<strong> </strong> <strong>Massima</strong> <em> </em> <em>Uno dei “</em>diritti<em>” più discussi, il c.d. “</em>diritto di accesso agli atti amministrativi<em>” – in disparte la pertinente (ed ambigua) natura giuridica – si presenta già ex se come diritto “</em>condizionato<em>”, stante la congerie di limiti che ne circondano il concreto esercizio; si è difatti al cospetto di una fattispecie in cui il fine di inverare la trasparenza amministrativa può trovare sul proprio cammino un contingentamento avvinto alla necessaria salvaguardia di interessi giuridicamente rilevanti di terzi che - se talvolta possono a propria volta ritrovarsi posposti rispetto all’accesso ridetto, siccome calato nel prisma del c.d. “</em>controlimite difensivo<em>”, peraltro da calibrarsi con tutte le norme che disciplinano il processo civile, anche in tema di onere della prova (si pensi alle liti tra privati in materia di famiglia) - talaltra possono invece imporsi definitivamente laddove coinvolgenti dati sensibilissimi e, con essi, una imprescindibile esigenza di riservatezza del c.d. (terzo) “</em>controinteressato<em>”.</em> <strong> </strong> <strong>Crono-articolo</strong> <strong>1930</strong> Il 19 ottobre viene varato il R.D. n.1398, nuovo codice penale, secondo il cui art.326 è punito (comma 1) il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3153.html">pubblico ufficiale</a> o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4709.html">abusando della relativa qualità</a>, <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4746.html">rivela</a> <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4747.html">notizie di ufficio</a>, le quali debbano rimanere <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4624.html">segrete</a>, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, con pena mitigata (comma 2) laddove l’agevolazione sia soltanto colposa. Ancora, viene punito (comma 3) anche il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, con pena mitigata se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto. <strong>1940</strong> Il 28 ottobre viene varato il R.D. n.1443, nuovo codice di procedura civile, secondo il cui art.210 negli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell'articolo <a href="https://www.brocardi.it/codice-di-procedura-civile/libro-primo/titolo-v/art118.html">118</a>, l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/5719.html">ispezione</a> di cose in <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3747.html">possesso</a> di una parte o di un terzo , il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3799.html">giudice istruttore</a>, su istanza di parte, può ordinare all'altra parte o a un terzo di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3826.html">esibire</a> in giudizio un documento o <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3827.html">altra cosa</a> di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo (comma 1); nell'ordinare l'esibizione, il giudice dà i provvedimenti opportuni circa il tempo, il luogo e il modo dell'esibizione medesima (comma 2). Se poi l'esibizione importa una spesa, questa deve essere in ogni caso anticipata dalla parte che ha proposto l'istanza di esibizione (comma 3). Ai sensi del successivo art.211, quando l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3826.html">esibizione</a> è ordinata ad un terzo, il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3799.html">giudice istruttore</a> deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l'interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo, e prima di ordinare l'esibizione può disporre che il terzo sia citato in giudizio, assegnando alla parte istante un <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3775.html">termine</a> per provvedervi (comma 1); il terzo, per parte sua, può sempre fare opposizione contro l'ordinanza di esibizione, intervenendo nel giudizio prima della scadenza del termine assegnatogli (comma 2). Con particolare riguardo alla Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’art.213, fuori dei casi previsti negli articoli <a href="https://www.brocardi.it/codice-di-procedura-civile/libro-secondo/titolo-i/capo-ii/sezione-iii/art210.html">210</a> e <a href="https://www.brocardi.it/codice-di-procedura-civile/libro-secondo/titolo-i/capo-ii/sezione-iii/art211.html">211</a>, il giudice può richiedere <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/5902.html">d'ufficio</a> alla <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3672.html">pubblica amministrazione</a> le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell'amministrazione stessa, che è necessario acquisire al processo. <strong>1948</strong> Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che annovera tra i principi in tema di Pubblica Amministrazione quello di organizzazione dei pubblici uffici in modo da assicurarne l’imparzialità ed il buon andamento (art.97). Si tratta di una norma fondamentale dal punto di vista della (futura) trasparenza dell’azione pubblica, della quale può verificarsi la non parzialità ed il buon andamento – che sono poi l’opposto della disparità di trattamento e dello sviamento, come figure sintomatiche cardine dell’eccesso di potere – proprio attraverso la possibilità offerta ai cittadini di visionare, inverando il principio di ostensione, gli atti amministrativi e con essi il “<em>farsi</em>” della funzione pubblica. <strong>1957</strong> Il 10 gennaio viene varato il D.p.R. n.3 in tema di impiegati civili dello Stato, il cui art.15 consacra il principio c.d. di segretezza dell’azione amministrativa, facendo luogo ad una qualche frizione con canone del buon andamento dell’imparzialità amministrativa, siccome cristallizzati all’art.97 Cost. <strong>1966</strong> Il 4 luglio, durante il mandato del presidente Lyndon B. Johnson, vede la luce negli USA Il <em>Freedom of Information Act</em> (FOIA), ovvero "<em>l’atto per la libertà di informazione</em>", una legge sulla libertà di informazione che diventerà il punto di riferimento delle future disposizioni, anche europee, in materia di trasparenza. <strong>1971</strong> Il 6 dicembre viene varata la legge n.1034, istitutiva dei Tar, secondo il cui art.21, comma 1, il ricorso deve essere notificato tanto all’organo che ha adottato l’atto impugnato, quanto ai “<em>controinteressati</em>” ai quali l’atto direttamente si riferisce. Viene dunque cristallizzata dal Legislatore la categoria dei “<em>controinteressati</em>” che, in materia di accesso agli atti, verranno identificati in specie nei portatori del diritto alla <em>privacy</em> o riservatezza. <strong>1973</strong> Il 29 settembre viene varato il D.p.R. n.602, recante disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, il cui art.26, al comma 5, dispone che l’esattore deve conservare per 5 anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione. <strong>1990</strong> Il 7 agosto viene varata la legge n.241 che, mutando prospettiva rispetto al passato, impronta il rapporto tra PA e cittadino, tra gli altri, al canone della pubblicità, della trasparenza e della partecipazione. Più in specie, stando all’art.22, comma 1, al fine di assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale, è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla legge medesima; è considerato a tale proposito documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle Pubbliche Amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa (comma 2). Entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge viene previsto che le Amministrazioni interessate adottino le misure organizzative idonee a garantire l'applicazione della disposizione di cui al comma 1, dandone comunicazione alla Commissione di cui al successivo articolo 27. Stando poi all’art.24, il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n.801 (istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato), nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall'ordinamento (comma 1). Il Governo (comma 2) è autorizzato ad emanare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti intesi a disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso e gli altri casi di esclusione del diritto di accesso in relazione alla esigenza di salvaguardare: a) la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali; b) la politica monetaria e valutaria; c) l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità; d) la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici. Con i decreti di cui al comma 2 sono altresì stabilite norme particolari per assicurare che l'accesso ai dati raccolti mediante strumenti informatici avvenga nel rispetto delle esigenze di cui al medesimo comma 2 (comma 3). Le singole Amministrazioni (comma 4) hanno l'obbligo di individuare, con uno o più regolamenti da emanarsi entro i 6 mesi successivi, le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso per le esigenze di cui al comma 2. Restano ferme (comma 5) le disposizioni previste dall'articolo 9 della legge 1° aprile 1981, n.121 (nuovo ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza), come modificato dall'articolo 26 della legge 10 ottobre 1986, n. 668, e dalle relative norme di attuazione, nonché ogni altra disposizione attualmente vigente che limiti l'accesso ai documenti amministrativi. I soggetti indicati nell'articolo 23 – infine - hanno facoltà di differire l'accesso ai documenti richiesti sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell'azione amministrativa, non essendo comunque ammesso l'accesso agli atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti di cui all'articolo 13 (atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione), salvo diverse disposizioni di legge (comma 6). Significativo anche l’art.25, comma 3, ai sensi del quale il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall’art.24 e debbono essere motivati: ne discende la possibilità anche solo di differire – quando possibile – l’accesso agli atti amministrativi in luogo della più gravosa, pertinente esclusione, ferma restando la necessità di provvedere in guisa motivata. All’opposto, ai sensi dell’art. 25, comma 2, «<em>la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata</em>», con conseguente necessità per l’istante di spiegare le ragioni per le quali invoca l’accesso e, in particolare (stante il rilievo che la fattispecie avrà in futuro), la necessità di curare o difendere i propri interessi giuridicamente rilevanti (c.d. accesso difensivo). <strong>1992</strong> Il 27 giugno viene varato il D.p.R. n.352, recante Regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 24, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. Secondo il relativo art.8, chiamato a disciplinare i casi di esclusione dell’accesso in parola, le singole Amministrazioni provvedono all’emanazione dei regolamenti di cui all’art.24, comma 4, della legge 241.90, con l’osservanza dei criteri ivi previsti (comma 1), rappresentando da subito come i documenti non possano essere sottratti all’accesso se non quando essi siano suscettibili di recare pregiudizio concreto agli interessi indicati nel ridetto art.24 della legge, i documenti contenenti informazioni connesse a tali interessi dovendosi assumere segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione; a tale fine, le Amministrazioni devono fissare, per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per i quale essi sono sottratti all’accesso ridetto. In ogni caso, si precisa che i documenti amministrativi non possono essere sottratti all’accesso ove sia sufficiente far ricorso al potere di differimento dell’accesso medesimo (comma 3); le categorie di cui all’art.24 della legge 241.90 devono inoltre riguardare tipologie di atti individuati con criteri di omogeneità, indipendentemente dalla loro denominazione specifica (comma 4). Importante il comma 5 dell’art.8, onde – nell’ambito dei criteri di cui ai precedenti comma 2, 3 e 4 – i documenti amministrativi possono essere sottratti all’accesso: <ol start="801"> <li>a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall’art.12 della legge 801.77 sul c.d. segreto di Stato, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, nonché all’esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste nei trattati e nelle relative leggi di attuazione;</li> <li>b) quando possa arrecarsi pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria;</li> <li>c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, nonché all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;</li> <li>d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono. Deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i loro interessi giuridici.</li> </ol> <strong>1994</strong> Il 27 gennaio esce il parere dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato n.16 alla cui stregua non sussistono motivi per negare l'accesso a documenti relativi alla formazione delle graduatorie, all'assegnazione ed alla nomina dei vincitori di concorsi pubblici. <strong>1995</strong> Il 13 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.5 alla cui stregua il partecipante ad un concorso ad un pubblico impiego non ammesso alle prove orali ha un interesse giuridicamente rilevante ad accedere agli elaborati degli altri concorrenti, anche a prescindere dalla eventualità di un relativo ricorso giurisdizionale contro l'esito della selezione. <strong>1996</strong> Il 26 gennaio viene varato il DPCM n.200, Regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti formati o comunque rientranti nell'ambito delle attribuzioni dell'Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso. Stando al relativo art.2, disciplinante le “<em>categorie di documenti inaccessibili nei casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall’ordinamento</em>”, ai sensi dell’art.24, comma 1, della legge 241.90, in virtù del segreto professionale già previsto dall’ordinamento, al fine di salvaguardare la riservatezza nei rapporti fra difensore e difeso sono sottratti all’accesso: a) i pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza; b) gli atti defensionali; c) la corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b). * * * Il 19 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.291 alla cui stregua – in materia di concorsi - va accolto il ricorso proposto ai sensi dell'art. 25 L. 241/90, a fronte del diniego di accesso fatto valere dall'Amministrazione, nel caso di specie, in ordine ad elenchi riguardanti posizioni analoghe di terzi soggetti concorrenti onde verificare l'equità del comportamento dell'autorità amministrativa. * * * Il 29 ottobre viene varato il DM n.603, recante Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso in attuazione dell'art. 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante: "<em>Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi</em>" ed emanato dal Ministero delle Finanze. Il relativo art. 5, comma 1, lettere a) e d), nell’individuazione dei documenti inaccessibili per motivi attinenti alla riservatezza, esclude dall’accesso documentale la «<em>documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e associazioni comunque acquisiti ai fini dell’attività amministrativa</em>», nonché gli «<em>atti e documenti allegati alle dichiarazioni tributarie</em>», garantendone tuttavia «<em>la visione</em>» nei casi in cui la relativa «<em>conoscenza sia necessaria per la cura e difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta</em>», * * * Il 31 dicembre viene varata la legge n.675, recante tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, secondo il cui art.22, comma 1, i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante Privacy. Ai sensi del successivo comma 3, il trattamento dei dati indicati al comma 1 da parte di soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici, è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale siano specificati i dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e le rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite. Stando al successivo comma 4, i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale possono essere oggetto di trattamento previa autorizzazione del Garante Privacy, qualora il trattamento sia necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni di cui all’art.38 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale ai sensi del decreto legislativo 271.89 e successive modificazioni, o, comunque, per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto di rango pari a quello dell’interessato, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. <strong>1999</strong> Il 26 gennaio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.59 onde – collocandosi nel solco di consolidata, pertinente giurisprudenza – nel caso in cui l’accesso abbia ad oggetto dati sensibili – ovvero dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale – la legge 675.96 assume la prevalenza del diritto alla riservatezza, salvo il caso di espressa, diversa disposizione di legge che consenta all’Amministrazione destinataria della richiesta ostensiva di comunicare a terzi il dato in questione. * * * Il 28 aprile esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.6 onde l'accesso di documenti amministrativi va consentito anche quando la relativa istanza sia preordinata alla loro utilizzazione in un giudizio, senza che sia possibile operare alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda o della censura che sia stata proposta o si intenda proporre, la cui valutazione spetta solo al giudice chiamato a decidere. * * * L’11 maggio viene varato il decreto legislativo n.135, disposizioni integrative della legge 31 dicembre 1996, n. 675, sul trattamento di dati sensibili da parte dei soggetti pubblici, secondo il quale, in relazione ai dati c.d. “<em>sensibili</em>”, rilevanti finalità di interesse pubblico tali da autorizzare l’accesso, in difetto di espressa previsione di legge, possano essere individuate dal Garante per la protezione dei i dati personali; inoltre, le operazioni eseguibili ed i dati suscettibili di trattamento possono essere determinati dalle stesse Pubbliche Amministrazioni interessate mediante atti di natura regolamentare. Più in specie, ai sensi dell’art.16 (rubricato “<em>attività sanzionatorie e di predisposizione di elementi di tutela in sede amministrativa o giurisdizionale</em>”), comma 1, si considerano di rilevante interesse pubblico i trattamenti di dati: a) volti all’applicazione delle norme in materia di sanzioni amministrative e ricorsi; b) necessari per far valere il diritto di difesa in sede amministrativa o giudiziaria, anche da parte di un terzo, o per ciò che attiene alla riparazione di un errore giudiziario o di una ingiusta restrizione della libertà personale; c) effettuati in conformità alle leggi e ai regolamenti per l’applicazione della disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi. Stando poi al successivo comma 2, quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se il diritto da far valere o difendere, di cui alla lettera b) del comma 1, sia di rango almeno pari a quello dell’interessato. * * * Il 24 giugno esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.16 che riconosce autorevolmente la configurabilità di controinteressati nel giudizio innanzi al GA per la tutela del diritto di accesso agli atti. Ciò giusta esplicito richiamo al principio di cui all’art.21, comma 1, della legge n. 1034.71, onde il ricorso deve essere tempestivamente notificato tanto all'organo che ha emanato l’atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce. Se ne evince che chi ricorre al GA per accedere a documenti amministrativi che coinvolgano aspetti di riservatezza di un altro soggetto, ha l'onere di notificargli il ricorso, dovendosi mutuare per l’Adunanza lo schema che presidia la tutela dei c.d. interessi legittimi (anche se si agisce a presidio del c.d. “<em>diritto di accesso</em>” agli atti amministrativi). <strong>2001</strong> Il 13 febbraio viene varata la legge n.45, recante modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia nonché disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza. Il relativo art.22 modifica l’art.24, comma 1, della legge 241.90 in tema di limiti al diritto di accesso, escludendo tale diritto all’ostensione anche per gli atti che concernano i procedimenti previsti dal decreto legge 8.91, convertito con modificazioni dalla legge 82.91 (in tema di sequestri di persona a scopo di estorsione e di collaboratori di giustizia), e per quelli previsti dal decreto legislativo 119.93 (disciplina del cambiamento di generalità per i collaboratori di giustizia). * * * Il 30 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1882 alla cui stregua, nei rapporti tra accesso e riservatezza, occorre procedere ad una bilanciata valutazione in concreto – e non già in astratto - degli interessi di volta in volta giustapposti. Per il Collegio, il ridetto bilanciamento in concreto è il solo idoneo ad evitare il rischio di soluzioni precostituite poggianti su una astratta scala gerarchica dei diritti in contesa, come tale non sempre idonea a tener conto delle specifiche circostanze di fatto destinate a connotare îl singolo caso concreto. <strong>2002</strong> Il 3 settembre esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia n.3827 onde, in tema di gare, il differimento temporaneo dell'accesso deve assumersi orientato non tanto alla tutela della sfera di riservatezza delle imprese partecipanti al pubblico incanto, ma alla garanzia della correttezza e trasparenza dei comportamenti connessi alla presentazione delle offerte. <strong>2003</strong> Il 30 giugno viene varato il decreto legislativo n.196, recante Codice in materia di protezione dei dati personali, che riscrive l’intera disciplina della <em>privacy</em>, abrogando la normativa precedente. Per quanto di interesse <em>ratione materae</em>, il pertinente art.176 modifica l’art.24, comma 3, della legge 241.90 onde, con i decreti di cui al comma 2 sono altresì stabilite norme particolari per assicurare che l'accesso ai dati raccolti mediante strumenti informatici, “<em>fuori dei casi di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono</em>”, avvenga nel rispetto delle esigenze di cui al medesimo comma 2 (comma 3). Particolarmente importanti gli articoli 59 e 60, stando al primo dei quali (rubricato “<em>accesso ai documenti amministrativi</em>”), fatto salvo quanto previsto dal successivo art.60, i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 241.90 e successive modificazioni e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso, le attività finalizzate all’applicazione di tale disciplina dovendo assumersi di rilevante interesse pubblico. Per il successivo art.60, dedicato ai dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, quando il trattamento concerne tale genere di dati, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi sia di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consista in un diritto della personalità o in altro diritto o libertà fondamentale inviolabile. * * * Il 13 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.6200 onde - esclusa l’ostensibilità dei pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto - occorre distinguere, quanto alle consulenze legali esterne a cui la P.A. può ricorrere, due differenti ipotesi. Su un primo crinale, precisa il Collegio, si colloca la consulenza legale destinata ad inserirsi in un'apposita istruttoria procedimentale, il pertinente parere essendo richiesto con l’espressa indicazione della relativa funzione endoprocedimentale al fine di essere poi richiamato nella motivazione dell’atto finale; in simili fattispecie, la eventuale consulenza legale contenuta nel parere va assunta soggetta all’accesso in quanto avvinta, per l’appunto, ad un procedimento amministrativo. Quando invece la consulenza affiora dopo l’avvio di un procedimento contenzioso - giudiziario, arbitrale, od anche meramente amministrativo – ovvero dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose - quali la richiesta di conciliazione obbligatoria che precede il giudizio in materia di rapporto di lavoro - e la P.A. si rivolge ad un professionista di fiducia al fine di definire la propria strategia difensiva, il pertinente parere del legale – chiosa il Collegio - non è destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, caratterizzandosi piuttosto in ottica di pertinente riservatezza “<em>difensiva</em>”. Il riserbo, in questo secondo caso, mira a presidiare non già solo l’opera intellettuale del legale che ha reso il parere, ma anche la stessa posizione della P.A. “<em>patrocinata</em>” la quale, esercitando il proprio diritto di difesa, deve poter godere di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto. Il canone di riservatezza della consulenza legale – precisa ancora il Collegio - si manifesta anche laddove la richiesta di parere intervenga in una fase successiva alla definizione provvedimentale del rapporto amministrativo, e dunque all’esito del procedimento, ma precedente all'instaurazione di un giudizio o all’avvio dell’eventuale procedimento precontenzioso; ciò in quanto anche in simili evenienze il ricorso alla consulenza legale persegue lo scopo di consentire all’Amministrazione di articolare le proprie strategie difensive in ordine ad una lite che, quand’anche non ancora in atto, può considerarsi quanto meno potenziale. * * * Il 31 dicembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.9276 alla cui stregua, in caso di istanza di accesso che venga ad incidere sul diritto alla riservatezza di terzi, l’accesso va esercitato nella forma “<em>limitata</em>” della sola visione, con esclusione della possibilità di estrazione di copia. Il Collegio sottolinea come la norma, in particolare, preveda che sia garantita agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i loro interessi giuridici. La Sezione evidenza come da tempo la giurisprudenza del Consiglio di Stato sia stata chiamata a risolvere i problemi discendenti dalla ricerca di un delicato equilibrio nei rapporti fra diritto di difesa e di azione e situazioni soggettive confliggenti. E’ necessario ricordare – riprende il Collegio - quanto già statuito onde, in virtù dell'art. 16 d.lg. n. 135 del 1999 - che integra la previsione di cui all'art. 22, comma 3, l. 675 del 1996 - il diritto di accesso, ancorché nella forma meno incisiva della sola visione, senza estrazione di copia, prevale rispetto a quello sulla riservatezza anche intesa nel relativo nucleo più intimo costituito dai dati sensibili: ovviamente, nondimeno, a condizione che la conoscenza degli stessi sia necessaria per provvedere alla cura o difesa di interessi giuridici (Cons. Stato, Sez. VI, 30/03/2001, n. 1882). In maniera ancora più nitida è stato affermato che nel conflitto tra principio di riservatezza o pregiudizio eventuale del terzo, ed esigenze di difesa di un proprio diritto, deve consentirsi l'esercizio del diritto d'accesso alla documentazione amministrativa, a garanzia di dette esigenze di difesa, sia pure nella forma più attenuata della visione degli atti. (Cons. Stato, Sez. VI, 27/01/1999, n. 65). <strong>2005</strong> Il 4 febbraio esce la sentenza della III sezione del Tar Sicilia, Catania, n.178, onde – in ambito concorsuale - va assunto illegittimo il differimento dell’accesso al provvedimento di nomina della commissione, verbali e graduatoria, allorché non siano indicate le ragioni per le quali la conoscenza degli atti inerenti la procedura concorsuale anteriormente all'emanazione del formale provvedimento di approvazione degli atti possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa. * * * L’11 febbraio viene varata la legge n.15, recante modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa. L’art.15 sostituisce integralmente l’art.22 della legge 241.90, rubricato ora “<em>Definizioni e principi in materia di accesso</em>”, secondo il cui comma 1 si intende: <ol> <li>a) per "<em>diritto di accesso</em>", il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi;</li> <li>b) per "<em>interessati</em>", tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, “<em>corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata</em>” al documento al quale è chiesto l'accesso;</li> <li>c) per "<em>controinteressati</em>", tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza;</li> <li>d) per "<em>documento amministrativo</em>", ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una Pubblica Amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale;</li> <li>e) per "<em>Pubblica Amministrazione</em>", tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.</li> </ol> Stando al comma 2, l'accesso ai documenti amministrativi, attese le relative, rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà delle Regioni e degli Enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela. Tutti i documenti amministrativi – ai sensi del comma 3 - sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all'articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6. Non sono invece accessibili (comma 4) le informazioni in possesso di una Pubblica Amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono. Stando al comma 5, l'acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, ove non rientrante nella previsione dell'articolo 43, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al principio di leale cooperazione istituzionale. Il diritto di accesso (comma 6) è esercitabile fino a quando la Pubblica Amministrazione ha l'obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere. Il successivo art.16, a propria volta, sostituisce integralmente l’art.24 della legge 241.90, onde <em>in primis</em> (comma 1) il diritto di accesso è escluso: <ol> <li>a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle Pubbliche Amministrazioni ai sensi del comma 2 dello stesso articolo 24;</li> <li>b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;</li> <li>c) nei confronti dell'attività della Pubblica Amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;</li> <li>d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.</li> </ol> Stando poi al nuovo comma 2, le singole Pubbliche Amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso ai sensi del comma 1. Non sono ammissibili, ai sensi del successivo comma 3, istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. Ad un tempo, stando al comma 4, l'accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento. I documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 – rappresenta il comma 5 - sono considerati segreti solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine le Pubbliche Amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l'eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all'accesso. Ai sensi del successivo comma 6, con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi: <ol> <li>a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di attuazione;</li> <li>b) quando l'accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria;</li> <li>c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità, con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;</li> <li>d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;</li> <li>e) quando i documenti riguardino l'attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all'espletamento del relativo mandato.