993, anch’esso introdotto dall’art. 15, comma 1, della legge prov. Trento n. 13 del 2019.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Con tale previsione, alla Provincia autonoma è attribuita, come detto, la facoltà di promuovere, in sede di predisposizione del già menzionato atto di indirizzo per l’università e la ricerca, «l’eliminazione della media dei voti dell’esame di stato relativo al secondo ciclo». La sua pur potenziale eliminazione di tale requisito di merito rende, dunque, ulteriormente evidente l’irragionevolezza della disposizione impugnata, che non trova alcuna giustificazione alla luce delle richiamate finalità che il diritto di accedere agli studi universitari persegue.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, della legge prov. Trento n. 13 del 2019, nella parte in cui introduce il comma 4-bis, lettera b), nell’art. 2 della legge prov. Trento n. 29 del 1993.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.– Con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dell’art. 10 della legge prov. Trento n. 12 del 2019, la difesa provinciale ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità delle censure, non essendosi il ricorrente confrontato con il quadro delle competenze legislative attribuite alla Provincia autonoma di Trento dallo statuto regionale del Trentino-Alto Adige.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’eccezione non può essere accolta.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Secondo il costante orientamento di questa Corte, «nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale il ricorso può ritenersi ammissibile allorché “fornisc[a] una sufficiente motivazione circa ‘l’impossibilità di operare il sindacato di legittimità costituzionale in base allo statuto speciale’ (da ultimo, sentenza n. 43 del 2020)”» (sentenza n. 174 del 2020). Ciò comporta, di conseguenza, che «il ricorrente ben può dedurre la violazione dell’art. 117 Cost. e postulare che la normativa regionale o provinciale impugnata eccede dalle competenze statutarie quando a queste ultime essa non sia in alcun modo riferibile (sentenza n. 16 del 2012), fermo restando che la motivazione del ricorso su tale profilo dovrà divenire tanto più esaustiva, quanto più, in linea astratta, le disposizioni censurate appaiano invece inerenti alle attribuzioni dello statuto di autonomia (sentenza n. 213 del 2003)» (sentenze n. 25 del 2021 e n. 151 del 2015).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel caso di specie, prospettando la violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost. (quest’ultimo in riferimento alla materia del coordinamento della finanza pubblica), il ricorrente ha assolto all’onere argomentativo richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Quanto all’invasione della materia dell’ordinamento civile, il ricorso, censurando il diverso regime temporale di utilizzo delle graduatorie e assumendo il contenuto di rilievo privatistico delle disposizioni impugnate, implicitamente esclude l’utilità di un confronto con il quadro delle competenze statutarie, corroborando tale implicita assunzione con elementi indiziari (come la violazione di normative statali interposte e il richiamo a precedenti di questa Corte) idonei a rendere le questioni validamente prospettate e a consentirne così lo scrutinio nel merito (analogamente, sentenze n. 199 e n. 194 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Non diversamente, con riferimento alla violazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica, si deve ritenere che «l’assoluta estraneità alle competenze statutarie, secondo la prospettazione del ricorrente, dei principi fondamentali nella materia “coordinamento della finanza pubblica” […] determina la non utilità di una motivazione più pregnante alla luce delle competenze statutarie. A tal riguardo, deve infatti rilevarsi come la prospettazione del ricorrente possa trovare ragionevole fondamento nel costante orientamento di questa Corte, secondo cui i principi di coordinamento della finanza pubblica recati dalla legislazione statale si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale (ex plurimis, tra le più recenti, sentenze n. 273, n. 263, n. 239, n. 238, n. 176 e n. 82 del 2015)» (sentenze n. 11 del 2021 e n. 279 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.1.– La difesa provinciale eccepisce altresì l’inammissibilità delle censure perché esse lamentano la violazione di una disposizione statale interposta (l’art. 1, comma 147, lettera a, della legge n. 160 del 2019) entrata in vigore in un momento successivo (1° gennaio 2020) a quello di entrata in vigore delle disposizioni fatte oggetto di impugnazione (25 dicembre 2019).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Anche tale eccezione non può trovare accoglimento.