<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, V Sezione Penale, sentenza 23 aprile 2021, n. 15483</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><em> Il primo motivo di ricorso è fondato.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>La Corte di appello ha risposto al motivo di gravame con il quale l'odierno ricorrente si doleva della mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. affermando che la <strong>condotta</strong> è «<strong>non occasionale</strong>» mentre tale disposizione richiede, per negare la causa di non punibilità, la <strong>abitualità della condotta</strong>, che è concetto che conduce, rispetto a quello indicato dalla Corte territoriale, ad una più ampia estensione dell'area della non punibilità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tanto già basterebbe, afferma la Corte, per ritenere sussistente la violazione di legge.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Anche laddove volesse ritenersi che la Corte di appello abbia inteso menzionare la «non occasionalità» quale improprio sinonimo della «abitualità» della condotta, dovrebbe comunque rilevarsi che tale carattere della condotta è stato desunto sulla base di criteri diversi da quelli indicati dal terzo comma dell'art. 131-bis cod. pen., secondo il quale «Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate».</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Le modalità di commissione del fatto non rilevano a tal fine</em></strong><em>, laddove non ricorrano condotte plurime, abituali e reiterate.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La circostanza che l'imputato esponesse diversi capi di abbigliamento in un mercato rionale non può condurre di per sé a ritenere abituale la condotta delittuosa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Né la Corte di appello ha affermato di non poter applicare la causa di non punibilità per essere l'offesa non particolarmente tenue.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>E' ben vero che In tema di «particolare tenuità del fatto», la motivazione può risultare anche implicitamente dall'argomentazione con la quale il giudice d'appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell'imputato, alla stregua dell'art. 133 cod. pen., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (vedi Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, Rv. 275635, relativa a violenza privata in cui l'assenza della particolare tenuità è stata desunta da alcuni indici quali: la pena applicata in misura superiore al minimo edittale e la descrizione della condotta come di consistente durata e commessa con modalità allarmanti nei confronti dell'ex coniuge e dei figli minori), ma nel caso di specie la Corte di appello si è limitata a confermare la pena inflitta dal Tribunale asserendo la sua congruità e dalla sentenza di primo grado e da quella di appello non è possibile stabilire quale sia stata la pena base ed in che misura abbiano inciso le attenuanti generiche.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="2"> <li><em> Fondato è pure il secondo motivo di ricorso.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>La Corte di appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado, ha implicitamente <strong>rigettato l'istanza di applicazione del beneficio della non menzione</strong>, ma non ha affatto indicato le ragioni del rigetto, che risulta, sul punto, viziato da omessa motivazione ai sensi dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="3"> <li><em> Quanto al terzo motivo di ricorso, relativo alla motivazione del trattamento sanzionatorio, soggiunge la Corte come non vi sia dubbio che il reato rientri nella previsione del secondo comma dell'art. 474 cod. pen. che prevede un massimo edittale di anni due di reclusione.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>La <strong>graduazione della pena</strong>, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella <strong>discrezionalità del giudice di merito</strong>, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, può limitarsi a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 27124301; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 25835601; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 24559601).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel caso di specie, prosegue la Corte, il Tribunale ha inflitto una pena di mesi cinque e giorni venti di reclusione, applicando le circostanze attenuanti generiche e la riduzione per la scelta del rito abbreviato. Non viene indicata la pena base sulla quale sono state operate le diminuzioni e quindi non è dato conoscere il ragionamento logico-giuridico che ha guidato il Tribunale nella fissazione della pena finale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ipotizzando che le attenuanti generiche siano state applicate nella massima estensione, il calcolo della pena dovrebbe essere il seguente: pena base di anno uno e giorni ventidue di reclusione, ridotta per le attenuanti generiche a mesi otto e giorni quindici di reclusione, poi ulteriormente ridotta di un terzo per la scelta del rito.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Né la sentenza di primo grado, che si è limitata a «reputare equo» tale trattamento sanzionatorio, né la sentenza di appello, che si è limitata ad affermare che la pena è «congrua all'entità dei fatti ed alla personalità dell'imputato», hanno illustrato le specifiche circostanze che impongono una pena superiore alla media edittale.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="4"> <li><em> Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame relativamente all'omessa applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. e al trattamento sanzionatorio, in questo incluso anche il punto relativo al beneficio della non menzione della condanna</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p>