<p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 19 aprile 2021 n. 10242</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>PRINCIPIO DI DIRITTO</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Ai fini dell'individuazione della natura definitiva o non definitiva di una sentenza che abbia deciso su una delle domande cumulativamente proposte tra le stesse parti, deve aversi riguardo agli indici di carattere formale desumibili dal contenuto intrinseco della stessa sentenza, quali la separazione della causa e la liquidazione delle spese di lite in relazione alla causa decisa. Tuttavia, qualora il giudice, con la pronuncia intervenuta su una delle domande cumulativamente proposte, abbia liquidato le spese e disposto per il prosieguo del giudizio in relazione alle altre domande, al contempo qualificando come non definitiva la sentenza emessa, in ragione dell'ambiguità derivante dall'irriducibile contrasto tra indici di carattere formale che siffatta qualificazione determina e al fine di non comprimere il pieno esercizio del diritto di impugnazione, deve ritenersi ammissibile l'appello in concreto proposto mediante riserva.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>La questione rimessa all'esame di queste Sezioni Unite riguarda la verifica dei criteri ai quali ricorrere per pervenire alla corretta individuazione della natura definitiva o meno della sentenza, ai fini del regime di impugnazione applicabile e della possibilità per la parte di proporre impugnazione differita, specificamente con riguardo all'eventualità in cui, a fronte dell'affermazione formale indicata in dispositivo di "non definitivamente" pronunciare, il giudice, in un processo con una pluralità di domande, abbia definito parzialmente il giudizio, decidendo sul merito di una o più domande, provvedendo alla regolazione delle relative spese e disponendo con ordinanza la prosecuzione del giudizio in vista del compimento dell'attività istruttoria necessaria ai fini della decisione su altra domanda.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La questione rileva per l'esame del primo motivo di ricorso, con cui si deduce che erroneamente la Corte d'appello avrebbe negato rilevanza all'espressa qualificazione data alla sentenza dal giudice, poiché, a parere di parte ricorrente, i criteri formali individuati dalla giurisprudenza al fine di stabilire la natura definitiva o meno della sentenza in funzione dell'impugnazione differita (quali l'adozione di un provvedimento di separazione, la liquidazione delle spese di lite, la decisione solo su alcune domande) sono destinati ad essere recessivi nel caso in cui vi sia stata qualificazione espressa da parte del giudice a quo. Nell'ordinanza di rimessione si sollecita anche la trattazione del tema relativo ai criteri di individuazione delle sentenze definitive o non definitive, ai fini del regime impugnatorio, nella specifica materia dei giudizi di scioglimento delle comunioni.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questo ultimo tema è estraneo alla controversia di cui si discute, e, pertanto, esula dall'ambito di cognizione riservato al Collegio decidente. In ragione delle funzioni ordinamentali e delle attribuzioni processuali delle Sezioni Unite, infatti, alle stesse non è affidata l'enunciazione di principi generali e astratti o di verità dogmatiche di diritto, quanto, piuttosto, la soluzione di questioni di principio di valenza nomofilattica pur sempre riferibili alle specificità del caso concreto. Ciò trova riscontro nella previsione dell'art. 363 cod. proc. civ. perché, anche nel caso in cui la Corte di cassazione è chiamata a enunciare un principio di diritto nell'interesse della legge, si tratta in ogni caso del principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi nella risoluzione della specifica controversia (Cass. S.U. 12564/2018).