In tema di legittimazione attiva dell’Autorità garante della protezione dei dati personali, giurisdizione, gli artt. 55-66 del Regolamento (UE) 2016/679 (GPDR), letti in combinato disposto con gli artt. 7,8 e 47 della Carta di Nizza, consentono all’autorità di controllo di uno Stato membro di agire in sede giudiziale dinanzi a un giudice di tale Stato per una presunta violazione del regolamento relativamente al trattamento transfrontaliero dei dati, malgrado essa non sia l’autorità di controllo capofila, a condizione che ciò avvenga nei casi e secondo le procedure previste dal medesimo regolamento. Sono mantenute le azioni legali intraprese prima della vigenza del GDPR.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con il ricorso in trattazione, depositato il 14 ottobre 2020, il Dott. -omissis- – giornalista professionista che presta servizio come inviato presso la testata RAI Sport – e l’organizzazione Unione Sindacale dei Giornalisti RAI “USIGRAI” hanno chiesto l’accertamento del diritto del Dott. -omissis- di accedere a documenti relativi a un episodio occorso all’interno della redazione in data 10 ottobre 2019, nonché l’annullamento del diniego all’accesso a detti documenti comunicatogli dalla RAI con nota del 24 agosto 2020.
1.1.I ricorrenti espongono che in data 26 maggio 2020 il Dott. -omissis- trasmetteva alla RAI un’istanza avente per oggetto “Posizione del Giornalista dott. -omissis-”(doc. 1 produz. ricorrente) rappresentando all’Azienda che:
- a) esisteva una registrazione audio contenente un suo “sfogo […] nei confronti del -omissis-”, scaturito dalla circostanza che quest’ultimo la mattina del 10 ottobre 2019 aveva mandato in onda come opinionista di Rai Sport per il Tg Rai News delle 12.30, non il Dott. -omissis-, secondo la griglia dei turni programmati, ma un altro giornalista;
- b) il Dott. -omissis- era stato messo al corrente dell’esistenza di tale registrazione dal -omissis-, Dott. -omissis-, che nel corso di un incontro riservato avvenuto in data 16 ottobre 2019, inizialmente lo invitava genericamente a moderarsi nell’esprimere i suoi pareri nei confronti dei colleghi e a non usare un linguaggio offensivo e, successivamente, a per via dell’insistenza del Dott. -omissis- onde capire a quale specifico episodio si riferisse tale invito, menzionava specificamente lo sfogo del 10 ottobre. A fronte della risposta del Dott. -omissis-, che negava di aver mai offeso il collega, il -omissis- lo informava di essere venuto in possesso della registrazione dell’episodio avvenuto in redazione e ne avviava la riproduzione, facendola ascoltare al ricorrente, il quale faceva presente che quella registrazione rappresentava, a suo avviso, una grave violazione dei suoi diritti e domandava la consegna immediata di tale materiale;
- c) lo stesso istante, a seguito del colloquio, scriveva una mail al Dott. -omissis-, nella quale gli rappresentava di tenere a che il proprio “percorso aziendale prosegu[isse] senza alcuna macchia disciplinare” e, pertanto, gli chiedeva di “avviare tutte le opportune procedure aziendali per fare chiarezza, laddove necessarie anche disciplinari” ricevendo dal primo rassicurazioni che non era sua intenzione mettere a rischio la limpidezza del suo percorso professionale, ma, semplicemente, invitarlo a moderare le sue reazioni.
Nell’istanza alla RAI sopra riassunta, l’odierno ricorrente chiedeva, dunque, di conoscere:
- a) il nome della persona che, a sua insaputa e senza alcuna autorizzazione, aveva registrato, durante l’orario e nel luogo di lavoro, le parole pronunciate dal giornalista -omissis-;
- b) quali iniziative e provvedimenti la Società intendeva adottare nei confronti di tale persona e, comunque, quali iniziative aveva assunto il datore di lavoro per poterla individuare (ricorda che la Rai ha avuto notizia dell’accaduto già il 21 ottobre 2019 e quindi ha avuto tutto il tempo per attivarsi);
- e) quali fossero le iniziative e i provvedimenti che la resistente Rai intende adottare nei confronti di chi, come il -omissis- -omissis-, ha utilizzato tale registrazione;
- d) quali fossero le iniziative e i provvedimenti che la medesima intende adottare nei confronti di chi ha diffuso (anche se persona diversa dall’autore) tale registrazione;
- e) quali iniziative e provvedimenti la Rai intende adottare per tutelare la sicurezza, la personalità e la professionalità del giornalista -omissis-.
1.2. Con istanza-diffida del 16 luglio 2020 (doc. 2 ricorrente), avente ad oggetto “Posizione del Giornalista dott. -omissis-. Esercizio del diritto di accesso ai sensi dell’art. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”, il Dott. -omissis- riproponeva integralmente le richieste precedentemente avanzate nell’istanza del 26 maggio 2020, chiedendo, inoltre, di prendere visione e di estrarre copia dei seguenti atti:
– la registrazione effettuata il 10 ottobre 2019;
– la nota scritta che il -omissis- -omissis- ha inviato a alla RAI avente ad oggetto l’episodio denunciato;
– tutti i documenti, anche interni, redatti dalla RAI, aventi ad oggetto l’episodio denunciato”.
1.3. Con nota -omissis- in data 24 agosto 2020 (Doc. 2 produz. ricorr.) in riscontro dell’istanza del Dott. -omissis-, la RAI negava l’accesso agli atti e ai documenti richiesti, rappresentando “in via preliminare ed assorbente […] che la fattispecie esula dalle ipotesi in cui la giurisprudenza astrattamente ammette, per i dipendenti di un gestore di pubblico servizio, l’esercizio del diritto di accesso ai sensi della 1. 241/1990 nell’ambito del rapporto di lavoro con essi intrattenuto”.
- Avverso il diniego di accesso assunto con la citata nota insorgono il dott. -omissis- e l’Organizzazione sindacale USIGRAI proponendo il ricorso in trattazione premettendo che la legittimazione e l’interesse a ricorrere di USIGRAI, sarebbero, “incontestabili […] perché la motivazione del provvedimento impugnato, lede direttamente gli interessi dell’intera categoria dei Giornalisti Rai, alla cui tutela USIGRAI è preposta”.
Con unico motivo di diritto i ricorrenti rubricando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 22 e 24 della legge n. 241/1990 e s.m.i.” (pp. 14 sgg.) avversano i motivi ostativi illustrati dalla RAI in sede di rigetto della domanda d’accesso, lamentando che:
– la documentazione richiesta non sarebbe sottratta al diritto di accesso da parte del dipendente, in quanto “tale documentazione esula totalmente dalle tipologie sottratte all’accesso ex art. 24 della legge 241/1990”;
– il diniego opposto dalla RAI sarebbe altresì ingiustificato “proprio sulla base di quella consolidata giurisprudenza di codesto Giudice Amministrativo che invece, secondo la genericissima allegazione della RAI, osterebbe all’accoglibilità dell’istanza”..
2.1 Si costituiva in giudizio la RAI con atto formale del 27 ottobre 2020 poi depositando memoria defensionale il 28 dicembre 2020, a cui il ricorrente dott. -omissis- replicava con memoria prodotta il 30 dicembre 2020.
2.2. Alla Camera di consiglio del 13 gennaio 2021, udita la discussione dei procuratori delle parti costituite, intervenuti in videoconferenza da remoto, la causa veniva trattenuta a sentenza.