</li> </ol> Infine (comma 7), deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici; nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. * * * Il 10 marzo esce la sentenza della V sezione del Tar Campania n.1688, alla cui stregua le schede di valutazione e gli stessi elaborati redatti dai partecipanti ad un concorso pubblico costituiscono documenti rispetto ai quali deve essere esclusa in radice l'esigenza di riservatezza a tutela dei terzi. Ciò, precisa il Collegio, posto che i concorrenti, prendendo parte alla selezione, hanno evidentemente acconsentito a misurarsi in una competizione di cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l'essenza; tali atti, quindi, una volta acquisiti alla procedura, escono dalla sfera personale dei partecipanti che, pertanto, non assumono la veste di controinteressati in senso tecnico nel giudizio relativo all'istanza di accesso agli stessi; né, in concreto, l'omessa intimazione in giudizio dei concorrenti cui si riferiscono gli atti in esame arreca loro alcun significativo pregiudizio, non potendo gli stessi, in ragione di quanto detto, opporsi all'ostensione dei documenti richiesti dalla ricorrente. * * * Il 19 luglio esce la sentenza della I sezione del Tar Veneto n.2864, onde un soggetto che non abbia partecipato ad una gara non vanta un interesse differenziato alla conoscenza dei relativi atti e, pertanto, non può considerarsi legittimato all’accesso pertinente. * * * Il 5 dicembre esce la sentenza della III sezione del Tar Lazio n.12916, alla cui stregua – in tema di gare - la documentazione presentata dalla ditta concorrente fuoriesce dalla sfera di dominio riservato dell’impresa per porsi sul piano della valutazione comparativa rispetto alle offerte presentate da altri concorrenti. Mediante la partecipazione alla gara, l'impresa produce una serie di atti e documenti destinati ad essere posti a confronto con quelli prodotti da altri concorrenti, circostanza capace di escludere ogni ragione di tutela della riservatezza, avendo l’impresa concorrente accettato preventivamente il confronto e l'esigenza, per gli altri concorrenti, di tutelare le proprie ragioni anche mediante la conoscenza di tutta la documentazione presentata, restando salva (tuttavia) la tutela del segreto industriale. <strong>2006</strong> *Il 25 febbraio esce la sentenza della II sezione del Tar Piemonte n.1127, alla cui stregua – in tema di gare - la documentazione presentata dalla ditta concorrente fuoriesce dalla sfera di dominio riservato dell’impresa per porsi sul piano della valutazione comparativa rispetto alle offerte presentate da altri concorrenti. Mediante la partecipazione alla gara, l'impresa produce una serie di atti e documenti destinati ad essere posti a confronto con quelli prodotti da altri concorrenti, circostanza capace di escludere ogni ragione di tutela della riservatezza, avendo l’impresa concorrente accettato preventivamente il confronto e l'esigenza, per gli altri concorrenti, di tutelare le proprie ragioni anche mediante la conoscenza di tutta la documentazione presentata, restando salva (tuttavia) la tutela del segreto industriale. * * * Il 12 aprile viene varato il D.p.R. n.184, nuovo Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi, che abroga il precedente regolamento 352.92. Secondo il relativo art.9, comma 2, il differimento dell’accesso va disposto laddove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela degli interessi di cui all’art.24, comma 6, della legge 241.90, o per salvaguardare specifiche esigenze dell’Amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa. Il comma 3 chiarisce peraltro come l’atto che, “<em>limitandolo</em>” in qualche modo, dispone il differimento dell’accesso debba indicarne la durata. Degno di nota anche l’art.3 alla cui stregua la Pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all’art. 22, comma 1, lett. c), L n. 241 del 1990, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento o per via telematica (per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione). Entro i successivi dieci giorni i controinteressati ridetti possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. * * * Sempre il 12 aprile viene varato il decreto legislativo n.163, recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. Il relativo art.13 disciplina l’accesso agli atti delle gare o competizioni e i pertinenti divieti di divulgazione iniziando con il prescrivere che – salvo quanto espressamente previsto dal codice medesimo – il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dalla legge 241.90 e successive modificazioni (comma 1). Fatta poi salva la disciplina prevista dal codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, il diritto di accesso (comma 2) viene differito fino a tutta una serie di specifici termini, siccome calibrati secondo le diverse procedure di aggiudicazione. Precisamente: <ol> <li>a) nelle procedure aperte, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime;</li> <li>b) nelle procedure ristrette e negoziate, e in ogni ipotesi di gara informale, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, e in relazione all’elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è tuttavia consentito l’accesso all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare;</li> <li>c) in relazione alle offerte, fino all’approvazione dell’aggiudicazione.</li> </ol> Ancora, gli atti di cui al comma 2, fino ai termini ivi previsti, non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti (comma 3) e l’inosservanza delle norme di cui ai comma 2 e 3 implica per i pubblici ufficiali o per gli incaricati di pubblici servizi (comma 4) l’applicazione dell’art.326 c.p. (rivelazione di segreti d’ufficio). Fatta salva la disciplina prevista dal codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione (comma 5): <ol> <li>a) alle informazioni fornite dagli offerenti nell’ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici e commerciali;</li> <li>b) a eventuali ulteriori aspetti riservati delle offerte, da individuarsi in sede di regolamento;</li> <li>c) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici;</li> <li>d) alle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto.</li> </ol> In relazione a talune ipotesi previste dal comma 5 - lettere a) e b) – viene assunto comunque consentito l’accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell’ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso (comma 6). Infine, limitatamente ai contratti nei settori speciali - soggetti alla disciplina della parte III del codice - all’atto della trasmissione delle specifiche tecniche agli operatori economici interessati, della qualificazione e della selezione degli operatori economici e dell’affidamento dei contratti, gli enti aggiudicatori possono imporre requisiti per tutelare la riservatezza delle informazioni che trasmettono (comma 7). * * * *Il 20 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2223, alla cui stregua – in tema di gare - la documentazione presentata dalla ditta concorrente fuoriesce dalla sfera di dominio riservato dell’impresa per porsi sul piano della valutazione comparativa rispetto alle offerte presentate da altri concorrenti. Mediante la partecipazione alla gara, l'impresa produce una serie di atti e documenti destinati ad essere posti a confronto con quelli prodotti da altri concorrenti, circostanza capace di escludere ogni ragione di tutela della riservatezza, avendo l’impresa concorrente accettato preventivamente il confronto e l'esigenza, per gli altri concorrenti, di tutelare le proprie ragioni anche mediante la conoscenza di tutta la documentazione presentata, restando salva (tuttavia) la tutela del segreto industriale. * * * Sempre il 20 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Campania n.3809 che rammenta in primis come secondo un orientamento giurisprudenziale costituente ormai <em>jus receptum</em>, il diritto di accesso agli atti relativi alle procedure concorsuali non possa essere negato, essendo preminente rispetto alla tutela della riservatezza - <em>in subjecta materia</em> – il canone di massima trasparenza. Ciò, a maggior ragione, precisa il Collegio, se la richiesta di accesso sia motivata dall'esigenza di far valere un diritto in via giudiziale. Al riguardo infatti, rammenta il TAR, il Consiglio di Stato ha affermato che: -"<em>non sussistono motivi per negare l'accesso a documenti relativi alla formazione, all'assegnazione ed alla nomina dei vincitori di concorsi pubblici</em>" (Cfr., per tutte, C. Stato, ad. gen., 27.1.1994, n. 16); -"<em>l'accesso di documenti amministrativi va consentito anche quando la relativa istanza sia preordinata alla loro utilizzazione in un giudizio, senza che sia possibile operare alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda o della censura che sia stata proposta o si intenda proporre, la cui valutazione spetta solo al giudice chiamato a decidere</em>" (C. Stato, ad. plen., 28.4.1999, n. 6); -"<em>va accolto il ricorso proposto ai sensi dell'art. 25 L. 241/90, a fronte del diniego di accesso fatto valere dall'Amministrazione in ordine ad elenchi riguardanti posizioni analoghe di terzi soggetti concorrenti onde verificare l'equità del comportamento dell'autorità amministrativa</em> (...) " (C. Stato, sez. V, 19.3.1996, n. 291); -"<em>il partecipante ad un concorso ad un pubblico impiego non ammesso alle prove orali ha un interesse giuridicamente rilevante ad accedere agli elaborati degli altri concorrenti, anche a prescindere dalla eventualità di un suo ricorso giurisdizionale contro l'esito della selezione</em>" (C. Stato, sez. IV, 13.1.1995, n. 5). - “<em>le schede di valutazione e gli stessi elaborati redatti dai partecipanti ad un concorso pubblico costituiscono documenti rispetto ai quali deve essere esclusa in radice l'esigenza di riservatezza a tutela dei terzi, posto che i concorrenti, prendendo parte alla selezione, hanno evidentemente acconsentito a misurarsi in una competizione di cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l'essenza; tali atti, quindi, una volta acquisiti alla procedura, escono dalla sfera personale dei partecipanti che, pertanto, non assumono la veste di controinteressati in senso tecnico nel giudizio relativo all'istanza di accesso agli stessi, né, in concreto, l'omessa intimazione in giudizio dei concorrenti cui si riferiscono gli atti in esame arreca loro alcun significativo pregiudizio non potendo gli stessi, in ragione di quanto detto, opporsi all'ostensione dei documenti richiesti dalla ricorrente</em>”. (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 10 marzo 2005, n. 1688). E poiché – riprende il Tar - nella fattispecie dedotta in giudizio la parte ricorrente chiede di accedere agli atti della procedura concorsuale al fine di verificare se i criteri prestabiliti siano stati effettivamente seguiti ed applicati imparzialmente - e ciò al (dichiarato) fine di eventualmente tutelare la relativa posizione giuridica in sede giudiziaria - è evidente che il provvedimento di diniego non resiste sotto alcun profilo alle dedotte censure. In considerazione delle superiori osservazioni, il silenzio serbato dall'Amministrazione va per il Collegio dichiarato illegittimo; e, per l'effetto, va dichiarato l'obbligo della stessa di consentire l'accesso a tutti gli atti relativi alla procedura, ivi inclusi quelli prodotti dal soggetto selezionato entro il termine di giorni 30 (trenta). * * * Il 24 maggio esce la sentenza della III sezione del Tar Lazio n.3824 onde, in materia di concorsi, va riconosciuta la legittimità del differimento dell’accesso agli atti relativi a una procedura concorsuale fino a che questa non risulti esaurita, sulla scorta del combinato disposto degli articoli 24, comma 6, l. n. 241 del 1990 e 9, comma 2, d.P.R. n 184 del 2006. Per il Collegio, il differimento deve tuttavia poggiare sull’esigenza di evitare intralcio allo spedito andamento delle operazioni concorsuali e possibili condizionamenti alle valutazioni della commissione giudicatrice. * * * *Il 31 maggio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.3323 che riconosce autorevolmente la configurabilità di controinteressati nel giudizio innanzi al GA per la tutela del diritto di accesso agli atti. Ciò giusta esplicito richiamo al principio di cui all’art.21, comma 1, della legge n. 1034.71, onde il ricorso deve essere tempestivamente notificato tanto all'organo che ha emanato l’atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce. Se ne evince per il Collegio che chi ricorre al GA per accedere a documenti amministrativi che coinvolgano aspetti di riservatezza di un altro soggetto, ha l'onere di notificargli il ricorso, dovendosi mutuare per l’Adunanza lo schema che presidia la tutela dei c.d. interessi legittimi (anche se si agisce a presidio del c.d. “<em>diritto di accesso</em>” agli atti amministrativi). * * * Il 13 luglio esce la sentenza della V sezione del Tar Campania n.7475, onde il bilanciamento tra accesso e riservatezza, sulla scorta delle disposizioni che lo disciplinano, non va effettuato allorché sia possibile celare, mediante l'apposizione di opportuni <em>omissis</em>, l'identità del soggetto, cui si riferiscono i dati sensibili o sensibilissimi. * * * *Il 25 luglio esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia n.1863 onde un soggetto che non abbia partecipato alla gara non vanta un interesse differenziato alla conoscenza dei relativi atti e, pertanto, non può considerarsi legittimato all’accesso pertinente. * * * Il 14 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.6681 che si occupa del rapporto tra accesso agli atti finalizzato a conoscere lo stato di salute di un coniuge ai fini dell’annullamento del matrimonio da parte del competente Tribunale ecclesiastico. Per il Collegio, il proposito di avviare e coltivare un giudizio innanzi al Tribunale ecclesiastico, siccome orientato all'annullamento del matrimonio canonico, costituisce una situazione giuridica di rango almeno pari alla tutela del diritto alla riservatezza, con la conseguenza onde va assunta non necessaria alcuna penetrante indagine in ordine all’essenzialità o meno della documentazione richiesta né alle prospettive di buon esito del rito processuale concordatario né, infine, la previa attivazione del giudizio di annullamento del matrimonio. Del pari irrilevante si palesa, per il Collegio, il carattere non nazionale e neppure statuale dei Tribunali ecclesiastici: a norma infatti dell’att. 8, comma 2, della legge 25 marzo 1985, n. 121 (ratifica ed esecuzione dell'accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense) le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai Tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della Corte d'appello. Si tratta pertanto, riprende la Sezione, di decisioni che, in base al solenne riconoscimento normativo ridetto (assunto nel rispetto dei principi enunciati nell'art. 7 della Costituzione), se pure rese da un potere giudiziario non appartenente allo Stato italiano, non di meno sono destinate ad acquisire, nello stesso, piena efficacia e forza cogente, in una situazione di pari dignità giuridica con le sentenze di scioglimento del vincolo matrimoniale civile assunte dagli organi giudiziari nazionali. Ne consegue per il Collegio che l'intento di adire la via giurisdizionale concordataria ai fini della declaratoria di nullità del vincolo coniugale va assimilato, ai fini dell'esercizio del diritto di accesso, all'intento di adire il giudice nazionale per il conseguimento del divorzio. <strong>2007</strong> Il 9 febbraio esce la sentenza della II sezione del Tar Toscana n.152 onde, in tema di rapporti tra accesso e <em>privacy</em>, la tutela dei dati sensibili può essere operata anche mediante tecniche di mascheramento riguardanti i dati relativi ai terzi, ovvero giusta oscuramento dei dati supersensibili, se riferiti direttamente ai controinteressati. * * * Il 14 marzo esce la sentenza della sezione II quater del Tar Lazio n.2300, alla cui stregua non mancano casi in cui, nell’ambito di una procedura concorsuale, gli autori di elaborati vanno assunti come controinteressati rispetto alla richiesta ostensiva avanzata da altro partecipante al concorso. Per il Collegio, a differenza di quanto è riscontrabile rispetto alle c.d. prove oggettive, quali i test a risposta multipla, le prove a contenuto complesso, come i temi, presentano un grado notevole di soggettività e, pur essendo finalizzate, al pari delle prove oggettive, al superamento delle selezioni concorsuali, costituiscono una forma di espressione della personalità ed un’occasione per il candidato di rappresentare opinioni (eventualmente anche politiche o attinenti a settori sensibili) o ad esprimere giudizi che non si vorrebbe veder divulgati in sedi diverse da quella (ristretta) della fase concorsuale ovvero - nel caso di elaborati di tipo tecnico-scientifico - esporre tesi frutto di ricerche e studi personali in corso di pubblicazione di cui altri potrebbero indebitamente appropriarsi in caso di diffusione non autorizzata. Si tratta di un atteggiamento più orientato a tutelare la <em>privacy</em> rispetto all’altro maggiormente incentrato sulla trasparenza dell’azione concorsuale pubblica, che reca seco - <em>in primis</em> - il riconoscimento agli autori delle c.d. “<em>prove complesse</em>” della possibilità, giusta partecipazione al pertinente processo, di esporre le ragioni contrarie all’ostensione degli elaborati o quanto meno i motivi che rendono necessario subordinare il pertinente accesso all'adozione di determinate modalità o accorgimenti a tutela della riservatezza delle opinioni e tesi riportate nell’elaborato. In sostanza, in simili fattispecie occorre procedere, nel contraddittorio delle parti, all’effettuazione di un imprescindibile giudizio di bilanciamento degli interessi che l’art. 24, I. n. 241 del 1990 prescrive a tutela della riservatezza dei terzi. * * * Il 16 maggio esce la sentenza della II sezione del Tar Lazio n.4555 alla cui stregua il diritto alla riservatezza dei terzi, risultando recessivo rispetto a quello di difesa in giudizio, può, al più, conformare l’ambito e le modalità dell’esercizio del diritto di accesso “<em>difensivo</em>”, che deve comunque essere assicurato nella forma della visione degli atti la cui conoscenza sia necessaria per tutelare la posizione giuridica degli interessati * * * *Il 27 luglio esce la sentenza della II sezione del Tar Puglia, Lecce, n.3015, che si occupa del rapporto tra accesso agli atti finalizzato a conoscere lo stato di salute di un coniuge ai fini dell’annullamento del matrimonio da parte del competente Tribunale ecclesiastico. Per il Collegio, il proposito di avviare e coltivare un giudizio innanzi al Tribunale ecclesiastico orientato all'annullamento del matrimonio canonico costituisce una situazione giuridica di rango almeno pari alla tutela del diritto alla riservatezza, con la conseguenza onde va assunta non necessaria alcuna penetrante indagine in ordine all’essenzialità o meno della documentazione richiesta né alle prospettive di buon esito del rito processuale concordatario né, infine, la previa attivazione del giudizio di annullamento del matrimonio. Del pari irrilevante si palesa, per il Collegio, il carattere non nazionale e neppure statuale dei Tribunali ecclesiastici: a norma infatti dell’att. 8, comma 2, della legge 25 marzo 1985, n. 121 (ratifica ed esecuzione dell'accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense) le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai Tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della Corte d'appello. Si tratta pertanto, riprende la Sezione, di decisioni che, in base al solenne riconoscimento normativo ridetto (assunto nel rispetto dei principi enunciati nell'art. 7 della Costituzione), se pure rese da un potere giudiziario non appartenente allo Stato italiano, non di meno sono destinate ad acquisire, nello stesso, piena efficacia e forza cogente, in una situazione di pari dignità giuridica rispetto alle sentenze di scioglimento del vincolo matrimoniale civile assunte dagli organi giudiziari nazionali. Ne consegue per il Collegio che l'intento di adire la via giurisdizionale concordataria ai fini della declaratoria di nullità del vincolo coniugale va assimilato, ai fini dell'esercizio del diritto di accesso, all'intento di adire il giudice nazionale per il conseguimento del divorzio. * * * Il 13 settembre esce l’importante sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.11, che si esprime nel senso della non ostensibilità – in tema di appalti - delle relazioni del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo, da assumersi non compatibile con la normativa e con la finalità stessa delle relazioni ridette, anche durante la vigenza dell’art. 31 bis della legge n. 109 del 1994, nel testo emendato dall’art. 7, legge n. 166 del 2002. Per il Collegio il divieto di ostensione delle relazioni del direttore dei lavori ha, innanzi tutto, la funzione di favorire il perfezionamento dell’accordo bonario; esso conserva nondimeno la propria ragion d'esser anche se l'accordo non sia raggiunto, stante la funzione precipua della relazione, quale strumento di tutela degli interessi dell’Amministrazione. Considerata la finalità di sostegno dell’Amministrazione che intenda opporsi alle pretese dell'appaltatore, non è convincente l'argomento secondo cui la possibilità di ostensione delle relazioni “<em>non spezzerebbe la parità delle armi</em>”: venuta meno infatti la possibilità dell’accordo bonario, le relazioni del direttore dei lavori e del collaudatore divengono esclusivamente strumento di tutela degli interessi dell’Amministrazione nell'eventuale contenzioso che l'appaltatore possa instautare per il riconoscimento delle riserve e per il pagamento del prezzo integrale dell’opera. Su questo crinale, riprende il Collegio, l'art. 13 del d.lgs. n. 163 del 2006, escludendo il diritto di accesso ed ogni altra forma di divulgazione sulle “<em>relazioni riservate del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo</em>” (comma 5, lett, d), così come sui “<em>pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del presente Codice</em>” (comma 5, lett. c), equipara sostanzialmente le due ipotesi, riferibili ad un contenzioso potenziale o attuale con l'appaltatore ed accomunate dalla medesima esigenza di riservatezza. Si tratta di un orientamento al quale si adeguerà la giurisprudenza successiva e che palesa un superamento della risalente, diversa opzione ermeneutica onde le relazioni in parola, quantunque siano atti relativi ad un rapporto interprivato, dovrebbero essere sottoposti alla disciplina di cui alla legge 241.90 (secondo i principi chiariti dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n.4.99), comprese appunto le norme in tema di trasparenza e di accesso; ciò tenuto conto anche della circostanza onde la possibilità che l’appaltatore utilizzi contro la P.A. le valutazioni del direttore dei lavori non avrebbero giocoforza implicato uno squilibrio nel regime complessivo delle prove nel processo civile, potendo il giudice riconoscere ai documenti dell’Amministrazione un valore probatorio anche a vantaggio di quest’ultima (oltre che del privato che ne avesse invocato l’accesso). * * * Sempre il 13 settembre esce la sentenza del Tar Calabria, Reggio Calabria, n.866 alla cui stregua il conflitto tra il diritto di difesa su cui si fonda la richiesta ostensiva e quello alla riservatezza non va risolto in astratto, bensì all’esito di una “<em>ponderazione comparativa e concreta</em>” operata dall’Amministrazione in prima battuta e, successivamente, dal giudice in sede di eventuale scandaglio del pertinente operato. * * * Il 24 dicembre esce la sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino Alto Adige, Bolzano, n.24, alla cui stregua, nei rapporti tra accesso e riservatezza, occorre procedere ad una bilanciata valutazione in concreto – e non già in astratto - degli interessi di volta in volta giustapposti. Per il Collegio, il ridetto bilanciamento in concreto è il solo idoneo ad evitare il rischio di soluzioni precostituite poggianti su una astratta scala gerarchica dei diritti in contesa, come tale non sempre idonea a tener conto delle specifiche circostanze di fatto destinate a connotare îl singolo caso concreto. <strong>2008</strong> Il 14 febbraio esce la sentenza della Corte di Giustizia UE, in causa C-450/06, <em>Varec SA c. Belgio</em>, che si colloca nel prisma di un approccio assai più garantista di quello interno italiano quanto a tutela del segreto tecnico-industriale nell’ambito delle gare. Il Collegio appare preoccupato di scongiurare che una libera circolazioni delle informazioni possa in qualche modo agevolare collusioni tra gli operatori economici del settore di riferimento, falsando il gioco della concorrenza. Il risultato si raggiunge contingentando il diritto di accesso degli operatori economici al cospetto di comprovate esigenze di tutela del segreto tecnico-industriale. * * * Il 13 giugno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.2975 che riconosce autorevolmente la configurabilità di controinteressati nel giudizio innanzi al GA per la tutela del diritto di accesso agli atti. Ciò giusta esplicito richiamo al principio di cui all’art.21, comma 1, della legge n. 1034.71, onde il ricorso deve essere tempestivamente notificato tanto all'organo che ha “<em>emanato</em>” l’atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce. Se ne evince che chi ricorre al GA per accedere a documenti amministrativi che coinvolgano aspetti di riservatezza di un altro soggetto, ha l'onere di notificargli il ricorso, dovendosi mutuare per l’Adunanza lo schema che presidia la tutela dei c.d. interessi legittimi (anche se si agisce a presidio del c.d. “<em>diritto di accesso</em>” agli atti amministrativi). Il Collegio chiarisce peraltro come ai fini della configurabilità della qualità di controinteressato non rilevi la circostanza che il soggetto, in sede amministrativa, non si è opposto all’ostensione documentale. * * * Il 2 luglio esce la sentenza della sezione I del Tar Molise n.668 alla cui stregua non sono qualificabili come controinteressati – in relazione ad un ricorso in materia di accesso agli atti - i funzionari coinvolti nella vicenda di specie perché accusati dal ricorrente di scarsa collaborazione nella ricerca dei documenti da lui richiesti in visione, non avendo essi un interesse personale contrario all’ostensione dei suddetti documenti. * * * L’8 luglio esce la sentenza della III sezione del Tar Lazio n.6450 alla cui stregua con riferimento agli elaborati dei candidati ad una procedura concorsuale non si pone alcun problema di tutela della riservatezza di terzi, che non può dunque costituire motivo di reiezione della pertinente istanza ostensiva. Per il Collegio la riservatezza dei terzi va tutelata con riguardo all’ambito degli interessi già presi in considerazione dall’art. 8, comma 5, lett. d) del D.p.R. n 352 del 1992, vale a dire quello epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale. Ne consegue per la Sezione che la riservatezza non può essere assicurata con riferimento alla redazione di elaborati destinati, per loro natura, al confronto con quelli di altri candidati, nell’ambito di una competizione concorsuale che non si riduce al rapporto tra il candidato e l’Amministrazione che bandisce il concorso, ma coinvolge anche gli altri candidati in un necessario giudizio “<em>collettivo</em>” di relazione. <strong>2009</strong> Il 18 giugno viene varata la legge n.69, recante disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile, il cui art.10 sostituisce l’art.22, comma 2, della legge 241.90 nel senso onde l'accesso ai documenti amministrativi, attese le rilevanti finalità di pubblico interesse che esprime, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione degli interessati e di assicurare, di quell’attività, l'imparzialità e la trasparenza. <strong>2010</strong> Il 4 febbraio esce la sentenza della sezione I del Tar Basilicata n.32 alla cui stregua i pareri resi nel corso di un procedimento amministrativo e connessi all’<em>iter</em> procedimentale seguito dalla PA vanno assunti accessibili e, come tali, non sottraibili all’ostensione, trattandosi di atti con una funzione non dissimile da quella propria di tutti gli altri atti (c.d. endoprocedimentali) che si innestano in un procedimento amministrativo e che ne determinano il finale esito provvedimentale. * * * L’11 febbraio esce la sentenza della II sezione del Tar Puglia, Lecce, n.549 che – uniformandosi al <em>decisum</em> della Adunanza Plenaria 11.07 – nega l’ostensibilità delle relazioni del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo in materia di appalti pubblici. * * * Il 23 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1067 alla cui stregua – inserendosi in una costante linea giurisprudenziale - ai sensi dell’art. 24, comma 7, l n. 241 del 1990, l’accesso deve essere garantito quando la conoscenza dei documenti oggetto della richiesta ostensiva risulti funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, di interessi giuridicamente rilevanti, anche prima e indipendentemente dall’effettivo esercizio di un’azione giudiziale. L’accesso ben può difatti – chiarisce il Collegio - essere finalizzato alle valutazioni preliminari in ordine al se proporre tale azione in sede giudiziaria, e quindi ad evitare iniziative giurisdizionali al buio, palesandosi pertanto sufficiente che l'istante fornisca elementi idonei a dimostrare in maniera sufficientemente chiara e concreta la sussistenza di un tale astratto interesse. * * * Il 27 maggio esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia n.2066 alla cui stregua non può negarsi alla società non aggiudicataria di una gara l’ostensione degli atti afferenti l'offerta risultata aggiudicataria, ai fini del controllo dell’offerta stessa in relazione ai requisiti contemplati nel bando di gara. Il partecipante ad una procedura concorsuale per l'aggiudicazione di un appalto pubblico – chiarisce il Collegio - può accedere nella forma più ampia agli atti del procedimento di gara, atteso che la partecipazione ad una gara comporta la fuoriuscita dell’offerta tecnico-progettuale dalla sfera di dominio riservata dell'impresa che la ha presentata per porsi sul piano della valutazione comparativa rispetto all’offerta delle altre concorrenti. Ciò