<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’ordinamento ha in passato visto con sospetto dichiarazioni unilaterali “</em>impegnative<em>” e, come tali, fonte di obbligazioni a prescindere da qualsivoglia accettazione della controparte beneficiaria, consacrandone all’art.1987 c.c. la imprescindibile tipicità, anche al fine di scongiurare atti di disposizione gratuiti liberali non sorretti dalla “</em>forma forte<em>” tipica della donazione; ne è risultato un </em>numerus clausus<em> che – in disparte il fenomeno cartolare e i c.d. titoli di credito - trova la propria più classica esemplificazione nella figura della promessa al pubblico ex art.1989 c.c.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Lo sviluppo vieppiù articolato dei traffici ha tuttavia progressivamente imposto, nel corso dei lustri, di conferire un valore sempre più “</em>impegnativo<em>” alle dichiarazioni unilaterali (in particolare, a quelle “</em>gratuite interessate<em>” e, dunque, senza sfondo di liberalità), e ciò tanto in termini “</em>diretti<em>” e sostanziali – anche giusta utilizzo all’uopo, con fini “</em>atipici<em>”, dello schema “</em>tipico<em>” tracciato dal negozio rifiutabile ex art.1333 c.c. – quanto avvalendosi di prototipi “</em>indiretti<em> e processuali, massime giusta valorizzazione delle figure della promessa di pagamento e della ricognizione di debito ex art.1988 c.c..</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno viene varato il R.D. n.2358, codice civile del Regno d’Italia (c.d. codice Pisanelli), di stampo liberale, secondo il cui art.1340, inserito nel Capo V del libro III dedicato alla prova delle obbligazioni e della relativa estinzione, l’atto di ricognizione o rinnovazione fa fede contro il debitore, i relativi eredi ed aventi causa se questi - coll’esibizione del documento primitivo - non dimostrano che vi è stato errore o eccesso nella ricognizione (facendo prevalere, in caso di più atti di ricognizione, quello posteriore).</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta del c.d. riconoscimento del debito, che opera dunque sul piano probatorio, in termini di inversione dell’onere della prova (del credito) a favore del creditore.</p> <p style="text-align: justify;">Al di là di questo preciso riferimento, il codice non prevede le promesse unilaterali quali fonti dell’obbligazione, analogamente al precedente <em>Code Napoléon</em> e conformemente alla tradizione giuridica di c.d. <em>civil law</em>, onde il fondamento dell’obbligazione va ravvisato nel consenso inteso quale “<em>incontro di volontà</em>”, mentre la promessa priva di accettazione compendia una semplice proposta alla quale si giustappone l’accettazione, quale ulteriore ed imprescindibile dichiarazione di volontà e parte integrante del mutuo consenso delle parti.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1940</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 ottobre viene varato il R.D. n.1443, nuovo codice di procedura civile, secondo il cui art.634, comma 1, sono prove scritte idonee a norma del numero 1) dell'articolo precedente e – come tali, capaci di fondare una procedura di ingiunzione (decreto ingiuntivo) - le <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2220.html">polizze</a> e <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4080.html">promesse unilaterali</a> per <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3829.html">scrittura privata</a> e i telegrammi, anche se mancanti dei requisiti prescritti dal codice civile stesso.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), secondo il cui art.1987, <em>in primis</em>, la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4080.html">promessa unilaterale</a> di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge, così sancendosi la c.d. tipicità delle promesse unilaterali “<em>impegnative</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">E’ anche vero nondimeno, e per converso, che ai sensi dell’art.1333 la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1702.html">proposta</a> diretta a concludere un “<em>contratto</em>” da cui derivino obbligazioni solo per il proponente e, dunque, di un contratto “<em>unilaterale</em>”, è <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1702.html">irrevocabile</a> appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata, che può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi, ma in mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso. In sostanza, se le promesse unilaterali sono tipiche, è invece decisamente atipico lo schema del contratto “<em>unilaterale</em>”, dal quale nascono obbligazioni, per l’appunto, a carico del solo proponente. La norma peraltro precede l’art.1334, rubricato “<em>efficacia degli atti unilaterali</em>” (e secondo il quale tali <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1694.html">atti unilaterali</a> producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati).</p> <p style="text-align: justify;">Di indubbio interesse anche l’art.1329, comma 1, in tema di proposta irrevocabile, onde se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/915.html">revoca</a> di tale proposta è senza effetto; la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente, in caso di proposta irrevocabile, non toglie peraltro efficacia alla proposta medesima, salvo che la natura dell'affare o altre circostanze escludano tale efficacia (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Stando poi all’art.1988, la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2313.html">promessa di pagamento</a> o la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1681.html">ricognizione di un debito</a> dispensa colui a favore del quale è fatta dall'onere di <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3744.html">provare</a> il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2316.html">rapporto fondamentale</a>, la cui esistenza si presume dunque fino a prova contraria: si tratta di fattispecie dalle quali non sorgono obbligazioni, potendo solo il “<em>presunto</em>” creditore giovarsi, per l’appunto, di una presunzione di titolarità della corrispondente pretesa, giusta inversione all’uopo dell’onere della prova (che grava, in senso, negativo, sul presunto debitore: c.d. astrazione processuale).</p> <p style="text-align: justify;">Venendo all’art.1989, dedicato alla c.d. promessa al pubblico, colui che, rivolgendosi al pubblico, <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/6072.html">promette</a> una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione (fattispecie statica) o compia una determinata azione (fattispecie dinamica), è vincolato dalla promessa non appena questa è resa pubblica (comma 1). Sul piano diacronico, se alla promessa non è apposto un termine, o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della medesima, il vincolo del promittente cessa, qualora entro l'anno dalla promessa non gli sia stato comunicato l'avveramento della situazione o il compimento dell'azione prevista nella promessa (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Secondo poi l’art.1990, la promessa può essere revocata prima della scadenza del termine indicato dall'articolo precedente solo per giusta causa, purché la revoca sia resa pubblica nella stessa forma della promessa o in forma equivalente (comma 1); ma in nessun caso la revoca può avere effetto se la situazione prevista nella promessa si è già verificata o se l'azione è già stata compiuta (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Infine, ai sensi dell’art.1991, se l'azione (fattispecie dinamica) è stata compiuta da più persone separatamente, oppure se la situazione (fattispecie statica) è comune a più persone, la prestazione promessa, quando è unica, spetta a colui che per primo ne ha dato notizia al promittente.</p> <p style="text-align: justify;">Un significativo nesso – quand’anche in termini differenziali – avvince peraltro la promessa al pubblico alla offerta al pubblico di cui all’art.1336 c.c. che, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta (salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi: comma 1) e la cui revoca , qualora fatta nella stessa forma dell'offerta revocata o in forma equipollente, è efficace anche in confronto di chi non ne abbia avuto notizia (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Alle promesse unilaterali come fonti di obbligazioni appare strettamente avvinto anche l’art.1324 alla cui stregua le norme che regolano i contratti si osservano (anche) per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale (lasciando dunque fuori i soli atti unilaterali “<em>personali</em>”, stante la stretta connessione con il contratto che, ai sensi dell’art.1321, è tale proprio perché “<em>patrimonialmente connotato</em>”).