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel ribadire il principio per cui le Regioni e le Province autonome non possono che essere vincolate al rispetto di principi fondamentali della legislazione statale che siano vigenti al momento dell’entrata in vigore delle disposizioni oggetto di sindacato da parte di questa Corte (sentenza n. 5 del 2020), si deve rilevare che nel caso di specie il contenuto dell’art. 1, comma 147, lettera a), della legge n. 160 del 2019 era vigente all’epoca dei fatti, benché previsto da una diversa disposizione, segnatamente l’art. 1, comma 362-ter, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), inserito dall’art. 6-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101 (Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali), convertito, con modificazioni, nella legge 2 novembre 2019, n. 128. Tale disposizione, abrogata dall’art. 1, comma 148, della medesima legge n. 160 del 2019, è rimasta in vigore dal 3 novembre al 31 dicembre 2019 con una formulazione che è stata sostanzialmente trasfusa nella disposizione legislativa interposta di cui il ricorrente assume la violazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Si deve pertanto ritenere che la censura governativa, pur formulata in termini imprecisi, sia ammissibile, perché comunque riferita alla lesione di un dettato normativo nella sostanza vigente al momento dell’adozione delle disposizioni impugnate nel presente giudizio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.2.– Da ultimo, la Provincia autonoma di Trento eccepisce l’inammissibilità della censura relativa alla violazione dell’art. 3 Cost. ad opera dell’art. 10, comma 2, della legge prov. Trento n. 12 del 2019, nella parte in cui esclude dalla proroga delle graduatorie il personale provinciale del ruolo sanitario, perché di essa non vi sarebbe traccia nella delibera governativa di autorizzazione al ricorso.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Anche tale eccezione non è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Contrariamente a quanto ritiene la resistente, la delibera di autorizzazione espressamente stabilisce che l’esclusione dalla proroga per il personale sanitario «non appare giustificata né in linea con le previsioni del legislatore nazionale, che non ha previsto esclusioni riferite a particolari categorie di personale; pertanto, si pone in contrasto con l’art. 3 della Costituzione».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate in relazione ad alcuno dei parametri invocati.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’art. 10, comma 1, della legge prov. Trento n. 12 del 2019 prevede che «[f]atto salvo l’attuale termine di scadenza delle graduatorie di figure professionali per le quali è stabilito nel bando di concorso, tra i requisiti d’accesso, un limite d’età, i termini di validità delle graduatorie per le assunzioni di personale provinciale a tempo indeterminato relative al comparto autonomie locali, già prorogati fino al 31 dicembre 2019 o in scadenza nel primo semestre del 2020, sono prorogati fino al 30 giugno 2020». Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce analoga proroga per le assunzioni di personale a tempo indeterminato degli enti strumentali indicati dall’art. 33, comma 1, lettera a), della legge prov. Trento n. 3 del 2006, stabilendo al contempo una eccezione per le graduatorie del personale del ruolo sanitario, «che conservano la scadenza prevista».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il ricorrente lamenta che tali disposizioni prevedano modalità di utilizzo delle graduatorie concorsuali diverse da (e incompatibili con) quelle disciplinate dall’art. 1, comma 147, lettera a), della legge n. 160 del 2019, ovvero ratione temporis dall’art. 1, comma 362-ter, della legge n. 145 del 2018. In particolare, la genericità del loro ambito di applicazione non chiarirebbe a quali annualità si riferiscano le graduatorie concorsuali oggetto di proroga, con la conseguenza che il differimento al 30 giugno 2020 si porrebbe in potenziale contrasto con i termini di utilizzo delle graduatorie approvate nel 2011, per le quali è possibile procedere allo scorrimento, secondo quanto prevedono le disposizioni statali ora richiamate, entro e non oltre il 31 marzo 2020. Da ciò il ricorso fa discendere la violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost., con riferimento, rispettivamente, agli ambiti di competenza dell’«ordinamento civile» e del «coordinamento della finanza pubblica».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.3.1.– Non sussiste, innanzi tutto, alcuna lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in riferimento alla materia «ordinamento civile».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa Corte ha precisato, con una giurisprudenza costante e ribadita anche di recente in plurime occasioni, che la disciplina dell’impiego pubblico regionale deve essere ricondotta all’ordinamento civile, di competenza esclusiva statale, «solo “per i profili privatizzati del rapporto”, attinenti al rapporto di lavoro già instaurato, laddove “i profili ‘pubblicistico-organizzativi’ rientrano nell’ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi appartengono alla competenza legislativa residuale della Regione” (ex multis, sentenze n. 63 del 2012, n. 339 e n. 77 del 2011, n. 233 del 2006, n. 2 del 2004)» (sentenze n. 126 del 2020 e n. 149 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 273, n. 77 e n. 5 del 2020, n. 241 del 2018).