</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="3"> <li><em> I passaggi dell'evoluzione normativa riguardo all'istituto delle sentenze non definitive, dall'impostazione del legislatore del 1865 all'impianto previsto nel codice di procedura civile del 1940, fino all'intervento della L. 14 luglio 1950, n. 581, che, modificando gli artt.279, 339 e 340 cod. proc. civ., ha determinato l'attuale assetto complessivo, sono stati esaminati da questa Corte e si trovano descritti, unitamente alle linee dell'evoluzione giurisprudenziale sul tema, in Cass. 25 marzo 2011 n. 6993. Nella stessa sentenza si legge che «tirando le fila del discorso sull'enucleazione della differenziazione tra sentenza definitiva e non definitiva, possono essenzialmente evidenziarsi, alla luce del percorso segnato dalle Sezioni unite come sottolineato dalla migliore dottrina, i seguenti punti fermi:</em></li> <li><em>a) allorquando si sia generato, fra le stesse parti, un cumulo oggettivo di cause (ai sensi degli artt. 104, 36 in dipendenza della proposizione di domanda riconvenzionale, 34 in virtù della formulazione di domanda di accertamento incidentale o per legge, per effetto di riunione dei processi ex artt. 40 e/o 274 c.p.c.), si configurerà la possibilità di scegliere fra la pronuncia di una sentenza non definitiva su una singola domanda e la pronuncia di una sentenza definitiva parziale, ricadendosi nella seconda ipotesi solo allorché la separazione sia esplicitamente statuita dal giudice nella pronuncia della sentenza, oppure allorché la sua intenzione di separare la causa non decisa e di farne l'oggetto di un residuo ma distinto rapporto processuale sia resa palese dall'avvenuta disciplina delle spese in ordine all'esito della controversia già decisa;</em></li> <li><em>b) allorquando si tratti, invece, di un cumulo litisconsortile di cause (insorto ai sensi degli artt. 103 o 105, comma 1, o art. 40 e/o 274 ovvero, per effetto di chiamata in causa di terzi, ex artt. 106 e, entro certi limiti, 107 c.p.c.), consegue che ogni sentenza, che definisca integralmente la pendenza delle controversie che concernano uno dei litisconsorti facoltativi attivi o passivi, od anche uno degli intervenienti o uno dei chiamati in causa, dovrà considerarsi sentenza definitiva e contenere, perciò, la pronuncia sulle spese e, per quanto possibile, un'espressa statuizione di separazione delle restanti cause relative solo agli altri litisconsorti facoltativi;</em></li> <li><em>c) nel caso in cui si versi in una ipotesi di cumulo solo oggettivo di due cause fra le stesse parti e le cause stesse non presentino alcun nesso di condizionamento o di subordinazione o di pregiudizialità e possano, quindi, dar luogo alla pronuncia di una sentenza parziale definitiva con separazione dell'altra causa ancora non matura per la decisione, bisogna ritenere che operi pienamente la disciplina della scelta fra l'impugnazione immediata e la riserva di impugnazione differita». A conferma dell'enunciato che precede, deve segnalarsi che già con la decisione 1 marzo 1990 n. 1577 queste Sezioni Unite avevano dato atto della mancanza di dissenso riguardo alla qualificazione come definitiva della sentenza che decide solo alcune delle domande cumulate nello stesso processo tra soggetti diversi.</em></li> <li><em> La questione oggetto d'esame riguarda, quindi, l'individuazione, in funzione del regime di impugnazione (immediata o differita), della natura definitiva o non definitiva della sentenza che decida solo su alcune delle domande cumulativamente proposte tra le stesse parti. Al riguardo nella giurisprudenza di questa Corte si registra un orientamento ormai consolidato.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Con la citata sentenza Cass. 1 marzo 1990 n. 1577, le Sezioni Unite, nel risolvere il contrasto venutosi a creare tra le decisioni favorevoli a un approccio cd. sostanzialista (secondo cui è l'autonomia e sufficienza della pronuncia del giudice rispetto alla singola domanda cumulata a determinare la sua qualificazione come definitiva) e quelle propense ad una soluzione cd. formalista (che valorizza gli indici esteriori ritenuti esplicativi della definitività), hanno affermato che, nel caso di cumulo di domande fra gli stessi soggetti, la sentenza che decida una o più di dette domande, con prosecuzione del procedimento per le altre, ha natura non definitiva, e come tale può essere oggetto di riserva d'impugnazione differita (artt. 340 e 361 cod. proc. civ.), qualora non disponga la separazione, ai sensi dell'art. 279 secondo comma, n. 5), cod. proc. civ., e non provveda sulle spese relative alla domanda o alle domande decise, rinviando all'ulteriore corso del giudizio, tanto perché, anche al fine indicato, la definitività della sentenza esige un espresso provvedimento