</p> <p style="text-align: justify;">Dal punto di vista delle altre norme sistematicamente connesse <em>ratione materiae</em>, importante l’art.41, comma 1, in tema di comitati, onde qualora il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3621.html">comitato</a> non abbia ottenuto la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/613.html">personalità giuridica</a> , i relativi componenti rispondono <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/645.html">personalmente</a> e <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2668.html">solidalmente</a> delle obbligazioni assunte, mentre i sottoscrittori sono tenuti soltanto a effettuare le <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/649.html">oblazioni</a> “<em>promesse</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Significative altresì – sul crinale “<em>personale</em>” - le norme sulla c.d. promessa di matrimonio, ed in particolare l’art.79, onde la ridetta <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/674.html">promessa di matrimonio</a> non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento; il successivo art.80, alla cui stregua il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/675.html">promittente</a> può domandare la restituzione dei doni fatti a causa della <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/674.html">promessa di matrimonio</a>, se questo non è stato contratto (comma 1), ma la domanda non è proponibile dopo un anno dal giorno in cui s'è avuto il rifiuto di celebrare il matrimonio o dal giorno della morte di uno dei promittenti (comma 2); ed infine l’art.81, onde la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/674.html">promessa di matrimonio</a> fatta vicendevolmente per <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/5596.html">atto pubblico</a> o per <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3829.html">scrittura privata</a> da una persona maggiore di età o dal minore ammesso a contrarre matrimonio a norma dell'articolo <a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-vi/capo-iii/sezione-i/art84.html">84</a>, oppure risultante dalla richiesta della pubblicazione, obbliga il promittente che senza <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/676.html">giusto motivo</a> ricusi di eseguirla a risarcire il danno cagionato all'altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa, con danno che va risarcito entro il limite in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alla <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/677.html">condizione delle parti</a> (comma 1), mentre lo stesso risarcimento è dovuto dal promittente che con la propria colpa abbia dato giusto motivo al rifiuto dell'altro (comma 2), e tuttavia la pertinente domanda non è proponibile dopo un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio.</p> <p style="text-align: justify;">Sempre in materia matrimoniale, emblematico anche il disposto dell’art.785 c.c. (c.d. donazione obnuziale o “<em>propter nuptias</em>”), onde la donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio, sia dagli sposi tra loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi o dei figli nascituri da questi, si perfeziona senza bisogno che sia accettata, ma non produce effetto finché non segua il matrimonio (comma 1); l'annullamento del matrimonio importa la nullità della donazione ridetta, restando tuttavia salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede tra il giorno del matrimonio e il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3897.html">passaggio in giudicato</a> della sentenza che dichiara la nullità del matrimonio stesso, e nonostante poi il coniuge di buona fede non sia tenuto a restituire i frutti percepiti anteriormente alla domanda di annullamento del matrimonio in parola (comma 2); la donazione in favore di figli nascituri – infine - rimane efficace per i figli rispetto ai quali si verificano gli effetti del matrimonio putativo (comma 3).</p> <p style="text-align: justify;">Ancora, significativo l’art.1381, dedicato alla promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo, onde colui che ha promesso l'obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l'altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso; e l’art.1822, alla cui stregua chi ha promesso di dare a mutuo può rifiutare l'adempimento della propria obbligazione, se le condizioni patrimoniali dell'altro contraente sono divenute tali da rendere notevolmente difficile la restituzione, e non gli sono offerte idonee garanzie.</p> <p style="text-align: justify;">Sul crinale della rendita vitalizia, va richiamato l’art.1872, onde essa può essere costituita <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/2207.html">a titolo oneroso</a>, mediante alienazione di un <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1126.html">bene mobile</a> o <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3575.html">immobile</a> o mediante cessione di capitale (comma 1), nonché per <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1100.html">donazione</a> o per <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4184.html">testamento</a>, in questo caso osservandosi le norme stabilite dalla legge per tali atti (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Emblematico anche l’art.2821 c.c., alla cui stregua l'ipoteca può essere concessa anche mediante <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3334.html">dichiarazione unilaterale</a>, da farsi per <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/5596.html">atto pubblico</a> o per <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3829.html">scrittura privata</a>, sotto pena di nullità (comma 1), non potendo tuttavia tale concessione unilaterale di ipoteca avvenire per <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4184.html">testamento</a> (comma 2). Sempre in tema di ipoteca, rileva anche il meccanismo di c.d. “<em>purgazione dell’ipoteca</em>” dal parte del terzo acquirente di immobile, per l’appunto, ipotecato, di cui agli art.2890 e seguenti del codice.</p> <p style="text-align: justify;">Sul crinale puramente sistematico, da rammentare anche quanto in modo ambiguo afferma la Relazione al codice (punto 781) in tema di promesse unilaterali, onde “<em>l'enunciazione programmatica dell'<a href="https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-iv/art1987.html">art. 1987 del c.c.</a></em> [in tema di tipicità delle promesse in parola] <em>si intende facilmente. Con la medesima si vuole escludere che la promessa unilaterale sia un tipo generale di fonte di obbligazioni così come lo è il contratto; epperò la posizione fatta, di fronte al contratto, alla promessa unilaterale di prestazione risponde ad una esigenza di carattere sistematico. Non si potrebbe concedere alla promessa unilaterale di operare illimitatamente, senza scompaginare il campo di applicazione del contratto ed atomizzare gli elementi costitutivi di questo. La formula dell'art. 1987 non va tuttavia intesa nel senso che i casi, nei quali la legge riconosce effetti obbligatori alla promessa unilaterale, siano soltanto quelli contemplati nel titolo quarto del libro delle obbligazioni. Agli articoli 14 e 15, il regolamento della fondazione comprende indubbiamente la possibilità che essa sorga da una promessa unilaterale obbligatoria, soggetta alla particolare norma ivi dettata riguardo alla revoca</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Da tali ultime considerazioni della Relazione al codice affiorerebbe la possibilità per taluno di promettere, obbligandovisi, l’erezione di una fondazione; potere ritraibile dall’art.14, secondo il quale le <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/616.html">associazioni</a> e le <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/617.html">fondazioni</a> devono essere <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/618.html">costituite</a> con atto pubblico (potendo la fondazione essere disposta anche con <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4184.html">testamento</a> e, dunque, con atto unilaterale <em>mortis causa</em>), in combinato disposto con il successivo art.15, onde l'atto di fondazione può essere revocato dal fondatore fino a quando non sia intervenuto il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/615.html">riconoscimento</a> ovvero il fondatore medesimo non abbia fatto iniziare l'attività dell'opera da lui disposta (ma la facoltà di revoca non si trasmette agli eredi), con conseguente possibilità di revocare la promessa “<em>impegnativa</em>” di erezione della fondazione in parola.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, sul crinale delle prove significativo anche l’art.2722 c.c., alla cui stregua la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea (al documento medesimo).</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana , secondo il cui art.41 l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/181.html">iniziativa economica privata</a> è libera (comma 1), non potendo svolgersi tuttavia in contrasto con l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/182.html">utilità sociale</a> o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (comma 2); è la legge a determinare i <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/184.html">programmi</a> e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/185.html">fini sociali</a> (comma 3: principio di legalità).</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta della norma di riferimento in tema di promesse unilaterali, con particolare riguardo alla relativa possibilità di incidere in senso negativo sugli interessi del promittente, giusta vantaggio da questi <em>sine causa</em> attribuito al promissario beneficiario; uno schema al quale ben si addice, proprio in ottica tuzioristica del promittente, il presidio di legalità di cui al comma 3 della norma costituzionale, al quale pare riannodarsi la stessa c.d. tipicità delle promesse unilaterali impegnative.