- Sintetizzando il contenuto dell’istanza di accesso all’esame del Collegio, può precisarsi che con essa il dott. -omissis- chiedeva che gli venisse dato accesso:
– al testo della registrazione audio (che gli è stata fatta meramente, senza preavviso e solo per una volta, ascoltare dal Dott. -omissis-, suo -omissis- -omissis-, nel corso dell’incontro del 16 ottobre 2019), con la quale è stata carpita da qualcuno, a sua insaputa e quindi ovviamente senza il suo consenso, e poi sempre abusivamente inoltrata al Dott. -omissis-, una conversazione del 10 ottobre 2019 in cui lo stesso Dott. -omissis-, nei locali della Redazione RAI in cui presta servizio, parlava del suo -omissis-, criticandone l’operato in relazione ad uno specifico episodio lavorativo;
– alla nota scritta che il Dott. -omissis-, nella sua qualità di -omissis- della testata RAI cui il Dott. -omissis- appartiene, ha redatto in relazione a tale registrazione audio ed inviato ai competenti Organi della RAI;
– ad ogni altro eventuale documento, ad uso sia interno sia esterno, che la RAI abbia formato in relazione all’episodio in questione.
3.1. Conviene anticipare che trattasi di atti che si connotano per una indubbia inerenza e attinenza nonché per un immediato collegamento con profili organizzativi della gestione del servizio pubblico televisivo, contrariamente a quanto la difesa della RAI ha sostenuto nella memoria difensiva prodotta il 28 dicembre 2020 nonché nel corso della discussione di Camera di consiglio svoltasi in videoconferenza da remoto.
Il che ad avviso del Collegio impone l’accoglimento del ricorso anche a voler seguire la riduttiva e restrittiva opzione che la RAI propugna in ordine all’interpretazione della condizione limitante l’assoggettamento dei soggetti privati alla disciplina dell’accesso per via dell’assimilazione dei medesimi alle pubbliche amministrazioni disegnata all’art. 22,co. 1 lett. e) della l. 7 agosto 1990, n. 241.
Alle argomentazioni che seguono è affidata la compiuta illustrazione delle ragioni di diritto, con richiamo alle notazioni di fatto appuntate sul contenuto dell’istanza per cui è causa, che inducono alla formulazione della tratteggiata conclusione.
- Deve anzitutto essere chiarito che il diritto di accesso ai documenti e agli atti formati o stabilmente detenuti da una pubblica amministrazione o da un privato gestore di un pubblico servizio non può ritenersi a priori escluso o da escludere qualora l’ordinamento giuridico complessivamente considerato appresti, in altri settori, strumenti paralleli ed alternativi, retti da apposite regole, che prevedano il diritto per il privato di accedere agli atti che lo interessano, stabilendo all’uopo condizioni e presupposti, di talché possa fondatamente sostenersi che egli, ove l’accesso ad essi cada sotto la disciplina di quel determinato ordinamento, sia tenuto ad azionare il diritto d’accesso sulla base di tale specifica disciplina di settore e non possa, quindi, avvalersi del diritto d’accesso normato dagli artt. 22 e seguenti della l. n. 241/1990.
Qualora, infatti, un atto o documento la cui visione sia strumentale alla tutela di una posizione giuridicamente rilevante ai sensi della l. n. 241/1990, formi oggetto anche di disciplina – e tutela, nella ricorrenza delle relative condizioni – in altri rami del diritto, nei quali l’accesso è sottoposto a differente regolamentazione e a presupposti e condizioni differenti, l’amministrazione detentrice del medesimo atto assoggettata all’accesso ex l. 241/1990, non può sottrarsi ai suoi obblighi di ostensione (ove predicabili a termini degli artt. 22, ss. l. cit.) sol perché l’atto stesso formi oggetto anche di tutela e disciplina in altri ambiti dell’ordinamento.
4.1. Ambedue i settori dell’ordinamento disciplinano, infatti, autonomamente il diritto di accesso sulla base di regole proprie che ammettono o escludono il diritto di accedere al medesimo documento, senza reciproche interferenze o ingerenze poiché quelle regole, interne a ciascuno dei due settori ordinamentali di disciplina del diritto di accesso, costituiscono due distinti ed indipendenti microcosmi.
La ragione che sottende la previsione, in ciascun settore, di distinte e parallele regolamentazioni dell’accesso allo stesso documento o atto, risiede nel fatto esso presenta diversi livelli di interesse per l’ordinamento giuridico, il quale proprio in ragione della contestuale rilevanza del documento nei due distinti settori, contempla e detta due autonome regolamentazioni delle condizioni, dei presupposti e delle esclusioni del diritto di accedere al medesimo atto, senza che, tuttavia, l’ordinamento avverta l’esigenza di consentire l’esercizio del diritto stesso in via alternativa, imponendo, cioè, al privato di avvalersi dell’uno o dell’altro canale ordinamentale per accedere al medesimo documento.
L’esistenza di due diversi settori di regolamentazione dell’accesso al medesimo documento è, infatti, indice della contemporanea rilevanza dello stesso documento (e degli interessi che l’esercizio di esso involge) per i due settori ordinamentali, non certo della vicendevole esclusione dei due livelli di tutela di modo che l’amministrazione possa negare il diritto di accesso ex art. 22, l. n. 241/1990 perché il documento è accessibile al privato interessato attraverso il parallelo canale disciplinato dall’altro settore regolatorio.
4.2. Il plesso normativo definito agli artt. 22 e seguenti della legge sul procedimento – e relativi regolamenti attuativi – si connota infatti per autosufficienza regolatoria: non può, invero, la p.a. opporre al privato, per l’accesso ad un atto da essa formato o detenuto, la concomitante previsione di un differente e parallelo corpus di disciplina, del diritto d’accesso allo stesso documento, dettato da un altro settore ordinamentale.
L’amissione o l’esclusione del diritto di accedere a un documento vanno infatti rinvenute interamente nel corpus normativo del Capo V della l. 7 agosto 1990, n. 241, il quale come precisato, è caratterizzato da un principio che può essere definito di autosufficienza regolatoria, nel senso che la regula iuris in forza della quale consentire o escludere il diritto all’accesso va ricercata unicamente nelle disposizioni dettate dagli artt. 22 e ss. della legge; nei quali, invero non è menzionata, tra le ipotesi di esclusione del diritto di accesso contemplate all’art. 24 dedicato appunto alla “Esclusione del diritto di accesso” l’esistenza di una parallela previsione di altro ramo dell’ordinamento del diritto di accedere allo stesso documento.
4.2.1.Conseguentemente, con attinenza al caso all’esame del Collegio, non può l’amministrazione detentrice del documento oggetto della richiesta di accesso del privato, nella specie la RAI, opporre che quel documento – nella specie la fonoregistrazione delle esternazione del ricorrente nei confronti del -omissis- – è stato acquisito dall’autorità giudiziaria requirente o ad essa trasmesso, alla quale quindi l’istante debba rivolgersi assoggettandosi conseguentemente alla regolamentazione dettata dal Codice di procedura penale, che consente all’indagato di accedere agli atti del fascicolo del pubblico ministero solo dopo la chiusura delle indagini e il relativo avviso (art. 415bis c.p) e alla persona offesa dal reato dopo la presentazione della richiesta di archiviazione e il relativo avviso (art. 408, co. 3, c.p.p.).