implica la conseguenza onde la concorrente non aggiudicataria che vi abbia interesse deve assumersi poter accedere alla documentazione afferente alle offerte presentate in vista della tutela dei propri interessi, senza che possano esserle opposti motivi di riservatezza, quand’anche siano in gioco interessi tecnici e commerciali, allorché ciò sia funzionale alla difesa in giudizio (c.d. accesso difensivo). * * * Il 15 giugno esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.3755 alla cui stregua, in tema di gare, restano esclusi dall'accesso solo gli atti attinenti al segreto industriale, alla scoperta scientifica od al <em>know how</em> aziendale. * * * Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, con attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo. Stando al relativo art.116 sul c.d. “<em>rito accesso</em>”, contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi il ricorso va proposto entro 30 giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all’Amministrazione e agli eventuali “<em>controinteressati</em>”, con applicazione del precedente art.49 e conseguente inammissibilità di un ricorso che non sia, per l’appunto, notificato ad almeno un controinteressato (comma 1). Anche in pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso sia connessa, il ricorso in materia di accesso (c.d. endoprocessuale) può essere proposto (incidentalmente) con istanza depositata presso la segreteria della Sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all’Amministrazione a agli eventuali “<em>controinteressati</em>”. Anche nel procedimento speciale in materia di accesso si configurano dunque ormai, <em>ex lege</em>, dei veri e propri “<em>controinteressati</em>”. * * * Il 30 settembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.7237 alla cui stregua vanno assunti accessibili i pareri legali che, anche per l’effetto di un richiamo esplicito nel provvedimento finale della PA, rappresentino un passaggio istruttorio del procedimento amministrativo in corso venendo ad innestarsi, una volta acquisiti dall’Amministrazione, nell’iter procedimentale pertinente ed assumendo la configurazione di atti endoprocedimentali, come tali compendianti uno degli elementi che condizionano la scelta dell’Amministrazione. <strong>2011</strong> Il 19 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.389 che assume come la concreta riconduzione di una fattispecie a casi di non ostensibilità dei documenti da parte della PA può ben essere contestata. Il Collegio, nel caso di specie, nega la riconducibilità a rapporti internazionali del provvedimento di diniego del nulla osta per la partecipazione ad una gara internazionale. * * * Il 28 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1816 alla cui stregua - una volta concluso il procedimento di accertamento tributario - il diritto di accesso non può essere ulteriormente differito e la parte pubblica deve, su istanza della parte privata interessata, rendere disponibili tutti gli atti di riferimento, dovendosi riconoscere al contribuente un interesse giuridicamente rilevante ad accedere agli atti relativi al procedimento fiscale che lo veda, nel caso di specie, coinvolto. Diversamente opinando, prosegue il Collegio, risulterebbe difficile comprendere come la parte privata possa far fronte alla necessità di difendersi concretamente in altra sede giudiziaria, laddove non le venisse consentito di accedere agli atti tributari che la riguardano. * * * Il 27 maggio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3107, alla cui stregua l’art. 22, comma 1, lett. c), della legge n.241 del 1990 impone di riconoscere la qualità di controinteressato non già a tutti coloro che, a qualsiasi titolo, siano nominati o comunque coinvolti nel documento oggetto dell'istanza ostensiva, ma solo a coloro che per effetto dell’ostensione vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza. Non basta, perciò, che taluno venga lambito in qualche modo dal documento richiesto, occorrendo piuttosto in capo a tale soggetto un <em>quid pluris</em> compendiantesi nella titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati racchiusi nello stesso documento. Per il Collegio, la veste di controinteressato in tema di accesso è una proiezione, perciò, del valore della riservatezza, e non già della mera oggettiva riferibilità di un dato alla sfera di un certo soggetto, dovendosene desumere che non tutti i dati riferibili ad un soggetto sono per ciò solo rilevanti ai ridetti fini, ma solo quelli rispetto ai quali sussista, per la loro inerenza alla personalità individuale, o per i pregiudizi che potrebbero discendere da una loro diffusione, una precisa e ben qualificata esigenza di riserbo. * * * *Il 23 giugno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3812 alla cui stregua vanno assunti accessibili i pareri legali che, anche per l’effetto di un richiamo esplicito nel provvedimento finale della PA, rappresentano un passaggio istruttorio di un procedimento amministrativo in corso e, una volta acquisiti dall’Amministrazione, vengono ad innestarsi nell’iter procedimentale pertinente, assumendo la configurazione di atti endoprocedimentali, come tali compendianti uno degli elementi che condizionano la scelta dell’Amministrazione. * * * L’11 ottobre esce la sentenza della sezione I del Tar Umbria n.328 onde, ai sensi 13, comma 2, lett. a) del Codice degli appalti, nelle procedure aperte deve essere differito l’accesso all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime. * * * *Il 18 ottobre esce la sentenza della I sezione del Tar Lazio n.8013 che – uniformandosi al <em>decisum</em> della Adunanza Plenaria 11.07 – nega l’ostensibilità delle relazioni del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo in materia di appalti pubblici. * * * Il 15 novembre viene varato il decreto legislativo n.195, recante disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, codice del processo amministrativo, a norma dell'articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69 Il provvedimento modifica, tra gli altri, l’art.116 del codice in tema di “<em>rito accesso</em>” precisando che anche in materia di accesso agli atti il ricorso va notificato “<em>ad almeno un controinteressato</em>”, piuttosto che genericamente agli eventuali controinteressati. * * * Il 30 dicembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.6996 alla cui stregua l’art. 13, comma 5, lett. a), del codice appalti costituisce un'ipotesi di speciale deroga rispetto alla disciplina di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, da applicare esclusivamente nei casi in cui l’accesso sia inibito in ragione della tutela di segreti tecnici o commerciali motivatamente evidenziati dall’offerente in sede di presentazione dell'offerta. <strong>2012</strong> *Il 15 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.766 alla cui stregua - una volta concluso il procedimento di accertamento tributario - il diritto di accesso non può essere ulteriormente differito e la parte pubblica deve, su istanza della parte privata interessata, rendere disponibili tutti gli atti di riferimento, dovendosi riconoscere al contribuente un interesse giuridicamente rilevante ad accedere agli atti relativi al procedimento fiscale che lo veda, nel caso di specie, coinvolto. Diversamente opinando, prosegue il Collegio, risulterebbe difficile comprendere come la parte privata possa far fronte alla necessità di difendersi concretamente in altra sede giudiziaria se non le venisse consentito di accedere agli atti tributari che la riguardano. * * * *Il 22 giugno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3683 alla cui stregua – inserendosi in una costante linea giurisprudenziale - ai sensi dell’art. 24, comma 7, l n. 241 del 1990, l’accesso deve essere garantito quando la conoscenza dei documenti oggetto della richiesta ostensiva risulti funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, di interessi giuridicamente rilevanti, anche prima e indipendentemente dall’effettivo esercizio di un’azione giurisdizionale. L’accesso ben può difatti – chiarisce il Collegio - essere finalizzato alle valutazioni preliminari in ordine al se proporre tale azione, e quindi ad evitare iniziative giurisdizionali al buio, palesandosi pertanto sufficiente che l'istante fornisca elementi idonei a dimostrare in maniera sufficientemente chiara e concreta la sussistenza di un tale astratto interesse. * * * Il 16 luglio esce la sentenza della II sezione del Tar Sardegna n.703, onde va assunto illegittimo il diniego di accesso ad un parere legale espresso dall’Area Legale regionale - richiamato in un provvedimento, inviato al vice Sindaco, al Segretario comunale ed ai Consiglieri comunali - con il quale la Direttrice del Servizio Regionale dell’Assessorato degli Enti Locali, Finanze e Urbanistica abbia comunicato, in risposta ad un esposto denuncia, che una determinata deliberazione adottata dal Consiglio comunale dello stesso ente locale per la surroga di due consiglieri dimissionari è da ritenersi illegittima e pertanto priva di efficacia. Si è al cospetto, precisa il Collegio, di un atto motivato <em>per relationem</em> al parere dell’Area Legale della Regione, con la conseguenza che trova applicazione l’articolo 3, <a href="http://www.lexitalia.it/uploads1/webdata_pro.pl?_cgifunction=form&_layout=legislazione1&keyval=legislazione.legislazione_id=1015">l. 7 agosto 1990 n. 241</a>, che, al comma 3, dispone che laddove le ragioni della decisione risultino da altro atto dell’Amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile anche l’atto richiamato. * * * Il 30 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4316 alla cui stregua il contribuente che abbia instaurato un contenzioso giudiziale dinanzi alla competente Commissione tributaria ha sempre diritto all'accesso agli atti del relativo procedimento impositivo in ragione del pertinente interesse a difendere la propria posizione nel giudizio pendente. Per il Collegio, l'ammissibilità dell'istanza di accesso del contribuente va verificata sulla base di tale interesse, e non già di una valutazione di pertinenza o meno degli atti richiesti con quelli impugnati in sede tributaria. * * * Il 7 agosto esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.4530 onde il soggetto che sia interessato ad ottenere dal Foro ecclesiastico l'annullamento del matrimonio contratto con altro soggetto affetto da disturbi psichici che ne abbiano comportato per lungo tempo il ricovero in struttura sanitaria specializzata per la tutela della salute mentale, deve assumersi avere diritto di prendere visione ed estrarre copia della relativa documentazione sanitaria, non spettando all’Amministrazione Pubblica che la detiene delibare la fondatezza della pretesa sostanziale per la quale gli occorrono tali atti, né sindacare sull’utilità effettiva di questi per chi li richiede. Per il Collegio, l'intento di adire il Foro ecclesiastico al fine di ottenere la declatoria di nullità del vincolo coniugale deve essere assimilato, ai fini dell’esercizio del diritto di accesso ex art. 22, l. n. 241 del 1990, all'intento di adire il giudice nazionale per il conseguimento del divorzio, onde non si può trattare in maniera differente la posizione del richiedente a seconda del giudice al quale egli intende chiedere tutela dei propri diritti. <strong>2013</strong> *Il 29 gennaio esce la sentenza del Tribunale UE, in cause riunite T-339/10 e T-352/10, <em>Copesuri c. EFSA</em>, punto 49, che si colloca nel prisma di un approccio assai più garantista di quello interno italiano quanto a tutela del segreto tecnico-industriale (massime in tema di gare). Il Collegio appare preoccupato di scongiurare che una libera circolazioni delle informazioni possa in qualche modo agevolare collusioni tra gli operatori economici del settore di riferimento, falsando il gioco della concorrenza. Il risultato si raggiunge contingentando il diritto di accesso degli operatori economici al cospetto di comprovate esigenze di tutela del segreto tecnico-industriale. * * * *Il 21 febbraio esce la sentenza della II sezione del Consiglio di Stato n.1065, alla cui stregua l’art. 22, comma 1, lett. c), della legge n.241 del 1990 impone di riconoscere la qualità di controinteressato non già a tutti coloro che, a qualsiasi titolo, siano nominati o comunque coinvolti nel documento oggetto dell'istanza ostensiva, ma solo a coloro che per effetto dell’ostensione vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza. Non basta, perciò, che taluno venga lambito in qualche modo dal documento richiesto, occorrendo piuttosto in capo a tale soggetto un <em>quid pluris</em> compendiantesi nella titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati racchiusi nello stesso documento. Per il Collegio, la veste di controinteressato in tema di accesso è dunque una proiezione del valore della riservatezza, e non già della mera, oggettiva riferibilità di un dato alla sfera di un certo soggetto, dovendosene desumere che non tutti i dati riferibili ad un soggetto sono per ciò solo rilevanti ai ridetti fini, ma piuttosto solo quelli rispetto ai quali sussista, per la loro inerenza alla personalità individuale, o per i pregiudizi che potrebbero discendere da una loro diffusione, una precisa e ben qualificata esigenza di riserbo. * * * Il 23 aprile esce la sentenza del Tar Abruzzo, Pescara, n.240 alla cui stregua va assunto non poter essere sottratto all’accesso ex att, 13, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 il parere legale reso da un professionista ad una stazione appaltante in relazione alla possibilità di revocare l'aggiudicazione della gara, laddove detto parere sia stato posto a fondamento del provvedimento finale di revoca dell’aggiudicazione, nonché ivi formalmente richiamato. * * * Il 10 settembre esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.8199 onde va riconosciuto il diritto del concorrente ad accedere a tutti gli atti della procedura concorsuale, non configurandosi limiti ai documenti ostensibili. Il Collegio precisa essere noto che le domande e i documenti prodotti dai candidati, i verbali, le schede di valutazione e gli stessi elaborati di un concorso pubblico costituiscono documenti rispetto ai quali deve essere esclusa in radice l'esigenza di riservatezza e tutela dei terzi, posto come i concorrenti al concorso medesimo, prendendo parte alla selezione, hanno già (<em>ex se</em>) acconsentito a misurarsi in una competizione di cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l'essenza della pertinente valutazione. * * * Il 26 settembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4801 alla cui stregua poiché la cartella esattoriale costituisce il presupposto delle procedure esecutive fiscali, la richiesta di accesso ad essa va assunta strumentale alla tutela dei diritti del contribuente in tutte le forme dall’ordinamento giuridico ritenute più rispondenti ed opportune. Con la conseguenza – precisa il Collegio - che tale cartella esattoriale deve essere rilasciata in copia dalla società concessionaria della riscossione al contribuente che abbia proposto o voglia proporre ricorso avverso atti esecutivi iniziati nei relativi confronti. * * * Il 20 novembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.5511 alla cui stregua la natura “<em>generale</em>” dell’atto del quale si invoca l’ostensione, se da un lato teoricamente non consentirebbe di affermare che la relativa formazione sia sottratta all'accesso, dall'altro incide sulle modalità di esercizio del pertinente diritto. Per il Collegio, al cospetto di un atto a contenuto generale aumenta difatti la possibilità che la domanda ostensiva si risolva in un non consentito controllo generalizzato dell'operato dell’Amministrazione, palesandosi dunque necessario che l’istanza sia finalizzata ad avere contezza di documenti specifici inseriti nel procedimento di formazione dell’atto di volta in volta considerato. Nella specifica fattispecie, per il Collegio la pianta organica ha un contenuto generale (più correttamente, collettivo) e non astratto - essendo suscettibile di applicazione una sola volta nell’ambito temporale di efficacia dell’atto che la compendia - ed in quanto tale non può essere rigorosamente inclusa nell’ambito della categoria degli atti amministrativi generali. L'art. 24, comma 1, lett. c), L n. 241 del 1990 infatti, precisa la Sezione, sottrae, tra l’altro, tale tipologia di atti dall'ambito applicativo delle regole sull'accesso in quanto per essi sono normalmente previste “<em>particolari norme che ne regolano la formazione</em>”. * * * Il 28 novembre esce la sentenza della sezione II del Tar Veneto n.1330, onde il parete legale reso in favore dell’Amministrazione dopo l’inizio di una fase precontenziosa, al fine di definire la propria strategia difensiva, deve assumersi non accessibile ai soggetti terzi che ne chiedano l’ostensione. <strong>2014</strong> Il 7 gennaio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.14 alla cui stregua – al cospetto di un un contrapposto diritto alla riservatezza, quale quello vantato a tutela del <em>know how</em> industriale, il diritto di accesso è idoneo a prevalere solo in relazione a quegli atti o a quelle parti di documenti, la cui conoscenza è necessaria per curare o per difendere gli interessi giuridici del richiedente (c.d. accesso difensivo). * * * Il 7 febbraio esce l’ordinanza della VI sezione del Consiglio di Stato n.600, particolarmente rilevante in tema di c.d. limiti all’accesso e “<em>controlimite</em>” difensivo. Il Tribunale amministrativo regionale – rappresenta il Collegio - ha ritenuto nel caso di specie illegittimo il diniego di accesso sulla base della previsione contenuta nell’art. 24, comma 7, legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), nel testo sostituito dall’art. 16 legge 11 febbraio 2005, n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa), ai sensi della quale: “<em>Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici</em>”. Secondo l’ordinanza appellata, da tale norma emergerebbe una generale prevalenza del c.d. accesso difensivo (finalizzato alla difesa in giudizio) rispetto a tutti gli altri interessi contrapporti, pubblici e privati, a tutela dei quali sono previste le diverse ipotesi di esclusione dall’accesso disciplinate negli altri commi dello stesso art. 24 della legge n. 241 del 1990. Partendo da tale premessa, prosegue il Collegio, il Tribunale amministrativo regionale ha reputato irrilevante la circostanza che i documenti in questione siano tra quelli che il Ministero ha espressamente sottratto all’accesso con il d.m. 16 maggio 1996, n. 422 (Regolamento recante norme per l’individuazione dei documenti di competenza del Ministero del commercio con l’estero, sottratti al diritto di accesso ai sensi dell’art. 24, comma 4, della L. 7 agosto 1990, n. 241) o che tali documenti siano, comunque, coperti da un divieto di divulgazione, ai sensi dell’art. 42 legge n. 124 del 2007, in quanto oggetto di classifica di segretezza (“<em>riservato</em>”) da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ciò in quanto, secondo il Tribunale amministrativo regionale, l’accesso c.d. difensivo sarebbe comunque prevalente e il rischio di una irragionevole compressione degli altri interessi protetti, aventi, rispetto al diritto di difesa, uguale rilevanza costituzionale e comunitaria, sarebbe adeguatamente scongiurato attraverso una applicazione dell’art. 24, comma 7, legge n. 241 del 1990 secondo il canone della strettissima interpretazione, volta ad appurare la reale funzionalità dell’accesso al diritto di difesa. Tale conclusione non può tuttavia per il Consiglio di Stato essere condivisa. Non merita condivisione, in particolare, la premessa interpretativa da cui essa muove, ovvero che l’accesso c.d. difensivo di cui all’art. 24, comma 7, legge n. 241 del 1990 sia in grado di prevalere su ogni ipotesi di esclusione dall’accesso ai sensi dei precedenti commi dello stesso art. 24. Il Collegio ritiene, al contrario, che (nonostante la non felice formulazione dell’art. 24, comma 7, come sostituito dall’art. 5 della legge n. 15 del 2005) la regola della prevalenza del c.d. accesso difensivo non riguardi tutte le ipotesi di esclusione di cui al medesimo art. 24, ma solo la particolare ipotesi di esclusione (contemplata dalla lettera d del comma 6) determinata dalla necessità di tutelare la riservatezza di terzi (persone, gruppi, imprese e associazioni). È vero che in senso contrario (ovvero a favore della tesi della generalizzata prevalenza dell’accesso difensivo) sembrerebbe deporre la collocazione della relativa regola in un comma autonomo (il comma 7 dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990), da cui potrebbe, appunto, ricavarsi che oggi, a differenza di quanto accadeva prima delle modifiche introdotte con la legge n. 15 del 2005, l’accesso difensivo prevalga su ogni fattispecie di esclusione. Tale argomento, legato alla collocazione topografica della previsione normativa, cede tuttavia – precisa il Collegio - alla luce delle seguenti considerazioni. Innanzitutto, esso trova smentita nei lavori preparatori della legge n. 15 del 2005, dai quali emerge, in maniera sufficiente, l’intenzione del legislatore di attribuire prevalenza all’accesso difensivo solo con riferimento ai documenti contenenti dati personali, ossia allorché venga in rilievo la tutela della riservatezza. Nella Relazione della Prima Commissione permanente della Camera Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni), presentata alla Presidenza il 6 novembre 2003, a pag. 13, infatti, si legge: “<em>la tutela della riservatezza dei dati, stabilisce il comma 7, deve comunque garantire, agli interessati che lo richiedono, l’accesso ai documenti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per l’esercizio del diritto di difesa o per far valere un diritto in giudizio</em>”. La norma di cui al comma 7 viene, quindi, ricondotta esclusivamente al rapporto tra accesso e riservatezza, senza menzionare le altre ipotesi di esclusione. Al di là dell’intenzione del legislatore storico, a sostegno di tale interpretazione dell’art. 24, comma 7, depongono per il Collegio due ulteriori argomenti, il primo dei quali si ricava da una lettura complessiva dell’art. 24, comma 7, legge n. 241 del 1990. Tale disposizione si compone di due periodi: il primo, che sancisce la regola della prevalenza dell’accesso difensivo, senza ulteriori specificazioni; il secondo, che limita l’applicazione di tale regola, occupandosi di attenuarne la portata solo con riferimento ad alcune categorie di dati personali (i dati sensibili, i dati giudiziari e i dati sensibilissimi). Mentre il primo periodo fa generico riferimento alla necessità di consentire l’accesso strumentale all’esercizio del diritto di difesa in giudizio (senza specificare rispetto a quali documenti), il secondo periodo, nel limitare la portata della regola, fa riferimento ai dati sensibili e giudiziari (puntualizzando che, in questo caso, non basta la semplice strumentalità, ma occorre la stretta indispensabilità) e ai dati sensibilissimi (specificando, tramite il rinvio all’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, che “<em>quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile</em>”). È evidente allora – chiosa ancora la Sezione - che non è plausibile una interpretazione atomistica del primo periodo del comma 7 dell’art. 24, che non tenga conto di quanto dispone il secondo periodo nel chiarire e limitare la portata della regola che sancisce la prevalenza dell’accesso difensivo. L’eccezione del secondo periodo si occupa solo dei dati personali sensibili e sensibilissimi (coperti dal c.d. nocciolo duro del diritto alla riservatezza) sul presupposto, non esplicitato ma comunque evidente, che la regola del primo periodo valga, a propria volta, solo per i documenti che contengono dati personali (e non per qualsiasi ipotesi di esclusione dal diritto di accesso). L’opposto assunto, oltre ad essere smentito dal punto di vista storico-teleologico oltre che dal dato letterale (tenendo conto dell’intera formulazione del comma 7) darebbe luogo anche a conclusioni irragionevoli, finendo per tutelare la riservatezza delle informazioni private e personali in misura maggiore rispetto alla riservatezza delle informazioni pubbliche, che sarebbero (sempre) cedevoli rispetto all’accesso difensivo indipendentemente da ogni concreto bilanciamento tra opposti interessi e senza tener conto del dominante rilievo e della portata stessa dell’interesse pubblico sotteso all’ipotesi legislativamente prevista di esclusione. Deve, quindi, escludersi che l’art, 24, comma 7, primo periodo, legge n. 241 del 1990 possa essere interpretato nel senso di giustificare una indiscriminata prevalenza dell’accesso difensivo su tutte le ipotesi di esclusione normativamente previste. Esclusa la generalizzata applicazione della regola dell’accesso difensivo di cui all’art. 24, comma 7, legge n. 241 del 1990, i rapporti tra l’accesso strumentale alla difesa in giudizio e gli altri casi di esclusione tipizzati dalla legge non potrà – conclude il Collegio - che essere risolto seguendo una delle seguenti vie: <ol> <li>a) secondo una accezione più radicale, dando sempre prevalenza ai secondi (come sembrerebbe desumersi dall’art. 24, comma 1, legge n. 241 del 1990 che, con l’espressione “<em>il diritto di accesso è escluso</em>” sembra individuare negli interessi pubblici che integrando le fattispecie tipiche di esclusione inderogabili limiti negativi al contenuto del diritto di accesso, quale che sia la sua finalità);</li> <li>b) secondo una accezione più “<em>flessibile</em>”, ammettendo la possibilità di un bilanciamento in concreto, che tenga conto (analogamente a quanto previsto per i dati personali sensibilissimi), da un lato, della indispensabilità dell’accesso rispetto alla difesa e, dall’altro, del rango comparativo degli interessi contrapposti (quello tutelato con l’esclusione dell’accesso e quello alla cui tutela in giudizio mira l’istanza ostensiva).</li> </ol> Non vi è ragione qui di indicare le ragioni perché sia da preferire l’una o l’altra via, perché, anche ad accogliere la più flessibile tesi del bilanciamento “<em>in concreto</em>”, non vi è dubbio che, nel caso di specie, tale bilanciamento non potrebbe che concludersi nel senso di escludere l’accesso richiesto dalla X s.p.a.. In questo caso, infatti, l’interesse economico del richiedente (per quanto rilevante e collegato a un valore di rilievo costituzionale come quello della libertà di iniziativa economica) non può che restare subvalente rispetto all’interesse pubblico che giustifica la non ostensione, vale a dire il segreto, connesso com’è ai beni pubblici protetti dalla tutela della sicurezza nazionale e internazionale dello Stato e della lotta al terrorismo. Basti considerare – chiosa ancora la Sezione - che il diniego di accesso riguarda, in questo caso, documenti “<em>classificati</em>” ai sensi dell’art. 42 della legge n. 124 del 2007, e le classifiche di segretezza, in base al comma 1 del medesimo art. 42, sono attribuite proprio “<em>per circoscrivere la conoscenza di informazioni, atti e attività ai soli soggetti che abbiano necessità di accedervi in ragione della proprie funzionali istituzionali</em>”. Vi è quindi una specifica previsione legislativa che esclude la comune accessibilità. Inoltre, non sembra emergere per il Collegio quel rapporto di stretta indispensabilità tra il richiesto accesso e l’esercizio del diritto di difesa. La società ricorrente, invero, nell’ambito del ricorso diretto all’annullamento del provvedimento impositivo dell’obbligo di previa autorizzazione ha esposto circostanze dettagliate e formulato motivi puntuali (ivi compresa la lamentata disparità di trattamento rispetto all’altro operatore italiano che ha esportato gli stessi prodotti presso la medesima impresa), che confermano la non indispensabilità della conoscenza delle informazioni riservate contenute nelle note della Presidenza del Consiglio dei Ministri del gennaio 2013 e del maggio 2013 per l’esercizio del diritto di difesa. * * * *Il 10 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.617 alla cui stregua - una volta concluso il procedimento di accertamento tributario - il diritto di accesso non può essere ulteriormente differito e la parte pubblica deve, su istanza della parte privata interessata, rendere disponibili tutti gli atti di riferimento, dovendosi riconoscere al contribuente un interesse giuridicamente rilevante ad accedere agli atti relativi al procedimento tributario che lo veda coinvolto. Diversamente opinando, prosegue il Collegio, risulterebbe difficile comprendere come la parte privata possa far fronte alla necessità di difendersi concretamente in altra sede giudiziaria se non le venisse consentito di accedere agli atti tributari che la riguardano. * * * *Il 14 marzo esce la sentenza della sezione giurisdizionale del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana n.134 alla cui stregua i pareri resi nel corso di un procedimento amministrativo e connessi all’<em>iter</em> procedimentale seguito dalla PA vanno assunti accessibili e, come tali, non sottraibili all’ostensione, trattandosi di atti con una funzione non dissimile da quella propria di tutti gli altri atti che si innestano in un procedimento amministrativo e che ne determinano il finale esito provvedimentale. * * * Il 24 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1446 alla cui stregua nel codice dei contratti pubblici l’accesso ai documenti della procedura di aggiudicazione assume una particolare natura, in quanto non è sufficiente il riferimento alla cura di propri interessi giuridici prevista dall'art. 24, l. n. 241 del 1990, ma è richiesto espressamente che l’accesso sia effettuato in vista della difesa in giudizio. Si tratta quindi, chiosa il Collegio, di una previsione molto più restrittiva di quella contenuta nell’art. 24, della legge 241.90, la quale contempla un ventaglio più ampio di possibilità, consentendo l’accesso - ove necessario - per la tutela della posizione giuridica del richiedente, senza alcuna restrizione alla sola dimensione processuale. Su altro crinale, il Collegio soggiunge come il rapporto tra la normativa generale in tema di accesso e quella particolare in materia di contratti pubblici non vada posto in termini di accentuata differenziazione, quanto piuttosto di sostanziale complementarietà; le disposizioni di carattere generale e speciale contenute nella disciplina della l. n. 241 del 1990 devono infatti trovare applicazione tutte le volte in cui non si rinvengano disposizioni derogatorie – come tali dotate di una specialità ancor più elevata in ragione della materia pertinente – nel codice dei contratti, trovando la propria <em>ratio</em> nel particolare regime giuridico di tale peculiare settore