di separazione che chiude la contesa cui si riferisce, con il quale si provvede "sia pure implicitamente, alla separazione delle cause in quanto la condanna alle spese della parte soccombente è contenuta nel provvedimento decisorio che definisce e cioè conclude, per quella fase, il procedimento pendente davanti a lui" (nella fattispecie la Corte aveva cassato la sentenza del giudice di appello che, a fronte di una sentenza del Tribunale riferita come "non definitiva" e nella quale non era rinvenibile un provvedimento formale di separazione delle cause, né di liquidazione delle spese, aveva dichiarato inammissibile l'appello proposto avverso la stessa, a seguito di riserva di gravame, facendo prevalere il contenuto sostanziale della medesima, che deponeva, a suo avviso, per la definitività).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Successivamente le stesse Sezioni Unite, chiamate a dirimere un contrasto rimasto latente all'interno delle sezioni semplici anche dopo la citata pronuncia, con le sentenze 8 ottobre 1999, nn. 711 e 712, hanno confermato la soluzione già espressa, ribadendo che è da considerarsi non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più) domande con prosecuzione del procedimento per le altre, senza disporre la separazione ex art. 279, comma secondo n. 5), cod. proc. civ., e senza provvedere sulle spese in ordine alla domanda (o alle domande) così decise, rinviandone la relativa liquidazione all'ulteriore corso del giudizio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La sentenza di queste Sezioni Unite 28 aprile 2011, n. 9441, poi, ancora una volta, ha confermato la prevalenza del criterio formale di identificazione, specificamente con riguardo alle pronunce declinatorie della giurisdizione. Nella citata decisione è stato evidenziato che "l'opzione per il criterio formale di identificazione delle sentenze non definitive risponde ad un criterio di assoluta chiarezza, che fonda l'affidamento della parte nella possibilità che, ricorrendo le condizioni date (omessa separazione delle cause; omessa statuizione sulle spese), si sia effettivamente in presenza - qualunque ne sia il contenuto - di una sentenza non definitiva, suscettibile, in quanto tale, di riserva di impugnazione". L'orientamento così formatosi può dirsi ormai acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, poiché ad esso ha mostrato costante adesione la giurisprudenza successiva delle sezioni semplici.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="5"> <li><em> Il criterio di distinzione tra sentenze definitive e non definitive fondato su indici formali, rispetto al quale non si registrano decisioni dissonanti di questa Corte dopo il chiarimento intervenuto nel 1999, deve essere in questa sede ribadito, a presidio della garanzia di certezza e della tutela dell'affidamento che la presenza di indici di carattere formale ingenera nelle parti. Questa indicazione di sistema proviene anche dal rappresentante dell'Ufficio del pubblico ministero, il quale ha evidenziato come il criterio indicato riposi su una ratio garantistica, che ha condotto a ritenere preferibili le esigenze di certezza dei rimedi impugnatori e di affidamento rispetto a quelle sostanziali e contenutistiche, non mancando di evidenziare i vantaggi che nell'applicazione della materia processuale offre un orientamento consolidato, del quale neppure l'ordinanza interlocutoria dubita.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>I precedenti richiamati, infatti, hanno posto in evidenza i limiti della tesi sostanzialista proprio sul versante della tutela dell'affidamento: non offrendo un criterio certo ed univoco di distinzione, essa finisce con l'esporre «la parte soccombente, le cui esigenze di tutela assumono nella materia in esame preminente rilievo ... al rischio di perdere il diritto a impugnare...» (SU 8 ottobre 1999 n. 711). Il principio dell'affidamento, posto a garanzia del diritto di azione, nella sua fondamentale declinazione di diritto a impugnare, deve guidare anche nella soluzione dello specifico quesito oggi sottoposto all'attenzione del collegio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.1. Quanto agli indici formali rilevanti ai fini della qualificazione della sentenza come definitiva, e dunque immediatamente impugnabile, gli stessi sono individuati dalla giurisprudenza di legittimità nel provvedimento di separazione delle cause e nella condanna alle spese della parte soccombente che, contenuta nel provvedimento decisorio che definisce e cioè conclude il procedimento pendente in una determinata fase, presuppone la separazione della causa, così che la presenza dell'uno o dell'altra vale a segnalare ai destinatari del provvedimento il carattere definitivo della sentenza che ha deciso su una delle domande cumulate.