4.3. Non risulta infatti condivisibile, ad attento esame del disposto dei commi 6 e 7 dell’art. 24, l. n. 241/1990 l’orientamento non recente della giurisprudenza, secondo cui “non sono ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti afferenti ad informative penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad eventuali indagini in corso, etc. in quanto relative ad un (eventuale) procedimento penale e rientranti perciò nella esclusiva disponibilità dell’organo requirente procedente (Cfr., da ultimo TAR Sicilia, Palermo, n. 60 del 18.1.2005)” (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. II quater, 14/5/2007, n. 4346).
Invero, l’esclusione del diritto di accesso nelle ipotesi indicate dall’art. 24, comma 6 e disciplinate con l’apposito regolamento governativo da esso previsto, qualora i documenti costituiscano oggetto di indagine penale (ipotesi indicata alla lett. c) del comma 6 in esame) è già contemplata, a mente di tale comma, in ben definiti termini restrittivi, vale a dire “quando i documenti riguardino…le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative (…), all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”.
Posta siffatta regola di esclusione, già enunciata in termini di stretta strumentalità all’identità delle fonti di informazione e all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini, il successivo comma 7 dell’art. 24 della L. n. 241/1990, contrappone comunque a tale già tassativa esclusione, una rilevante eccezione, prevedendola come operante in via generale ogni qualvolta la conoscenza dei documenti amministrativi sia necessaria per curare o difendere interessi giuridici dei richiedenti l’accesso.
Stabilisce, infatti, testualmente il comma 7 dell’art. 24 che “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.” (poi precisando che nel caso di documenti contenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è limitato alla stretta indispensabilità e in caso di dati atti a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale è consentito nei termini di cui all’art. 60, d.lgs. n. 196/2003).
4.4. La delineata eccezione all’esclusione del diritto di accesso prevista nelle ipotesi indicate dall’art. 24, comma 6, è significativamente denominata in dottrina e in giurisprudenza “accesso difensivo” e deve ritenersi operante per tutti i casi in cui vige, in tali ipotesi, la parimenti generale regola dell’esclusione.
L’omnicomprensivo e indifferenziato tenore del comma 7 dell’art. 25, che infatti non limita l’applicazione della regola ostensiva da esso istituita, ad una specifica lettera del comma 6, induce a ritenere che detta regola abbracci tutti i casi di esclusione indicati dal comma 6.
4.4.1.Giova evidenziare che la sussistenza e la anzidetta portata generale della garanzia dell’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere interessi giuridici dei richiedenti, è confermata dalla giurisprudenza, che facendo leva sull’espressa clausola di salvezza ovvero di prevalenza, comunque, dell’accesso documentale finalizzato a curare o difendere proprio interessi giuridici, ha deciso che il diritto di prendere visione di documenti al delineato fine, deve essere comunque garantito all’interessato anche nei casi di esclusione del diritto d’accesso previsti dal comma 6 (tra i quali la pendenza di procedimento penale ma comunque limitatamente alle “azioni strettamente strumentali alla repressione della criminalità con particolare riferimento alla identità delle fonti informative e all’attività di polizia giudiziaria e conduzione delle indagini; la vita privata e la riservatezza delle persone, etc.).
Il Giudice amministrativo condivisibilmente ha infatti, anche di recente, letto in tali sensi il rapporto tra il comma 6 sulle esclusioni del diritto di accesso e il comma 7 dell’art. 24, istituente una regola di prevalenza del diritto all’ostensione dei documenti finalizzata alla tutela giurisdizionale pur nei casi di esclusione, chiarendo che “L’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, nel prevedere, immediatamente dopo l’individuazione ad opera del comma 6 dei documenti sottratti all’accesso, che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici “, ha sancito la tendenziale prevalenza del c.d. ‘accesso difensivo’ anche sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale delle parti controinteressate, sicché il problema del bilanciamento delle contrapposte esigenze delle parti, diritto di accesso e di difesa, da un lato, e diritto di riservatezza dei terzi, dall’altro, deve essere risolto dando prevalenza al diritto di accesso qualora sia strumentale alla cura o alla difesa dei propri interessi giuridici. L’ordinamento italiano non consente dubbi circa la prevalenza del diritto all’accesso agli atti per fini difensionali, rispetto alle eventuali contrapposte esigenze di riservatezza delle informazioni” (T.A.R. Veneto, Sez. III, 26/07/2019, n.894).
Sulla stessa linea esegetica si è evidenziato che “All’accesso defensionale ovvero all’accesso documentale propedeutico alla migliore tutela delle proprie ragioni in giudizio, è riconosciuta dall’ordinamento una tutela preminente atteso che, per espressa previsione normativa, l’interesse con esso perseguito prevale anche su eventuali interessi contrapposti (…)Il legislatore ha in tal senso operato, ab origine, una valutazione di prevalenza dell’interesse ostensivo, ove connesso alla necessità di curare ovvero difendere i propri interessi giuridici, rispetto agli interessi, pubblici e privati, eventualmente antagonisti così legittimando l’accesso in ragione della preminenza, in una scala gerarchica di valori, delle prospettate esigenze defensionali e ciò, indipendentemente dalla fondatezza, nel merito, delle proprie ragioni” (T.R.G.A. Trentino Alto Adige – Trento, 29/06/2020, n.95).
Opzione espressa anche da questo Tribunale secondo cui “Atteso che il diritto di difesa rientra tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in quanto intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia e inteso ad assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio, l’esercizio dell’accesso difensivo, se può tollerare l’esplicazione da parte dell’Amministrazione dell’autonomia decisionale che le compete nell’ambito della sua potestà discrezionale, non può conciliarsi con una negazione in via assoluta dell’ostensione della documentazione, laddove l’accesso si renda necessario per difendere interessi giuridici di chi ne abbia legittimamente titolo.” (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I, 4/2/2020, n. 1470).
4.4.2. In tali evenienze, precisa il Collegio che occorre comunque che l’accesso difensivo sia rigorosamente collegato a un interesse del richiedente non generico ma specifico all’ostensione del documento al fine di tutelare i suoi interessi giuridici in uno specifico giudizio, dovendo l’istante far emergere “la corrispondenza e il collegamento tra la situazione che si assume protetta e il documento di cui si invoca la conoscenza”(cfr. la Sezione: T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, 7/01/2021, n.187).
4.5. In applicazione di questi principi la RAI, pertanto, non può negare al ricorrente l’accesso al file audio contenente il suo “sfogo” verso il -omissis-, illecitamente registrato nella sala studio, adducendo che tale file è in possesso dell’autorità giudiziaria. Deve infatti indagarsi se quel documento che è comunque nella disponibilità della Rai essendone stata avviata la riproduzione dal -omissis- -omissis- al cospetto del dott. -omissis-, è ostensibile o sottraibile all’accesso secondo le disposizioni di cui agli artt. 22, 23, 24, l. n. 241/1990. Ciò per la dirimente ragione, più sopra lumeggiata, che l’art. 24 della L. n. 241/1990 non contempla tra i casi di esclusione del diritto di accesso, la contemporanea detenzione del documento da parte di altra amministrazione o autorità dello Stato.
4.6. La riprova dell’esattezza dell’opzione ermeneutica ora esposta è data dalla coesistenza nel diritto amministrativo sostanziale e processuale, di due contestuali e distinte previsioni del diritto d’accesso, tra loro non escludentisi: il Capo V, artt. 22, ss. l. n. 241/1990 e l’art. 116, co. 2, c.p.a., norme che definiscono facoltà non affermabili in situazione di concorso alternativo ma cumulativo in guisa che l’una non elide o esclude l’altra, anche perché ciascuna è soggetta ai rispettivi presupposti stabiliti dal legislatore.