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1952</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 agosto esce la sentenza della Sezione I della Cassazione n.2514 che abbraccia la tesi della rigorosa tipicità delle promesse unilaterali. Per la Corte – stante il canone posto dall’art. 1987 c.c. - la promessa unilaterale di prestazione (cui non corrisponda una accettazione) non ha dunque rilevanza nel campo del diritto, se non laddove possa essere inquadrata in qualche specifico schema giuridico espressamente previsto <em>ex lege</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1969</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 febbraio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.449 onde la promessa al pubblico è un negozio unilaterale che vincola il promittente non per effetto dell'incontro della relativa volontà con quella di altro soggetto che abbia manifestato di accettare la pertinente promessa, bensì per effetto della propria unilaterale determinazione.</p> <p style="text-align: justify;">L'obbligo perciò – chiosa il Collegio - sorge non appena la promessa è resa pubblica; di guisa che questa non può essere revocata se non per giusta causa ed a condizione che la revoca sia resa pubblica con le stesse forme usate per la promessa ridetta.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2052 alla cui stregua costituisce promessa al pubblico un concorso pubblicitario a premi, il cui regolamento prevede la realizzazione di un numero determinato di desideri espressi dai partecipanti, secondo una scelta operata da una giuria nominata dal soggetto che ha bandito il concorso.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 giugno esce la sentenza della Corte d’appello di Venezia n.2271 alla cui stregua il negozio di fondazione va ricondotto nell’ambito degli atti di autonomia privata, dovendosi dunque applicare ad esso tutte le norme che disciplinano i contratti, nei limiti della compatibilità.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1981</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 aprile viene varata la sentenza delle SSUU della Cassazione n.2600, alla cui stregua i concorsi pubblicitari “<em>a premi</em>” (mediante figurine) sono organizzati dal produttore di una data merce che provvede al bando, alla pubblicità del concorso e alla predisposizione dei tagliandi, delle figurine e dei premi stessi.</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte, in simile fattispecie se si assume il concorso a premi, piuttosto, quale clausola accessoria della proposta di compravendita del pertinente prodotto e, dunque, quale offerta al pubblico, quando tale contratto di compravendita - per effetto della accettazione - viene concluso, si va incontro alla duplice difficoltà, non facilmente superabile, di concepire da un lato l'offerta al pubblico del prodotto siccome compiuta da un soggetto (il dettagliante) che rimane estraneo al bandito concorso; e di applicare, dall’altro, le clausole del concorso medesimo siccome promananti da un soggetto (il produttore) il quale, a propria volta, rimane estraneo all'offerta del prodotto ed al relativo contratto di compravendita (che vede piuttosto protagonista il dettagliante).</p> <p style="text-align: justify;">La tesi che configura il concorso pubblicitario a premi come una promessa al pubblico – prosegue il Collegio - non va invece incontro alle anzidette difficoltà logiche e giuridiche, perché tiene distinte l’attività di compravendita del commerciante al minuto dall’attività pubblicitaria del produttore.</p> <p style="text-align: justify;">Qualora dunque la promessa del premio sia riconducibile ad un soggetto (il produttore) estraneo al negozio al quale tale promessa accede (ad esempio, la vendita, affidata al distributore), e che prelude alla stessa - come appunto accade nei concorsi a premi - si è in presenza di una promessa al pubblico, e non già di un’offerta al pubblico come invece ed all’opposto accade nella diversa ipotesi in cui il premio venga offerto dal medesimo soggetto (dettagliante) che stipula il contratto pertinente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1987</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.9500 alla cui stregua, allorché un coniuge, in sede di separazione consensuale, assuma l’obbligo nei confronti dell’altro coniuge di provvedere al mantenimento del figlio minore, impegnandosi a tal fine a trasferirgli un bene immobile, questi pone in essere con il ridetto coniuge un contratto preliminare a favore del figlio “<em>terzo</em>”, con la conseguenza che l’atto scritto con cui il coniuge – obbligatosi all’esecuzione di tale contratto preliminare – dichiara di trasferire al figlio quel bene, essendo privo dello spirito di liberalità, non configura una donazione, ma piuttosto una proposta di contratto unilaterale, gratuito e atipico che, ai sensi dell’art.1333 c.c., in assenza di rifiuto del destinatario in un termine adeguato alla natura dell’affare o stabilito dagli usi, determina l’irrevocabilità della pertinente proposta e quindi la conclusione del contratto medesimo, nonostante la volontà di accettazione della controparte non risulti da atto scritto, dovendosi assumere assolto l’onere della forma attraverso le modalità con le quali è stata formulata la proposta.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte preliminarmente – al fine di fissare l'ambito dei propri poteri - rammenta come i motivi d'impugnazione vadano interpretati dal giudice che deve porli a fondamento della pronuncia richiestagli; ciò nel senso che il giudice medesimo, al di la' di imprecisioni formali e di impostazioni giuridiche non corrette, e' tenuto a cogliere le ragioni essenziali effettivamente espresse con la doglianza formulata dal soccombente contro la sentenza soggetta a riesame e, sulla base dei fatti accertati e delle eccezioni in senso proprio tempestivamente sollevate, e' tenuto ad applicare ad essi, in relazione ai motivi esposti dall'interessato ed intesi nel senso accennato, le norme adeguate e gli istituti giuridici opportuni.</p> <p style="text-align: justify;">Tanto premesso, esattamente per il Collegio la corte napoletana ha nel caso di specie ritenuto (con la sentenza gravata) che il negozio intercorso nel 1959 tra i coniugi Z. T., mediante cui il primo si e' obbligato a "<em>donare</em>" una appezzamento di terreno alla figlia minorenne Antonietta per provvedere così, mediante elargizione <em>una tantum</em>, al relativo mantenimento, configurasse un contratto preliminare a favore di terzo (figura giuridica ammissibile secondo la giurisprudenza della Corte; cfr. sent. 5 aprile 1974, n. 967).</p> <p style="text-align: justify;">Altrettanto ineccepibilmente la stessa corte territoriale ha rilevato che l'atto con cui Z., dando attuazione e tale obbligo, ha manifestato l'irrevocabile volontà di trasferire alla figlia il terreno ridetto, non costituiva affatto una donazione, secondo l'erronea indicazione del rogito, esulando da esso ogni intento di liberalità, ma avendo piuttosto essa causa nell'esigenza di soddisfare un preciso obbligo legale: quello ineludibile di provvedere al mantenimento dei figli, fino a che questi non siano posti in condizioni di autonomia economica.</p> <p style="text-align: justify;">Ne deriva – prosegue la Corte - che l'atto notar G. del 26 giugno 1960 sancisce la volonta' dello Z. di trasferire, con effetto immediato, irrevocabilmente e gratuitamente ad Antonietta Z. il piccolo fondo <em>de quo</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Col secondo motivo di ricorso – chiosa ancora il Collegio - la destinataria, dolendosi della circostanza che sia stato ritenuto revocabile tale atto e legittima la revoca concretamente espressa dal padre nel 1975, pure tra molte inesattezze e non condivisibili costruzioni giuridiche, ha colto il punto nodale della controversia, conferendo alla Corte il potere dovere di intervenire al fine di eliminare alcuni errori riscontrabili nelle ulteriori argomentazioni del giudice del merito e, in conseguenza, nell'impugnata decisione.</p> <p style="text-align: justify;">Ha ritenuto, la corte pertenopea, che il rogito G. piu' volte menzionato, del giugno 1960, costituisse una proposta di trasferimento immobiliare, in adempimento di un obbligo giuridico, revocabile perché privo della indicazione del termine per l'accettazione e, in effetti, legittimamente revocata essendo nel frattempo mancata l'accettazione dell'interessata, da esprimere nel rispetto della forma richiesta per i trasferimenti immobiliari. Ha aggiunto, il giudice d'appello, che tra i modi di acquisto della proprietà (art. 922 c.c.), non sono annoverati gli atti unilaterali.</p> <p style="text-align: justify;">Senonché – osserva la Corte - mediante tale impostazione e' stato omesso di considerare che, ai sensi dell'art. 1333 c.c., la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente, e' irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale e' destinata. E' vero che, a tenore della medesima norma, il destinatario puo' rifiutare la proposta entro il termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi; ma, in mancanza di tale rifiuto, il contratto e' concluso.</p> <p style="text-align: justify;">Nelle specie e' assolutamente pacifico che la cosiddetta donazione e' pervenuta a conoscenza della destinataria, dato che e' avvenuto il trasferimento del possesso del bene.