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Gli indicatori formali che assumono rilevanza, quindi, sono intrinseci alla sentenza e dalla stessa immediatamente percepibili, dovendosi ritenere esclusa l'utilizzabilità di elementi esterni alla decisione, per definizione non rispondenti alle indicate esigenze di certezza e di affidamento. Per tornare alla fattispecie specifica oggetto d'esame, va ricordato che la Corte d'appello ha ritenuto significativa della definitività della sentenza n. 656 del 2007, che aveva deciso sulla domanda di risoluzione della donazione, anche la circostanza che nella successiva sentenza n. 316 del 2010, con la quale lo stesso Tribunale aveva statuito sulla causa separata, si fosse tenuto conto, ai fini della liquidazione delle spese, soltanto delle attività effettuate dopo la prima sentenza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Un simile criterio si rivela fallace e illogico, perché utilizza elementi esterni e posteriori al provvedimento della cui definitività si controverte, in quanto tali ininfluenti sull'affidamento delle parti circa il regime d'impugnazione applicabile a quel provvedimento. Per le stesse ragioni, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non può essere attribuita rilevanza, ai fini indicati, alla mancanza di osservazioni da parte del giudice di primo grado in ordine alla riserva di impugnazione espressa dalla parte appellante in udienza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.2. Al pari degli indicatori menzionati, assume carattere intrinseco e formale anche l'espressa qualificazione della sentenza come definitiva o non definitiva da parte del giudice. La contestuale presenza, rilevabile nel caso in disamina, di una qualificazione della sentenza dissonante rispetto agli altri indici formali desumibili dal testo costituisce una evidente anomalia nella decisione, in contrasto con le connotazioni di certezza che il provvedimento decisorio dovrebbe rivestire al fine di garantire il pieno esercizio del potere di impugnazione, poiché determina la difficoltà di attribuire prevalenza all'uno o all'altro degli indicatori rinvenibili: l'uno, l'espressa qualificazione da parte del giudice, l'altro, la liquidazione delle spese, esplicitazione di un provvedimento di separazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Si tratta di una singolare anomalia, poiché al giudice è richiesta la massima attenzione nella enunciazione degli indicatori formali, proprio in ragione dell'affidamento che alcune affermazioni sono suscettibili di ingenerare nelle parti. Il caso in esame costituisce l'occasione per verificare la tenuta del criterio formale di individuazione: in presenza di un contrasto irriducibile tra opposti indicatori formali, infatti, al fine di dirimere il dubbio si potrebbe essere tentati di ricorrere all'utilizzo di criteri di tipo sostanzialistico, con tutti gli inconvenienti che la giurisprudenza richiamata in premessa, facendo rigorosa adesione alla valorizzazione di indici formali, aveva inteso scongiurare. Ciò deve essere evitato, in vista della salvaguardia delle esigenze di certezza e di affidamento.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.3. L'ordinanza interlocutoria evidenzia che l'espressa qualificazione della sentenza come non definitiva da parte del giudice richiama l'operatività del principio dell'apparenza, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte ai fini della certezza del regime impugnatorio, e fa riferimento alle numerose occasioni in cui è stato affermato che «l'individuazione del mezzo d'impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatta in base alla qualificazione data dal giudice con il provvedimento impugnato all'azione proposta, alla controversia e alla decisione, a prescindere dalla sua esattezza».