Il Tribunale richiesto di accesso in corso di causa ex art. 116 co. 2, c.p.a. non può rigettare tale istanza sul rilievo che il ricorrente debba domandare l’accesso all’amministrazione che detiene il documento la cui esibizione sia strumentale ai fini del decidere la causa e solo in seconda battuta adire il giudice con il ricorso e il rito in materia di accesso ex art. 116. co.1. c.p.a., ma deve valutare l’istanza di cui all’art. 116 co. 2, c.p.a al lume delle necessità istruttorie di acquisizione dei relativi documenti in dipendenza dalle censure svolte.
Per converso, l’amministrazione destinataria di istanza di accesso ad un atto che l’istante affermi essere strumentale alla tutela di un suo interesse giuridicamente rilevante, non può respingerla adducendo che il richiedente, ove si determini a tutelare giudizialmente la sua situazione soggettiva, può domandare al giudice l’acquisizione del documento stesso.
4.7. L’esistenza di una via processuale di soddisfazione del diritto di accesso non esime, dunque, l’amministrazione, dall’obbligo di vagliare l’istanza in base alle disposizioni di cui agli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 e di accoglierla se essa è motivata a termini dell’art. 23 (o differirla se ciò sia sufficiente agli interessi dell’amministrazione in luogo del diniego) e non ricorre alcuna delle ipotesi di esclusione contemplate all’art. 24 (anche per rinvio ai casi previsti con regolamento governativo ex art. 17, co. 2 l. n. 400/1988 in riferimento alle ipotesi già delineate normativamente alle lettere a) – e) del comma 6 dell’art. 24.
Si è espressa del resto negli stessi sensi l’Adunanza Plenaria disegnando la cumulatività e correlativa non esclusione del diritto d’accesso ex art. 22 ss. L. n. 241/1990 in conseguenza dell’esercizio del potere istruttorio di acquisizione del giudice civile in materia di diritto di famiglia, statuendo infatti, che “L’accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari, può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri istruttori del giudice civile contemplati dagli art. 155 sexies disp. att. c.p.c. e 492 bis c.p.c. , nonché, più in generale, dalla previsione e dall’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio del giudice civile nei procedimenti in materia di diritto di famiglia.” (Consiglio di Stato ad. plen., 25 settembre 2020, n. 21).
- Sul piano soggettivo, relativo alla ricognizione delle situazioni giuridiche e dei fini a cui deve essere preordinata la domanda di accesso, la giurisprudenza, com’è noto, esalta la consistenza sostanziale autonoma del diritto d’accesso, disancorandola dal legame immediato con la tutela giurisdizionale della situazione giuridica e con la pienezza stessa della tutela.
Si è precisato al riguardo che “7.13. Questo Consiglio di Stato ha già chiarito, infatti, che la disciplina dell’accesso agli atti amministrativi non condiziona l’esercizio del relativo diritto alla titolarità di una posizione giuridica tutelata in modo pieno, essendo sufficiente il collegamento con una situazione giuridicamente riconosciuta anche in misura attenuata.
7.14. La legittimazione all’accesso va quindi riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita, distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto.” (Consiglio di Stato sez. III, 27/07/2020,n.4771; in tal senso anche T.A.R. Valle d’Aosta, 16/11/2020, n.58).
Anche la Sezione ha enunciato il medesimo principio puntualizzando che “La legittimazione all’accesso agli atti va riconosciuta a chi è in grado di dimostrare che gli atti oggetto dell’accesso hanno prodotto o possano produrre effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, a prescindere dalla lesione di una posizione giuridica” (T.A.R. Lazio – Roma, sez. III, 1/6/2020, n.5785).
5.1. In termini più generali, va ricordato che da tempo la giurisprudenza richiede ai fini della integrazione del presupposto legittimante l’esercizio del diritto di accesso, l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante del soggetto richiedente, non necessariamente consistente in un interesse legittimo o in un diritto soggettivo, purché comunque giuridicamente tutelato, nonché un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l’ostensione. Nesso di strumentalità che deve, peraltro, essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante (T.A.R. Campania – Napoli, n. 456/2020; TAR Lombardia – Brescia, n. 55/2017; Consiglio di Stato, Sez. V, 10 gennaio 2007, n. 55).
Non si richiede, invece, la prova della lesione attuale di una situazione giuridica soggettiva di diritto o interesse legittimo, né l’attualità di un giudizio (Consiglio di Stato, Sez. V, 5 agosto 2020, n. 4930; Cons. Stato Sez. VI, 28/01/2013, n. 511; in terminis anche la Sezione: T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, 22 luglio 2020, n. 8580, ID, 1/06/2020, n. 5785 ) stante l’autonoma consistenza del diritto di accesso rispetto alla situazione giuridica retrostante alla cui tutela è preordinato.
5.2..Da ciò discende che la Rai non può opporre all’accoglimento della domanda d’accesso de qua agitur, l’attuale inesistenza di iniziative intraprese o atti pregiudizievoli assunti nei confronti del dott. -omissis-, non occorrendo, come ampiamente testé illustrato, che l’istante dia prova della esistenza di una lesione attuale e quindi dell’imminenza di un giudizio che egli si appresti a promuovere per riparare tale lesione.
5.2.1.. Il bene della vita che innerva e sottende il diritto di accesso ai documenti amministrativi è, infatti, autonomo, ha spessore e consistenza sostanziale ed è sganciato dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva incisa.
5.3. Del pari incontestabili sono i requisiti di personalità e concretezza nonché di attualità, dell’interesse fatto valere dal dott. -omissis-; caratteri che affiorano da tutto l’insieme delle doglianze che fondano la sua richiesta di accesso, le quali si prospettano concretamente imperniate sulla sua postergazione rispetto al collega divenuto affidatario della conduzione del programma sportivo in questione. L’istante inoltre evidenziava nella domanda che quella registrazione rappresentava una grave violazione dei suoi diritti e domandava la consegna immediata di tale materiale.
Il che sostanzia un indubbio carattere di concretezza ed attualità oltre che personalità dell’interesse sostanziale posto a base della denegata istanza.
Inoltre, nella email inviata al dott. -omissis- il deducente rappresentava di tenere a che il suo “percorso aziendale prosegu[isse] senza alcuna macchia disciplinare” e, pertanto, gli chiedeva di “avviare tutte le opportune procedure aziendali per fare chiarezza, laddove necessarie anche disciplinari”.
- Ancora sul versante soggettivo, conviene brevemente riepilogare che ai fini dell’accesso ai documenti amministrativi, l’art. 22, comma 1, lett. b) della legge n. 241 del 1990, come modificata dalla legge n. 15 del 2005, richiede la titolarità di “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
- Sul piano oggettivo, concernente gli atti accessibili, l’art. 22, co. 3 stabilisce che “tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad eccezione di quelli indicati all’art. 24 c. 1, 2, 3, 5 e 6”; l’art. 24, al comma 7 più sopra esaminato trattando del c.d accesso difensivo, precisa che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
7.1. Con riguardo agli atti formati o stabilmente detenuti da un soggetto dalla veste formale privatistica ma gestore, quale la resistente RAI, di un pubblico servizio, la giurisprudenza assoggetta all’accesso gli atti inerenti la gestione del rapporto di lavoro privatistico intercorrente con tali enti, affermando – contrariamente a quanto si sostiene nell’impugnato provvedimento di diniego della RAI del 24 agosto 2020 -omissis- – che “l’attività amministrativa, alla quale gli artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990 correlano il diritto d’accesso, ricomprende, non solo, quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato, posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità derivante, anche sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica” (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 22/07/2015, n.1775 con richiamo a T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 7 settembre 2012, n. 2251).