dell’ordinamento. * * * *L’11 aprile esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1768 che – uniformandosi al <em>decisum</em> della Adunanza Plenaria 11.07 – nega l’ostensibilità delle relazioni del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo in materia di appalti pubblici. * * * Il 14 maggio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.2472 onde un punto di equilibrio tra accesso e riservatezza va rintracciato nel combinato disposto degli artt. 59 e 60, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e delle norme di cui alla legge n. 241 del 1990. Se ne evince una disciplina che delinea tre livelli di protezione dei dati dei terzi, cui corrispondono tre gradi di intensità della situazione giuridica che il richiedente intende tutelare con la pertinente richiesta di accesso: - al grado più elevato, si richiede la necessità di una situazione di “<em>pari rango</em>” rispetto a quello dei dati richiesti; - al grado subito inferiore, si richiede la “<em>stretta indispensabilità</em>”; - al grado ancora inferiore è richiesta la semplice “<em>necessità</em>” dell’accesso al pertinente dato. In tutti e tre i casi dunque, chiosa il Collegio, l'istanza di accesso deve essere motivata in modo ben più rigoroso rispetto alla richiesta di documenti che attengono al solo richiedente, e per i quali non si pone dunque un problema di riservatezza di terzi; più in specie, fuori dalle ipotesi di connessione evidente tra “<em>diritto</em>” all'accesso ad una certa documentazione ed esercizio proficuo del diritto di difesa, incombe sul richiedente l’accesso dimostrare la specifica connessione con gli atti di cui ipotizza la rilevanza a fini difensivi; ciò anche ricorrendo all’allegazione di elementi induttivi, e tuttavia testualmente espressi, univocamente connessi alla “<em>conoscenza</em>” necessaria alla linea difensiva e logicamente intellegibili in termini di consequenzialità rispetto alle deduzioni difensive potenzialmente esplicabili. * * * Il 17 giugno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3079 onde la ditta esclusa da una gara di appalto con provvedimento divenuto definitivo non è legittimata ad accedere agli atti di gara atteso che, ai sensi dell’art. 13, d.lgs. n. 163 del 2006, l’accesso è consentito solo se necessario per curare per difendere i propri interessi giuridici (con connotazione, <em>ratione materiae</em>, spiccatamente processuale). * * * *Il 31 luglio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4040 alla cui stregua - una volta concluso il procedimento di accertamento tributario - il diritto di accesso non può essere ulteriormente differito e la parte pubblica deve, su istanza della parte privata interessata, rendere disponibili tutti gli atti di riferimento, dovendosi riconoscere al contribuente un interesse giuridicamente rilevante ad accedere agli atti relativi al procedimento tributario ridetto, laddove lo veda coinvolto. Diversamente opinando, prosegue il Collegio, risulterebbe difficile comprendere come la parte privata possa far fronte alla necessità di difendersi concretamente in altra sede giudiziaria se non le venisse consentito di accedere agli atti tributari che la riguardano; * * * Il 6 agosto esce la sentenza della sezione IV del Consiglio di Stato n.4209, alla cui stregua una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 24, comma 1, legge n. 241 del 1990 porta a concludere nel senso onde la prevista inaccessibilità agli atti del procedimento tributario non è assoluta né opera in qualunque momento, ma va assunta piuttosto temporalmente limitata alla fase di pendenza dello stesso, non sussistendo esigenze di segretezza nella fase successiva concernente l'adozione dell’atto d’accertamento definitivo o di riscossione dei tributi da parte del Fisco. Ciò per il Collegio atteso che, diversamente opinando, si arriverebbe alla conclusione che, in uno Stato di diritto, il cittadino può essere inciso dall’imposizione tributaria senza neppure conoscere il perché, né la pertinente quantificazione del debito tributario. Da tale la premessa discende per il Collegio che va assunto configurabile in capo al contribuente il diritto ad accedere al ruolo di riscossione quale atto presupposto alla cartella esattoriale che gli è stata in precedenza notificata, nonché alla cartella esattoriale medesima, anche se sia stata notificata per estratto, sia perché sussiste l’interesse all’ostensione di tali atti, sia perché l'emanazione di detta cartella ha definito il procedimento tributario di verifica e di liquidazione delle imposte dovute dal medesimo. In altri termini, per il Consiglio di Stato una volta cessata la causa della inaccessibilità con l’emissione dell’atto concretante la pretesa impositiva, non vi è ragione alcuna per precludere l’accesso al destinatario dell’atto medesimo, accesso che piuttosto va esteso agli atti e ai documenti sottesi alla formazione del ridetto atto conclusivo, o che ne costituiscono presupposto, senza che neppure sia sindacabile da parte dell’Amministrazione la ragione giustificatrice (della richiesta ostensiva). * * * Il 26 agosto esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4308, che ribadisce come l’art. 22, comma 1, lett. c), della legge n.241 del 1990 imponga di riconoscere la qualità di controinteressato non già a tutti coloro che, a qualsiasi titolo, siano nominati o comunque coinvolti nel documento oggetto dell'istanza ostensiva, ma solo a coloro che per effetto dell’ostensione vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza. Non basta, perciò, che taluno venga lambito in qualche modo dal documento richiesto, occorrendo piuttosto in capo a tale soggetto un <em>quid pluris</em> compendiantesi nella titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati racchiusi nello stesso documento. Per il Collegio, la veste di controinteressato in tema di accesso è una proiezione, perciò, del valore della riservatezza, e non già della mera oggettiva riferibilità di un dato alla sfera di un certo soggetto, dovendosene desumere che non tutti i dati riferibili ad un soggetto sono per ciò solo rilevanti ai ridetti fini, ma solo quelli rispetto ai quali sussista, per la loro inerenza alla personalità individuale, o per i pregiudizi che potrebbero discendere da una loro diffusione, una precisa e ben qualificata esigenza di riserbo. Ancora, per il Collegio l'art. 3, comma 1, d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 (in coerenza con l’att. 15 della legge 11 febbraio 2005, n. 15) ha previsto che sia la stessa Amministrazione a dover consentire la partecipazione procedimentale del soggetto che a relativo avviso potrebbe subire un pregiudizio dall’accoglimento della istanza di accesso e che dunque acquisterebbe la qualità di controinteressato nel caso di impugnazione del conseguente diniego. Ove l’estensione del contraddittorio nei confronti di soggetti controinteressati sia mancata in sede procedimentale, in base all'orientamento fondato sulla necessità di un parallelismo tra contraddittorio procedimentale e processuale, non potrebbe essere dichiarato inammissibile il ricorso non notificato al controinteressato medesimo, per elementari esigenze di certezza ed equità; ma ciò non implica certo – precisa la Sezione - che il processo possa svolgersi prescindendo per ciò solo dalla necessaria presenza di quest’ultimo. Per il Collegio va dunque disposto nel caso di specie l'annullamento con rinvio al giudice di primo grado della sentenza, ai sensi dell'art. 105 c.p.a., non essendo stato il ricorso introduttivo notificato ai controinteressati che erano facilmente identificabili e non essendo stata disposta, da parte del Tar adito, l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati stessi, a nulla rilevando che il loro coinvolgimento non sia stato disposto dall’Amministrazione interessata a livello di procedimento amministrativo, così come previsto dall’art. 3, comma 1, D.p.R. n. 184 del 2006. * * * Il 12 settembre viene varato il decreto legge n.132 che innesta nel codice di procedura civile un nuovo art.492 bis rubricato “<em>ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare</em>”, conferendo al GO (Presidente del Tribunale del luogo di residenza del debitore) il potere di autorizzare l’ufficiale giudiziario ad accedere - mediante collegamento telematico diretto - ai dati contenuti nelle banche dati delle Pubbliche Amministrazioni, con particolare riferimento all'anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti finanziari, e in quelle degli enti previdenziali, al fine di acquisire tutte le informazioni rilevanti all'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti. Vengono inseriti poi nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile gli articoli 155 bis e seguenti sul c.d. “<em>archivio dei rapporti finanziari</em>”, sulla partecipazione del creditore alla ricerca dei beni da pignorare con modalità telematiche, sulle modalità di accesso a tali banche dati, anche tramite i pertinenti gestori e così via. Si tratta di norme che sono rilevanti, in specie, nei procedimenti in materia di famiglia, laddove sovente chi chiede giustizia in sede civile ha bisogno di conoscere i dati reddituali e patrimoniali della controparte (come nel classico caso di un processo in materia di separazione o divorzio finalizzato ad ottenere anche prestazioni patrimoniali a carico della controparte in termini, esemplificativamente, di assegno di mantenimento o di assegno divorzile). * * * Il 10 novembre viene varata la legge n.162 che converte, con modificazioni, il decreto legge n.132. * * * Il 25 novembre esce la sentenza della I sezione del Tar Calabria n.1991 onde si configura il diritto di accedere ad un parere legale <em>pro-veritate</em> espresso da un professionista esterno alla P.A. nel caso in cui detto parere abbia funzione endoprocedimentale e sia destinato a sfociare in una determinazione finale dell’Amministrazione, e non già quando abbia invece natura di atto defensionale. Il Collegio precisa che in materia di accesso ai pareri legali forniti alla P.A., occorre distinguere due diverse ipotesi: <ol> <li>a) l’ipotesi in cui la consulenza legale esterna si inserisca nell’ambito di un’apposita istruttoria procedimentale, nel senso che il parere è richiesto al professionista con l’espressa indicazione della relativa funzione “<em>endoprocedimentale</em>” ed è destinato a sfociare in una determinazione finale dell’Amministrazione procedente; in tale ipotesi il parere legale – pur traendo origine da un rapporto privatistico normalmente caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente – è soggetto all’accesso perché oggettivamente correlato ad un procedimento amministrativo;</li> <li>b) l’ipotesi in cui la consulenza sia richiesta dopo l’avvio di un procedimento contenzioso, o dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose al fini di stabilire la strategia difensiva dell’Amministrazione, assumendo in questo caso il “<em>parere</em>” natura di “<em>atto defensionale</em>”, connesso – non ad un procedimento – ma ad una controversia giudiziaria, arbitrale o meramente “<em>amministrativa</em>”, come tale sottratto all’accesso, in quanto coperto da “<em>segreto professionale</em>” e dunque riconducibile al limite legale di cui all’art. 24 co. 1 lett. a) <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015"> 241 del 1990</a>.</li> </ol> <strong>2015</strong> Il 29 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Puglia, Lecce, n.1419 onde la PA non può legittimamente assumere quale unico fondamento del diniego di accesso agli atti il difetto di consenso da parte dei pertinenti soggetti controinteressati, atteso come la normativa in materia di accesso agli atti - lungi dal rendere i controinteressati arbitri assoluti delle richieste che li riguardino - rimette sempre all’Amministrazione medesima, destinataria della richiesta di accesso, il potere di valutare la fondatezza della richiesta stessa, anche in contrasto con l'opposizione eventualmente manifestata dai controinteressati ridetti. <strong>2016</strong> Il 16 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1056 onde va escluso l’accesso ai pareri legali richiesti nel caso di specie, da assumersi non concernere in modo esclusivo, diretto ed immediato il procedimento amministrativo conclusosi con l’atto impugnato. Per il Collegio tali pareri devono piuttosto annoverarsi tra gli atti esclusi dall'accesso, trattandosi di pareri rientranti nelle tipiche attività precontenziose o concernenti una lite potenziale, definendo e/o delineando la relativa strategia difensiva e/o la futura condotta processuale più conveniente da tenere per l'Amministrazione nella controversia giurisdizionale già instaurata ovvero in altra futura. * * * Il 18 aprile viene varato il decreto legislativo n.50, recante Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Si tratta di quello che, a seguito di futura novellazione della pertinente rubrica, diverrà il “<em>nuovo codice dei contratti pubblici</em>”; esso, abrogando il precedente codice 163.06, disciplina nuovamente la materia dell’accesso agli atti nelle c.d. “<em>gare</em>”, e del pertinente rapporto con la “<em>riservatezza</em>”, all’art.53, articolantesi a propria volta in sette comma. Stando al comma 1, salvo quanto espressamente previsto dal codice stesso, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione di contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dall’art.22 e seguenti della legge 241.90; il diritto di accesso agli atti del processo di asta elettronica può peraltro essere esercitato mediante l’interrogazione delle registrazioni di sistema informatico che contengono la documentazione in formato elettronico dei ridetti atti, ovvero tramite l’invio o la messa a disposizione di copia autentica degli atti medesimi (comma 1). Fatta salva la disciplina prevista dal codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, il diritto di accesso (comma 2) va differito: <ol> <li>a) nelle procedure aperte, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine di presentazione delle medesime;</li> <li>b) nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare informali, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse, e in relazione all’elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine di presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è tuttavia consentito l’accesso all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare;</li> <li>c) in relazione alle offerte, fino all’aggiudicazione;</li> <li>d) in relazione al procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, fino all’aggiudicazione.</li> </ol> Gli atti di cui al comma 2, fino alla scadenza dei termini ivi previsti, non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti (comma 3); l’inosservanza dei comma 2 e 3, per i pubblici ufficiali o per gli incaricati di pubblici servizi, rileva ancora una volta ai fini dell’art.326 c.p. (rivelazione di segreti d’ufficio). Fatta salva la disciplina prevista dal codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono poi esclusi (comma 5) il diritto di accesso e ogni (altra) forma di divulgazione in relazione: <ol> <li>a) alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali;</li> <li>b) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici;</li> <li>c) alle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto;</li> <li>d) alle soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale;.</li> </ol> In relazione all’ipotesi di cui al comma 5, lettera a) – e dunque, in sostanza, alle fattispecie in cui rilevino segreti tecnici o commerciali - è tuttavia consentito l’accesso al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto (comma 6). Le stazioni appaltanti possono imporre agli operatori economici condizioni intese a proteggere il carattere di riservatezza delle informazioni che le amministrazioni aggiudicatrici rendono disponibili durante tutta la procedura di appalto (comma 7). Il precedente art. 29 scolpisce peraltro i principi generali sulla trasparenza in materia di appalti e impone alle Amministrazioni la pubblicità di tutti gli atti delle procedure di affidamento da collocare sul sito delle stazioni appaltanti, nella sezione amministrazione trasparente, sulla piattaforma digitale ANAC e sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. <strong>2017</strong> Il 01 febbraio esce la sentenza della sezione II del Tar Puglia, Lecce, n.186 onde, nel solco di collaudato filone pretorio, in sede di accesso le esigenze di riservatezza, nelle procedure di tipo para concorsuale - quale è quella di trasferimento di dipendenti - risultano recessive rispetto a quelle di trasparenza dell'attività amministrativa, sicché tutti i partecipanti a tale procedura hanno l'onere di subire l'accesso alla documentazione prodotta, su eventuale iniziativa degli agli altri concorrenti. Per il Collegio inoltre, nel campo del lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, il dipendente è sempre portatore di un interesse qualificato alla conoscenza degli atti e documenti che riguardano la propria posizione lavorativa, atteso che gli stessi esulano dal diritto alla riservatezza e che l'art. 22, L n. 241 del 1990 garantisce l'accesso ai documenti amministrativi relativi al rapporto di pubblico impiego anche se privatizzato. * * * Il 13 luglio esce l’importante sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3461 che, in tema di accesso difensivo, va in contrario avviso rispetto alla giurisprudenza dominante sul crinale del coordinamento – nelle liti che coinvolgano privati – tra i poteri del giudice civile in tema di prova di cui agli articoli 211 e 213 c.c., nonché di cui all’art. 492-bis c.p.c. e all’art.155-quinquies disp. att. c.p.c., e il diritto di accesso agli atti amministrativi di cui alla legge 241.90. Secondo la tesi opposta – prosegue l’Adunanza – siccome propugnata dalla sentenza n. 3461/2017 della Quarta Sezione, la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria, di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, esclude invece l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai documenti medesimi secondo la disciplina di cui alla legge n. 241/1990. Tale tesi parte dalla considerazione (richiamando Ad. plen. 18 aprile 2006, n. 6) che il diritto di accesso è una situazione soggettiva che, più che fornire utilità finali, risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi), e ne trae i seguenti corollari: - il diritto di accesso si presenta come posizione strumentale riconosciuta ad un soggetto che sia già titolare di una diversa situazione giuridicamente tutelata (diritto soggettivo o interesse legittimo, e, nei casi ammessi, titolarità esponenziale di interessi collettivi o diffusi), e che abbia, in collegamento a quest’ultima, un interesse diretto, concreto ed attuale ad acquisire mediante accesso uno o più documenti amministrativi; - la posizione giuridica soggettiva preesistente, cui strumentalmente inerisce il diritto di accesso, non può essere individuata nel mero e autonomo ‘<em>diritto all’informazione’</em>, né nell’accesso civico a dati e documenti dell’Amministrazione; - il «<em>diritto</em>» di accesso si presenta privo di una sua sostanziale autonomia, essendo esso sempre ricollegato, appunto, a <em>status</em> e posizioni soggettive, alla cui affermazione e/o tutela strumentalmente si accompagna, di modo che proprio perché è esso stesso posizione strumentale non può essere configurato come diritto fondamentale e autonomo rispetto a qualsiasi altro tipo di azione; - il problema da sciogliere è quindi se, allorché l’ordinamento giuridico preveda particolari procedimenti e modalità di acquisizione di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, il diritto di accesso sia esercitabile (o meno) indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle norme processuali, ovvero anche in modo concorrente e complementare con queste ultime. Dati i presupposti in ragione dei quali l’acquisizione di documenti amministrativi al processo civile è disciplinata dal codice di rito, e considerato che il giudizio nel cui ambito una delle parti intende utilizzare documenti detenuti da Pubbliche Amministrazioni è un giudizio tra soggetti privati, al quale la Pubblica Amministrazione è totalmente estranea, l’orientamento all’esame perviene – rammenta il Collegio - all’affermazione dei seguenti principi: - la disciplina codicistica garantisce la necessaria tutela giurisdizionale anche in punto di acquisizione di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione; - proprio in quanto i documenti da utilizzare nel processo (e detenuti dalla Pubblica Amministrazione) riguardano una delle due parti private in giudizio, al diritto alla tutela giurisdizionale del soggetto, che intende avvalersi dei documenti amministrativi, occorre contrapporre l’altrettanto riconosciuto e tutelato diritto di difesa dell’altra parte; - infatti, le norme processualcivilistiche sottopongono alla valutazione del giudice la esibizione di documenti ordinata al terzo (artt. 211, 213, 492-bis cod. proc. civ.), in quanto l’acquisizione di prove documentali non può che avvenire se non nella sede tipica processuale e nel rispetto del principio del contraddittorio, e il giudice «<em>deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l’interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo</em>», se del caso ordinandone la citazione in giudizio (art. 211 cod. proc. civ.); - la possibilità di acquisire <em>extra iudicium</em> i documenti amministrativi, dei quali una delle parti intende avvalersi in giudizio, si tradurrebbe in una forma di singolare «<em>aggiramento</em>» delle norme che governano l’acquisizione delle prove e costituirebbe un <em>vulnus</em> al diritto di difesa dell’altra parte, la quale, lungi dal potersi difendere nella sede tipica prevista dall’ordinamento processuale, si troverebbe a dover esporre le proprie ragioni non già dinanzi ad un giudice, bensì dinanzi alla Pubblica Amministrazione, in qualità di soggetto controinteressato; - se l’accesso ai documenti amministrativi è riconosciuto in funzione di una «<em>situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso</em>» (art. 22, comma 1, lettera b), l. n. 241/1990), appare evidente come l’esigenza di tutela risulti già ampiamente assicurata attraverso i mezzi tipici previsti nel processo instaurato; - nei procedimenti familiari e, in genere, nelle cause tra privati, l’accesso ai documenti amministrativi non ha «<em>rilevante finalità di pubblico interesse</em>», né è volto a «<em>favorire la partecipazione</em>» del privato all’attività dell’Amministrazione, né ad «<em>assicurarne l’imparzialità e la trasparenza</em>» (art. 22, comma 2, l. n. 241/1990); - in siffatte fattispecie, l’accesso documentale, lungi dall’essere volto alla tutela (procedimentale e/o processuale) del privato nei confronti della Pubblica Amministrazione, tende ad alterare la parità processuale delle parti in un giudizio civile, garantita (anche) dalla previa valutazione del giudice; - le predette considerazioni, riferite a un giudizio tra privati (e, dunque, con riferimento a norme processualcivilistiche), non sono immediatamente applicabili al processo amministrativo, né, per converso, la possibilità di instaurare un giudizio avverso la Pubblica Amministrazione e, in parallelo, esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce elemento per contraddire tali conclusioni. * * * Il 22 settembre esce l’ordinanza della V sezione del Consiglio di Stato n.4440 che si occupa in particolare dei rapporti tra diritto di accesso e c.d. segreto industriale. Scandagliando una fattispecie di applicabilità, <em>ratione temporis</em>, dell’art. 13 del decreto legislativo n. 163 del 2006, il Collegio chiarisce <em>in primis</em> che il diritto di accesso non può utilizzarsi con lo scopo di svelare segreti tecnico-industriali e avvantaggiarsi nelle procedure ad evidenza pubblica. Poiché un'impresa avrebbe interesse a richiedere l’ostensione delle offerte presentate dagli altri partecipanti, al fine di ottenere informazioni indebite circa i metodi di lavoro di queste, appare ragionevole al Collegio l’esclusione dal diritto di accesso, sulla base del dato legislativo, di quelle informazioni afferenti ai segreti industriali. Tuttavia, precisa la Sezione, il limite in parola ha carattere solo “<em>relativo</em>”, e dunque recessivo allorquando la conoscenza incidentale del segreto industriale sia contenuta in un documento necessario alla difesa del richiedente, che abbia dunque spiccato una richiesta di accesso “<em>difensiva</em>”. <strong>2018</strong> Il 17 gennaio esce la sentenza della sezione giurisdizionale della Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n.15,alla cui stregua l’accesso non configura una ipotesi di azione popolare, il primo limite che si frappone al pertinente esercizio dovendosi assumere quello di essere titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata. * * * Il 22 marzo esce la sentenza della I sezione del Tar Calabria, Reggio Calabria, n.136, che si pronuncia in tema di procedimento tributario e diritto di accesso agli atti amministrativi. Per il Collegio, come la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato, “<em>l'interesse del contribuente alla ostensione degli atti propedeutici a procedure di riscossione è riconosciuto anche in via legislativa, mediante la previsione di obblighi in capo al concessionario per la riscossione”</em>. (Cons. Stato. IV 30 novembre 2009, n. 7486). Invero, prosegue il TAR, l'art. 26 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in tema di riscossione delle imposte sul reddito, recita: "<em>il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso del ricevimento ed ha l'obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell'amministrazione</em>". Le disposizioni sul diritto di accesso risultano pertanto – prosegue il Collegio - di maggiore definizione e speciali rispetto alla disciplina generale del procedimento amministrativo in quanto, in questo caso, la valutazione sulla sussistenza di un interesse all'esibizione è fatta direttamente dalla legge, e non va più svolta caso per caso. A maggior ragione, quindi, la richiesta del contribuente non può mai essere valutata sotto il profilo della meritevolezza soggettiva da parte del concessionario, obbligato <em>ex lege</em> alla custodia ed all'esibizione, senza che allo stesso residui alcun margine di scelta. Ciò in quanto "<em>la copia della cartella di pagamento </em>ex se<em> costituisc</em>(e) <em>strumento utile alla tutela giurisdizionale delle ragioni della ricorrente e la concessionaria non ha quindi alcuna legittimazione a sindacare le scelte difensive eventualmente operate dal privato</em>" (Cons. Stato. IV 30 novembre 2009, n. 7486; TAR Napoli, VI, 13 aprile 2016, n. 1811; v. Cons. St.. IV, 31 marzo 2015, n. 1705). L’Ente intimato dovrà quindi esibire e consegnare la documentazione richiesta con l’istanza di accesso e, segnatamente, l’avviso di liquidazione nonché il documento comprovante la dedotta ricezione “<em>a mani proprie</em>” della cartella di pagamento. * * * Il 21 maggio esce la sentenza della sezione I del Tar Molise n.296 che si occupa di una fattispecie in cui il soggetto privato vanta un diritto di credito nei confronti dell'Amministrazione resistente, non inerente tuttavia ad un interesse pubblico affidato all’Amministrazione medesima. Il privato medesimo richiede dunque l’accesso ad atti funzionali a provare in sede civile il ridetto diritto di credito, ricorrendo poi al Tar ed inverando una sorta di inammissibile surrogazione rispetto ai mezzi istruttori garantiti, appunto nella diversa sede civile. Per il Collegio, occorre muovere dalla considerazione onde l’accesso si atteggia a strumento di trasparenza dell’<em>agere</em> pubblico, e non anche a scappatoia per ottenere vantaggi probatori sul piano processuale rispetto a quella che è la strada all’uopo tracciata dal diritto processuale “<em>competente</em>”. Per il Collegio, se si ammettesse l'accesso anche in tali casi potrebbe essere messa in pericolo la stessa parità delle armi tra le parti in giudizio, potendo le parti private contare su un rimedio ulteriore rispetto all'ordinario strumentario probatorio, tra cui l'ordinaria istanza per l'adozione di un ordine di esibizione; si fornirebbe quindi, prosegue il Tar, ad una delle parti tra cui pende una controversia un obiettivo, indebito vantaggio rispetto all'altra per il solo fatto di essere coinvolta un'Amministrazione. D'altra parte la stessa Amministrazione, se fosse invariabilmente chiamata a produrre in giudizio atti inerenti a rapporti con privati con i quali sussistono liti attuali o potenziali al di fuori dell'esercizio dei pubblici poteri, si troverebbe – chiosa emblematicamente il Collegio - in una posizione di obiettivo svantaggio processuale. * * * Il 10 agosto viene varato il decreto legislativo n.101, recante disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché' alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati). Il relativo art.5 modifica gli articoli 59 e 60 del decreto legislativo n.196.03 in tema di riservatezza. Più in specie il nuovo art.59, rubricato ora “<em>accesso a documenti amministrativi e accesso civico</em>”, dispone che – fatto salvo quanto previsto dall’art.60 – i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 241.90 e successive modificazioni e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati di cui agli articoli 9 e 10 del regolamento e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso (comma 1). Secondo il nuovo comma 1 bis, i presupposti, le modalità e i limiti per l’esercizio del diritto di accesso civico restano disciplinati dal decreto legislativo 33.13. L’art.60, nella relativa nuova rubrica (dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale) e formulazione, dispone che quando il trattamento concerne dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale. * * * Il 15 dicembre esce la sentenza della sezione II del Tar Calabria n.2050 onde un parere legale va osteso quando ha una funzione endoprocedimentale ed è quindi correlato ad un procedimento amministrativo che si conclude con un provvedimento ad esso collegato anche solo in termini sostanziali e, quindi, pur in assenza di un richiamo formale ad esso. <strong>2020</strong> Il 15 settembre escono le note sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.19, 20 e 21 in tema di c.d. accesso difensivo. Limitandosi al testo della sentenza n.19, l’Adunanza precisa <em>in incipit</em> come la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, investita della causa d’appello, all’esito dell’udienza camerale fissata per la discussione della domanda cautelare e previo preavviso alle parti presenti ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., abbia pronunciato ordinanza collegiale con la quale, a fronte dei contrasti giurisprudenziali insorti sulla questione centrale di diritto devoluta in appello, ha rimesso gli atti all’Adunanza plenaria medesima ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm.. Ciò al fine di porre al Collegio le seguenti questioni: <ol> <li>a) se i documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) siano qualificabili quali documenti e atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990;</li> <li>b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210 e 213 del cod. proc. civ.; per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.);</li> <li>c) in particolare, se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990 sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche – eventualmente – concorrendo con le stesse;</li> <li>d) ovvero se – all’opposto – la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990;</li> <li>e) nell’ipotesi in cui si riconosca l’accessibilità agli atti detenuti dall’Agenzia delle Entrate (dichiarazioni dei redditi, certificazioni reddituali, contratti di locazione immobiliare a terzi, comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari ed atti, dati e informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria), in quali modalità va consentito l’accesso ai medesimi, e cioè se nella forma della sola visione, ovvero anche in quella dell’estrazione della copia, ovvero ancora per via telematica.