</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre e' altrettanto certo che il rifiuto del trasferimento immobiliare non v'e' stato; anzi l'acquisizione e il prolungato e pacifico esercizio del possesso suddetto implica, addirittura, una tacita e inequivoca manifestazione della volontà contraria.</p> <p style="text-align: justify;">Dato ciò il contratto - di tipo unilaterale perché comportante prestazioni solo a carico di una delle parti - si e' concluso ed ha determinato, con il passaggio della proprietà immobiliare dal padre alla figlia, una nuova situazione giuridica non modificabile unilateralmente. A ragione, quindi, la ricorrente censura l'impugnata sentenza che ha ritenuto revocabile una manifestazione di volontà, ed i connessi effetti giuridici, che tale non era.</p> <p style="text-align: justify;">Ne' e' possibile obiettare per il Collegio, in ipotesi, che l'accettazione del trasferimento immobiliare non sarebbe avvenuta con la forma richiesta: va considerato che la disciplina delineata dall'art. 1333 c.c., all'infuori dei casi espressamente previsti dalla legge, come in tema di donazione, non soffre deroga allorché il contratto unilaterale sia soggetto all'esigenza della forma scritta <em>ad substantiam</em>; tale esigenza, invero, deve ritenersi soddisfatta sol che sia consacrato in iscritto l'obbligo del promittente (che nella specie si riscontra), mentre a conferire certezza al negozio concluso e' sufficiente la produzione in giudizio, da parte del promissario, dello scritto contenente l'obbligazione dell'altro contraente, unico obbligato.</p> <p style="text-align: justify;">L'impostazione e la soluzione della controversia nel senso sopra delineato rendono palese l'inconsistenza della tesi, esposta nel primo motivo, del litisconsorzio necessario nei confronti di Vincenza T.: il contratto preliminare a favore di terzo da lei concluso con il marito si e' realizzato nel contratto unilaterale atipico e gratuito con cui quest'ultimo ha trasferito alla figlia la proprietà di un fondo, secondo gli impegni assunti; e la presente controversia – precisa la Corte - riguarda esclusivamente gli effetti di quest'ultimo contratto e le parti che lo hanno concluso.</p> <p style="text-align: justify;">Il ricorso deve quindi per la Corte essere accolto per quanto di ragione e l'impugnata sentenza cassata; il giudice di rinvio, nel procedere al nuovo giudizio di secondo grado, si atterra' ai seguenti principi di diritto: allorché taluno, in sede di separazione coniugale consensuale, assume l'obbligo di provvedere al mantenimento di una figlia minore, impegnandosi a tal fine a trasferirle nel prossimo futuro un determinato bene immobile, pone in essere con il coniuge un contratto preliminare a favore di terzo. Quando poi, in esecuzione di detto obbligo, dichiara per iscritto di trasferire alla figlia tale bene, avvia il processo formativo di un negozio che, privo della connotazione dell'atto di liberalità, esula dalla donazione ma configura una proposta di contratto unilaterale, gratuito e atipico che, ai sensi dell'art. 1333 c.c., in mancanza di rifiuto del destinatario entro il termine adeguato alla natura dell'affare e stabilito dagli usi, determina la conclusione del contratto stesso e, quindi, l'irrevocabilità della proposta; ciò a nulla rilevando che la volontà di accettazione non risulti da atto scritto, dovendosi ritenere assolto l'obbligo della forma attraverso le modalità con cui e' stata formulata la pertinente proposta.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 maggio esce la sentenza del Tribunale di Pescara che abbraccia la tesi tradizionale della rigorosa tipicità delle promesse unilaterali. Per il Collegio – stante il canone posto dall’art. 1987 c.c. - la promessa unilaterale di prestazione non ha dunque rilevanza nel campo del diritto, se non in quanto possa essere inquadrata in qualche specifico schema giuridico espressamente previsto <em>ex lege</em>.</p> <p style="text-align: justify;">La promessa unilaterale è dunque da assumersi quale <em>species</em> del negozio giuridico unilaterale; un negozio tra vivi, consistente nella dichiarazione di obbligarsi a compiere una determinata prestazione alla quale, a norma dell’art. 1987 c.c., non è attribuita efficacia immediatamente obbligatoria fuori dai casi ammessi dalla legge; ne consegue per il Tribunale che tali fattispecie, siccome impegnative <em>ex iure proprio</em> per il promittente solo in quanto ricomprese in uno schema tipico, sono dunque negozi giuridici unilaterali nominati rigidamente individuati, dalla forma rigorosamente segnata, costituenti perciò un <em>numerus clausus</em>, inestensibile dall’interprete a fattispecie atipiche.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3173 stando alla quale la promessa di pagamento cosiddetta titolata, cioè facente esplicito riferimento al pertinente rapporto fondamentale, quale è quella che abbia per oggetto il versamento di una provvigione per attività di mediazione in relazione alla conclusione di un determinato affare, spiega gli effetti di cui all'art. 1988 c.c., in tema di ripartizione dell'onere della prova, solo laddove non vi sia contrasto sull'interpretazione del rapporto (o, se insorto, tale contrasto venga risolto secondo le comuni regole di ermeneutica negoziale), ed, inoltre - ove il rapporto stesso sia ancora <em>in fieri</em> al momento della formulazione della promessa – laddove il promissario (mediatore creditore) fornisca la dimostrazione del relativo perfezionamento.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, precisa il Collegio, se il promittente nega che il rapporto (oggetto di mediazione) sia stato eseguito, spetta al promissario dare la prova dell'esecuzione, fornita la quale spetta al promittente provare gli eventuali fatti modificativi o estintivi del rapporto medesimo, ai sensi dell'art. 2697 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 settembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.9490 onde, con riguardo ad una promessa unilaterale di pagamento, non sussistono limitazioni di carattere probatorio a carico del promissario, il quale pertanto si può avvalere della prova testimoniale, anche se questa abbia riferimento ad un rapporto per il quale sia richiesta la prova scritta, tenuto conto che il contratto viene richiamato solo per esigenze difensive, quale mezzo al fine di consentire alla promessa di pagamento di spiegare i relativi effetti e non viene azionato come autonoma fonte dalla quale nasca l'obbligazione dedotta in giudizio (che nasce, piuttosto, dalla promessa oggetto di prova).</p> <p style="text-align: justify;">L'effetto giuridico che si ricollega alla promessa unilaterale di pagamento, sia essa pura o titolata, è infatti – precisa il Collegio - l'astrazione processuale della <em>causa debendi</em> onde il promissario creditore, agendo per l'adempimento dell'obbligazione, ha soltanto l'onere di provare la ricorrenza di tale promessa e non anche l'esistenza del rapporto giuridico da cui essa trae origine, mentre incombe piuttosto sul promittente l'onere di provare l'inesistenza o l'invalidità o l'estinzione del rapporto fondamentale, sia questo menzionato o non nella promessa unilaterale di pagamento, e dunque tanto nel caso in cui si tratti di promessa titolata, quanto in quello in cui si tratti di promessa pura.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 settembre esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.8527 che, collocandosi nel solco della giurisprudenza (oltre che della dottrina) maggioritaria, esclude che oggetto della promessa di pagamento o della ricognizione di debito possa essere un diritto reale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.259 alla cui stregua la promessa di pagamento, anche se titolata, non ha natura confessoria, poiché non contiene una dichiarazione di scienza, ma una dichiarazione di volontà intesa a impegnare il promittente all'adempimento della prestazione oggetto della promessa.</p> <p style="text-align: justify;">Questo tuttavia, precisa il Collegio, non esclude — pur nella distinzione concettuale delle due figure negoziali — che nello stesso documento siano contenute una promessa di pagamento (o una ricognizione di debito) e la confessione, proveniente dal promittente, di fatti a lui sfavorevoli e pertinenti al rapporto fondamentale.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte scandaglia nel caso di specie un contratto di <em>factoring</em>, in relazione alla dichiarazione di accettazione della cessione del credito da parte del debitore ceduto, che ha sottoscritto nel caso di specie dei moduli di notificazione della cessione recanti l'indicazione di avvenuta, regolare esecuzione a proprio favore delle forniture di cui alle fatture in essi menzionate, con intrecciarsi di profili volontaristici (promessa di pagamento) e profili di scienza (confessione).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.6675, alla cui stregua la ricognizione di debito non è fonte di obbligazioni nuove ed autonome, rivestendo un valore meramente confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, con il limitato effetto di dispensare colui a cui favore è fatta dall'onere di fornire la prova.