Aveva enunciato questo principio già il Giudice d’appello, secondo cui gli atti di gestione del rapporto di lavoro privatizzato, che hanno natura giuridica privata, ma che sono funzionali all’interesse pubblico curato dal datore di lavoro, rientrano nel novero degli atti accessibili da parte dei soggetti interessati, ovvero dei lavoratori dipendenti dalle Poste (Consiglio di Stato, VI, 12 marzo 2012, n. 1403). Si era già espressa in tal senso la giurisprudenza di primo grado secondo cui “anche documenti giuridicamente di natura privatistica, come debbono ritenersi tutti quelli attinenti al rapporto di impiego pubblico c.d. privatizzato presso pubbliche amministrazioni, sono accessibili attesa la loro intima connessione e funzionalizzazione all’esercizio di funzioni pubbliche” (T.A.R. Toscana, Sez. II, 18 novembre 2005, n. 6458)
Segnala il Collegio che la Sezione si è posta sulla stessa linea ermeneutica, avendo statuito, in materia di atti assunti da Poste italiane S.P.A. nell’ambito dell’attività di diritto privato, che “L’art. 22 lett. d) , l. n. 241 del 1990 prevede che il documento di cui si chiede l’ostensione concerna attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale e, coerentemente, l’art. 22, lett. e) , prevede che anche i soggetti di diritto privato rientrano tra i soggetti obbligati all’ostensione, peraltro, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. Pertanto, nella nozione di attività amministrativa, cui gli artt. 22 e 23, l. n. 241 del 1990 correlano il diritto di accesso, deve comprendersi non solo quella di diritto amministrativo in senso stretto, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi.” (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, 1/02/2013, n. 1153).
Non rinviene il Collegio ragioni per discostarsi da questo precedente, che è in linea con l’orientamento dominante della giurisprudenza amministrativa.
Rai S.P.A condivide, infatti, con Poste Italiane S.p.a. la veste formale privatistica e l’attività di erogazione e gestione di un servizio pubblico; non v’è quindi ragione per non ritenerla soggetta al diritto di accesso anche relativamente agli atti di gestione del rapporto di lavoro dei suoi dipendenti, qual è, nella fattispecie che occupa il dott. -omissis-, giornalista dipendente della RAI.
- Quanto ai presupposti e alla latitudine delle posizioni soggettive ammesse a tutela, cui è finalizzata la domanda di accesso costituendone il profilo motivazionale, il Consiglio di Stato ha condivisibilmente disegnato la consistenza delle posizioni stesse nonché i fini che sottendono il diritto di accesso: “La Pubblica amministrazione deve consentire all’istante l’accesso al documento amministrativo se questo contiene notizie e dati che, secondo quanto esposto dall’istante nonché alla luce di un esame oggettivo, attengono alla situazione giuridica tutelata (ad esempio, la fondano, la integrano, la rafforzano o semplicemente la citano) o con essa interferiscono in quanto la ledono, ne diminuiscono gli effetti, o ancora documentano parametri, criteri e giudizi, rilevanti al fine di individuare il metro di valutazione utilizzato; di conseguenza, una volta accertato il collegamento, ogni altra indagine sull’utilità ed efficacia in chiave difensiva del documento, od ancora, sull’ammissibilità o tempestività della domanda di tutela prospettata, è sicuramente ultronea, così come è ultronea l’indagine sulla natura degli strumenti di tutela disponibili, poiché essi possono essere giurisdizionali, ma anche amministrativi, e finanche di natura non rimediale (come potrebbe essere semplicemente la costruttiva partecipazione ad un procedimento amministrativo, ad ex art. 10 bis, l. 7 agosto 1990, n. 241) o sollecitatoria (ad es. la richiesta di annullamento in autotutela di un provvedimento amministrativo)” (Consiglio di Stato sez. IV, 13/03/2014, n.1211).
8.1. Non può pertanto può essere seguita la linea difensiva svolta sul punto dalla RAI e ribadita anche nel corso della discussione di Camera di consiglio svolta in videoconferenza da remoto, affidata all’argomento secondo cui i soggetti di diritto privato concessionari di servizio pubblico sono sottoposti agli obblighi di accesso solo ove emerga e si appalesi un legame di strumentalità tra l’oggetto della richiesta di accesso e il pubblico servizio, nella specie, radiotelevisivo.
L’assunto difensivo svolto dalla difesa della RAI nella memoria prodotta per la Camera di consiglio, fa perno sulla locuzione normativa circoscrivente l’equiparazione di tali società formalmente private alla pubblica amministrazione in senso stretto, “limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” (art. 22, co. 1, lett. e) l. n. 241/1990).
La Rai invoca a supporto la giurisprudenza di questo T.A.R. secondo cui i gestori di pubblici servizi sono soggetti alla disciplina in materia di accesso agli atti solo per i profili che presentino un “nesso di strumentalità derivante dalla intensa conformazione pubblicistica” (in particolare, secondo TAR Lazio, Roma, Sez. III, 30 ottobre 2019, n. 12486).
- La riassunta prospettazione difensiva non può essere dal Collegio condivisa.
In primis poiché la sentenza della Sezione n. 12846/2019 invocata dalla RAI non è dirimente, atteso che il “nesso di strumentalità derivante dalla intensa conformazione pubblicistica” ivi indicato, ad avviso del Collegio è nella specie ravvisabile, come si argomenterà in appresso.
In secundis, poiché la Sezione più di recente ha assoggettato la gestione e l’organizzazione, del rapporto di lavoro dei giornalisti della RAI alla disciplina del diritto d’accesso ex att. 22, ss. L. n. 241/1990 enunciando, con richiamo già a precedenti del 2018 e 2019, posizioni di principio (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, 16 novembre 2020, n.12977) di seguito illustrate, che vanno qui ribadite e collimano con quanto si viene ad argomentare.
9.1. In terzo luogo – ma non per ordine decrescente di rilievo giuridico – segnala il Collegio che le più recenti decisioni di secondo grado rese sulla specifico tematica dell’assoggettamento dei soggetti di diritto privato – nella specie gestori di pubblici servizi – alle norme sulla trasparenza e gli obblighi di ostensione – non richiedono più ai fini de quibus l’emersione dell’addotto nesso di strumentalità dell’atto o documento colpito dall’istanza di accesso rispetto alla gestione o erogazione del pubblico servizio, condivisibilmente degradando, in una avvertita e plausibile ottica di trasparenza, siffatto nesso di strumentalità ad un più costituzionalmente orientato nesso di “attinenza o comunque di collegamento” tra l’atto oggetto di istanza di accesso e l’attività di pubblico interesse. Tantum sufficit a predicare l’assimilazione del soggetto di diritto privato alla pubblica amministrazione, ergo l’assoggettamento alla disciplina di cui al Capo V, sull’accesso ai documenti amministrativi dettata agli artt. 22 e ss. della legge sul procedimento.