</li> </ol> La Sezione rimettente – riprende a questo punto il Collegio - nel deferire le ridette questioni all’esame all’Adunanza plenaria, ha precisato che esse riguardano tutti i documenti dell’anagrafe tributaria oggetto dell’istanza di accesso dell’originaria ricorrente, e non solo quelli inseriti nella sezione archivio dei rapporti finanziari. Sulla prima questione, relativa alla qualificazione dei documenti dell’anagrafe tributaria quali documenti amministrativi ai fini dell’accesso difensivo, la Sezione rimettente non ha registrato alcuno specifico contrasto giurisprudenziale, mentre in ordine alla tematica del rapporto tra l’istituto dell’accesso difensivo di cui all’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990 e le norme processuali disciplinanti l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo civile (sia secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia secondo le previsioni speciali nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto degli artt. 492-bis cod. proc. civ. e 155-sexies disp. att. cod. proc. civ.), su cui s’incentra la questione principale deferita all’Adunanza plenaria, ha segnalato un aperto contrasto di giurisprudenza insorto all’interno della Quarta Sezione, nei seguenti termini. Secondo una prima tesi, sostenuta nelle sentenze n. 2472/2014, n. 5347/2019 e n. 5910/2019 e a favore della quale mostra di propendere il Collegio rimettente, il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi degli artt. 22 ss. l. n. 241/1990 è esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle citate norme processualcivilistiche. A suffragio di tale tesi sono addotti i seguenti argomenti: - tra le due discipline non sussiste un rapporto di specialità, bensì di concorrenza (anche cumulativa) e di complementarietà; - la disciplina sull’accesso agli atti amministrativi, attese le rilevanti finalità di pubblico interesse che la connotano, costituisce – ai sensi dell’art. 22, comma 2, l. n. 241/1990 – «<em>principio generale dell’attività amministrativa</em>»; - la ratio dell’istituto può essere ravvisata nei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost. (Ad. plen. 18 aprile 2006, n. 6) e nell’esigenza di agevolare gli interessati nell’ottenere gli atti per valutare se sia il caso di agire in giudizio a tutela di una propria posizione giuridica (Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1455), non potendosi ravvisare ‘<em>zone franche’</em> in cui non rilevino i principi sopra richiamati (Ad. plen., 24 giugno 1999, n. 16); - l’affermazione del diritto di accesso è estrinsecazione, oltre che del principio di effettività della tutela giurisdizionale, anche della tutela dei diritti fondamentali dei familiari, in particolare dei figli minorenni, questi ultimi tutelati dall'art. 5 del settimo protocollo addizionale della CEDU e dagli artt. 29 e 30 della Costituzione; - il consolidato indirizzo seguito dalla giurisprudenza amministrativa ammette, senza limitazioni, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la conseguente applicazione della relativa disciplina sostanziale e processuale, anche in pendenza di un giudizio ‘<em>principale’</em> civile (Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444; Cons. Stato, Sez. VI, 21 marzo 2018, n. 1805); - l’ampliamento dei poteri istruttori del giudice ordinario civile (il cui esercizio ha natura discrezionale) nell’acquisizione delle informazioni e dei documenti patrimoniali e finanziari nei procedimenti in materia di famiglia (art 337-ter, comma 6, cod. civ.; art. 5, comma 9, l. n. 898/1970; art. 736-bis, comma 2, cod. proc. civ.; art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 492-bis cod. proc. civ.) rispetto ai poteri istruttori generali già previsti dagli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ. (anch’essi, parimenti, di natura discrezionale) non può costituire un ostacolo all’accesso difensivo (anche a prescindere dalla circostanza che le istanze istruttorie proposte nel giudizio non siano state accolte), né dar luogo ad ipotesi derogatorie alla disciplina in materia di accesso alla documentazione (salvo, in ipotesi, predicare un ingiustificato ridimensionamento della disciplina generale sull’accesso, fuori dei casi e dei modi contemplati dall’ordinamento); - la piena esplicazione del diritto di difesa non può dipendere dalla spontanea produzione in giudizio della controparte, né dall’esercizio discrezionale del potere acquisitivo da parte del giudice, il quale potrebbe non consentire l’accesso secondo le logiche tipiche che ispirano il giudizio civile nella formazione e nell’acquisizione della prova, con effetti deteriori sulla piena esplicazione del diritto di difesa; - l’accesso ai documenti, inoltre, potrebbe essere esperito anche prima e indipendentemente dalla pendenza del procedimento civile, allo scopo di impedire il verificarsi degli effetti negativi discendenti dal cd. ricorso ‘<em>al buio’</em> e di poter valutare, a monte, la convenienza o l’opportunità dell’instaurazione del processo, con effetti deflattivi sul contenzioso giudiziario (Cons. Stato, Sez. V, 18 dicembre 1997, n. 1591; Cons. Stato, Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158); - l’accesso pieno ed integrale alla condizione reddituale, patrimoniale ed economico-finanziaria delle parti processuali – siano essi coniugi o conviventi di fatto, anche rispetto ai figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente indipendenti – è da considerare precondizione necessaria per l’uguale trattamento giuridico nell’ambito di tutti i procedimenti di famiglia; - nei procedimenti in materia di famiglia, connotati dall’attribuzione al giudice civile di ampi e specifici poteri istruttori esercitabili anche d’ufficio (v. sopra), le lacune istruttorie spesso si verificano a cagione del comportamento processuale di una parte a danno dell’altra, inottemperante o parzialmente ottemperante agli obblighi di deposito, il cui superamento postula l’utilizzo di tecniche di indagine molto invasive, soprattutto per la sfera giuridica dei terzi estranei (es. le indagini fiscali e tributarie), con notevole dispiegamento dell’energia della forza pubblica (ad es. Guardia di Finanza); inoltre, occorre considerare che tali indagini difficilmente sono autorizzate dal giudice civile in assenza di puntuali, specifici e ben motivati elementi conoscitivi (Cass. Civ., Sez. 1, 6 giugno 2013, n. 14336; id., Sez. 1, 20 settembre 2013, n. 21603; id., Sez. 6, 15 novembre 2016, n. 23263; id., Sez. 1, 4 aprile 2019, n. 9535); - con specifico riferimento alla documentazione finanziaria detenuta dall’Agenzia delle entrate, il divieto contenuto nella circolare del 10 ottobre 2017, relativo all’accesso alle «<em>risultanze derivanti dall’Archivio dei rapporti finanziari</em>», in assenza dell’autorizzazione del Tribunale, è privo di base legale; - la questione va risolta facendo applicazione dell’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, procedendo al bilanciamento degli interessi contrapposti sulla base degli artt. 59 e 60 d. lgs. n. 196/2003 e del d.m. 29 ottobre 1996, n. 603, il cui art. 5, per un verso, sottrae tali documenti all’accesso inteso come diritto alla copia, ma, corrispondentemente, garantisce «<em>la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta</em>». Secondo la tesi opposta – prosegue l’Adunanza – siccome propugnata dalla sentenza n. 3461/2017 della Quarta Sezione, la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria, di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, esclude invece l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai documenti medesimi secondo la disciplina di cui alla legge n. 241/1990. Tale tesi parte dalla considerazione (richiamando Ad. plen. 18 aprile 2006, n. 6) che il diritto di accesso è una situazione soggettiva che, più che fornire utilità finali, risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi), e ne trae i seguenti corollari: - il diritto di accesso si presenta come posizione strumentale riconosciuta ad un soggetto che sia già titolare di una diversa situazione giuridicamente tutelata (diritto soggettivo o interesse legittimo, e, nei casi ammessi, titolarità esponenziale di interessi collettivi o diffusi), e che abbia, in collegamento a quest’ultima, un interesse diretto, concreto ed attuale ad acquisire mediante accesso uno o più documenti amministrativi; - la posizione giuridica soggettiva preesistente, cui strumentalmente inerisce il diritto di accesso, non può essere individuata nel mero e autonomo ‘<em>diritto all’informazione’</em>, né nell’accesso civico a dati e documenti dell’Amministrazione; - il «<em>diritto</em>» di accesso si presenta privo di una sua sostanziale autonomia, essendo esso sempre ricollegato, appunto, a <em>status</em> e posizioni soggettive, alla cui affermazione e/o tutela strumentalmente si accompagna, di modo che proprio perché è esso stesso posizione strumentale non può essere configurato come diritto fondamentale e autonomo rispetto a qualsiasi altro tipo di azione; - il problema da sciogliere è quindi se, allorché l’ordinamento giuridico preveda particolari procedimenti e modalità di acquisizione di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, il diritto di accesso sia esercitabile (o meno) indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle norme processuali, ovvero anche in modo concorrente e complementare con queste ultime. Dati i presupposti in ragione dei quali l’acquisizione di documenti amministrativi al processo civile è disciplinata dal codice di rito, e considerato che il giudizio nel cui ambito una delle parti intende utilizzare documenti detenuti da Pubbliche Amministrazioni è un giudizio tra soggetti privati, al quale la Pubblica Amministrazione è totalmente estranea, l’orientamento all’esame perviene – rammenta il Collegio - all’affermazione dei seguenti principi: - la disciplina codicistica garantisce la necessaria tutela giurisdizionale anche in punto di acquisizione di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione; - proprio in quanto i documenti da utilizzare nel processo (e detenuti dalla Pubblica Amministrazione) riguardano una delle due parti private in giudizio, al diritto alla tutela giurisdizionale del soggetto, che intende avvalersi dei documenti amministrativi, occorre contrapporre l’altrettanto riconosciuto e tutelato diritto di difesa dell’altra parte; - infatti, le norme processualcivilistiche sottopongono alla valutazione del giudice la esibizione di documenti ordinata al terzo (artt. 211, 213, 492-bis cod. proc. civ.), in quanto l’acquisizione di prove documentali non può che avvenire se non nella sede tipica processuale e nel rispetto del principio del contraddittorio, e il giudice «<em>deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l’interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo</em>», se del caso ordinandone la citazione in giudizio (art. 211 cod. proc. civ.); - la possibilità di acquisire <em>extra iudicium</em> i documenti amministrativi, dei quali una delle parti intende avvalersi in giudizio, si tradurrebbe in una forma di singolare «<em>aggiramento</em>» delle norme che governano l’acquisizione delle prove e costituirebbe un <em>vulnus</em> al diritto di difesa dell’altra parte, la quale, lungi dal potersi difendere nella sede tipica prevista dall’ordinamento processuale, si troverebbe a dover esporre le proprie ragioni non già dinanzi ad un giudice, bensì dinanzi alla Pubblica Amministrazione, in qualità di soggetto controinteressato; - se l’accesso ai documenti amministrativi è riconosciuto in funzione di una «<em>situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso</em>» (art. 22, comma 1, lettera b), l. n. 241/1990), appare evidente come l’esigenza di tutela risulti già ampiamente assicurata attraverso i mezzi tipici previsti nel processo instaurato; - nei procedimenti familiari e, in genere, nelle cause tra privati, l’accesso ai documenti amministrativi non ha «<em>rilevante finalità di pubblico interesse</em>», né è volto a «<em>favorire la partecipazione</em>» del privato all’attività dell’Amministrazione, né ad «<em>assicurarne l’imparzialità e la trasparenza</em>» (art. 22, comma 2, l. n. 241/1990); - in siffatte fattispecie, l’accesso documentale, lungi dall’essere volto alla tutela (procedimentale e/o processuale) del privato nei confronti della Pubblica Amministrazione, tende ad alterare la parità processuale delle parti in un giudizio civile, garantita (anche) dalla previa valutazione del giudice; - le predette considerazioni, riferite a un giudizio tra privati (e, dunque, con riferimento a norme processualcivilistiche), non sono immediatamente applicabili al processo amministrativo, né, per converso, la possibilità di instaurare un giudizio avverso la Pubblica Amministrazione e, in parallelo, esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce elemento per contraddire tali conclusioni. Occorre premettere a questo punto per l’Adunanza che l’oggetto della prima questione si estende a tutti i documenti dell’anagrafe tributaria, contenenti sia i dati patrimoniali e fiscali sia i dati finanziari della sezione archivio rapporti finanziari, e, nel caso di specie (a differenza dalle altre due cause parallele, pure chiamate all’odierna udienza camerale), coincide interamente con i limiti oggettivi del <em>devolutum</em>. La questione, sulla quale non si registrano contrasti giurisprudenziali, deve essere risolta in senso affermativo, atteso il concetto ampio di «<em>documento amministrativo</em>» delineato negli artt. 22, comma 1, lettera d), l. n. 241/1990 e 1, comma 1, lettera a), d.P.R. n. 445/2000. Sul piano del diritto positivo, la Plenaria osserva quanto segue. L’art. 22, comma 1, lettera d), l. n. 241/1990 (che introduce il capo V della legge, rubricato «<em>Accesso ai documenti amministrativi</em>»), come sostituito dall’art. 15, comma 1, l. 11 febbraio 2005, n. 15, testualmente recita: «<em>Ai fini del presente capo si intende:</em> […] d) <em>per “</em>documento amministrativo<em>”, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale</em>» L’art. 1, lettera a), d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), come sostituito dall’articolo 1 d.P.R. 7 aprile 2003, n. 137 – nel quadro della disciplina generale della formazione, rilascio, tenuta e conservazione, gestione trasmissione di atti e documenti da parte di organi della pubblica amministrazione (art. 2) – statuisce: «<em>1. Ai fini del presente testo unico si intende per: a) DOCUMENTO AMMINISTRATIVO ogni rappresentazione, comunque formata, del contenuto di atti, anche interni, delle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa</em>. […]». L’art. 2, comma 2, d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 (Regolamento recante la disciplina di accesso ai documenti amministrativi), stabilisce che l’accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione. Dal descritto quadro normativo – conclude sul punto la Plenaria - si può trarre una considerazione decisiva ai fini della soluzione al primo quesito interpretativo posto dalla Sezione rimettente, e cioè che, sotto il profilo oggettivo, la nozione normativa di «<em>documento amministrativo</em>» suscettibile di formare oggetto di istanza di accesso documentale è ampia e può riguardare ogni documento detenuto dalla pubblica amministrazione o da un soggetto, anche privato, alla stessa equiparato ai fini della specifica normativa dell’accesso agli atti, e formato non solo da una pubblica amministrazione, ma anche da soggetti privati, purché lo stesso concerna un’attività di pubblico interesse o sia utilizzato o sia detenuto o risulti significativamente collegato con lo svolgimento dell’attività amministrativa, nel perseguimento di finalità di interesse generale. Nella causa scandagliata vengono in rilievo per il Collegio, in particolare, i documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, acquisiti e conservati nell’anagrafe tributaria gestita dall’Agenzia delle entrate. Segnatamente, si tratta dei documenti delle banche dati dell’anagrafe tributaria, le quali – per quanto qui interessa – includono la banca dati reddituale (che contiene tutte le dichiarazioni presentate dai contribuenti comprese eventuali dichiarazioni sostitutive e/o integrative), la banca dati imposte registro (che contiene la registrazione di atti scritti di qualsiasi natura produttivi di effetti giuridici) e l’archivio dei rapporti finanziari. Secondo l’art. 1, comma 1, d.P.R. n. 605/1973, l’anagrafe tributaria raccoglie e ordina su scala nazionale i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce presentate agli uffici dell’Amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti, nonché i dati e le notizie che possono comunque assumere rilevanza ai fini tributari. Il comma 2 stabilisce che i dati e le notizie raccolti sono comunicati agli organi dipendenti dal Ministro per le finanze preposti agli accertamenti ed ai controlli relativi all’applicazione dei tributi, e, in particolare, ai fini della valutazione della complessiva capacità contributiva e degli adempimenti conseguenziali di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento, all’ufficio distrettuale delle imposte nella cui circoscrizione il soggetto ha il domicilio fiscale. Con riferimento all’archivio dei rapporti finanziari, prosegue il Collegio, alla luce di quanto disposto dall’art. 6, comma 7, d.P.R. n. 605/1973 e ss. mm. ii. deve ritenersi che le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti acquisiti dall’amministrazione finanziaria e i relativi dati inseriti e conservati nell’anagrafe tributaria – secondo la sopra richiamata disciplina in punto di forma, contenuti, modalità di trasmissione e di archiviazione – rientrano, senza particolari dubbi esegetici, nella sopra riportata ampia nozione di documenti amministrativi, rilevante ai fini dell’accesso documentale ai sensi degli artt. 22 ss. l. n. 241/1990, in quanto preordinati all’esercizio, a norma dell’art. 1, comma 2, d.P.R. n. 605/1973, delle ivi enunciate funzioni istituzionali dell’amministrazione finanziaria, ancorché non formati da quest’ultima. Il conseguente corollario è che, a norma dell’art. 22, comma 3, l. n. 241/1990, secondo cui «[t]<em>utti i documenti amministrativi sono accessibili</em> […]», la qualificazione dei documenti in questione come «<em>documenti amministrativi</em>» comporta per l’Adunanza Plenaria la loro piena accessibilità, proprio in ragione di tale loro qualità oggettiva, salve le eccezioni di cui all’art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6, nonché – con specifico riferimento all’accesso necessario per curare e difendere i propri interessi giuridici – nel rispetto dei limiti e delle condizioni previste al comma 7 del citato art. 24. La seconda e centrale questione della controversia – chiosa a questo punto il Collegio - attiene ai rapporti tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo ex art. 24, comma 7, l. n. 241/1990 e lo strumento processuale delineato dall’art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. (inserito dal d.l. n. 132/2014 convertito dalla legge n. 162/2014, e modificato dall’art. 5, comma 1, d.-l. n. 59/2016 convertito dalla legge n. 119/2016), con il quale sono stati ampliati i poteri istruttori del giudice ordinario ai fini della ricostruzione della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria (la norma parla di «<em>ricostruzione dell’attivo e del passivo</em>») delle parti processuali nei procedimenti in materia di famiglia, attraverso il ricorso allo strumento di cui all’art. 492-bis cod. proc. civ. (inserito dal d.-l. n. 132/2014 convertito nella legge n. 162/2014), costituito dall’accesso, con modalità telematiche, «<em>ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari</em>» (v. così, testualmente, il comma 2 dell’art. 492-bis cod. proc. civ.). La questione si inquadra nella più generale problematica costituita dai rapporti tra l’accesso documentale ex artt. 22 ss. l. n. 241/1990 e gli strumenti di acquisizione dei documenti amministrativi nel processo civile, sia secondo le disciplina generale ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia secondo la richiamata disciplina particolare introdotta nel settore dei procedimenti in materia di famiglia. Al riguardo, per il Collegio occorre procedere, sul piano logico-giuridico: in primo luogo, all’inquadramento generale dell’istituto dell’accesso amministrativo; in secondo luogo, a verificare se sia possibile individuare, all’interno della fattispecie giuridica ‘<em>generale’</em> dell’accesso amministrativo, due ipotesi ‘<em>particolari’</em> di accesso agli atti, rispondenti a <em>rationes legis</em> diverse e basate su elementi, requisiti e condizioni di esercizio differenziato; in ultimo, a confrontare la fattispecie amministrativistica dell’accesso agli atti con quella processualcivilistica dell’acquisizione probatoria dei mezzi istruttori, al fine di stabilire, attraverso le assonanze e le dissonanze, quale sia il rapporto giuridico esistente tra le stesse, se cioè i due strumenti giuridici si escludano a vicenda, ovvero possano operare in modo concorrente o complementare o anche alternativo tra di loro. Con riguardo al primo profilo, e cioè l’inquadramento generale dell’istituto dell’accesso amministrativo, l’art. 22, comma 2, l. n. 241/1990 contiene per l’Adunanza una definizione positiva della natura, dell’oggetto e della funzione dell’istituto: «<em>L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza</em>». Più in particolare, con riguardo alla natura giuridica è chiarito che l’accesso è il principio regolatore dell’attività amministrativa; quanto all’oggetto, che l’accesso soddisfa finalità di pubblico interesse; in relazione alla funzione, che l’accesso favorisce la partecipazione e assicura l’imparzialità e la trasparenza. La funzione in parola (e cioè l’essere, l’accesso, strumento di partecipazione, di imparzialità e di trasparenza) trova una più compiuta definizione contenutistica nel successivo comma 3, il quale stabilisce il principio della generale accessibilità agli atti, «<em>ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6</em>». Nel relativo, ultimo comma invece, l’art. 24 cit. enuclea un’autonoma funzione dell’accesso, diversa da quella per l’innanzi disciplinata, e la costruisce tecnicamente come una ‘<em>eccezione’</em> rispetto all’elenco delle esclusioni dal diritto di accesso che danno la rubrica all’articolo in parola. Il comma 7 è netto nello stabilire che «[d]<em>eve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale</em>». L’utilizzo dell’avverbio «<em>comunque</em>» denota la volontà del legislatore di non ‘<em>appiattire’</em> l’istituto dell’accesso amministrativo sulla sola prospettiva della partecipazione, dell’imparzialità e della trasparenza, e corrobora la tesi che esistano, all’interno della fattispecie giuridica generale dell’accesso, due anime che vi convivono, dando luogo a due fattispecie particolari, di cui una (e cioè quella relativa all’accesso cd. difensivo) può addirittura operare quale eccezione al catalogo di esclusioni previste per l’altra (e cioè, l’accesso partecipativo), salvi gli opportuni temperamenti in sede di bilanciamento in concreto dei contrapposti interessi (v. Cons. Stato, Sez. VI, ord. 7 febbraio 2014, n. 600). In conclusione, dunque, sono due per il Collegio le logiche all’interno delle quali opera l’istituto dell’accesso: la logica partecipativa e della trasparenza e quella difensiva. Ad entrambe è preposto l’esercizio del potere amministrativo, secondo regole procedimentali nettamente differenziate. La logica partecipativa è imperniata sul principio generale della massima trasparenza possibile, con il solo limite rappresentato dalle esclusioni elencate nei commi 1, 2, 3, 5 e 6 dell’art. 24 della medesima legge n. 241. La logica difensiva è costruita intorno al principio dell’accessibilità dei documenti amministrativi per esigenze di tutela e si traduce in un onere aggravato sul piano probatorio, nel senso che grava sulla parte interessata l’onere di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario (o, addirittura, strettamente indispensabile se concerne dati sensibili o giudiziari) per la cura o la difesa dei propri interessi. La tecnica legislativa utilizzata nel comma 7, rispetto ai precedenti commi del medesimo art. 24, avvalora la tesi che questo aggravamento probatorio in tanto si giustifica, proprio in quanto si fuoriesce dalla stretta logica partecipativa e di trasparenza, per entrare in quella, diversa, difensiva. Con riguardo a questo aspetto, che concerne – come sopra anticipato – il secondo profilo sul quale occorre soffermarsi, vanno fatte per la Plenaria alcune (ulteriori) considerazioni. In primo luogo, l’accesso difensivo è costruito come una fattispecie ostensiva autonoma, caratterizzata (dal lato attivo) da una <em>vis espansiva</em> capace di superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi; e connotata (sul piano degli oneri) da una stringente limitazione, ossia quella di dovere dimostrare la ‘<em>necessità’</em> della conoscenza dell’atto o la relativa ‘<em>stretta indispensabilità’</em>, nei casi in cui l’accesso riguarda dati sensibili o giudiziari. In secondo luogo, la conoscenza dell’atto non è destinata a consentire al privato di partecipare all’esercizio del pubblico potere in senso ‘<em>civilmente’</em> più responsabile, ossia per contribuire a rendere l’esercizio del potere condiviso, trasparente e imparziale, ma rappresenta il tramite per la cura e la difesa dei propri interessi giuridici. La mancata specificazione dell’ambito entro il quale tali interessi vanno curati è, inoltre, indicativa del fatto che il legislatore ha voluto appositamente trascendere la dimensione partecipativa procedimentale e la stessa logica della trasparenza della funzione amministrativa, e costruire l’accesso agli atti, piuttosto, come una pretesa ostensiva, finalizzata anche – eventualmente – alla difesa in giudizio, ed a propria volta autonomamente tutelata con una specifica azione avverso il diniego o il silenzio della pubblica amministrazione (si tratta dell’azione prevista dall’art. 116 cod. proc. amm.). Senza addentrarsi nella questione dogmatica della natura della situazione giuridica soggettiva dell’accesso documentale, e se cioè si tratti di diritto soggettivo o di interesse legittimo, è sufficiente in questa sede ricordare – chiosa ancora l’Adunanza Plenaria - il fondamentale approdo al quale essa è pervenuta nella sentenza n. 6 del 18 aprile 2006, che ha costruito l’istituto come situazione soggettiva strumentale per la tutela di situazioni sostanziali, a prescindere dalla qualificazione della situazione finale in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo. Appare sufficiente rifarsi, sotto questo profilo, alla puntuale disciplina positiva sopra riportata: l’art. 24, comma 7, legge n. 241 garantisce «<em>l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici</em>»; l’art. 22, comma 1, lettera d), della medesima legge, con formula replicata anche dall’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 184/2006, definisce l’ambito soggettivo dei legittimati all’accesso documentale, individuandoli in «<em>tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi</em>», nonché l’interesse legittimante all’accesso, indicandolo in «<em>un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso</em>». Il rovesciamento dell’impostazione classica è per l’Adunanza Plenaria immediatamente percepibile ed irreversibile. Da un lato, sul piano della logica ‘<em>partecipativa’</em>, il legislatore supera l’idea dell’interesse privato ‘<em>occasionalmente protetto’</em> in dipendenza dell’esercizio del potere, tracciando la strada, viceversa, per una tutela <em>‘occasionalmente protetta’</em> della legittimità amministrativa, divenendo – la conoscenza e la partecipazione del privato – momento fondante la trasparenza e l’imparzialità dell’amministrazione (v. l’art. 22, comma 2, della legge n. 241 cit.). Dall’altro lato, sul piano della logica <em>‘difensiva’</em>, il legislatore inserisce all’interno di una norma di natura sostanziale uno strumento di valenza tipicamente processuale, fornendo <em>‘azione’</em> alla <em>‘pretesa’</em>, anche in senso derogatorio in concreto (v. Cons. Stato, ord. n. 600/2014, cit.) rispetto ai classici casi di esclusione procedimentale («<em>Deve comunque essere garantito</em> […]»). Ciò, naturalmente, come già illustrato, entro gli stringenti limiti in cui la parte interessata all’ostensione dimostri la necessità (o la stretta indispensabilità per i dati sensibili e giudiziari), la corrispondenza e il collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza. La necessità (o la stretta indispensabilità) della conoscenza del documento determina il nesso di strumentalità tra il diritto all’accesso e la situazione giuridica <em>‘finale’</em>, nel senso che l’ostensione del documento amministrativo deve essere valutata, sulla base di un giudizio prognostico <em>ex ante</em>, come il tramite – in questo senso strumentale – per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti (principali e secondari) integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica <em>‘finale’</em> controversa e delle correlative pretese astrattamente azionabili in giudizio. La delibazione – precisa il Collegio - è condotta sull’astratta pertinenza della documentazione rispetto all’oggetto della <em>res controversa</em>. La corrispondenza e il collegamento fondano, invece, l’interesse legittimante, che scaturisce dalla sussistenza, concreta e attuale, di una crisi di cooperazione, quanto meno da pretesa contestata (in ipotesi suscettibile di sfociare in un’azione di accertamento), che renda la situazione soggettiva ‘<em>finale’</em>, direttamente riferibile al richiedente, concretamente e obiettivamente incerta e controversa tra le parti, non essendo sufficiente un’incertezza meramente ipotetica e subiettiva. Ai fini del riconoscimento della situazione legittimante, non è positivamente richiesto il requisito dell’attuale pendenza di un processo in sede giurisdizionale. In altri termini, muovendo dall’assenza di una previsione normativa che ciò stabilisca, è possibile trarre il convincimento che la pendenza di una lite (dinanzi al giudice civile o ad altro giudice) può costituire, tra gli altri, un elemento utile per valutare la concretezza e l’attualità dell’interesse legittimante all’istanza di accesso, ma non ne rappresenta la precondizione tipica. Più in particolare, precisa il Collegio, dalle previsioni normative sopra illustrate emerge una disciplina dell’accesso difensivo nel senso di: <ol> <li>a) esigere la sussistenza del solo nesso di necessaria strumentalità tra l’accesso e la cura o la difesa in giudizio dei propri interessi giuridici (v. art. 24, comma 7, legge n. 241/1990 e s.m.i.);</li> <li>b) ricomprendere, tra i destinatari, tutti i soggetti privati, ivi compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, senza alcuna ulteriore esclusione (art. 22, comma 1, lettera d), con formula replicata dall’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 184/2006);</li> <li>c) circoscrivere le qualità dell’interesse legittimante a quelle ipotesi che – sole – garantiscono la piena corrispondenza tra la situazione (sostanziale) giuridicamente tutelata ed i fatti (principali e secondari) di cui la stessa fattispecie si compone, atteso il necessario raffronto che l’interprete deve operare, in termini di pratica sussunzione, tra la fattispecie concreta di cui la parte domanda la tutela in giudizio e l’astratto paradigma legale che ne costituisce la base legale.