</p> <p style="text-align: justify;">Di conseguenza, precisa il Collegio, essa non sottrae il rapporto fondamentale medesimo alle norme ed ai patti che lo regolano, e — pertanto — non interferisce sull'operatività della clausola compromissoria con la quale le parti abbiano (eventualmente) devoluto ad arbitri le controversie ad esso inerenti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 settembre esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.8712 alla cui stregua – in tema di forma che deve rivestire, anche sul crinale probatorio, una ricognizione di debito anteriore o contemporanea al contratto delle cui obbligazioni si chiede l'adempimento – va ammessa tanto la prova per testimoni, quanto la rilevanza di eventuali fatti concludenti, le limitazioni sancite dall’art. 2722 c.c. per la prova di patti aggiunti o contrari ad un documento afferendo ad atti aventi contenuto convenzionale (pattizio) e non anche ad atti che, come la promessa di pagamento e la ricognizione di debito, compendiano una dichiarazione unilaterale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1231, onde la ricognizione di debito va assunta quale atto unilaterale recettizio; in mancanza di tale requisito della recettizietà, essa per il Collegio può valere come prova del rapporto debitorio se ha efficienza confessoria.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.15575 stando alla quale la natura di negozio unilaterale recettizio da attribuirsi al riconoscimento di debito di cui all'art. 1988 c.c. comporta che l'effetto negoziale della dichiarazione (che determina astrazione processuale della pertinente <em>causa debendi</em>) si verifichi soltanto se detta dichiarazione è indirizzata alla persona del creditore.</p> <p style="text-align: justify;">La promessa di pagamento, al pari della ricognizione del debito, non costituisce poi – precisa la Corte - autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, venendo ad operarsi, in forza dell'art. 1988 c.c. - nella cui previsione rientrano anche le dichiarazioni titolate - un'astrazione meramente processuale della ridetta <em>causa debendi</em>, comportante una semplice <em>rilevatio ab onere probandi</em> per la quale il destinatario della promessa è dispensato dall'onere di provare l'esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria e che, oltre ad essere preesistente, può anche nascere contemporaneamente alla dichiarazione di promessa (o trovarsi <em>in itinere</em> al momento in cui questa viene resa), ma della cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, con il conseguente venir meno di ogni effetto vincolante della promessa stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto fondamentale ridetto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero (come nel caso di specie) che esista una condizione ovvero un altro elemento attinente al rapporto fondamentale che possa comunque incidere sull'obbligazione derivante dal riconoscimento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1831 onde la ricognizione del debito costituisce una dichiarazione unilaterale recettizia che, in virtù di astrazione meramente processuale, produce l'effetto dell'inversione dell'onere della prova in ordine all'esistenza del sottostante rapporto obbligatorio.</p> <p style="text-align: justify;">La presunzione di esistenza della <em>causa debendi </em>– precisa nondimeno la Corte - non sottrae il rapporto sostanziale alle norme ed ai patti che lo regolano, e la legge non pone alcuna limitazione alla prova (contraria) di cui è onerato l'autore della ricognizione: tale prova può riguardare, pertanto, tanto l'esistenza o meno del pertinente rapporto sostanziale, quanto lo specifico contenuto e la causa di questo, quanto infine le modalità e le ragioni della eventuale cessazione della vigenza del rapporto o dell'esigibilità del credito.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.4888 alla cui stregua la funzione di garanzia delle lettere di patronage c.d. «<em>forti</em>» si esplica anche mediante l'impegno del patrocinante di controllare ed adoperarsi in modo che il patrocinato adempia le proprie obbligazioni nei confronti del finanziatore destinatario della lettera di <em>patronage</em> medesima, esercitando tale controllo ed adoperandosi in tal senso mediante la propria posizione di influenza (partecipazione).</p> <p style="text-align: justify;">L'insussistenza della partecipazione nella società patrocinata, inveridicamente affermata dal <em>patronnant</em>, incide dunque per la Corte sull'impegno da questi assunto ai sensi dell'art. 1333 c.c. nei confronti del destinatario della lettera non già nel senso di eliderlo, ma in quello di non consentire l'esecuzione della prestazione dovuta per fatto proprio del debitore ed integra dunque inadempimento ai sensi dell'art. 1218 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 ottobre viene varato il D.p.R. n.430 - recante Regolamento concernente la revisione organica della disciplina dei concorsi e delle operazioni a premio, nonché delle manifestazioni di sorte locali, ai sensi dell'articolo 19, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 – secondo il cui art.3, rubricato “<em>operazioni a premio</em>”, sono considerate operazioni a premio, anche se il destinatario del premio e' un soggetto diverso dall'acquirente il prodotto o servizio promozionato, le manifestazioni pubblicitarie che prevedono:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) le offerte di premi a tutti coloro che acquistano o vendono un determinato quantitativo di prodotti o di servizi e ne offrono la documentazione raccogliendo e consegnando un certo numero di prove documentali di acquisto, anche su supporto magnetico;</li> <li>b) le offerte di un regalo a tutti coloro che acquistano o vendono un determinato prodotto o servizio (comma 1).</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Sono altresì considerate operazioni a premio (comma 2) anche quelle nelle quali, all'acquirente di uno o più prodotti o servizi promozionati, viene offerta in premio la possibilità di ottenere, dietro presentazione di un numero predeterminato di prove di acquisto e mediante un contributo di spesa, un diverso prodotto o servizio a prezzo scontato. Il contributo richiesto non deve essere superiore al 75 per cento del costo del prodotto o servizio, sostenuto dalla ditta promotrice, al netto dell'imposta sul valore aggiunto ed il premio consiste in questo caso nello sconto di prezzo rappresentato dalla differenza tra il valore normale del bene offerto e il contributo richiesto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.8515 alla cui stregua la promessa di pagamento cosiddetta titolata, cioè facente riferimento al rapporto fondamentale, quale è quella che abbia per oggetto il pagamento del «<em>saldo prezzo</em>» di vendita di un immobile e contenga il riferimento al pertinente contratto di compravendita, spiega gli effetti di cui all'art. 1988, c.c., in tema di ripartizione dell'onere della prova, dispensando il promissario dall'onere di provare l'esistenza del rapporto, che si presume fino a prova contraria.</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, chiosa la Corte, dalla esistenza o validità del rapporto sottostante non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, con il conseguente venire meno di ogni effetto vincolante della promessa stessa qualora il promittente dimostri che il rapporto fondamentale in parola non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso di specie, va per la Corte confermata la sentenza di merito che ha assunto provata l'estinzione dell'obbligazione, avendo il promittente (acquirente) prodotto quietanza liberatoria rilasciatagli dal promissario (venditore).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 01 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.18311, onde la ricognizione di debito, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto conservativo di un preesistente rapporto fondamentale, realizzandosi ai sensi dell'art. 1988 c.c. — nella cui previsione rientrano anche dichiarazioni titolate — un'astrazione meramente processuale della causa, comportante l'inversione dell'onere della prova, e dunque l'esonero del destinatario della promessa dall'onere di provare la causa o il rapporto fondamentale, mentre resta a carico del promittente l'onere di provare l'inesistenza o la invalidità o l'estinzione di detto rapporto, sia esso menzionato oppure no nella ricognizione di debito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 marzo esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.4632 alla cui stregua l'atto di riconoscimento di debito non ha natura negoziale né carattere recettizio e non deve essere necessariamente compiuto con una specifica intenzione ricognitiva; tuttavia – precisa il Collegio - occorre che esso rechi, anche implicitamente, la manifestazione della consapevolezza del debito e riveli i caratteri della volontarietà.</p> <p style="text-align: justify;">Nella specie, la sentenza impugnata va dunque confermata laddove ha escluso che la presentazione all'INPS, da parte di un datore di lavoro, del modello 01/M, contenente il riepilogo delle retribuzioni corrisposte nell'anno precedente ai propri dipendenti, integrasse un riconoscimento del debito contributivo - in quanto tale idoneo ad interrompere la prescrizione - in relazione alle retribuzioni ivi indicate e risultanti di importo superiore a quello mensilmente documentato con i diversi modelli DM 10, in relazione alle quali i contributi siano stati regolarmente versati.