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tale conclusione vale anche per la Provincia autonoma di Trento, titolare di una competenza legislativa primaria in materia di «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto» (art. 8, numero 1, statuto reg. Trentino-Alto Adige) che incontra, ai sensi dell’art. 4 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige, il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica. Analogamente a quanto questa Corte ha stabilito nei confronti di disposizioni equivalenti contenute negli statuti delle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia (sentenza n. 273 del 2020) e Valle d’Aosta (sentenze n. 77 del 2020 e n. 241 del 2018), anche alla Provincia autonoma di Trento spetta la più ampia competenza legislativa residuale nella materia «ordinamento e organizzazione amministrativa regionale» di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., in conseguenza dell’operare della clausola di maggior favore contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), in quanto «prevede una forma di autonomia più ampia di quella già attribuita alla stessa Regione» dallo statuto speciale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Le disposizioni regionali impugnate, pertanto, nel momento in cui disciplinano i termini di utilizzabilità delle graduatorie concorsuali e, quindi, intervengono nella materia dell’accesso al pubblico impiego regionale, costituiscono esercizio della competenza legislativa provinciale in materia di organizzazione amministrativa del personale, vincolata solo «al rispetto dei limiti costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità e dei principi di coordinamento della finanza pubblica» (sentenza n. 126 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.3.2.– Non ha tuttavia fondamento neanche la censura concernente la violazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Si deve innanzi tutto ricordare come l’unico profilo di censura avanzato dal ricorrente consiste nell’avere la Provincia autonoma asseritamente esteso i margini di utilizzabilità delle graduatorie concorsuali approvate nel 2011 di tre mesi rispetto a quanto previsto dall’art. 1, comma 362-ter, della legge n. 145 del 2018, che fissava come termine di utilizzo per le medesime graduatorie il 30 marzo 2020. Per le altre graduatorie concorsuali, infatti, le disposizioni provinciali impugnate prevedono limiti temporali di utilizzo più ristretti di quelli stabiliti dalla medesima normativa statale, secondo quanto del resto dalla stessa consentito nel momento in cui essa fa «salvi i periodi di vigenza inferiori previsti da leggi regionali».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa Corte ha chiarito in più occasioni che le disposizioni volte a vincolare temporalmente l’utilizzo di graduatorie già approvate (come l’art. 1, comma 1148, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020») costituiscono principi di coordinamento della finanza pubblica quando siano correlate a limiti alle assunzioni posti transitoriamente anche a carico delle Regioni (sentenze n. 5 del 2020 e n. 241 del 2018).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Al tempo stesso, tali principi, pur in linea generale applicabili alle autonomie speciali (sentenze n. 62 del 2017, n. 40 del 2016, n. 82 e n. 46 del 2015) «in quanto funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità economica della Repubblica» (sentenza n. 103 del 2018), non operano in maniera analoga a quanto avviene per le Regioni a statuto ordinario, perché esse dispiegano i loro effetti nel rispetto del principio dell’accordo, inteso come vincolo di metodo (e non già di risultato) declinato nella forma della leale collaborazione (sentenze n. 88 del 2014, n. 193 e n. 118 del 2012), da ritenersi «funzionale sia al “raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto dei vincoli europei”, sia a evitare “che il necessario concorso delle Regioni comprima oltre i limiti consentiti l’autonomia finanziaria ad esse spettante” (sentenza n. 62 del 2017)» (sentenza n. 273 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’inapplicabilità del limite temporale all’utilizzo delle graduatorie contenuto nell’art. 1, comma 362-ter, della legge n. 145 del 2018, pertanto, deriva nel caso di specie dal fatto che alla Provincia autonoma di Trento sono opponibili vincoli statali di coordinamento della finanza pubblica solo ove determinati nel rispetto del meccanismo dei saldi concordati e, quindi, nella forma di limiti generali alla funzione legislativa provinciale, laddove vincoli puntuali sarebbero opponibili solamente nelle peculiari forme previste dall’art. 79, comma 4, dello statuto reg. Trentino-Alto Adige: il che, tuttavia, non è avvenuto nel caso di specie.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.3.3.– Anche la censura di violazione dell’art. 3 Cost., riguardante l’art. 10, comma 2, della legge prov. Trento n. 12 del 2019, nella parte in cui ha escluso dalla proroga delle graduatorie concorsuali ivi prevista il personale provinciale del ruolo sanitario, non può essere accolta.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Contrariamente a quanto assume il ricorrente, la disposizione impugnata risulta sorretta da una ratio pienamente giustificabile, consistente nell’esigenza – avvertita in generale anche dal legislatore statale nelle norme interposte dianzi richiamate – che l’assunzione di personale del ruolo sanitario, per il quale è ancora più necessario non «pregiudicare l’urgenza pressante dell’aggiornamento professionale (sentenza n. 241 del 2018)» (sentenza n. 77 del 2020), non avvenga dopo un lasso di tempo troppo distante dall’espletamento della procedura concorsuale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.4.– Devono, pertanto, essere dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge prov. Trento n. 12 del 2019, in riferimento agli artt. 3 e 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Emilio Barile La Raia</em></strong></p>