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il richiamo è, in primo luogo, all'ordinanza Cass. 29 dicembre 2011 n. 29829 che, in un caso speculare a quello in esame, aveva cassato la sentenza impugnata per avere erroneamente escluso di poter attribuire natura non definitiva alla sentenza con cui il giudice di primo grado, dichiarata la riferibilità di una scheda testamentaria al "de cuius", senza nulla disporre circa lo scioglimento della comunione relativa ai beni ereditari, aveva ordinato la rimessìone della causa sul ruolo ai fini della prosecuzione delle operazioni divisionali e qualificato la sentenza stessa come non definitiva, rilevando che tale scelta aveva ingenerato nelle parti il ragionevole convincimento in ordine all'effettiva sussistenza di detta natura ed all'ammissibilità della riserva di impugnazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nell'ordinanza interlocutoria sono richiamati anche altri due precedenti di queste Sezioni Unite: la sentenza S.U. 16 aprile 2007 n. 8949, a mente della quale, con riferimento alla natura di sentenza definitiva o meno del provvedimento, reso con la forma dell'ordinanza, con cui il giudice affermi o neghi la propria giurisdizione, sebbene occorra avere riguardo non già alla forma adottata ma al suo contenuto (prevalenza della sostanza sulla forma), tuttavia l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile va comunque operata in base alla qualificazione data dal giudice all'azione proposta, alla controversia e alla decisione, a prescindere dalla sua esattezza; e, ancora, la sentenza S. U. 11 gennaio 2011 n. 390, con cui è stato affermato che in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari ed altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di identificare la disciplina impugnatoria del provvedimento - sentenza oppure ordinanza ex art. 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794 - che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sono menzionate, inoltre, numerose pronunce delle sezioni semplici improntate, in funzione dell'individuazione del regime d'impugnazione, ai principi dell'apparenza e dell'affidamento: in materia di opposizione all'esecuzione (Cass. 14 dicembre 2007 n. 26294, Cass. 26 maggio 2017 n. 13381), in materia di opposizione a sanzioni amministrative (Cass. 13 agosto 2004 n. 15783), in tema di impugnabilità di sentenza del Giudice di pace (26 aprile 2010 n. 9923), in tema di provvedimento decisorio impropriamente emesso secondo il rito contemplato dal D.Igs. n. 196 del 2003 in materia di trattamento dei dati personali (Cass. 07 ottobre 2010 n. 20811).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.4. In alcune decisioni richiamate nell'ordinanza interlocutoria si afferma che l'apparenza è tutelata se la forma del provvedimento emesso o la sua espressa qualificazione risultino determinate da consapevole scelta del giudice, ancorché non esplicitata con motivazione espressa. La verifica in ordine alla riconducibilità dell'adozione di una data forma o qualificazione del provvedimento a una scelta consapevole del giudice, tuttavia, non può assurgere a criterio di carattere generale, valido in ogni situazione in cui assume rilevanza la tutela dell'apparenza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Le volte in cui si è fatto riferimento alla consapevolezza della scelta della forma o della qualificazione del giudice, l'indagine al riguardo è stata compiuta sulla base di criteri di carattere oggettivo, inerenti alle concrete modalità di trattazione del processo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Così, in via meramente esemplificativa, nella citata decisione S.U. 11 gennaio 2011 n. 390, il regime impugnatorio della sentenza che decide sull'opposizione a decreto ingiuntivo piuttosto che quello dell'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 30 I. 794 del 1942, in controversia riguardante onorari professionali, è stato riconosciuto, conformemente alla forma del provvedimento adottato, in ragione della rilevata corrispondenza di tale forma alla scelta consapevole del giudice evincibile dalla circostanza che il provvedimento era stato reso all'esito di un procedimento svoltosi completamente nel suo iter nelle forme di un ordinario procedimento civile contenzioso, atto a concludersi con una sentenza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Analoghe