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.6191 onde, i limiti alla prova testimoniale, desumibili dall'art. 2556, primo comma, c.c. (in forza del quale i contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento di un'azienda debbono essere provati per iscritto), operano solo quando sia dedotto, come fonte di obblighi, direttamente e specificamente il contratto e la parte chieda in giudizio l'accertamento o l'adempimento del relativo credito.</p> <p style="text-align: justify;">Quando tuttavia – precisa la Corte - la pretesa creditoria si fondi su una promessa di pagamento o su una dichiarazione ricognitiva di debito, in cui la causa non venga neppure enunciata, come il promittente, allo scopo di superare la presunzione di esistenza del rapporto sottostante (art. 1988 c.c.), non incontra alcun limite probatorio, e può provare con testimoni l'inesistenza o l'estinzione del rapporto giuridico assunto a causa della promessa, così il destinatario della promessa medesima può contrastare con qualsiasi mezzo istruttorio i risultati della prova prevista dalla controparte, e, quindi, far ricorso alla prova per testimoni contraria, anche se essa abbia ad oggetto un contratto per cui sia richiesta la forma scritta <em>ad probationem</em> (nella specie, trasferimento di azienda), quale fonte dell'obbligazione cui la deliberazione si riferisce, tenuto conto che, in questa situazione, il contratto stesso viene dedotto solo per esigenze difensive, quale mezzo al fine di consentire alla promessa di pagamento di spiegare i relativi effetti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 gennaio esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.1101, alla cui stregua nessuna presunzione può sussistere a vantaggio di un preteso promissario di pagamento nel caso in cui la promessa o la ricognizione pertinenti abbiano avuto luogo per interposta persona, restando irrilevante che il documento che li contenga – reso dal terzo - venga ugualmente a conoscenza, seppure indirettamente, del presunto creditore.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 febbraio esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.4019 che, abbracciando la tesi “<em>processualistica</em>” in tema di promessa di pagamento e di ricognizione di debito, ne nega la natura di fonte delle obbligazioni, sottolineando come il solo effetto che entrambi gli istituti producono sia quello conservativo di un preesistente rapporto fondamentale.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, l’art. 1988 c.c. — nella cui previsione rientrano anche dichiarazioni titolate – prevede un’astrazione meramente processuale della causa dei sottostanti rapporti sostanziali, comportante un’inversione dell'onere della prova, onde il destinatario di una promessa di pagamento è dispensato dall’onere di provare la causa o il rapporto fondamentale, gravando piuttosto sul promittente l’onere di provare l’inesistenza o la invalidità o l’estinzione di detto rapporto, sia esso menzionato o meno nella promessa medesima (ovvero nella ricognizione di debito).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 marzo esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.5245, che si riferisce al dichiarante di una promessa di pagamento (o di una ricognizione di debito) non titolata, ed in relazione alla quale non viene dunque richiamato il rapporto fondamentale.</p> <p style="text-align: justify;">In questi casi, qualora il creditore destinatario della dichiarazione aggiunga fatti che la specifichino, si verifica un ampliamento dell’oggetto della prova liberatoria posta in capo al presunto debitore dichiarante; per la Corte, qualora quest’ultimo abbia fornito la prova dell’inesistenza o dell’estinzione del proprio debito relativo al ridetto rapporto fondamentale, siccome indicato dal creditore ovvero siccome indicato dallo stesso debitore (dacché il creditore è in realtà esentato dal doverlo indicare proprio a cagione del fatto che la dichiarazione non è “<em>titolata</em>”), spetta a chi si afferma creditore indicare un diverso rapporto sottostante che giustifichi il vantato (ed ulteriore) credito, in quanto il principio della astrazione processuale della causa, siccome posto dall’art. 1988 c.c. – e che esonera colui a favore del quale la promessa o la ricognizione è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale ad esse sotteso - non può intendersi nel senso che al debitore compete l'impossibile prova dell'assenza di qualsiasi altra ipotetica ragione di debito, ulteriore rispetto a quella di cui abbia già dimostrato l'insussistenza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1967, alla cui stregua seppure l'art. 978 c.c. faccia genericamente riferimento alla volontà dell'uomo, la tipologia negoziale idonea a costituire il diritto di usufrutto in esso inscritto deve essere individuata - non diversamente da quanto è stabilito in materia di servitù dall'art. 1058 c.c. - nel testamento e nel contratto, mentre, per quanto riguarda i negozi unilaterali, nei limiti in cui essi sono ritenuti vincolanti per l'ordinamento, la possibilità di costituire l'usufrutto deve ritenersi limitata alle sole figure della promessa al pubblico prevista dall'art. 1989 c.c. e della donazione obnuziale di cui all'art. 785 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, va dunque escluso che possa integrare un atto valido per la costituzione del diritto di usufrutto la scrittura privata sottoscritta soltanto dalla parte che abbia invocato l'avvenuta concessione del pertinente diritto.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 giugno esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.13273 alla cui stregua il bando di concorso per l'assunzione di lavoratori non è riconducibile alla previsione dell'art. 1989 c.c. - che configura la promessa al pubblico come negozio unilaterale dotato di efficacia in deroga alla regola generale stabilita dall'art. 1987 dello stesso codice e perciò vincolante per il promittente a prescindere da manifestazione di consenso da parte dei beneficiari - ma, essendo preordinato alla stipulazione di contratti di lavoro, che esigono il consenso delle controparti, costituisce, ove contenga gli elementi del contratto alla cui conclusione è diretto, un'offerta al pubblico, ai sensi dell'art. 1336 c.c., la quale è revocabile solo finché non sia intervenuta l'accettazione da parte degli interessati.</p> <p style="text-align: justify;">Tale offerta può essere di un contratto di lavoro definitivo, il quale si perfeziona con l'accettazione del lavoratore che risulti utilmente inserito nella graduatoria dei candidati idonei; oppure preliminare, il quale si perfeziona con la semplice accettazione del candidato che chieda di partecipare al concorso e che ha per oggetto l'obbligo per entrambe le parti o per il relativo offerente, nel caso di preliminare unilaterale, della stipulazione del contratto definitivo con chi risulti alfine vincitore.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio dunque, nella specie, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del ridetto principio laddove ha fatto scaturire dal costituito rapporto di formazione e lavoro tutte le conseguenze derivanti dalla condotta di Ferrovie dello Stato s.p.a. in termini risarcitori, anche con riguardo al danno per mancata formazione lamentato dal lavoratore.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.24685 alla cui stregua il concorso a sorte indetto da una società di distribuzione commerciale costituisce un'offerta al pubblico ai sensi dell'art. 1989 c.c., di contenuto aleatorio, soggetta alla disciplina dell'errore viziante di cui agli art. 1427 e ss. c.c.; ne consegue che tale offerta (<em>rectius</em>, il patto che ne è scaturito) è annullabile ove risulti che gli strumenti utilizzati per lo svolgimento del concorso siano affetti da errore, riconoscibile da parte del concorrente, tale da elidere in tutto o in parte l'alea posta a base del concorso stesso.</p> <p style="text-align: justify;">La fattispecie scandagliata dalla Corte è quella di un concorso a premi connesso alla vendita di un certo tipo di prodotto e consistente nella consegna di schede contenenti venti caselle, sotto alcune delle quali rimangono celate le immagini dei premi, di modo che chi abbia scoperto quattro immagini uguali cancellando solo quattro caselle si aggiudica il premio.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio assume in proposito come la riconoscibilità delle caselle vincenti, dovuta ad un difetto di stampa delle schede, abbia fatto venire meno l'alea insita nel pertinente contratto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 febbraio esce la sentenza della Corte d’Appello di Ancona alla cui stregua con la promessa (“<em>impegnativa</em>”) del fatto del terzo - ossia, nel caso di specie, l'assunzione del promissario presso altra società - il promittente assume una prima obbligazione di <em>facere</em>, consistente nell'adoperarsi affinché il terzo tenga il comportamento promesso, ed una seconda obbligazione di dare, cioè di corrispondere l'indennizzo nel caso in cui, nonostante si sia adoperato, il terzo si rifiuti di impegnarsi.