</li> </ol> Siffatto giudizio di sussunzione, che costituisce la base fondante dell’accesso difensivo, è regolato in ogni relativo aspetto dalla legge (e dal rispettivo regolamento di attuazione), mostrandosi privo di tratti ‘<em>liberi’</em> lasciati alla interpretazione discrezionale dell’autorità amministrativa, ovvero alla prudente interpretazione del giudice. Più in particolare, la legge ha proceduto a selezionare, tra i canoni ermeneutici in astratto possibili, quelli della immediatezza, della concretezza e dell’attualità (art. 22, comma 1, lettera d), legge n. 241 cit.), in modo tale da ancorare il giudizio sull’interesse legittimante a due parametri fissi, rigidi e predeterminati quanto al loro contenuto obiettivo. La <em>‘corrispondenza’</em> circoscrive esattamente l’interesse all’accesso agli atti in senso «<em>corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata</em>». In tal modo – ritornando allo specifico settore dei procedimenti in materia di famiglia – l’accesso di un privato agli atti reddituali, patrimoniali e <em>lato sensu</em> finanziari di un altro soggetto privato sarà strettamente ancorato e non fuoriuscirà dalla necessità della difesa in giudizio di situazioni riconosciute dall’ordinamento come meritevoli di tutela. Il legislatore medesimo, infatti, si è preoccupato di disciplinare il fenomeno giuridico della ‘<em>famiglia’</em> in senso omnicomprensivo, e cioè tale da ricomprendere il momento della relativa formazione, quello del relativo svolgimento e quello, eventuale, della crisi e del pertinente scioglimento. Si tratta, all’evidenza, di situazioni giuridiche soggettive predeterminate e costruite secondo il modello dell’astratto paradigma legale, sotto il quale vengono sussunte le singole fattispecie concrete. Al realizzarsi di una di queste fattispecie predeterminate, che giuridicamente corrispondono a necessità e bisogni sociali particolarmente avvertiti dalla comunità (quali, ad esempio, l’equità nella gestione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi o i conviventi e rispetto ai figli), l’unico interesse legittimante all’accesso difensivo sarà quello che corrisponderà in modo diretto, concreto ed attuale alla cura in giudizio di tali predeterminate fattispecie, in chiave strettamente difensiva. Tale ultimo aspetto, più in particolare, è chiarito dal secondo dei parametri al quale si è fatto cenno, e cioè quello riguardante il cd. <em>‘collegamento’</em>. Il legislatore ha ulteriormente circoscritto l’oggetto della situazione legittimante l’accesso, esigendo che la stessa, oltre a corrispondere – come finora è stato detto – al contenuto dell’astratto paradigma legale, sia anche «<em>collegata al documento al quale è chiesto l’accesso</em>», in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l’ostensione, e per l’ottenimento del quale l’accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite. Questa esigenza è soddisfatta, sul piano procedimentale, dal successivo art. 25, comma 2, l. n. 241/1990, ai sensi del quale «[l]<em>a richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata</em>». La volontà del legislatore è di esigere che le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione (ad es. scambi di corrispondenza; diffide stragiudiziali; in caso di causa già pendente, indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti oggetto di prova; ecc.), onde permettere all’Amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta <em>sub specie</em> di astratta pertinenza con la situazione ‘<em>finale’</em> controversa. In questa prospettiva, pertanto, va escluso per il Collegio che possa ritenersi sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando. Passando ad esaminare il terzo dei profili cui è stato fatto cenno, e cioè i rapporti tra l’accesso difensivo e i metodi di acquisizione probatoria previsti dalle menzionate disposizioni del codice di procedura civile, per l’Adunanza Plenaria depongono nel senso della complementarietà tra i due istituti, anziché nel senso della loro reciproca esclusione, le seguenti considerazioni. In primo luogo, da un punto di vista sistematico, va rilevato che nei due sistemi processuali, e cioè quello processualcivilistico e quello amministrativistico, la situazione legittimante all’accesso è autonoma e distinta da quella legittimante l’impugnativa giudiziale (in particolare, dall’azione di annullamento nel processo amministrativo) e dal relativo esito, con la conseguenza che il diritto di accesso difensivo non è riducibile a un mero potere processuale (v. Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2018, n. 3956). Ciò vale anche rispetto al giudizio civile, in cui – parimenti – l’azione volta a far valere la pretesa sostanziale è autonoma rispetto a quella volta a reperire la documentazione utile a sostenere le allegazioni difensive (in generale nel processo, ma in quello civile in particolare modo, vige il principio dispositivo, sicché è onere della parte provare i fatti che assume e dovere del giudice quello di decidere la controversia secundum alligata et probata). Ne discende per il Collegio che – come sottolineato anche nella giurisprudenza civile – il diritto di accesso cd. difensivo ex l. n. 241/1990 è strumentale alla difesa di una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento ed è azionabile dinanzi al giudice amministrativo, a prescindere dalla circostanza che la situazione giuridica finale si configuri come diritto soggettivo o interesse legittimo, e che quindi rientri nell’ambito di giurisdizione del giudice amministrativo e di quello ordinario (v. Sez. Un. Civ., 14 aprile 2011, n. 8487; id., 28 maggio 1998, n. 5292). Va in secondo luogo considerato per l’Adunanza che, proprio per la rilevata autonomia della situazione legittimante, l’accesso difensivo non presuppone necessariamente l’instaurazione o la pendenza in concreto di un giudizio. La disposizione di cui al comma 7 dell’art. 24 cit., nel contemplare la necessità sia di «<em>curare</em>», sia di «<em>difendere</em>» un interesse giuridicamente rilevante, lascia intendere la priorità logica della conoscenza degli elementi che occorrono per decidere se instaurare un giudizio e come costruire a tal fine una strategia difensiva; con la conseguenza che l’accesso documentale difensivo non necessariamente deve sfociare in un esito contenzioso in senso stretto. Ma sia che la controversia tra le parti si componga in una fase anteriore al giudizio (per esempio attraverso l’istituto della mediazione obbligatoria di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, e ss. mm. ii. o attraverso altro strumento alternativo di soluzione delle controversie), sia che il conflitto sfoci nella instaurazione del giudizio, appare evidente l’esigenza delle parti di acquisire già in sede stragiudiziale e nella fase preprocessuale la conoscenza dei fatti rilevanti ai fini della composizione della <em>res controversa</em>; mentre, nel caso di mancata composizione del conflitto, i documenti amministrativi acquisiti con lo strumento dell’accesso difensivo potranno trovare ingresso nel processo attraverso la loro produzione in giudizio ad opera della parte. Premesso che il diritto di accesso ai documenti amministrativi spetta a chiunque vi abbia un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, e che situazioni siffatte ricorrono, per espressa previsione di legge, nell’ipotesi in cui la conoscenza dei documenti sia necessaria ai singoli «<em>per curare o per difendere i loro interessi</em>», la distinzione fra «<em>conoscenza del documento</em>» e «<em>difesa degli interessi del privato</em>», in una col divisato nesso di strumentalità fra l’una e l’altra, rende palese che la pendenza di un procedimento giurisdizionale nel quale siano in discussione questi ultimi non solo non è di per sé preclusivo della sperimentabilità, presso il giudice amministrativo, del procedimento speciale approntato dal legislatore del 1990 allorché sia in contestazione il diritto alla prima, ma, anzi, si configura come un fattore di concretezza e di attualità dell’interesse ad agire nelle forme proprie del detto procedimento (v. Sez. Un. Civ., n. 5292/1998, cit.). Emerge a questo punto la differenza tra l’accesso agli atti e gli strumenti di acquisizione probatoria previsti dal codice di rito civile. L’accesso difensivo ha una duplice natura giuridica, sostanziale e processuale. La natura sostanziale dipende dall’essere, l’accesso, una situazione strumentale per la tutela di una situazione giuridica finale (Adunanza plenaria n. 6/2006); la natura processuale consiste nel fatto che il legislatore ha voluto fornire di ‘<em>azione’</em> la ‘<em>pretesa’</em> di conoscenza, rendendo effettivo e, a propria volta, giuridicamente tutelabile e giustiziabile l’eventuale illegittimo diniego o silenzio (v. l’art. 116 cod. proc. amm.). Viceversa, gli strumenti di acquisizione probatoria, sia quelli generali di cui agli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia quelli particolari di cui agli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ., si muovono esclusivamente sul piano e all’interno del processo; sono assoggettati alla prudente valutazione del giudice; eventuali rigetti non sono autonomamente impugnabili o ricorribili, potendo gli eventuali vizi dell’istruttoria rilevare come motivi di impugnazione della sentenza. Di conseguenza, il naturale corollario è che l’eventuale rigetto dell’istanza di esibizione di un documento della Pubblica Amministrazione, proposta ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ., non si pone in contrasto, né elude la <em>ratio legis</em> contenuta negli artt. 22 e ss. l. n. 241/1990, poiché le due disposizioni operano su un piano diverso, avendo la legge n. 241/1990 assunto l’interesse del privato all’accesso ai documenti come interesse sostanziale, mentre l’acquisizione documentale ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. costituisce esercizio di un potere processuale e l’acquisizione del documento resta pur sempre subordinata alla valutazione della rilevanza dello stesso, ai fini della decisione, da parte del giudice al quale spetta di pronunciarsi sulla richiesta istruttoria ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. (v. Cass. Civ., Sez. 1, 9 agosto 1996, n. 7318). Occorre in altri termini tenere distinti, per il Collegio, da un lato, la pretesa all’ostensione del documento nei confronti della pubblica amministrazione, intesa quale protezione accordata all’interesse sostanziale alla conoscenza e, dall’altro lato, il diritto alla prova, inteso come protezione dell’interesse processuale della parte alla rappresentazione in giudizio, attraverso un determinato documento, dei fatti costitutivi della domanda, subordinato alla duplice valutazione giudiziale della concludenza e della rilevanza dello specifico mezzo di prova (v. Cons. Stato, Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158). Vanno poi svolte – precisa ancora l’Adunanza - alcune considerazioni di ordine ‘<em>storico’</em> legate alla <em>ratio legis</em> sottesa alle previsioni in esame. La legge generale sul procedimento amministrativo, attraverso l’accesso agli atti amministrativi, e segnatamente quello difensivo, ha notevolmente contribuito ad arricchire, conducendolo ad uno stadio giuridicamente più avanzato, il ‘<em>paniere’</em> di strumenti processuali di ricerca e di documentazione della prova contenuti nel codice di rito civile, secondo il meccanismo, già sperimentato dal legislatore, del sistema a cc.dd. tutele crescenti. Depongono in tal senso: <ol> <li>a) la recente introduzione, nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia di cui all’art. 492-bis cod. proc. civ., degli strumenti di ricerca e di documentazione della prova previsti dall’art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ., assecondando la naturale evoluzione tecnologica nella direzione dell’utilizzo delle banche dati telematiche;</li> <li>b) la constatazione che tale previsione ha costituito un’occasione di ampliamento e di arricchimento degli strumenti processuali già previsti dal codice di rito (artt. 210, 211, 213 cod. proc. civ.), e non già, all’opposto, una causa di esclusione o di riduzione di questi ultimi;</li> <li>c) la mancanza di una norma espressa, nella legge generale sul procedimento, che consenta una lettura riduttiva degli artt. 22 e 24, o comunque limitativa dell’art. 24 ai soli casi in cui non trovino applicazione le norme contenute nel codice di rito civile e nelle relative disposizioni di attuazione;</li> <li>d) la <em>ratio legis</em>sottesa alle singole previsioni normative, in una lettura armonica – seppure diacronica – delle stesse, tenuto conto dei diversi momenti della loro introduzione all’interno dell’ordinamento.</li> </ol> Più in particolare, l’ordinamento, malgrado l’ampio divario temporale che è intercorso tra le previsioni codicistiche di rito del 1942 e la vigente legge generale sul procedimento amministrativo del 1990, giunta ai nostri giorni non priva di decisive modifiche anche in tema di accesso agli atti (si vedano le leggi del 2005 e del 2009), ha mostrato di seguire una linea di continuità, piuttosto che di discontinuità, nella tutela delle situazioni giuridiche, arricchendo sia il novero delle situazioni tutelabili, sia il ventaglio degli strumenti pratici. In altre parole, lo spirito che ha animato l’ordinamento in tutto questo ampio lasso di tempo è stato quello di far progredire gli istituti di garanzia, trasformandoli (è stato il caso, sopra menzionato, dell’accesso telematico alle banche dati, assecondando la naturale evoluzione tecnologica) o prevedendone di nuovi (è il caso dell’accesso agli atti, di cui si sta discutendo). Dall’entrata in vigore del codice civile di rito, le previsioni generali contenute negli articoli 210, 211 e 213 cod. proc. civ. sono apparse come un potente strumento processuale della parte, malgrado la discrezionalità (<em>rectius</em>, il prudente apprezzamento) del giudice nell’esercizio dei poteri di acquisizione probatoria, in quanto l’unico all’epoca possibile. Costruire, oggi, l’accesso agli atti amministrativi come uno strumento non tanto alternativo, quanto addirittura recessivo rispetto agli strumenti processuali civilistici di acquisizione probatoria, è – dunque – operazione giuridicamente non convincente sul piano dell’evoluzione storica delle tutele e sotto diversi profili, perché: - l’art. 24, comma 7 cit. assicura «<em>comunque</em>» l’accesso se necessario per la tutela delle proprie situazioni giuridiche, senza limitare tale presidio di garanzia ai casi di liti tra il privato e la pubblica amministrazione o tra i privati nei casi in cui si fa questione dell’illegittimo esercizio del potere; agli effetti della legge, è sufficiente che ricorrano le richiamate testuali ed espresse condizioni: necessità (o stretta indispensabilità per i dati sensibili o giudiziari), corrispondenza e collegamento, nei sensi dianzi esposti; - non esistono criteri oggettivi da cui inferire un rapporto di specialità specializzante tra le due discipline, le quali rispondono – piuttosto – a logiche concorrenti e cumulative tra i rimedi; - le previsioni processuali codicistiche menzionate vengono ‘<em>piegate’</em>, contro la loro stessa iniziale logica, in modo strumentale per sostenere l’attuale limitazione dei rimedi giudiziali, anziché – come storicamente ha significato – il riconoscimento di importanti poteri processuali collegati alla situazione sostanziale. Qualora l’interprete si soffermasse sulla vera essenza di quelle previsioni, nate in un contesto ove la protezione delle situazioni giuridiche (soprattutto di interesse legittimo e prima che l’ordinamento venisse influenzato dal diritto comune europeo) si trovava ad uno stadio non certo evoluto come quello attuale, non mancherebbe di ritrovare nell’attuale disciplina dell’accesso difensivo il passo più maturo dell’iniziale percorso. In terzo luogo, chiosa ancora l’Adunanza, rilevano considerazioni legate alla natura giuridica dei metodi di acquisizione probatoria previsti dal codice di rito e dalle relative norme di attuazione. Gli strumenti processuali dell’esibizione istruttoria documentale di cui agli artt. 210 (Ordine di esibizione alla parte o al terzo), 211 (Tutela dei diritti del terzo) e 213 (Richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione) cod. proc. civ. costituiscono solo uno dei metodi di acquisizione delle prove documentali al processo civile, accanto a quello (principale, nella prassi) della produzione del documento ad opera della parte che già ne sia in possesso, attraverso l’inserimento nel proprio fascicolo ed il relativo deposito in cancelleria o direttamente all’udienza (art. 87 disp. att. cod. proc. civ.) nel rispetto dei termini di preclusione stabiliti nei vari riti processuali. Nel nostro ordinamento, la produzione in giudizio di documenti nel processo civile di primo grado ad opera delle parti è sottratta al giudizio di rilevanza (di cui all’art. 183, comma 7, cod. proc. civ.) e non è, pertanto, soggetta ad alcuna selezione preventiva, sicché risulta, al riguardo, adottato un sistema di <em>overinclusive</em>, per cui possono entrare nel processo anche delle prove documentali irrilevanti: ciò, in base all’idea che il criterio di rilevanza serve solo ad evitare attività processuali inutili e quindi non sussiste ragione alcuna di applicarlo quando, trattandosi di prove precostituite (come, appunto, le prove documentali liberamente prodotte dalle parti), la loro acquisizione non implica attività processuali di sorta, con la conseguenza che le parti possono produrre tutti i documenti che ritengono utili alla loro difesa, venendo la rilevanza dei documenti prodotti (<em>rectius</em>: dai fatti da essi rappresentati) valutata dall’organo giudicante tendenzialmente soltanto in sede di sentenza. Va, al riguardo, rimarcato sin d’ora – precisa il Collegio - che l’acquisizione al di fuori del giudizio dei documenti dei quali la parte intende avvalersi in un giudizio civile (sia futuro sia già pendente), sulla base di norme di diritto sostanziale che ne consentano l’acquisizione (come, appunto, per i documenti amministrativi, la disciplina dell’accesso documentale difensivo) è un’attività di ricerca della prova del tutto fisiologica, non solo consentita dall’ordinamento, ma oggetto di un preciso onere a carico della parte a ciò legittimata. Gli ordini di esibizione istruttoria di cui agli artt. 210 e 211 cod. proc. civ., rivolti dal giudice su istanza di parte nei confronti della controparte o di un terzo, implicano invece lo svolgimento di un’attività processuale che può essere anche dispendiosa e complessa (si pensi, ad es., al <em>surplus</em> di attività processuale che deve essere svolta in caso di opposizione fatta dal terzo ai sensi dell’art. 211 cod. proc. civ.), sicché il legislatore ha previsto il requisito della necessarietà, da interpretare in termini di rilevanza del mezzo di prova ai fini della decisione, proprio per evitare che il meccanismo istruttorio venga messo in moto inutilmente. Nel presente contesto decisionale assume particolare rilievo il secondo requisito di ammissibilità prevista dalla disciplina degli ordini di esibizione istruttoria di cui agli artt. 210 e 211 cod. proc. civ. attraverso il richiamo ai «<em>limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell’art. 118 l’ispezione di cose in possesso di una parte o di un terzo</em>», ossia il requisito della indispensabilità del mezzo di prova per la conoscenza dei fatti della causa (v. art. 118, comma 1, cod. proc. civ.). Tale requisito è sempre stato interpretato, dalla prevalente dottrina e dalla costante giurisprudenza, nel senso che gli ordini di esibizione devono assumere carattere residuale di <em>extrema ratio</em>, e che quindi gli stessi possono essere adottati solo qualora la parte non sia in condizione di acquisire il documento attraverso altri strumenti offerti dall’ordinamento (ai quali va quindi ricondotto anche lo strumento dell’accesso ai documenti amministrativi ex art. 22 ss. l. n. 241/1990, qualora la <em>res exhibenda</em> sia costituita da un documento amministrativo). Pure al mezzo istruttorio d’ufficio disciplinato dall’art. 213 cod. proc. amm. – secondo cui, «[f]<em>uori dai casi previsti negli articoli 210 e 211, il giudice può richiedere d’ufficio alla pubblica amministrazione le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell’amministrazione stessa, che è necessario acquisire al processo</em>» – viene, dalla prevalente dottrina e dalla costante giurisprudenza, attribuito carattere di residualità, potendo esso essere disposto soltanto fuori dai casi previsti dagli artt. 210 e 211 cod. proc. civ., i quali, a loro volta, possono essere disposti solo qualora assistiti dal requisito dell’indispensabilità nel senso sopra esposto. Le considerazioni sopra svolte trovano riscontro nella consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione (assurgente a vero e proprio diritto vivente, in quanto proveniente dell’organo titolare del potere nomofilattico in materia), secondo la quale, pur a fronte della varietà dei casi concreti, resta fermo il principio in forza del quale i poteri istruttori del giudice disciplinati agli articoli 210, 211 e 213 cod. proc. civ. hanno carattere residuale, non possono essere esercitati per acquisire atti o documenti della pubblica amministrazione che la parte è in condizioni di produrre, (v. Cass. Civ., Sez. 3, 12 marzo 2013, n. 6101; v. Cass. Civ., Sez. 2, 11 giugno 2013, n. 14656); non possono comunque risolversi nell’esenzione della parte dall’onere probatorio a relativo carico, con la conseguenza che tale potere può essere attivato soltanto quando, in relazione a fatti specifici già allegati, sia necessario acquisire informazioni relative ad atti o documenti della pubblica amministrazione che la parte sia impossibilitata a fornire e dei quali solo l’amministrazione sia in possesso proprio in relazione all’attività da essa svolta (v. Cass. Civ., Sez. lav., 13 marzo 2009, n. 6218); Cass. Civ., Sez. 1, 10 gennaio 2005, n. 287; Cass. civ., Sez. lav., 8 agosto 2006, n. 17948). Alla luce del richiamato quadro normativo processualcivilistico, al potere istruttorio di adottare ordini di esibizione ex artt. 210, 211 cod. proc. civ. oppure di formulare richieste di informazioni alla pubblica amministrazione ex art. 213 cod. proc. civ., deve quindi attribuirsi natura sussidiaria e residuale rispetto alla possibilità, pratica o giuridica, che la parte abbia di procurarsi da sé, fuori dal processo (quindi anche attraverso lo strumento dell’accesso documentale difensivo ex art. 24, comma 7, l. n. 241/1990), le prove precostituite idonee a dimostrare i fatti da essa allegati, né i menzionati poteri processuali possono essere esercitati per supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante. Ne deriva che la disciplina degli strumenti processualcivilistici di esibizione istruttoria ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., quale interpretata e applicata da costante e consolidata giurisprudenza di legittimità, lungi dal costituire un limite all’esperibilità dell’accesso documentale difensivo ex l. n. 241/1990 prima o in pendenza del giudizio sulla situazione giuridica ‘<em>finale’</em>, tutt’al contrario sembra presupporre (e in qualche modo imporre) il relativo previo esperimento, essendo tali mezzi di prova configurati come strumenti istruttori tendenzialmente residuali rispetto alle forme di acquisizione dei documenti da parte dei privati sulla base di correlative discipline di natura sostanziale anche in funzione della loro produzione in giudizio. L’esclusione dell’ammissibilità dell’accesso documentale difensivo, in via generale ed astratta, con richiamo alla disciplina processualcivilistica dell’esibizione istruttoria – la quale, seguendo la tesi ‘<em>restrittiva’</em>, dovrebbe ritenersi in ogni caso prevalente e assorbente –, è operazione ermeneutica che finirebbe per incidere in modo pregiudizievole sull’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale e sul diritto alla prova intesi in senso lato, implicanti la facoltà della parte di usare tutti gli strumenti offerti dall’ordinamento, e tra questi l’accesso documentale, per influire sull’accertamento del fatto sia in sede stragiudiziale e nella fase preprocessuale, sia poi eventualmente in sede processuale, a ‘<em>cura’</em> e ‘<em>difesa’</em> della situazione giuridica soggettiva ‘<em>finale’</em> asseritamente lesa. A ciò si aggiunga che gli ordini di esibizione di documenti e le richieste di informazioni ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. amm. non sono suscettibili di esecuzione coattiva in forma specifica, né per iniziativa del giudice, non esistendo nel codice di procedura civile disposizioni analoghe a quelle del codice di procedura penale circa il potere di ricercare documenti o cose pertinenti al reato, né ad iniziativa della parte interessata, non costituendo le relative ordinanze titoli esecutivi, e non possono quindi essere attuati con gli strumenti previsti agli artt. 605 ss. cod. proc. civ..; il rifiuto dell’esibizione può, pertanto, costituire esclusivamente un comportamento dal quale il giudice può desumere argomenti di prova ex art. 116, secondo comma, cod. proc. civ., ma, a tal fine, ove il rifiuto sia stato giustificato dalla parte destinataria del relativo ordine con la deduzione di circostanze impeditive, la controparte interessata ha l’onere di provare la perdurante possibilità di produzione in giudizio della documentazione richiesta (v., in tal senso, la pacifica giurisprudenza di legittimità: Cass. Civ., Sez. 3, 10/12/2003, n. 18833; Cass. Civ., Sez. lav., 6 dicembre 1983, n. 7289). Anche sotto tale profilo, prosegue dunque l’Adunanza Plenaria, l’esclusione dell’esperibilità dell’accesso documentale difensivo comporterebbe un pregiudizio all’effettività del diritto costituzionalmente garantito alla tutela giurisdizionale, di cui fa parte integrante il diritto alla prova. Deve pertanto escludersi che la previsione, negli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., di strumenti di esibizione istruttoria aventi ad oggetto documenti detenuti dalla pubblica amministrazione possa precludere l’esercizio dell’accesso documentale difensivo secondo la disciplina di cui alla legge n. 241/1990, né prima né in pendenza del processo civile. E’ bene precisare – chiosa ancora il Collegio - che tale conclusione attiene alla questione, posta dall’ordinanza di rimessione perché oggetto di contrasto giurisprudenziale, relativa alla possibile concorrenza tra accesso difensivo e poteri istruttori disciplinati dal codice di procedura civile. Diversa questione, di carattere sostanziale e concernente il grado di protezione degli interessi coinvolti, è quella dell’accessibilità della tipologia dei dati in relazione ad altri interessi da bilanciare (per esempio, riservatezza, nei limiti in cui vi siano spazi riconosciuti dall’ordinamento a tale profilo in relazione all’accesso difensivo) o alla stessa tutelabilità dell’interesse alla conoscenza di quei dati, alla luce dei sopra esposti canoni, da declinare in astratto e con riferimento alla situazione concreta, di necessità, di corrispondenza e di collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza, come illustrati supra e che sono da valutare, in primo luogo, dalla stessa Amministrazione cui è rivolta l’istanza di accesso. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi – prosegue l’Adunanza - con riguardo al rapporto tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo e i poteri istruttori d’ufficio di acquisizioni documentali attribuiti al giudice ordinario nei procedimenti in materia di famiglia. Vengono, in particolare, in rilievo le seguenti previsioni normative: - l’art. 337-ter, ultimo comma, cod. civ., che – con statuizione avente portata generale ex art. 4, comma 2, l. n. 54/2006, applicabile anche nei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati –, prevede, nell’interesse dei figli, che «[o]<em>ve le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi</em>»; - l’art. 5, comma 9, l. n. 898/1970, che prevede il potere del Tribunale, in caso di contestazione sulle emergenze reddituali e patrimoniali, di disporre «<em>indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria</em>»; - l’art. 736-bis, comma 2, cod. proc. civ., che, allorquando è richiesto un ordine di protezione contro gli abusi familiari (artt. 342-bis e 342-ter cod. civ.), demanda al giudice ampi poteri istruttori, ivi inclusa l’acquisizione, per mezzo della polizia tributaria, di informazioni «<em>sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti</em>»; - l’art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ., con il quale sono stati ampliati i poteri istruttori del giudice ordinario ai fini della ricostruzione della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria delle parti processuali nei procedimenti di famiglia, attraverso il ricorso allo strumento di cui all’art. 492-bis cod. proc. civ., costituito dall’accesso, con modalità telematiche, «<em>ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari</em>»; - l’art. 7, comma 9, d.P.R. n. 605/1973 (comma, aggiunto dall’art. 21, comma 14, l. n. 449/1997 e successivamente modificato dall’art. 19, comma 5, d.