Invero, il Consiglio di Stato, in una fattispecie in cui si controverteva sull’ostensibilità di documenti di natura contabile formati da una società costituita ai sensi del d.lgs. n. 190 del 2002, operante su mandato di ANAS S.p.A. e deputata allo svolgimento della funzione di soggetto attuatore unico per la realizzazione del progetto infrastrutturale “Quadrilatero” assumendo i compiti di stazione appaltante ai sensi delle disposizioni europee e nazionali sui contratti pubblici, ha di recente puntualizzato come “Vale rammentare, in termini generali, che il diritto di accesso riguarda non solo i soggetti di diritto pubblico, ma anche quelli di diritto privato, in relazione alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario (cfr. art. 22, comma 1 lettera e) l. n. 241 del 1990, in correlazione all’art. 1, comma ter): esso include, inoltre, non solo l’attività propriamente amministrativa posta in essere dalle pubbliche amministrazioni, ma anche gli atti di diritto privato posti in essere da soggetti diversi dagli enti pubblici, attinenti o comunque collegati alla attività di pubblico interesse svolta (art. 22, comma 1 lettera d) l. n. 241 del 1990 e cfr. ex multis, Cons. Stato, IV, 20 ottobre 2016, n. 4372)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 5 agosto 2020, n. 4930, p. 2).
9.2. Delineato dunque in termini di attinenza o comunque di collegamento, il nesso tra gli atti di diritto privato con l’attività di pubblico servizio, il Consiglio, confermando la sentenza di questo Tribunale, (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I, n. 5365 del 2019) ha precisato che “Quadrilatero svolge dunque (peraltro esclusivamente) attività che è incontestabilmente “attività di interesse pubblico”, disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” e che l’istanza di accesso concerneva documenti “comunque attinenti” all’attività di pubblico interesse svolta dalla predetta società, sebbene trattavasi di atti di diritto privato: “Ciò posto, l’istanza di accesso avanzata dal Consorzio appellato ha ad oggetto documenti che sono stati “formati” o sono “detenuti stabilmente” dalla stessa Quadrilatero nella sua qualità di soggetto aggiudicatore ai sensi dell’art. 176 del d.lgs. n. 163 del 2006 e che, con evidenza, attengono alla ridetta attività di interesse pubblico: di tal che la circostanza che si tratti di documenti di natura strettamente privatistica (contratti, fatture, atti contabili et similia), non ne impedisce l’ostensibilità”( Consiglio di Stato, Sez. V, 5 agosto 2020, n. 4930, p. 2).
La sentenza d’appello in disamina richiama del resto il precedente di cui a Cons. di Stato, Sez. IV, 20 ottobre 2016, n. 4372 che già aveva qualificato il delineato nesso tra documenti e attività di pubblico interesse, in termini di “atti concernenti attività di pubblico interesse”, esprimendosi in sensi ancor più marcati all’insegna della più ampia ostensione documentale.
Il Consiglio ebbe infatti a sancire l’obbligo di consentire l’accesso da parte di una società di gestione di uno scalo aeroportuale, affermando:“2.3.1.Va del pari disattesa ogni considerazione incentrata sulla legittimazione passiva della società gestore dello scalo aeroportuale” stante “il sicuro rilievo pubblicistico dell’attività dalla stessa espletata (si veda Consiglio di Stato sez. IV 09 febbraio 2015 n. 661 ) la “neutralità” della forma rivestita dall’ente che tali funzioni esercita, unitamente alla considerazione per cui (Consiglio di Stato, sez. III, 31/03/2016, n. 1261) ai sensi dell’art. 22 comma 1, l. 7 agosto 1990, n. 241 atti amministrativi soggetti all’accesso sono anche gli atti interni concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale, allo scopo di assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’azione amministrativa”.
9.3. Inoltre, con specifico riguardo al tema dell’ostensione di atti relativi al rapporto di lavoro, merita di essere evidenziato che questo T.A.R. riconosce il diritto d’accesso anche agli atti di gestione del rapporto di lavoro privatistico di dipendenti di soggetti privati gestori di un pubblico servizio, ritenendo tale rapporto di rilevanza pubblicistica, e la sua gestione strumentale al servizio pubblico.
Si è infatti di recente condivisibilmente sancito che “L’attività di ANAS S.p.A. relativa alla gestione del rapporto di lavoro con i propri dipendenti, deve ritenersi strumentale al servizio pubblico gestito” e che “Inoltre, il rapporto di impiego che lega l’interessata al suddetto gestore di pubblico servizio può ritenersi di rilevanza pubblicistica, che attrae alla disciplina del diritto di accesso qualunque documento, anche di natura privatistica, che sia funzionalizzato all’esercizio di poteri lato sensu amministrativi.” (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I, 24 luglio 2020, n. 4212; in termini anche T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III ter, 23 ottobre 2019 n. 12172).
Orientamento già espresso dalla giurisprudenza, efficacemente precisandosi che “è pertanto soggetta alla disciplina in tema di accesso anche l’attività di organizzazione delle forze lavorative, in quanto attività strumentale alla gestione del servizio pubblico affidato al gestore, a nulla rilevando la natura privatistica degli atti di gestione del rapporto di impiego, dovendosi dunque convenire che anche gli atti incidenti sulle posizioni del personale devono essere sottoposte all’esercizio del diritto di accesso siccome potenzialmente incidenti sulla qualità del servizio stesso.” (T.A.R Emilia Romagna – Bologna, Sez. I, 30/07/2014, n. 806; sulla stessa linea, T.A.R. Calabria – Catanzaro, Sez. II, 07/02/2011, n.163 che ha riconosciuto il diritto d’accesso anche a dipendenti di un gestore di pubblico sevizio – Poste Italiane S.p.A. – cessati dal servizio)
- Dai ricostruiti condivisi approdi giurisprudenziali consegue che non appare risolutivo acclarare se il file contenente la registrazione dello “sfogo” del ricorrente ed entrato nella disponibilità del -omissis- (nonché gli altri documenti oggetto della domanda di accesso) si caratterizzi per profili di inerenza e strumentalità con il pubblico servizio radiotelevisivo erogato e gestito dalla resistente RAI S.P.A. atteso che i fattori rilevanti, determinanti l’obbligo di ostensione, sono da un lato la circostanza che i documenti siano “attinenti o comunque collegati alla attività di pubblico interesse svolta” dal soggetto formalmente privato ma gestore di un servizio pubblico
Dall’altro la considerazione che il rapporto di lavoro del dipendente del gestore di un servizio pubblico ha rilevanza pubblicistica, e la sua gestione è strumentale al servizio pubblico.
10.1. Né, sottolinea il Collegio, potrebbe obiettarsi che debba trattarsi di documenti realizzati dal gestore del pubblico servizio, nel caso di specie, dalla RAI resistente (il file audio per cui si controverte, in effetti non è stato realizzato dalla RAI nello svolgimento della sua attività istituzionale, ma probabilmente creato da un dipendente che ha agito motu proprio; eppure acquisito, detenuto e utilizzato dal -omissis-) bastando all’uopo, che il gestore stesso li detenga.
Anche sul punto la decisione d’appello sopra richiamata si pronuncia, precisando che “il diritto di accesso ai documenti amministrativi è, infatti, riconosciuto nei confronti dei soggetti che abbiano la materiale e stabile disponibilità dei documenti (cfr. art. 22, comma 1 lettera d) l. n. 241 del 1990), indipendentemente dalla circostanza che abbiano o meno concorso a formarli.” (Cons. di St., V, n. 4930/2020 cit. p. 2 ad finem).
10.2. Orbene, la disponibilità dell’audio per cui è causa, è provata dal fatto che, come riferisce il ricorrente nella sua istanza diffida del 16 luglio 2020 (doc. 2 produz. ricorr.) stante la sua negazione di aver mai offeso il collega, il -omissis- di RAI sport lo informava di essere venuto in possesso della registrazione dell’episodio avvenuto in redazione e ne avviava la riproduzione, facendogliela ascoltare.