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue per il Collegio che, qualora l'obbligazione di <em>facere</em> non verga adempiuta e l'inesecuzione sia imputabile al promittente, ovvero venga eseguita in violazione dei doveri di correttezza e buona fede, il promissario avrà a disposizione gli ordinari rimedi contro l'inadempimento e, qualora sussista il nesso di causalità tra inadempimento ed evento dannoso, il risarcimento del danno; qualora, invece, il promittente abbia adempiuto a tale obbligazione di <em>facere</em> e, ciononostante, il promissario non ottenga il risultato sperato a causa del rifiuto del terzo (nel caso di specie, la società che dovrebbe assumerlo e che non lo fa), diverrà attuale l'altra obbligazione di dare, in virtù della quale il promittente sarà tenuto a corrispondere l'indennizzo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2104 alla cui stregua il riconoscimento e la ricognizione di debito, che ai sensi dell'art. 1988 c.c. costituiscono dichiarazione unilaterale recettizia, non rappresentano una fonte autonoma di obbligazione, ma hanno soltanto un effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, chiosa il Collegio, affinché la dichiarazione unilaterale con la quale ci si riconosca debitori possa spiegare i relativi effetti, è necessario che sia rimessa direttamente dall'obbligato al creditore, senza intermediazioni, e che vi sia lo specifico intento del primo di costituirsi debitore del secondo, da ciò conseguendo la pertinente efficacia nel momento in cui venga a conoscenza del promissario la volontà del mittente di obbligarsi nei suoi confronti.</p> <p style="text-align: justify;">Ne deriva ancor che nessuna presunzione può sussistere a beneficio del preteso promissario nel caso in cui la ricognizione ed il riconoscimento del debito siano avvenuti per interposta persona, restando irrilevante che il documento che li contenga venga ugualmente a conoscenza, seppure indirettamente, del presunto creditore.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 aprile esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6473 onde la ricognizione di debito e la promessa di pagamento, pur non avendo natura giuridica di confessione - consistendo le prime in una dichiarazione di scienza e la seconda (confessione) in una dichiarazione di volontà - devono comunque provenire da soggetto legittimato dal punto di vista sostanziale a disporre del patrimonio su cui incide l'obbligazione dichiarata.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue per il Collegio che, con riferimento ad un ente collettivo, non può aversi una promessa unilaterale proveniente da persona non munita dei relativi poteri rappresentativi, onde va cassata la sentenza di merito che abbia riconosciuto valore di ricognizione di debito – siccome fatta da una società di capitali - ad un assegno bancario emesso da soggetto cui risulti, già in data anteriore alla pertinente emissione, revocata la delega ad operare sul conto corrente intestato alla stessa società.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.13689 alla cui stregua la promessa di pagamento, al pari della ricognizione di debito, comporta la presunzione fino a prova contraria del pertinente rapporto fondamentale, differenziandosi dalla confessione,che ha per oggetto l'ammissione di fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all'altra parte.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue per il Collegio che una promessa di pagamento, ancorché titolata, non ha natura confessoria, sicché il promittente può sempre dimostrare l'inesistenza della causa e la nullità della stessa promessa, e che le particolari limitazioni di prova, poste per la confessione dall'art. 2732 c.c., possono trovare applicazione soltanto ove, nello stesso documento, coesistano una promessa di pagamento (o una ricognizione di un debito) ed una confessione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.15688 onde, in materia di titoli di credito, il mero possessore di un assegno bancario che non risulti né prenditore né giratario dello stesso – nel caso specie, sul titolo manca peraltro l'indicazione del beneficiario - non é legittimato alla pretesa del credito ivi contenuto se non dimostrando l'esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito, poiché il semplice possesso del titolo non ha un significato univoco ai fini della legittimazione, non potendo escludersi che l'assegno sia a lui pervenuto abusivamente.</p> <p style="text-align: justify;">Né – precisa il Collegio – il ridetto assegno potrebbe comunque valere come promessa di pagamento, ai sensi dell'art. 1988 c.c., atteso che l'inversione dell'onere della prova, prevista da tale disposizione, opera solo nei confronti del soggetto a cui la promessa sia stata effettivamente fatta, sicché anche in tal caso il mero possessore di un titolo all'ordine (privo del valore cartolare), non risultante dal documento, deve fornire la prova della promessa di pagamento eventualmente resa a proprio favore.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.21098 onde la promessa di pagamento ha il solo effetto di sollevare il promissario dall'onere di provare l'esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria e deve essere, oltre che esistente, valido.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue per la Corte che essa è priva di effetti se si accerti giudizialmente che il rapporto fondamentale ridetto non è sorto, è invalido o si è estinto, dovendosi pertanto confermare nel caso di specie la sentenza di accoglimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la cui prova scritta sia stata costituita da un assegno bancario risultato emesso dal debitore per coprire interessi usurari su una somma previo oggetto di mutuo, il rapporto sottostante alla promessa di pagamento palesandosi nullo per illiceità della causa, in ragione del combinato disposto degli artt.1321 e 1343 cod. civ..</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 gennaio esce la sentenza della Corte d’Appello di Venezia alla cui stregua, seppure l'art. 978 c.c. faccia genericamente riferimento alla volontà dell'uomo, la tipologia negoziale idonea a costituire il diritto di usufrutto deve essere individuata, analogamente a quanto stabilito in materia di servitù, dall'art. 1058 c.c., nel testamento e nel contratto, mentre, per quanto riguarda i negozi unilaterali, nei limiti in cui sono ritenuti vincolanti per l'ordinamento, la possibilità di costituire l'usufrutto deve ritenersi limitata alle sole figure della promessa al pubblico prevista dall'art. 1989 c.c. e della donazione obnuziale di cui all'art. 785 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Ciò induce per il Collegio ad escludere l'attitudine della scrittura privata apposta sulla girata dei titoli azionari a costituire validamente l'usufrutto congiuntivo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 maggio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.11917 alla cui stregua appartiene alla giurisdizione del GA, ai sensi dell'art. 133, 1º comma, lett. a), n. 2), d.leg. 2 luglio 2010 n. 104 - in quanto controversia relativa ad accordi tra p.a. - il giudizio instaurato dalla Fondazione Ordine Mauriziano per far valere l'inadempimento della Regione Piemonte agli obblighi di erogazione di assegnazioni economiche previste in forza di convenzioni intervenute tra i predetti enti pubblici, restando irrilevante il successivo riconoscimento di debito operato dall'Assessore Regionale alla Sanità, che è inidoneo a costituire una autonoma fonte di obbligazione, determinando unicamente - insieme con l'effetto confermativo del preesistente rapporto fondamentale - un'inversione dell'onere della prova in ordine alla pretesa azionata.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.13243 onde la dichiarazione "<em>provvederò</em>" o altra simile, resa dal trattario di una cambiale tratta non accettata al notaio o al pubblico ufficiale che procede al protesto e che la riproduce nell'atto pubblico di protesto, non ha natura di negozio cambiario né efficacia di accettazione della cambiale tratta, essendo priva della forma richiesta, nonché contenuta in un atto distinto dal titolo cambiario, anche se collegato a quest'ultimo attraverso il foglio di allungamento.</p> <p style="text-align: justify;">Essa tuttavia, chiosa la Corte, ha valore di promessa di pagamento o di riconoscimento di debito ex art. 1988 cod. civ., ed è idonea ad obbligare il dichiarante, salvo che questi non provi il difetto di causa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.17193 onde nel caso di assegno con clausola di intrasferibilità, e girato in bianco, il giratario può far valere la girata come promessa di pagamento ex art. 1988 cod. civ., ove provi che il girante abbia inteso trasmettergli i diritti provenienti dal titolo e, quindi, dimostri la materiale "<em>traditio</em>" oppure altra modalità di trasmissione coerente con l'intento del girante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.13776 alla cui stregua nel nostro ordinamento non sono ammessi impegni irrevocabili a vendere che abbiano durata indeterminata, poiché essi si risolvono in una limitazione del potere di alienazione e, in definitiva, in una restrizione del principio di libera circolazione dei beni.