-l. n. 132/2014 convertito dalla legge n. 162/2014), secondo cui le informazioni comunicate all’anagrafe tributaria delle entrate dagli amministratori condominiali in ordine all’ammontare dei beni e servizi acquistati dal condominio e ai dati identificativi dei relativi fornitori sono altresì utilizzabili dall’autorità giudiziaria per la ricostruzione della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria nei procedimenti in materia di famiglia. Premesso – chiosa a questo punto il Collegio - che le citate previsioni normative non contengono alcuna clausola di esclusività, specialità e/o prevalenza rispetto alla disciplina dell’accesso documentale difensivo ex l. n. 241/1990 ai documenti reddituali, patrimoniali e finanziari dell’anagrafe tributaria del rispettivo coniuge e/o genitore di figli minorenni (o maggiorenni non economicamente dipendenti), esercitato al fine della ricostruzione dei rapporti patrimoniali e finanziari in funzione della determinazione degli assegni di divorzio, di separazione e di mantenimento dei figli, si rileva che, anche in relazione a tali previsioni normative, si rinviene un costante orientamento giurisprudenziale nel senso che tali poteri istruttori d’ufficio non possono essere esercitati per sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, la quale abbia la possibilità di acquisire le prove <em>aliunde</em> e non le abbia prodotte in giudizio (v. Cass. Civ., Sez. 6, ord. 15 novembre 2016, n. 23263; nello stesso senso, Cass. Civ., Sez. 1, 28 gennaio 2011, n. 2098). Solo in materia di determinazione del contributo di mantenimento per i figli minori (oggi, art. 337-ter cod. civ.; <em>olim</em> art. 155, comma 6, cod. civ.), il potere istruttorio d’ufficio appare più accentuato, nel senso che la domanda non può essere respinta per carenza di prova senza l’esercizio del potere d’ufficio. Resta con ciò riaffermato, chiosa il Collegio, anche per i procedimenti in materia di famiglia – specie nei casi in cui non vengano in questione interessi di minori, dove il regime dell’onere di allegazione e di prova è più attenuato in ragione del carattere tendenzialmente indisponibile dei diritti in contesa –, il principio per cui l’esercizio dei poteri, anche officiosi, di indagine attribuiti al giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia richiede, da un lato, che la parte abbia fatto tutto quanto è in relativo potere per offrire la prova dei fatti che è interessata a dimostrare, non essendo i poteri d’ufficio esercitabili per supplire eventuali carenze probatorie addebitabili alla parte che ne solleciti l’esercizio, e, dall’altro, che la stessa fornisca elementi di fatto specifici e circostanziati, idonei a rendere la contestazione della documentazione prodotta dalla controparte sufficientemente specifica da imporre un approfondimento istruttorio. L’attribuzione al giudice della crisi familiare di ampliati poteri d’ufficio, in ispecie di acquisizione dei dati dell’anagrafe tributaria ivi inclusi i dati dell’archivio dei rapporti finanziari, non fa pertanto venir meno l’esigenza della parte interessata di acquisire i documenti al di fuori del giudizio per il tramite dello strumento dell’accesso difensivo, proprio al fine di corroborare istanze sollecitatorie di eventuali (ulteriori) indagini d’ufficio sulla base di elementi specifici e circostanziati di cui la stessa abbia acquisito conoscenza all’esito dell’accesso ed in cui assenza il potere istruttorio ufficioso le potrebbe essere negato. Non si ravvisa, pertanto, ragione alcuna di escludere o precludere l’esperibilità dell’accesso documentale difensivo ai documenti della anagrafe tributaria, ivi incluso l’archivio dei rapporti finanziari, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari della rispettiva parte antagonista, nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia al fine di accertare le sostanze patrimoniali e le disponibilità reddituali di ognuno dei coniugi e, così, determinare l’entità dell’assegno disposto a beneficio di quello più bisognoso nonché dell’eventuale prole, sia prima che in pendenza del processo civile, in particolare non ostandovi l’attribuzione, al giudice delle controversie familiari, dei poteri istruttori di ufficio sopra menzionati. Tutt’al contrario, anche in tale materia un’interpretazione costituzionalmente orientata, a garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale e del diritto alla prova intesi in senso lato, impone di affermare l’esperibilità dell’accesso difensivo ai documenti in questione, sia prima che in pendenza del processo civile, con la conseguenza che l’accesso non può essere legittimamente negato per l’incompatibilità in astratto tra le due discipline. Né – precisa il Collegio - l’esperibilità, in controversie di natura civilistica, dell’accesso difensivo ai documenti amministrativi – e ciò vale sia con riferimento al rapporto con gli ordini di esibizione istruttoria ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia con riferimento al rapporto con i poteri istruttori d’ufficio nei procedimenti in materia familiare – può ritenersi lesivo del diritto di difesa della rispettiva parte controinteressata e quindi della parità delle armi nel processo, come prospettato dall’orientamento più sopra riportato. La confutazione dell’argomento passa attraverso la ricostruzione della disciplina del bilanciamento tra interesse all’accesso difensivo dell’istante e tutela della riservatezza del controinteressato. L’art. 24 l. n. 241/1990 prevede, al riguardo: - al comma 1, una tendenziale esclusione diretta legale dall’accesso documentale per le ipotesi ivi contemplate; - al comma 2, un’esclusione demandata ad un regolamento governativo, con cui possono essere individuati casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi, tra l’altro e per quanto qui interessa, «<em>d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono</em>»; - al comma 7 un’esclusione basata su un giudizio valutativo di tipo comparativo di composizione degli interessi confliggenti facenti capo al richiedente e, rispettivamente, al controinteressato, modulato in ragione del grado di intensità dei contrapposti interessi ed improntato ai tre criteri della necessarietà, dell’indispensabilità e della parità di rango. Nel caso di specie non vengono in rilievo né i «<em>dati sensibili</em>» quali definiti dall’art. 9 del regolamento n. 2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio (ossia, dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché i dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica), né i dati «<em>giudiziari</em>» di cui al successivo art. 10 (cioè i dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza), né i dati cd. supersensibili di cui all’art. 60 d.lgs. n. 196/2003 (cioè i dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona), bensì i dati personali rientranti nella tutela della riservatezza cd. finanziaria ed economica della parte controinteressata. Ebbene, chiosa l’Adunanza, ai fini del bilanciamento tra diritto di accesso difensivo (preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato) e tutela della riservatezza (nella specie, cd. finanziaria ed economica), secondo la previsione dell’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) né il criterio dell’indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cd. supersensibili), ma il criterio generale della «<em>necessità</em>» ai fini della ‘<em>cura’</em> e della <em>‘difesa’</em> di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso difensivo. Infatti, l’art. 5, comma 1, lettere a) e d), d.m. 29 ottobre 1996, n. 603 – emanato dal Ministero delle finanze, ai sensi dei commi 2 e 4 dell’art. 24 l. n. 241/1990 nella versione anteriore alla sua sostituzione ad opera dell’art. 16 l. 11 febbraio 2005, n. 15 – nell’individuazione dei documenti inaccessibili per motivi attinenti alla riservatezza, esclude dall’accesso documentale la «<em>documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e associazioni comunque acquisiti ai fini dell’attività amministrativa</em>», nonché gli «<em>atti e documenti allegati alle dichiarazioni tributarie</em>», garantendone tuttavia «<em>la visione</em>» nei casi in cui la relativa «<em>conoscenza sia necessaria per la cura e difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta</em>», pertanto in aderenza <em>in parte qua</em> alla previsione della norma primaria disciplinante l’accesso difensivo, dapprima contenuta nell’art. 24, comma 2, lettera d), l. n. 241/1990 ed oggi nel comma 7 dell’art. 24 come sostituito dall’art. 16 l. n. 15/2005. Con riferimento alla fattispecie <em>sub iudice</em>, risulta pertanto già compiuto sul piano normativo il giudizio di bilanciamento tra tutela dell’interesse conoscitivo attraverso lo strumento dell’accesso difensivo, quale esplicazione del diritto costituzionalmente garantito della tutela giurisdizionale, e tutela della riservatezza cd. finanziaria ed economica del controinteressato, dando la prevalenza al primo. Bilanciamento che, in difetto di normativa speciale, è rimesso alla valutazione dell’amministrazione alla stregua dei canoni e criteri in generali posti dall’ordinamento per l’accesso difensivo. Peraltro, prosegue il Collegio, il controinteressato ha a disposizione tutti gli strumenti procedimentali (opposizione ex art. 3 d.P.R. n. 184/2006) e processuali (impugnazione dell’atto di accoglimento dell’istanza di accesso dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lettera a), numero 6), cod. proc. amm.) per difendere la propria posizione contrapposta a quella del richiedente l’accesso, nella pienezza delle garanzie giurisdizionali, con la conseguenza che non è ravvisabile lesione alcuna del principio della parità delle armi, quale paventata nel contesto argomentativo della tesi riportata sopra. E comunque anche alla controparte nel giudizio civile è garantito ovviamente il diritto di accesso alla posizione dell’istante. Deve, infine, essere rimarcato per l’Adunanza Plenaria che l’accoglimento dell’istanza di accesso non rende il dato acquisito liberamento trattabile dal soggetto richiedente, il quale è rigorosamente tenuto a utilizzare il documento esclusivamente ai fini difensivi per cui l’ostensione è stata richiesta, a pena di incorrere nelle sanzioni amministrative ed, eventualmente, anche penali (a seconda della concreta condotta illecita), previste per il trattamento illegittimo di dati personali riservati, e fatta altresì salva la riconducibilità dell’illecito trattamento alla responsabilità di cui all’art. 2043 cod. civ.. Alla luce delle considerazioni tutte sopra svolte deve ritenersi che la previsione, nell’ordinamento processualcivilistico, di strumenti di esibizione istruttoria di documenti (anche) amministrativi ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., nonché, nell’ambito dei procedimenti di famiglia, dello strumento di acquisizione di documenti contenenti dati reddituali, patrimoniali e finanziari dell’anagrafe tributaria di cui artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ., ivi compresi i documenti conservati nell’archivio dei rapporti finanziari, non escluda l’esperibilità dell’accesso documentale difensivo. Infatti, sulla base di una lettura unitaria e integratrice tra le singole discipline, nonché costituzionalmente orientata a garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale da intendere in senso ampio e non ristretto al solo momento processuale, il rapporto tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo e i menzionati istituti processualcivilistici non può che essere ricostruito in termini di complementarietà delle forme di tutela. In conclusione, per le considerazioni esposte, non appare condivisibile al Collegio la tesi (minoritaria) accolta dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3461/2017, laddove, argomentando dalla natura strumentale dell’accesso difensivo in funzione della tutela di preesistenti e autonome posizioni soggettive (di diritto soggettivo o di interesse legittimo) legittimanti l’istanza di accesso, lo assimila sostanzialmente ad un potere di natura processuale, onde dedurvi l’inapplicabilità ai casi in cui la disciplina processualcivilistica già preveda strumenti specifici istruttori di esibizione documentale (tra cui di documenti amministrativi), quali, in via generale, costituiti dagli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., rispettivamente, per lo specifico settore dei procedimenti in materia di famiglia, dai poteri istruttori d’ufficio di cui agli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ.. Piuttosto, l’avere argomentato, nella menzionata sentenza – mutuando il percorso logico seguito dall’Adunanza plenaria n. 6/2006 – circa la posizione strumentale riconosciuta ad un soggetto che sia già titolare di una diversa situazione giuridicamente tutelata (diritto soggettivo o interesse legittimo, e, nei casi ammessi, esponenzialità di interessi collettivi o diffusi), sembra condurre all’opposta conclusione esegetica secondo cui è il collegamento con l’interesse diretto, concreto ed attuale a fondare la base legittimante per l’accesso, a prescindere dall’utilizzo, giudiziale o meno, che si intenda fare del documento osteso. Inoltre, per il Collegio non è condivisibile l’argomentazione che muove dall’oggetto della <em>causa petendi</em> e del <em>petitum</em> dedotti nel giudizio civile, laddove viene conferito esclusivo e determinante rilievo alla circostanza che si tratta di lite soltanto tra soggetti privati, al quale la pubblica amministrazione è totalmente estranea. A questo riguardo giova ribadire che l’aspetto pubblicistico della materia è immanente alla natura amministrativa del documento e della relativa detenzione, indipendentemente dal regime privatistico o pubblicistico di formazione dell’atto o dalla natura del soggetto che lo detiene. L’accesso difensivo supera le pertinenze probatorie che concernono il mero rapporto procedimentale tra il privato e la pubblica amministrazione, ovvero tra privati in cui si fa questione dell’esercizio del potere da parte di un’autorità amministrativa, e ricomprende tutte quelle pertinenze utili a dimostrare i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi delle situazioni giuridiche in generale, a prescindere dall’esercizio del potere nel singolo caso concreto, ed indipendentemente dal contesto entro il quale l’interesse giuridico può essere ‘<em>curato’</em> o <em>‘difeso’</em>, e quindi anche fuori dal processo ed anche in una lite tra privati. Nella prospettiva appena delineata, per la Plenaria sono indifferenti la natura e la consistenza della situazione giuridica ‘<em>finale’</em> (la quale può essere di diritto soggettivo, di interesse legittimo, di aspettativa o di altro tipo), purché si tratti di situazione astrattamente azionabile in caso di lesione. È pure indifferente che il relativo rapporto giuridico intercorra esclusivamente tra soggetti privati, nonché quale sia l’autorità giudiziaria (ordinaria, amministrativa, contabile o altro giudice speciale) munita di giurisdizione in caso di instaurazione di un processo. La tutela del terzo controinteressato è adeguatamente caratterizzata, sia sul piano procedimentale, sia su quello processuale, attraverso le specifiche forme di notificazione e di eventuale sua opposizione all’accesso. Quanto all’ultima questione deferita all’Adunanza plenaria, relativa alle modalità ostensive dei documenti dell’anagrafe tributaria, ivi inclusi i documenti dell’archivio dei rapporti finanziari – se, cioè, l’accesso possa essere esercitato solo attraverso visione, oppure anche attraverso estrazione di copia –, la stessa deve essere risolta in quest’ultimo senso, in quanto: - sul piano normativo, l’art. 22, comma 1, lettera a), l. n. 241/1990, come sostituito dall’art. 15 d.lgs. n. 15/2005, prevede quale forma generale di accesso quella «<em>di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi</em>»; - la sopra citata previsione regolamentare di cui all’art. 5, comma 1, lettere a) e d), d.m. 29 ottobre 1996, n. 603, che, in sede di accesso difensivo, consente solo la «<em>la visione</em>» della documentazione finanziaria, economica, patrimoniale, reddituale e fiscale detenuta dall’amministrazione finanziaria, trova la propria spiegazione nella vigenza, all’epoca di emanazione del decreto ministeriale, di una correlativa norma primaria nel testo originario dell’art. 24, comma 2, lettera d), l. n. 241/1990, ormai superata dalla novellazione apportata alla legge n. 241/1990 dalla legge n. 15/2005, che non prevede più alcuna limitazione quanto alle modalità di accesso difensivo alla documentazione contenente dati personali riservati, sicché la limitazione contenuta nel citato d.m. n. 603/1996 deve ritenersi implicitamente abrogata dalla normativa primaria sopravvenuta; - con riguardo alla <em>ratio</em> sottesa all’accesso documentale difensivo, l’unica modalità ontologicamente idonea a soddisfare la funzione di acquisire la documentazione <em>extra iudicium</em> ai fini della <em>‘cura’</em> e <em>‘difesa’</em> della situazione giuridica facente capo al richiedente l’accesso è l’estrazione di copia, ai fini di un eventuale utilizzo del documento in sede stragiudiziale e, a maggior ragione, in sede processuale, impossibile se non attraverso l’offerta in comunicazione e la produzione materiale della relativa copia in giudizio. Quanto alle eventuali modalità telematiche, dovrà trovare applicazione la disciplina settoriale in materia di amministrazione digitale. L’Adunanza plenaria, conclusivamente, enuncia allora sulle questioni postele i pertinenti principi di diritto, anche ai sensi dell’art. 99, comma 5, cod. proc. amm.: - le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti presentati o acquisiti (d)agli uffici dell’amministrazione finanziaria, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari ed inseriti nelle banche dati dell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari, costituiscono documenti amministrativi ai fini dell’accesso documentale difensivo ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990; - l’accesso documentale difensivo può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ.; - l’accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari, può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri istruttori di cui agli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ., nonché, più in generale, dalla previsione e dall’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio del giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia; - l’accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari, può essere esercitato mediante estrazione di copia. <strong>2021</strong> Il 18 marzo esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.4 in tema di necessaria dimostrazione del nesso di strumentalità tra documentazione richiesta e situazione finale da tutelare anche nell'accesso agli atti difensivo e limiti della PA e del Giudice nella valutazione della decisività del documento stesso. <a name="_Toc69823695"></a>Per il Collegio, più in specie, in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare. La Pubblica Amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere <em>ex ante</em> alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla Pubblica Amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990. Per rispondere ai quesiti sollevati dall’ordinanza di rimessione occorre anzitutto – per il Collegio - richiamare e ribadire quanto la stessa Adunanza plenaria ha già statuito nelle sentenze nn. 19, 20 e 21 del 25 settembre 2020. Più in particolare, per quanto rileva nel presente giudizio, l’Adunanza rammenta di avere già precisato che dalle previsioni della l. n. 241 del 1990 risulta una disciplina dell’accesso ispirata ai seguenti principi: <ol> <li>a) esigere la sussistenza del solo nesso di necessaria strumentalità tra l’accesso e la cura o la difesa in giudizio dei propri interessi giuridici (v. art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 e s.m.i.);</li> <li>b) ricomprendere, tra i destinatari, tutti i soggetti privati, ivi compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, senza alcuna ulteriore esclusione (art. 22, comma 1, lettera d), con formula replicata dall’art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 184 del 2006);</li> <li>c) circoscrivere le qualità dell’interesse legittimante a quelle ipotesi che – sole – garantiscono la piena corrispondenza tra la situazione (sostanziale) giuridicamente tutelata ed i fatti (principali e secondari) di cui la stessa fattispecie si compone, atteso il necessario raffronto che l’interprete deve operare, in termini di pratica sussunzione, tra la fattispecie concreta di cui la parte domanda la tutela in giudizio e l’astratto paradigma legale che ne costituisce la base legale.</li> </ol> Siffatto giudizio di sussunzione, che costituisce la base fondante dell’accesso difensivo, è regolato in ogni suo aspetto dalla legge (e dal rispettivo regolamento di attuazione), mostrandosi privo di tratti “liberi” lasciati alla interpretazione discrezionale dell’autorità amministrativa ovvero alla prudente interpretazione del giudice. Più in particolare, chiosa ancora il Collegio, la legge ha proceduto a selezionare, tra i canoni ermeneutici in astratto possibili, quelli della immediatezza, della concretezza e dell’attualità (art. 22, comma 1, lettera d), della l. n. 241 del 1990), in modo tale da ancorare il giudizio sull’interesse legittimante a due parametri fissi, rigidi e predeterminati quanto al loro contenuto obiettivo. La “<em>corrispondenza</em>” circoscrive esattamente l’interesse all’accesso agli atti in senso «<em>corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata</em>». L’unico interesse legittimante all’accesso difensivo sarà quello che corrisponderà in modo diretto, concreto ed attuale alla cura o anche difesa in giudizio di tali predeterminate fattispecie, in chiave strettamente difensiva. Tale ultimo aspetto, più in particolare, è chiarito per l’Adunanza dal secondo dei parametri al quale si è fatto cenno, e cioè quello riguardante il c.d. “<em>collegamento</em>”. Il legislatore ha ulteriormente circoscritto l’oggetto della situazione legittimante l’accesso difensivo rispetto all’accesso “<em>ordinario</em>”, esigendo che la stessa, oltre a corrispondere al contenuto dell’astratto paradigma legale, sia anche collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990), in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l’ostensione, e per l’ottenimento del quale l’accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite. Questa esigenza per il Collegio è soddisfatta, sul piano procedimentale, dal successivo art. 25, comma 2, della l. n. 241 del 1990, ai sensi del quale «<em>la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata</em>». La volontà del legislatore è di esigere che le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione (ad es. scambi di corrispondenza; diffide stragiudiziali; in caso di causa già pendente, indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti oggetto di prova; ecc.), così da permettere all’amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione “finale” controversa. In questa prospettiva, e per rispondere ai quesiti sopra ricordati e posti dall’ordinanza di rimessione, l’Adunanza plenaria rammenta di avere escluso che possa ritenersi sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento passa attraverso un rigoroso vaglio circa l’appena descritto nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale controversa. Altra e non meno importante questione adombrata dall’ordinanza di rimessione, rammenta il Collegio, è poi quella afferente alla ricostruzione della disciplina del bilanciamento tra interesse all’accesso difensivo dell’istante e la tutela della riservatezza del controinteressato. Come l’Adunanza medesima ha però già chiarito nelle richiamate pronunce, l’art. 24 della l. n. 241 del 1990 prevede, al riguardo: <ol> <li>a) al comma 1, una tendenziale esclusione diretta legale dall’accesso documentale per le ipotesi ivi contemplate;</li> <li>b) al comma 2, un’esclusione demandata ad un regolamento governativo, con cui possono essere individuati casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi, tra l’altro e per quanto qui interessa, nella lettera d) «<em>quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono</em>»;</li> <li>c) al comma 7 un’esclusione basata su un giudizio valutativo di tipo comparativo di composizione degli interessi confliggenti facenti capo al richiedente e, rispettivamente, al controinteressato, modulato in ragione del grado di intensità dei contrapposti interessi ed improntato ai tre criteri della necessarietà, dell’indispensabilità e della parità di rango.</li> </ol> Nel caso di specie, posto all’attenzione dell’Adunanza, non vengono in rilievo né i “<em>dati sensibili</em>” quali definiti dall’art. 9 del Regolamento n. 2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio e, cioè, dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché i dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, né i dati “<em>giudiziari</em>” di cui al successivo art. 10 e, cioè, i dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza, né i dati cc.dd. supersensibili di cui all’art. 60 del d. lgs. n. 196 del 2003 (cioè i dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona), bensì i dati personali rientranti nella tutela della riservatezza cd. finanziaria ed economica della parte controinteressata. Ebbene, chiosa ancora il Collegio, ai fini del bilanciamento tra il diritto di accesso difensivo, preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato, e la tutela della riservatezza (nella specie, cd. finanziaria ed economica), secondo la previsione dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, non trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) né il criterio dell’indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cc.dd. supersensibili), ma il criterio generale della “<em>necessità</em>” ai fini della “<em>cura</em>” e della “<em>difesa</em>” di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali, di cui si è detto, dell’accesso documentale di tipo difensivo. Se così è, come la stessa Adunanza plenaria ha già precisato nelle sentenze nn. 19, 20 e 21 del 25 settembre 2020, è chiaro che il collegamento tra la situazione legittimante e la documentazione richiesta, richiesto impone un’attenta analisi della motivazione che la pubblica amministrazione ha adottato nel provvedimento con cui ha accolto o, viceversa, respinto l’istanza di accesso. Soltanto attraverso l’esame di questa motivazione è infatti possibile comprendere se questo collegamento, nel senso sopra precisato, esista effettivamente e se l’esigenza di difesa rappresentata dall’istante prevalga o meno sul contrario interesse alla riservatezza nel delicato bilanciamento tra i valori in gioco. La pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. – chiosa a questo punto il Collegio - non devono invece svolgere alcuna ultronea valutazione sulla influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla PA o allo stesso GA nel giudizio sull’accesso. Un diverso ragionamento reintrodurrebbe nella disciplina dell’accesso difensivo e, soprattutto, nella pertinente, pratica applicazione, limiti e preclusioni che, invece, non sono contemplati dalla legge, la quale ha già previsto, come si è detto, adeguati criterî per valutare la situazione legittimante all’accesso difensivo e per effettuare il bilanciamento tra gli interessi contrapposti all’ostensione del documento o alla riservatezza. Certamente, se l’istanza di accesso sia motivata unicamente, ai sensi dell’art. 25, comma 2, della l. n. 241 del 1990, con riferimento ad esigenze difensive di un particolare giudizio e il giudice di quella causa si sia già pronunciato sull’ammissibilità o, addirittura, sulla rilevanza del documento nel giudizio già instaurato, la pubblica amministrazione e, in sede contenziosa ai sensi dell’art. 116 c.p.a., il giudice amministrativo dovranno tenere conto di questa valutazione, sul piano motivazionale, ma sempre e solo per valutare la concretezza e l’attualità del bisogno di conoscenza a fini difensivi, nei termini si è detto, e non già per sostituirsi <em>ex ante</em> al giudice competente nella inammissibile e impossibile prognosi circa la fondatezza di una particolare tesi difensiva, alla quale la richiesta di accesso sia preordinata, salvo, ovviamente, il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990. Si possono quindi conclusivamente affermare per l’Adunanza in sintesi i seguenti principî di diritto: <ol> <li>a) in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare;</li> <li>b) la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere <em>ex ante</em>alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990.</li> </ol> * * * *Il 19 aprile esce la sentenza della VI sezione del Tar Campania n.2482 onde un parere legale va osteso quando ha una funzione endoprocedimentale ed è quindi correlato ad un procedimento amministrativo che si conclude con un provvedimento ad esso collegato anche solo in termini sostanziali e, quindi, pur in assenza di un richiamo formale ad esso. * * * L’8 maggio esce la sentenza della I sezione del Tar Abruzzo, Pescara, n.249 alla cui stregua va assunto configurabile il diritto di accedere alle dichiarazioni dei redditi di un terzo, relative ad un determinato arco temporale, nel caso in cui, a fondamento della istanza ostensiva, l’istante abbia evidenziato la necessità di produrre in giudizio gli atti richiesti in ostensione a fini difensivi. Nel caso di specie, l’obiettivo di chi chiede l’ostensione – chiarisce il Collegio – è quello di dimostrare la simulazione di atti di trasferimento immobiliare, ovvero – laddove non simulati - di assoggettarli ad azione revocatoria, tali atti potendo compromettere la capienza patrimoniale dell’alienante in caso di condanna del medesimo al risarcimento del danno nei confronti dell’accedente, per fatti attualmente sottoposti al vaglio del giudice penale in sede dibattimentale. * * * Il 18 maggio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.3842 alla cui stregua va assunto inammissibile, per difetto di legittimazione attiva e di interesse, un ricorso tendente ad ottenere la declaratoria dell’obbligo della P.A. di consentire il diritto di accesso nei confronti degli atti relativi alla fase esecutiva di un contratto di appalto, laddove l’istanza ostensiva sia fondata esclusivamente sulla necessità di tutelare gli interessi della impresa accedente presso le sedi competenti, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara. Per il Collegio a nulla rileva che la domanda di accesso sia fondata sui tre riferimenti normativi dell’istituto, ovvero l’accesso documentale <em>ex</em> art. 22 della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. 