considerazioni fondate sul rito adottato o sulle modalità del procedimento sono rinvenibili in Cass. 8 marzo 2012 n. 3672, in Cass. 09 ottobre 2015 n. 20385, in Cass. 26 novembre 2019 n. 30850. In altri casi, in cui non è verificabile in base alle concrete modalità di svolgimento del processo la riconducibilità a consapevole scelta del giudice della qualificazione data al provvedimento, la stessa qualificazione è stata ritenuta di per sé significativa, perché promanante dall'autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento, prescindendo dal contenuto di quest'ultimo. Ciò è verificabile, in via esemplificativa, in Cass. 16 aprile 2007 n. 8949, in Cass. 25 febbraio 2011 n. 4617, in Cass. 9 maggio 2011 n. 10073, in Cass. 29 dicembre 2011 n. 29829, in Cass. 26 maggio 2017 n. 13381.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nell'ultima decisione indicata, citata nell'ordinanza interlocutoria, si legge che «l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso un provvedimento giurisdizionale deve essere effettuata, in base al principio dell'apparenza, esclusivamente sulla base della qualificazione dell'azione compiuta dal giudice, indipendentemente dalla sua esattezza, sicché soltanto ove il giudice dell'esecuzione non abbia fornito alcuna qualificazione giuridica all'opposizione proposta il giudice della impugnazione deve provvedere alla qualificazione, anche d'ufficio, non solo ai fini della decisione nel merito,, ma anche ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione medesima».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sulla stessa linea, Cass. 1 marzo 2019 n. 6179 ha rilevato che «quando sia stata decisa una questione di distribuzione degli affari civili all'interno dello stesso ufficio giudiziario (come, nella specie, il medesimo tribunale in funzione di giudice fallimentare e quale giudice del lavoro), qualificandola erroneamente come questione di competenza, il mezzo di impugnazione esperibile contro il provvedimento che abbia riguardato solo questo punto è, in applicazione del principio dell'apparenza, il regolamento necessario di competenza».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Si tratta di situazioni in cui, ai fini dell'individuazione del regime impugnatorio, si è attribuita rilevanza alla qualificazione del giudice, intesa come indicatore formale imprescindibile, per essere questa «l'unica opzione interpretativa conforme ai principi fondamentali della certezza dei rimedi impugnatori e dell'economia dell'attività processuale, evitando l'irragionevolezza di imporre di fatto all'interessato di tutelarsi proponendo impugnazioni a mero titolo cautelativo, nel dubbio circa l'esattezza della qualificazione operata dal giudice a quo» (S.U. 16 aprile 2007 n. 8949, citata).</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="6"> <li><em> Per tornare alla specifica fattispecie oggetto di esame, in cui nel testo della sentenza si registra la presenza di indici formali tra loro contrastanti (la qualificazione della sentenza come non definitiva da parte del giudice e la regolamentazione delle spese, significativa della separazione della causa e, quindi, della definitività della relativa decisione) si deve escludere, in mancanza di elementi di carattere oggettivo desumibili dalle modalità di svolgimento del processo, l'indagine circa la consapevolezza del giudice nella qualificazione che abbia riguardato il carattere definitivo o non definitivo della sentenza emessa, salvo che si voglia dare ingresso a quei criteri di distinzione di tipo sostanzialistico che la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha voluto scongiurare, oppure conferire rilevanza, senza una concreta giustificazione razionale, all'ubicazione in cui la qualificazione è rinvenibile nella sentenza (nell'intestazione o nella motivazione o, come nel caso in disamina, nel dispositivo) o, ancora, consentire una sorta di analisi di tipo psicologico circa l'esistenza di una reale manifestazione volitiva nelle affermazioni contenute in un provvedimento pronnanante dall'autorità giudiziaria.