Afferma infatti il ricorrente nella istanza diffida, senza essere sul punto contraddetto dalla RAI nell’impugnato provvedimento del 24 agosto 2020: “Il -omissis-, allora, prende il suo telefono cellulare e avvia la riproduzione di una registrazione effettuata da qualcuno la mattina del 10 ottobre in redazione, all’insaputa del dott. -omissis-, nella quale si sente uno sfogo del medesimo nei confronti del -omissis-” perseguendo altresì nel riferire che: “In ogni caso, fa presente che chiunque abbia effettuato (e consegnato a terzi) quella registrazione ha messo in atto una condotta illegittima con una grave violazione dei suoi diritti” e che: “Il -omissis- risponde (testualmente) che “ormai siamo praticamente nel 2020 e che c ‘è la tecnologia”. Il dott. -omissis- replica che questo non fa venire meno la normativa in vigore e che lui non avrebbe dovuto acquisire e utilizzare la registrazione e che, anzi, avrebbe dovuto denunciare la condotta illegittima del collega.” (Istanza – diffida di accesso del 16 luglio 2020, cit. pag. 2).
Quanto testé riportato e, si ribadisca, non smentito e/o contrastato dal provvedimento di diniego ovvero da altro atto del procedimento amministrativo (a nulla valendo l’allusione di cui alla memoria difensiva della RAI del prodotta il 28.12.2020 circa il non possesso del file de quo) dimostra che la RAI deteneva la registrazione per cui è causa ed è pertanto assoggettata all’actio ad exibendum, essendo soggetto passivo di essa in quanto detentrice del documento richiesto dal ricorrente.
10.3. Né, per converso, potrebbe sostenersi che il -omissis-, nell’ acquisizione da terzi, nella detenzione e successiva riproduzione al cospetto del dott. -omissis-, del file audio in controversia, abbia agito a titolo personale, stanti le evidenti circostanze di luogo e fatto nelle quali la vicenda si è svolta, nonché la inerenza dei documenti ed in particolare del file audio in questione, ad un contesto diacronico di organizzazione del pubblico servizio.
11.Invero, ritiene il Collegio di poter individuare comunque la cennata inerenza e strumentalità, infondatamente escluse dalla difesa della RAI, che è dato intessere tra il documento fonografico oggetto dell’istanza diffida per cui è causa e il pubblico servizio radiotelevisivo, sol che si rifletta sulla qualità del ricorrente e sull’iscrizione della vicenda nell’alveo della scansione di innegabili momenti di organizzazione del pubblico servizio di trasmissione di servizi televisivi di comunicazione sportiva, come a breve si spiegherà.
- Corrobora siffatta convinzione altresì la doverosa considerazione della particolare natura giuridica e collocazione istituzionale della RAI quale soggetto solo formalmente privato ma a totale capitale pubblico statale, attributario di un prelievo di natura fiscale (come riconosciuto dalla giurisprudenza tributaria) imposto ai cittadini e fino a qualche anno addietro riscosso con le forme dell’imposizione e riscossione coattiva delle entrate erariali ed oggi con apposita voce tariffaria nelle fatture emesse dalle società di erogazione del servizio elettrico.
12.1. La Rai è, inoltre, società concessionaria tuttora individuabile come televisione pubblica “di Stato”, ipostasi del servizio pubblico radiotelevisivo per antonomasia, espressione e garanzia di elevati standard qualitativi del servizio erogato nonché di significativi connotati di funzionalizzazione della complessiva sua attività a scopi ed obiettivi di pubblico interesse.
In tale sua irrefutabile veste ed immagine, la Rai non può esser ritenuta sottratta ad obblighi e doveri di trasparenza nei confronti soprattutto del suo personale dipendente (oltre che dei cittadini, quantunque nei limiti e alle condizioni cui è astretto l’accesso civico disciplinato dal d.lgs. n. 33/2013).
12.2. Ritiene in proposito il Collegio di dover richiamare l’attenzione sulla norma – proclama, che il legislatore ha innestato nel tronco dell’art. 22 della legge sul procedimento mediante l’art 10 della l. n. 69/2009 stabilendo che “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza” (art. 22, co. 2, così sostituito all’art. 10 della l. 8 giugno 2009 n, 69).
Valorizzando tale norma di principio la giurisprudenza d’appello ha di recente condivisibilmente affermato che “L’ art. 22 comma 2, l. n. 241 del 1990 secondo cui l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, sancisce al comma III il principio della massima ostensione dei documenti amministrativi, salve le limitazioni giustificate dalla necessità di contemperare il suddetto interesse con altri interessi meritevoli di tutela” (Consiglio di Stato, sez. IV , 15/05/2020, n. 3101).
- Attenta e doverosa considerazione va rivolta inoltre al particolare oggetto della istanza di accesso denegata dalla Rai, costituito da una registrazione effettuata all’insaputa del ricorrente, di una sua conversazione intrattenuta con un collega: trattasi all’evidenza di un’operazione connotata da immanenti profili di antigiuridicità.
Il ricorrente assume comprensibilmente di essere stato pregiudicato nell’assegnazione della conduzione della trasmissione o del servizio sportivo in onda sul canale RAI NEWS 24 ad altro collega concorrente in conseguenza dell’impatto e della negativa valutazione del suo “sfogo” avvenuto nel corso della conversazione abusivamente registrata da terzi, registrazione poi entrata nella disponibilità del -omissis- che ha convocato il dott. -omissis- richiamandolo all’osservanza di un contegno espressivo più asettico e meno schietto.
13.1. In disparte l’illiceità della registrazione di tale colloquio, sullo sfondo della vicenda sostanziale campeggia la verosimile incidenza di quella registrazione sulla successiva assegnazione del servizio sportivo ambito dal ricorrente, ad altro giornalista.
Lamenta infatti il ricorrente nella sua istanza di accesso (doc.1 produz. ricorr.) che il suo -omissis- la mattina del 10 ottobre 2019 aveva mandato in onda come opinionista di Rai Sport per il Tg Rai News delle 12.30, non il Dott. -omissis-, secondo la griglia dei turni programmati, ma un altro giornalista: l’inerenza ai profili gestori concreti del pubblico servizio è disvelata, dunque, quanto meno, dalla circostanza che la griglia dei turni programmati per lo svolgimento dei servizi televisivi non era stata rispettata.
Se quella conversazione non fosse stata fono registrata e poi fatta pervenire al -omissis- di RAI Sport, presumibilmente quest’ultimo non avrebbe convocato il dott. -omissis- e partecipatogli il suo disappunto e il richiamo ad un contegno più moderato.
E, probabilmente, il ricorrente non avrebbe subito il nocumento di cui si duole, ovverosia l’affidamento del servizio sportivo ad altro giornalista.
13.2. E’ dunque di una certa evidenza la circostanza che la conversazione in questione si è riverberata sul livello più prettamente organizzativo afferente all’affidamento della conduzione del servizio televisivo in parola ad altro giornalista.
Nel che va individuata l’inerenza del documento de quo agitur all’organizzazione del servizio pubblico televisivo concretamente riferita alla conduzione di quello specifico programma o servizio sportivo su RAI NEWS 24.
Per altro verso, va osservato che del diniego dell’ostensione della abusiva intercettazione in controversia si gioverebbe il controinteressato sostanziale della vicenda, ossia il giornalista preferito al ricorrente nell’affidamento della conduzione del servizio sportivo in questione.