241/1990</a>, l’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5 del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2474">D.lgs 33 del 2013</a> e infine l’art. 53 del codice degli appalti; in tal caso, infatti, è evidente il carattere meramente eventuale dell’interesse correlato all’esercizio dell’accesso, e della motivazione che lo sorregge; mentre, al contrario, alla luce delle norme sull’accesso documentale, l’interesse di chi chiede l’ostensione deve essere per il Collegio attuale, concreto e collegato ad atti determinati e sicuramente rilevanti per la tutela di una situazione giuridica perché possa fondare una situazione legittimante. <strong> </strong> <strong>Questioni intriganti</strong> <strong>Cosa occorre rammentare dei c.d. limiti al diritto di accesso?</strong> <ol start="241"> <li>l’accesso agli atti amministrativi – in disparte la (dubbia) natura della situazione giuridica soggettiva ad esso sottesa ed il pertinente, concreto atteggiarsi – risponde ad assai rilevanti finalità di interesse pubblico, dando foggia ad un vero e proprio principio generale dell’azione amministrativa (art.22, comma 2 e 3, della legge 241.90);</li> <li>per questo motivo la regola è quella dell’accessibilità di tutti i documenti amministrativi, ad esclusione di quelli tassativamente indicati all’art.24 della legge 241.90; alla stregua di tale disposizione, con regolamento emanato ai sensi dell’art.17 della legge 400.88, il Governo può prevedere casi di documenti amministrativi sottratti all’accesso, con riguardo nondimeno a determinati interessi pubblici significativamente rilevanti;</li> <li>da questo punto di vista, emblematico l’art.25, comma 3, della legge alla cui stregua l’accesso ai documenti amministrativi non può essere negato laddove sia bastevole il ricorso al più blando potere di differimento;</li> <li>sul crinale più specifico dei limiti previsti dall’art.24 all’accesso, giustificati dal necessario bilanciamento coi rilevanti interessi giustapposti, si tende a distinguere tra limiti c.d. tassativi e limiti c.d. eventuali;</li> <li>i limiti c.d. tassativi sono previsti direttamente dalla legge, non sono derogabili dalla PA e sono posti a presidio di rilevanti interessi pubblici: e.1) documenti coperti da segreto di Stato (l’obiettivo è quello di tutelare la sicurezza e l’integrità dello Stato, tanto sul fronte interno quanto su quello internazionale); e.2) fattispecie di segreto o comunque di divieto di ostensione espressamente configurate da specifiche norme di legge (come nel caso del segreto istruttorio, di quello statistico, del segreto bancario o militare o, ancora, del segreto professionale) ovvero dalle norme regolamentari di cui al regolamento governativo ex art.24, comma 6, della legge; e.3) documenti avvinti a procedimenti tributari, fatta salva la specifica disciplina che li regola; e.4) fattispecie procedimentali afferenti alla elaborazione di atti nomativi ovvero di atti amministrativi generali, in guisa parallela alla sottrazione dei medesimi atti al regime della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo; e.5) documenti amministrativi che – pur afferenti a procedure selettive, con riguardo alle quali l’accesso va assunto ammesso per il relativo afferire a fattispecie in cui campeggia il primato della trasparenza rispetto al contro-interesse alla riservatezza – concernano informazioni di carattere psico-attitudinale afferenti a terzi (controinteressati);</li> <li>i limiti c.d. eventuali sono rimessi alla PA, che può individuarli attraverso il regolamento governativo di cui al comma 6 dell’art.24; lo scopo è quello di presidiare taluni interessi primari che la legge stessa cristallizza, e precisamente: f.1) la sicurezza nazionale; f.2) la politica monetaria e valutaria; f.3) l’ordine pubblico; f.4) la riservatezza;</li> <li>al cospetto di uno dei ridetti limiti opera tuttavia – ex art.24, comma 7 – un c.d. “<em>controlimite</em>” sovente invocato dalla giurisprudenza e capace di teoricamente riaprire la strada all’accesso, compendiantesi nel diritto alla cura e alla difesa dei propri interessi giuridicamente rilevanti; si parla in proposito di c.d. scopo difensivo dell’accesso, che – tendenzialmente - va comunque garantito quantunque l’accesso medesimo si ponga in contrasto con i limiti su indicati; deve trattarsi, nondimeno, di un accesso “<em>difensivo</em>” che non si riveli abusivo o comunque pretestuoso, il documento della cui ostensione si tratta dovendosi atteggiare a (quanto meno potenzialmente) utile alla cura o alla difesa dell’interesse giuridico che vi è sotteso;</li> <li>un problema interpretativo di non poco momento è quello concernente l’area di operatività del “<em>controlimite</em>” difensivo dell’accesso, secondo la seguente alternativa: h.1) esso opera con riguardo al solo “<em>limite</em>” (facoltativo) della altrui riservatezza di cui al comma 6 dell’art.24, onde al limite della riservatezza si giustappone, per l’appunto, il “<em>controlimite</em>” dell’accesso difensivo; h.2) il “<em>controlimite</em>” dell’accesso difensivo è tale con riguardo a tutti i possibili “<em>limiti</em>” all’accesso – tanto facoltativi quanto tassativi - ivi compresi quelli, assai stringenti, scolpiti al comma 1 dell’art.24, come dimostra il fatto che, nella più recente “<em>topografia</em>” della norma, proprio l’accesso difensivo viene previsto in un comma finale dell’art.24 atteggiandosi, come tale, a norma di chiusura rispetto all’intero testo dell’articolo medesimo (e non già rispetto al solo limite della riservatezza di terzi, come affiorava in precedenti formulazioni);</li> <li>la tesi più estensiva viene tuttavia criticata da chi abbraccia la prima e più restrittiva opzione ermeneutica, che ribadisce come il “<em>controlimite</em>” dell’accesso difensivo operi solo rispetto al “<em>limite</em>” della riservatezza (quale caso di esclusione facoltativa dell’accesso) o comunque solo rispetto a limiti “<em>facoltativi</em>” opponibili dalla PA all’accesso; ciò sulla scorta di 2 ragioni: i.1) già nella precedente formulazione dell’art.24 era chiaramente esplicitato appunto l’operare contingentato del “<em>controlimite</em>”, con riguardo alla sola riservatezza dei terzi rispetto all’ostensione documentale; regime che trova conferma nel fatto che il ridetto “<em>controlimite</em>”, pur trovandosi in un autonomo comma finale (il 7), segue pedissequamente il comma 6 dedicato proprio alle sole “<em>esclusioni facoltative</em>” o comunque ai soli “<em>limiti eventuali</em>” dell’accesso in parola, peraltro contenendo evidenti e specifici accenni alla riservatezza (si pensi al riferimento fatto a dati sensibili, giudiziari e sensibilissimi), con conseguente impossibilità di operarne una interpretazione “<em>atomistica</em>” dei singoli periodi che lo compendiano e dovendo piuttosto procedere ad una pertinente interpretazione “<em>sistematica</em>”; i.2) con specifico riferimento ai limiti c.d. tassativi all’accesso, e dunque a quelli che presidiano interessi pubblici più delicati, un consistente ridimensionamento è già stato operato <em>ex lege</em> dal comma 5 dell’art.24, laddove prescrive che i documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti (e, dunque, non ostensibili) “<em>solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione</em>”, a tal fine ciascuna Amministrazione essendo chiamata a fissare – per ogni categoria documentale – financo l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso; in altri termini, il fatto che taluni documenti, informazioni o notizie detenuti da una determinata PA siano riconducibili alla nozione di “<em>segreto</em>” e, come tali, si rivelino inaccessibili è affermazione non già assoluta, quanto piuttosto relativa, non derivandone l’automatica e pedissequa esclusione degli stessi dall’usbergo precettivo che disciplina l’accesso e la trasparenza dell’Amministrazione di riferimento, la quale deve piuttosto di volta in volta verificare in concreto se l’ostensione o comunque la divulgazione del dato del quale si chiede l’ostensione possa davvero arrecare pregiudizio agli interessi pubblici – pur assai rilevanti: si pensi alla fattispecie del c.d. segreto di Stato – astrattamente presidiati <em>ex lege</em>, per l’appunto, dal “<em>segreto</em>”;</li> <li>una recente questione affrontata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel 2020 e nel 2021 investe il c.d. controlimite dell’accesso difensivo sul crinale della relativa spendibilità allorché, in liti tra privati e massime nel delicato ambito della famiglia, una parte intenda conoscere la situazione reddituale, patrimoniale e finanziaria della controparte, per l’appunto, a fini difensivi e nell’ottica esemplificativa di invocare innanzi al GO la condanna ad un contributo economico a titolo di mantenimento per sé o per i figli; la giurisprudenza – premesso che, in ogni caso, l’istanza ostensiva va debitamente e precipuamente motivata, anche al fine di consentire alla PA prima, e al GA poi, di mettere bene a fuoco il collegamento tra i dati cui si intende accedere e la situazione giuridica che si intende tutelare nel processo civile - tende in questi casi, lungi dall’escluderlo, a rendere l’accesso difensivo “<em>sostanziale</em>” esercitabile nei confronti della PA (anche attraverso la possibilità di raggiungere banche dati pertinenti) ed eventualmente giustiziabile dal GA come “<em>complementare</em>” rispetto al possibile accesso “<em>processuale</em>” esercitabile – peraltro in misura recentemente potenziata – nel processo civile, giusta attivazione dei poteri del GO originariamente previsti dagli articoli 210-213 c.p.c. ed oggi scolpiti anche all’art.492.bis c.p.c. e agli artitoli 155.bis e seguenti delle disposizioni di attuazione al c.p.c..</li> </ol> <strong>Cosa occorre rammentare in generale del c.d. limite della riservatezza?</strong> <ol> <li>si tratta di un limite contermine e “<em>affiancato</em>” a quello della c.d. segretezza, che pure si giustappone al diritto di accesso agli atti amministrativi; sono infatti di volta in volta la legge, i regolamenti, ovvero l’autorità amministrativa che procede a dover garantire l’equilibrio tra il principio di ostensione e, rispettivamente, segretezza “<em>pubblica</em>” e riservatezza “<em>privata</em>”;</li> <li>si parla di segretezza con riguardo ad interessi pubblici e comunque generali che impongono (quanto meno) prudenza nell’ostensione di atti amministrativi che eventualmente li coinvolgano;</li> <li>si parla di riservatezza con riguardo invece ad interessi di rango privatistico, con peculiare riguardo a vicende di persone fisiche e giuridiche che impongono riserbo perché coinvolgenti la pertinente sfera personale ovvero economico-patrimoniale;</li> <li>si occupa dei rapporti tra l’accesso ed il limite della riservatezza – ma solo in prima approssimazione e senza una disciplina sufficientemente articolata - già la legge 241.90, nella versione successivamente novellata, segnatamente all’art.24, comma 6, lettera d) e comma 7; si tratta di una regolamentazione che va coordinata con quella, più dettagliata, affiorante dalle norme sul c.d. diritto alla <em>privacy</em>, con particolare riguardo al decreto legislativo 196.03 (articoli 59 e 60), dovendosi all’uopo distinguere, proprio nella declinazione-limite della riservatezza, una richiesta di accesso: d.1) a dati di terzi personali, ma in qualche modo “<em>ordinari</em>”; d.2) a dati di terzi sensibili; d.3) a dati di terzi sensibilissimi;</li> <li>per quanto riguarda in genere i dati riservati, tanto ordinari quanto sensibili, si è al cospetto di una disciplina omogenea, riconducibile all’art.24, comma 6 e 7, della legge 241.90; il comma 6 si occupa dei documenti concernenti la vita privata o la riservatezza delle persone fisiche o giuridiche, di gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui essi siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono; con riguardo a tali documenti, i pertinenti casi di sottrazione all’accesso vengono demandati ad un regolamento governativo ex art.17, comma 2, della legge 400.88; al successivo comma 7 si dispone poi che deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (c.d. “<em>controlimite</em>” difensivo), con la precisazione onde, nel caso si tratti di dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito negli ulteriori “<em>limiti</em>” in cui esso sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dalla dall’art.60 del decreto legislativo 196.03, laddove si tratti di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale;</li> <li>per quanto riguarda proprio i dati c.d. sensibilissimi, intendendosi per tali quelli idonei a rivelare notizie sullo stato di salute e sulla vita sessuale di terzi, la disciplina è quella dettata dall’art.60 del decreto legislativo 196.03 in tema di tutela della riservatezza o <em>privacy</em>;</li> <li>in sostanza, il problema è quello di conciliare l’interesse di chi chiede l’ostensione di dati o documenti detenuti dalla PA con quello di chi, da tale ostensione, vedrebbe violata la propria riservatezza;</li> <li>incidono sulla soluzione della questione, in ottica dinamica, i connotati di esercizio del diritto di accesso agli atti amministrativi, che a partire dal 2005 vedono inscindibilmente connessa la visione del documento richiesto e l’estrazione della pertinente copia, mentre precedentemente un modo per tutelare la “<em>privacy</em>” del terzo controinteressato poteva rinvenirsi proprio nella pertinente limitazione alla sola visione (senza dunque anche la possibilità di estrarre copia); stando infatti al prevalente orientamento pretorio, in base alla nuova disciplina deve ricomprendersi nel diritto di accesso tanto la visione quanto il rilascio di copia del documento richiesto, stante in particolare l’avvenuta abrogazione dell’art.24, comma 2, lettera d) della legge 241.90, che fa assumere ormai non più scindibili le due forme ridette di esercizio del diritto di accesso (mera visione da un lato ed estrazione di copia dall’altro).</li> </ol> <strong>Cosa occorre rammentare in particolare del limite della riservatezza con riguardo ai dati c.d. sensibili o sensibilissimi e quali sono i “<em>sottosettori</em>” di rilievo in proposito?</strong> <ol start="241"> <li>occorre muovere dall’art.24, comma 7, della legge 241.90, afferente ai documenti contenenti dati sensibili e giudiziari;</li> <li>in queste fattispecie, l’accesso è consentito nei limiti in cui esso sia “<em>strettamente indispensabile</em>”;</li> <li>nel caso poi di dati afferenti allo stato di salute o alla vita sessuale (c.d. dati sensibilisissimi), occorre osservare quanto prescritto dall’art.60 del decreto legislativo 196.03 sulla c.d. <em>privacy</em>, che “<em>stabilizza</em>” quanto già in qualche modo previsto dal Legislatore nel 1999, in sede di revisione della legge 675.96; qui l’accesso è consentito (solo) se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta ostensiva ai pertinenti documenti amministrativi sia di rango almeno pari ai diritti del “<em>controinteressato</em>” alla riservatezza, ovvero consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile;</li> <li>muovendo dall’accesso ad atti contenenti dati sensibili e giudiziari, esso può assumersi consentito laddove si tratti (e per il solo fatto che si tratti) di accesso c.d.”<em>difensivo</em>”, come tale funzionale alla cura o alla difesa di interessi giuridicamente rilevanti di chi lo invoca; la formulazione vigente dell’art.24, comma 7, della legge 241.90 prevede peraltro – con foggia di limite - che il dato del quale si chiede l’accesso sia “<em>indispensabile</em>” a fini di difesa; proprio la presenza di tale novità ha sospinto parte della dottrina ad assumere, in senso restrittivo, come non basti – per l’istante – a giustificare l’accesso ridetto una mera esigenza di pienezza del contraddittorio “<em>sostanziale</em>” in un dato procedimento amministrativo, occorrendo piuttosto che si configurino, al fine di autorizzare il richiedente all’accesso, specifiche esigenze di tutela “<em>giurisdizionale</em>”;</li> <li>in tema di accesso ai dati c.d. sensibilissimi (stato di salute e vita sessuale), <em>in primis</em> – a mente dell’art.60 del decreto legislativo 196.03 (e, prima ancora, dell’art.16 del decreto legilslativo 135.99) - oltre alla c.d. “<em>indispensabilità difensiva</em>” della pertinente conoscenza, per potervi accedere occorre che la situazione giuridica che il richiedente l’accesso intende tutelare: e.1) sia di rango almeno pari ai diritti dell’interessato (alla riservatezza del dato); e.2) ovvero che essa consista in un diritto della personalità; e.3) ovvero ancora che si compendi in altro diritto o libertà fondamentale inviolabile;</li> <li>con specifico riguardo ai dati sensibilissimi, occorre muovere dalla considerazione onde essi involgono la sfera più intima della persona, afferente alla relativa salute e alle pertinenti inclinazioni sessuali; qui campeggia una pressante esigenza di riservatezza del “<em>controinteressato</em>” rispetto a chi invoca l’accesso, quest’ultimo potendo vedere soddisfatto il proprio interesse ostensivo non già semplicemente allorquando la conoscenza del dato richiesto gli occorra (mera “<em>necessità</em>”) per esercitare il proprio diritto di difesa, quanto piuttosto allorché essa si colori di “<em>indispensabilità</em>” al fine di varare una determinata strategia difensiva;</li> <li>quest’ultima deve poi essere funzionale a presidiare non già una qualsivoglia situazione giuridica soggettiva del richiedente l’accesso (come accade quando la riservatezza si giustappone ad una generica esigenza difensiva, implicante meri “<em>dati ordinari e sensibili</em>”, quanto di una posizione giuridica soggettiva “<em>pesante</em>” perché di rango almeno pari al diritto alla riservatezza del “<em>controinteressato</em>”, ovvero comunque consistente in un diritto della personalità o, comunque, di un altro diritto o di una libertà assistiti dal predicato di “<em>fondamentale</em>” e di ”<em>inviolabile</em>”;</li> <li>per quanto concerne gli strumenti di bilanciamento tra accesso al dato sensibilissimo, da un lato, e riservatezza, dall’altro, si contendono il campo fondamentalmente 2 tesi: h.1) si tratta di un bilanciamento da operare in astratto, ponendo a confronto la situazione giuridica soggettiva di chi invoca l’ostensione e quella di chi invece oppone la riservatezza, per l’appunto astrattamente intese (tesi recessiva in giurisprudenza); h.2) si tratta di un bilanciamento da operare in concreto, caso per caso, scandagliando dunque di volta in volta – a prescindere dalla consistenza “<em>in astratto</em>” tra le situazioni giuridiche giustapposte – quanto rileva il singolo e specifico interesse all’ostensione nel caso concreto, siccome ponderato con il singolo, specifico e del pari concreto interesse alla riservatezza da eventualmente sacrificarsi, se del caso utilizzando espedienti quali i parziali oscuramenti ed <em>omissis</em> (tesi prevalsa in giurisprudenza);</li> <li>con specifico riguardo a taluni specifici “<em>sottosettori</em>”, il bilanciamento tra accesso e <em>privacy</em> si è poi palesato imprescindibile e di consistente rilevanza in tema di: i.1) elaborati ed atti concorsuali; i.2) atti di gara; i.3) cartelle cliniche;</li> <li>cartelle cliniche: si tratta di quella documentazione a connotazione sanitaria che afferisce ad un ricovero ospedaliero e ad un eventuale, annesso intervento chirurgico, con tutti gli esami diagnostici a pertinente corredo; si è al cospetto di dati contenuti in “<em>documenti amministrativi</em>” ex art.22, comma 1, lettera d) della legge 241.90, quali atti interni detenuti (normalmente) da una Azienda ospedaliera con riguardo ad attività di pubblico interesse da essa svolta allo scopo di garantire al cittadino una adeguata assistenza sanitaria, presidiandone il fondamentale diritto alla salute (che è anche, ex art.32 Cost., interesse della collettività); bilanciare l’accesso agli atti compendianti cartelle cliniche con la riservatezza del paziente è questione particolarmente delicata, tenuto conto anche del fatto che gli articoli 75 e seguenti del decreto legislativo 196.03 sono dedicati in modo espresso e specifico proprio al trattamento dei dati in ambito sanitario; muovendo peraltro dalla circostanza onde il diritto alla riservatezza, quale diritto della personalità inalienabile, intrasmissibile ed imprescrittibile, si estingue tuttavia con la morte del relativo titolare, la dottrina e la giurisprudenza tendono a riconoscere all’erede legittimo del <em>de cuius</em> il diritto <em>iure proprio</em> di accedere ai dati contenuti nella pertinente cartella clinica onde avvalersene per promuovere o condurre innanzi iniziative giudiziarie avvinte alla morte del paziente, configurandosi in capo al ridetto erede una proiezione <em>post mortem</em> della situazione giuridica della quale quegli godeva mentre era in vita;</li> <li>elaborati ed atti redatti o posti in essere nel contesto di procedure di concorso o assimilate: si tende a riconoscere il diritto del partecipante al concorso di accedere agli elaborati delle prove (proprie e altrui), ai titoli versati in atti dagli altri candidati e ai verbali della commissione, seppure con un temperamento in termini di esercizio di tale diritto ostensivo, che può essere differito per scongiurare intralci alla spedita esecuzione della procedura concorsuale; un problema interpretativo si è posto tuttavia proprio in relazione ai rapporti tra diritto di accesso, da un lato, e riservatezza di terzi (segnatamente, di chi ha svolto l’elaborato del quale si invoca l’ostensione), dall’altro, fronteggiandosi in materia 2 opzioni interpretative: k.1) non si può rigettare l’istanza ostensiva, dovendo prevalere il principio di trasparenza dell’azione amministrativa; k.2) non si può escludere, in certuni casi (c.d. “<em>prove concorsuali complesse</em>” a connotazione spiccatamente “<em>soggettiva</em>”, non limitate dunque ad oggettivi <em>test</em> a risposta multipla), la qualità di controinteressati per motivi di <em>privacy</em> agli altri partecipanti ad una procedura concorsuale, con i quali va dunque instaurato un previo contraddittorio;</li> <li>atti di gara: la disciplina pertinente, originariamente prevista all’art.13 del primo codice dei contratti pubblici (163.06), è dipoi confluita nell’art.53 del nuovo codice 50.16, compendiando una regolamentazione “<em>complementare</em>” rispetto a quella generale dettata, per tutti i procedimenti amministrativi, dalla legge 241.90; trattandosi di competizione tra operatori economici privati, una peculiare importanza assume il segreto industriale, il c.d. <em>know how</em> aziendale e le scoperte scientifiche, che possono recare seco l’esclusione dell’accesso per chi richiede l’ostensione, a meno che non si tratti di richiesta di accesso legata a ragioni “<em>difensive</em>”, laddove invece il ridetto accesso, nell’opinione giurisprudenziale, non può essere negato; si tratta tuttavia di una facoltà strettamente avvinta alla veste di partecipante alla gara (dalla quale scaturiscono le ridette esigenze difensive), onde chi non vi abbia preso parte non può assumersi vantare un interesse differenziato alla conoscenza dei pertinenti atti, con conseguente diniego di legittimazione all’accesso; spetta in sostanza all’Amministrazione destinataria della richiesta di accesso valutare, in relazione alle motivazioni che la corredano, se il documento si palesi necessario alla difesa di una situazione giuridicamente rilevante, capace come tale di prevalere sulle esigenze di riservatezza degli altri partecipanti alla gara, giusta spendita di un potere discrezionale limitato, sol che si consideri come anche solo una difesa meramente potenziale di un dato diritto possa palesarsi meritevole di tutela, discendendone un bilanciamento tra i giustapposti interessi (diritto di difesa su un crinale; tutela del segreto industriale sull’altro) compendiantesi nell’autorizzare l’accesso a quei soli elementi utili al fine di valutare l’offerta del concorrente; più rigorosa nel tutelare il segreto industriale si mostra invece la giurisprudenza eurounitaria, in un’ottica orientata a scongiurare che venga falsata la concorrenza tra gli operatori economici giusta collusioni tra taluni dei medesimi, agevolata dalla libera circolazione di informazioni rilevanti sul piano proprio del <em>know how</em> e del segreto industriale. Su altro crinale, l’accesso agli atti di gara soggiace ad un articolato regime di differimento ai sensi dell’art.53, comma 2, del Codice dei contratti pubblici 50.06, peraltro penalmente presidiato – con riguardo a pubblici ufficiali come ad incaricati di pubblico servizio – dall’art.326 c.p. in materia di rivelazione di segreti d’ufficio. Vi sono poi fattispecie di esclusione del diritto di accesso (e di qualunque altra forma di divulgazione), siccome scolpite al comma 4 del medesimo art.53: l.1) informazioni di cui all’offerta o alla pertinente giustificazione (in caso di ventilata anomalia) che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali; l.2) pareri legali acquisiti da soggetti tenuti all’applicazione del Codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative a contratti pubblici; l.3) relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto; l.4) soluzioni tecniche e programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante (o dal gestore del sistema informatico) per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa industriale; va infatti rammentato come, ai sensi del comma 1 dell’art.53, laddove si sia al cospetto di aste elettroniche il diritto di accesso può essere esercitato mediante l’interrogazione delle registrazioni del sistema informatico che contengono la documentazione in formato elettronico di tali atti (in alternativa all’invio o alla messa disposizione del richiedente di copia autentica degli atti stessi). Le stazioni appaltanti, stando ad una recente novella, possono imporre agli operatori economici condizioni a tutela della riservatezza delle informazioni rese disponibili dalle Amministrazioni aggiudicatrici (per le quali operano) durante tutta la procedura di appalto. Di rilievo anche gli obblighi di trasparenza previsti dall’art.29 del Codice che, nello scolpire i pertinenti principi generali, obbliga le stazioni appaltanti a pubblicizzare tutti gli atti delle procedure di affidamento sul proprio sito, nella sezione amministrazione trasparente, oltre che sulla piattaforma digitale ANAC e sul sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;</li> <li>pareri legali resi a favore dell’Amministrazione: qui il limite all’accesso è avvinto alla tendenziale necessità di preservare il riserbo sui pareri e, più in generale, su tutti gli atti di consulenza difensiva resi alla PA da organi interni o da soggetti professionisti esterni ad essa (negandone l’ostensione); si tende a distinguere sulla base della natura strutturale o dello scopo funzionale che assiste il “<em>parere</em>” al quale si pretenderebbe di accedere: m.1) atti valutativi o defensionali connessi ad una controversia giudiziaria potenziale o attuale: si tratta di atti coperti da segreto professionale, dei quali si esclude in genere l’ostensibilità in ottica “<em>tassativa</em>”, ai sensi dell’art.24, comma 1, lettera a) della legge 241.90, laddove esso esclude appunto dall’accesso i documenti coperti da segreto o quelli sui quali pende un divieto di divulgazione espressamente previsto dalla legge, come è proprio il caso degli atti resi da un professionista legale; m.2) pareri avvinti alla fase procedimentale dell’azione pubblica: per essi non può valere il divieto di accesso, compendiando atti endo-procedimentali con funzione meramente istruttoria e, come tali, accessibili dal richiedente.</li> </ol> <strong>Cosa occorre rammentare dei rapporti tra accesso e limite della riservatezza in ottica procedimentale e processuale amministrativa?</strong> <ol> <li>la dialettica tra chi chiede l’accesso e chi invoca la riservatezza (come limite al primo) ha una propria connotazione strutturale di tipo sostanziale;</li> <li>essa presenta tuttavia anche un volto funzionale, laddove concretamente calata nel procedimento e, dipoi, nel processo;</li> <li>a chi chiede l’accesso ad atti della PA si giustappone infatti – in veste di controinteressato – chi, individuato o facilmente individuabile sulla scorta della natura del documento della cui ostensione si tratta, vedrebbe compromesso dall’esercizio dell’accesso medesimo un proprio diritto e, massime, il proprio diritto alla riservatezza [art.22, comma 1, lettera c) della legge 241.90];</li> <li>proprio al controinteressato alla riservatezza: d.1) va comunicata, dal punto di vista procedimentale, la richiesta di accesso avanzata alla PA, ex art.3 del D.p.R. 184.06; la comunicazione deve avvenire a mezzo raccomandata o per via telematica e ad essa può far seguito, su iniziativa del controinteressato, una opposizione all’accesso, inoltrabile del pari anche per via telematica, fermo restando il potere decisionale finale in capo alla PA destinataria della richiesta ostensiva; d.2) va notificato, dal punto di vista processuale, il ricorso per l’accesso agli atti, come previsto inizialmente dalla giurisprudenza in sede di interpretazione dell’art.21, comma 1, della legge 1034.71, e poi a pena di improcedibilità del ricorso – anche giusta richiamo al precedente art.49 - dal Legislatore all’art.116 del c.p.a., in sede di disciplina <em>ex professo</em> del c.d. “<em>rito accesso</em>”; la giurisprudenza ha chiarito nondimeno come il “<em>controinteressato</em>” rispetto al ricorso in materia di accesso sia non già genericamente chiunque sia in qualche modo lambito dal documento oggetto di ostensione quanto piuttosto, e specificamente, chi vanti una presidiata esigenza di pertinente riserbo; interessante rilevare come la giurisprudenza tenda a “<em>recuperare</em>” in sede processuale quel contraddittorio con il “<em>controinteressato</em>” che pure potrebbe essere stato legittimamente denegato, in sede procedimentale, dall’Amministrazione destinataria della richiesta ostensiva.</li> </ol> <ul> <li></li> </ul>