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Date queste premesse, al fine di inquadrare sotto il profilo sistematico la questione di massima di particolare importanza oggetto di esame, occorre richiamare l'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che attribuisce rilevanza al diritto di impugnazione quale fondamentale declinazione del diritto di azione. L'art. 24, secondo comma, della Costituzione proclama l'inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del giudizio e del diritto di difesa costituisce espressione e componente essenziale la possibilità di ottenere, mediante l'impugnazione, il riesame della causa da parte di un giudice diverso da quello che ha emanato il provvedimento.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L'enunciato principio costituisce patrimonio acquisito nell'ordinamento. Corte Cost. n. 75 del 2019, nell'esaminare la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 16-septies del d.l. n. 179 del 2012 - nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della ricevuta - ha evidenziato il vulnus che la norma reca al pieno esercizio del diritto di difesa, segnatamente, nella fruizione completa dei termini per l'esercizio dell'azione, di cui il diritto di impugnazione costituisce espressione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Per altro verso, queste Sezioni Unite (S.U. 24 settembre 2018 n. 22438) - nell'affermare il superamento dell'orientamento che aveva sanzionato con l'improcedibilità il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della I. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, per il caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) avesse depositato copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non avesse disconosciuto la conformità della copia informale all'originale notificatogli - hanno ravvisato il fondamento di carattere sistematico della decisione nella «esigenza di consentire la più ampia espansione, nel perimetro di tenuta del sistema processuale, del diritto fondamentale di azione (e, quindi, anche di impugnazione) e difesa in giudizio (art. 24 Cost.), che guarda come obiettivo al principio dell'effettività della tutela giurisdizionale, alla cui realizzazione coopera, in quanto principio "mezzo", il giusto processo dalla durata ragionevole (art. 111 Cost.), in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull'Unione europea, art. 6 CEDU)».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sussiste, quindi, una ragione giustificatrice di sistema che, nella concreta situazione oggetto di esame, impedisce il diniego alla parte dell'accesso all'impugnazione. Essa è ravvisabile nella esigenza di garantire il "pieno esercizio del diritto di difesa ... anche nella sua essenziale declinazione di diritto ad impugnare, che è contenuto indefettibile di una tutela giurisdizionale effettiva" (Corte Cost. n. 75 del 2019) A garanzia dell'effettività della tutela offerta dal processo, dunque, non resta che privilegiare, in presenza di contrasto irriducibile tra indici formali di segno opposto intrinseci al provvedimento giurisdizionale che si traduca in una irrisolvibile ambiguità per la parte soccombente, la soluzione che consenta alla stessa l'esercizio nel caso concreto del potere di impugnazione, altrimenti irrimediabilmente compromesso, riconoscendo l'ammissibilità dell'appello proposto mediante riserva.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il primo motivo di ricorso, quindi, deve essere accolto, con l'affermazione del seguente principio di diritto: "Ai fini dell'individuazione della natura definitiva o non definitiva di una sentenza che abbia deciso su una delle domande cumulativamente proposte tra le stesse parti, deve aversi riguardo agli indici di carattere formale desumibili dal contenuto intrinseco della stessa sentenza, quali la separazione della causa e la liquidazione delle spese di lite in relazione alla causa decisa. Tuttavia, qualora il giudice, con la pronuncia intervenuta su una delle domande cumulativamente proposte, abbia liquidato le spese e disposto per il prosieguo del giudizio in relazione alle altre domande, al contempo qualificando come non definitiva la sentenza emessa, in ragione dell'ambiguità derivante dall'irriducibile contrasto tra indici di carattere formale che siffatta qualificazione determina e al fine di non comprimere il pieno esercizio del diritto di impugnazione, deve ritenersi ammissibile l'appello in concreto proposto mediante riserva"</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p>