13.3. V’è da chiedersi se il quadro ordinamentale costituito, a livello di fonte primaria, quanto meno dall’art. 22 comma 2 della l. n. 241/1990 sopra riportato, a mente del quale “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”, consente che la RAI, di cui poc’anzi si sono sommariamente evidenziate le note di pubblicità e funzionalizzazione, seguiti a celare un documento di tale importanza, negandone l’ostensione al ricorrente che ne ha diritto e che è stato qualche tempo fa soggetto passivo di un’illecita attività di fonoregistrazione verosimilmente integranti ipotesi di reato.
E da ritenere che la RAI, proprio in quanto depositaria di valori e principi di trasparenza per diretto effetto del disposto appena riprodotto dell’art. 22, co. 2 della l. n. 241/1990, non possa essere giudicata immune ai doveri di ostensione.
Oltretutto, non si intende la ragione e il superiore e prevalente contrario interesse pubblico a che la RAI non conceda accesso alla documentazione tutta oggetto della denegata istanza con particolare riguardo alla registrazione fonografica in questione, tanto più ove si tenga nel debito conto che la stessa è prodotto di un’attività non iure, verosimilmente integrante ipotesi di reato.
- Conclusivamente, come avvertito al superiore par. 9, giova rammentare che di recente la Sezione si è pronunciata favorevolmente su una actio ad exibendum ex artt. 22 e ss. della L. 7 agosto 1990, n. 241 proposta da una giornalista dipendente della RAI, enunciando considerazioni di principio e pervenendo a conclusioni congruenti con quelle fin qui svolte e che, dunque, meritano di essere segnalate (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, 16 novembre 2020 n. 11977).
La fattispecie, in sintesi, concerne una istanza nella quale la ricorrente aveva esposto alcune vicende legate allo svolgimento del suo rapporto di lavoro, nelle quali si sarebbe prodotta una lesione dei suoi diritti, comprese alcune progressioni di carriera e nomine che hanno interessato taluni giornalisti dipendenti della RAI specificamente individuati. Erano oggetto di richiesta di accesso, in particolare, i curricula e i criteri obiettivi di valutazione, preventivamente comunicati al CDR, che avevano consentito la valutazione dei candidati e la conclusione del relativo procedimento di scelta dei colleghi da promuovere o a cui conferire incarichi anche ad personam.
Trattasi, all’evidenza, di una fattispecie concernente proprio la gestione e il dipanarsi del rapporto di lavoro dei giornalisti dipendenti della RAI, sia per i profili progressivi e selettivi che per quelli più generali di carattere organizzativo.
14.1. La Sezione ha accolto il ricorso richiamando un costante orientamento, risalente alle sentenze n. 1354/2018 e n. 934/2019, consonante con le argomentazioni più sopra esposte e che riconduce la gestione e l’organizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti della RAI, quantunque privatistico, agli obblighi di accesso ed ostensione dei documenti ed atti amministrativi da intendersi nell’ampia accezione di cui all’art. 22, comma 1, lett. d) della l. n. 241/1990.
Con la richiamata Sentenza n. 11977/2020, p. 10, si è rammentato, infatti, che “Questa Sezione ha già avuto modo di osservare, nelle sentenze n. 9347/2019 e n. 1354\2018, che la RAI è assoggettata al diritto di accesso di cui agli artt. 22 e ss. della Legge n. 241 del 1990 in forza del riferimento della norma anche ai “gestori di pubblici servizi”, in quanto essa, “… pur nella sua veste formalmente privatistica di S.p.a. e pur agendo mediante atti di diritto privato, conserva certamente significativi elementi di natura pubblicistica, ravvisabili in particolare: a) nella prevista nomina di numerosi componenti del C.d.A. non già da parte del socio pubblico, ma da un organo ad essa esterno quale la Commissione parlamentare di vigilanza; b) nell’indisponibilità dello scopo da perseguire (il servizio pubblico radiotelevisivo), prefissato a livello normativo; c) nella destinazione di un canone, avente natura di imposta, alla copertura dei costi del servizio da essa gestito. L’azienda è inoltre di proprietà pubblica ed è la concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo, sicché non è revocabile in dubbio la sua riconducibilità di pieno diritto all’ambito di applicazione della normativa sul diritto di accesso, entro i confini delimitati dall’art. 23 della Legge n. 241 del 1990 che, non a caso, menziona tra i soggetti passivi del diritto di accesso, accanto alle pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici, anche i “gestori di pubblici servizi”, nel cui novero va certamente collocata la RAI.”
14.2. Ora, non sfugge al Collegio che con la sentenza in esame si è precisato che le precedenti nn.1354/2018 e 9347/2019 concernevano giornalisti che “rivestivano una posizione certamente qualificata ad ottenere l’accesso agli atti della procedura selettiva per l’assunzione di cento giornalisti professionisti indetta nel 2014 in forza dell’art. 1 comma 1096 della legge n. 205 del 2017, norma che aveva avuto l’effetto di conformare a determinate regole l’azione della concessionaria del servizio pubblico in sede di assunzione di giornalisti professionisti, che nella presente e diversa fattispecie – in cui una giornalista già dipendente di RAI chiede accesso ad atti relativi alle promozioni di colleghi – non è applicabile”. Tuttavia la Sezione in quell’occasione ha puntualizzato che “Ciò che tuttavia più rileva nel diverso caso in esame è l’affermazione di principio espressa dal TAR in quei precedenti.” (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, 16 novembre 2020, n. 11977, p. 12).
Sono dunque le affermazioni di principio enunciate con i richiamati precedenti del 2018 e 2019 e riprodotti nel passo sopra riportato della Sentenza n. 1977/2020, che il Collegio, condividendole, in questa sede ritiene di dover valorizzare e ribadire.
- In definitiva, assorbita ogni altra doglianza, il motivo finora scrutinato si prospetta fondato e va accolto, dovendosi annullare l’impugnato provvedimento di diniego di accesso del 24 agosto 2020 e per l’effetto ordinare alla RAI S.P.A. di consegnare al Dott. -omissis- copia dei documenti tutti – compreso il file audio contenente la registrazione per cui è causa – oggetto dell’ istanza di accesso presentata dal ricorrente il 28 maggio 2020 e riproposta con diffida del 16 luglio 2020, entro 30 (trenta) giorni dalla notifica ovvero dalla comunicazione, ove anteriore, della presente sentenza.
15.1. Il favorevole scrutinio del merito del ricorso come proposto dal coricorrente dott. -omissis- assorbe ogni questione sollevata in ordine alla presunta inammissibilità del gravame siccome proposto dall’organizzazione sindacale dei giornalisti RAI USIGRAI, questione che diviene pertanto ininfluente, essendo l’iniziativa contenziosa autonomamente ed adeguatamente sostenuta in quanto proposta in proprio dal dott. -omissis-.
Ove fosse utilizzabile e trasponibile alle eccezioni processuali in senso stretto il costrutto sui vizi delle censure sostanziali, potrebbe infatti affermarsi che l’eccezione è inammissibile per carenza di interesse.
Le spese debbono accedere come d’ordinario al canone di riparto fondato sulla soccombenza e vanno riconosciute al ricorrente dott. -omissis- nella misura liquidata in dispositivo.
La presente sentenza è pubblicata in ritardo per recidivato impedimento di salute dell’estensore idoneamente documentato all’Organo di autogoverno della Giustizia amministrativa.
TAR Lazio, III, sentenza del 07.06.2021, n. 6756