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.22186 alla cui stregua la firma apposta dall'avallante (garante cambiario) ad una cambiale dà luogo esclusivamente ad una obbligazione cartolare, in quanto la promessa di pagamento insita nella sottoscrizione della cambiale sussiste esclusivamente nei rapporti tra emittente e prenditore o fra girante ed il suo immediato giratario, onde solo nell'ambito di tali rapporti opera l'inversione dell'onere della prova di cui all'art. 1988 cod. civ., non anche nei rapporti tra avallante e avallato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 aprile esce la sentenza del Tribunale di Padova alla cui stregua le dichiarazioni rese nel caso di specie da un ente (il consorzio Patti Chiari) - sia in sede di indicazione del proprio oggetto sociale sia, soprattutto, con specifico riferimento al prospetto dell'elenco delle obbligazioni a basso rischio e rendimento offerte - sono tali da generare un'obbligazione in capo al consorzio medesimo, configurandosi come promessa effettuata dal consorzio alla comunità degli investitori che scelgono per i propri impieghi titoli inseriti nel citato elenco espressamente richiamato in ciascun ordine di investimento e pertanto come assunzione di un impegno continuativo - durante l'investimento proposto - in termini di informazione, ma anche in termini di condotta specifica con riguardo all'aggiornamento dell'elenco e all'avviso agli investitori nell'ipotesi di aumento del pertinente rischio.</p> <p style="text-align: justify;">Detto impegno per la Corte, ai sensi dell'art. 1989 c.c., è rivolto a persone indeterminate che vengano a trovarsi nella specifica situazione descritta nella promessa medesima, per avere impiegato i propri denari in titoli inseriti nell'elenco dei titoli a basso rischio e rendimento di che trattasi; l'assunzione dell'obbligo in capo al consorzio prescinde, quindi, dall'adesione dei singoli beneficiari della promessa (gli investitori), che concludono l'unico contratto bilaterale configurabile, nella fattispecie concreta, con la sola banca intermediaria.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.24710 alla cui stregua la ricognizione di debito ha natura di negozio unilaterale recettizio, sicché il relativo effetto si verifica solo se la dichiarazione medesima sia indirizzata alla persona del creditore; non ha, pertanto, tale valenza l'atto interno dell'organo di una P.A. (nella specie, la delibera di una giunta comunale) laddove non investito della rappresentanza legale dell'ente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3184 onde l'accettazione della cessione di un credito da parte del debitore ceduto non costituisce ricognizione tacita del debito, trattandosi di una dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale, sicché, il ceduto non viola il principio di buona fede nei confronti del cessionario se non contesta il credito, pur se edotto della cessione, né il relativo silenzio può costituire conferma di esso, perché, per assumere tale significato, occorre un'intesa tra le parti negoziali cui il ceduto risulta estraneo (trattandosi di negozio tra cedente e cessionario).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.13039 onde la rinuncia al vantaggio probatorio derivante dalla ricognizione di debito ex art. 1988 c.c. richiede da parte del presunto creditore un'inequivoca manifestazione di volontà abdicativa, non essendo sufficiente che la (ridetta) parte sollevata dall'onere di provare il rapporto fondamentale ne offra egualmente la prova.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.14993, alla cui stregua la ricognizione di debito, come qualsiasi altra manifestazione di volontà negoziale, può risultare anche da un comportamento tacito, purché inequivoco, tale essendo il contegno che nessuno terrebbe se non al fine di riconoscersi debitore, e senza altro scopo se non quest'ultimo.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio va dunque cassata la sentenza impugnata che ha ravvisato rinuncia ad avvalersi dell'eccezione di reticenza dell'assicurato, e con essa tacita (collegata) ricognizione di debito nei relativi confronti, nel comportamento dell'assicuratore contro i danni che si sia limitato a far visitare da un medico legale l'assicurato medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 settembre esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.17713 onde in tema di promessa di pagamento e ricognizione di debito, una volta che il debitore abbia fornito la prova dell'inesistenza o dell'estinzione del debito relativo al rapporto fondamentale indicato dal creditore (ovvero dallo stesso debitore, essendone il creditore esentato e non essendo la promessa titolata), spetta a chi si afferma comunque creditore l'indicazione di un diverso rapporto sottostante che giustifichi il credito, in quanto il principio dell'astrazione processuale della causa, posto dall'art. 1988 c.c., che esonera colui a favore del quale la promessa o la ricognizione è fatta dall'onere di provare il rapporto fondamentale, non può intendersi nel senso che al debitore compete l'impossibile prova dell'assenza di qualsiasi altra ipotetica ragione di debito, ulteriore rispetto a quella di cui abbia dimostrato l'insussistenza.</p> <p style="text-align: justify;">In applicazione di tale principio, per la Corte va confermata la decisione di merito che ha respinto la pretesa creditoria del subagente, fondata su alcune fatture, essendo stata accertata, tramite ctu, la corresponsione di tutte le provvigioni dovute e non essendo stata allegata dall’asserito creditore l'esistenza di ragioni creditorie ulteriori riferibili a compensi non provvisionali.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.19803 onde la cambiale può essere utilizzata anche come titolo recante una promessa di pagamento riconducibile alla previsione dell'art. 1988 c.c., ed in tal caso è idonea ad integrare la prova scritta del credito derivante dal rapporto sottostante (nella specie, un contratto di mutuo chirografario) tra il traente ed il prenditore della stessa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.20689 che ribadisce come la ricognizione di debito non costituisca autonoma fonte di obbligazione, producendo solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale e determinando, ex art. 1988 c.c., un'astrazione meramente processuale della "<em>causa debendi</em>", da cui deriva una semplice "<em>relevatio ab onere probandi</em>" che dispensa il destinatario della dichiarazione dall'onere di provare quel rapporto, presunto fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, venendo, così, meno ogni effetto vincolante della ricognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto suddetto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento ad esso attinente che possa comunque incidere sull'obbligazione derivante dal riconoscimento.</p> <p style="text-align: justify;">La ricognizione di debito – precisa poi il Collegio - può offrire elementi di prova anche nei confronti di un soggetto diverso da quello dal quale proviene ove contenga un espresso riferimento al rapporto fondamentale, del quale il “<em>terzo</em>” sia parte, nonché la menzione di fatti da cui possa evincersi, in concorso con altri elementi istruttori, la dimostrazione della pretesa azionata; nel caso di specie, va dunque assunta immune da censure la sentenza impugnata laddove ha condannato la debitrice della banca controricorrente avvalendosi - oltre che dei contratti di conto corrente tra esse intercorsi, recanti pure l'indicazione del pattuito tasso di interessi per la disponibilità accordata, e delle fideiussioni rilasciate in favore della creditrice - di due lettere ricognitive di debito provenienti dalle garanti e da cui ha desunto l'ammontare del debito residuo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.25508 alla cui stregua - in tema di locazioni immobiliari ad uso diverso da abitazione - l'avvenuta comunicazione al conduttore, da parte dell'originario locatore, della disdetta del contratto alla relativa seconda scadenza, ove effettuata in epoca anteriore al decorso del termine per esercitare la facoltà di impedire il rinnovo contrattuale alla prima scadenza, implica la rinuncia ad esercitare tale facoltà e vale a rendere irrevocabile detta rinuncia, in applicazione del principio secondo cui l'avvenuta comunicazione di un atto negoziale comportante per il relativo autore l'assunzione di vincoli di prestazione (anche di non fare) deve ritenersi definitivamente irrevocabile ove il terzo destinatario dell'atto non ne abbia ricusato gli effetti favorevoli.</p> <p style="text-align: justify;">Conseguentemente, precisa la Corte, ricorrendo la descritta evenienza resta preclusa la facoltà di diniego di rinnovo alla prima scadenza da parte del locatore anche all'acquirente dell'immobile locato, poiché egli subentra nella medesima posizione contrattuale del proprio dante causa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.26334 onde la ricognizione del debito, prevista dall’art. 1988 c.c., costituisce una dichiarazione unilaterale recettizia che, in virtù di astrazione meramente processuale, esonera dall’onere di provare il rapporto fondamentale soltanto il soggetto al quale è stata indirizzata, a meno che non contenga l’indicazione della “<em>causa debendi</em>”: in tal caso, per il Collegio, anche il cessionario del credito, quale successore a titolo particolare nel rapporto obbligatorio oggetto della scrittura ricognitiva, può avvalersi della presunzione correlata alla pertinente sottoscrizione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 giugno esce la sentenza del Tribunale di Roma alla cui stregua - versata in atti una scrittura privata avente ad oggetto una ricognizione di debito - qualora la parte non abbia ritualmente disconosciuto tale documento, essendosi limitata, nelle relative difese, a contestarne l'efficacia in modo assolutamente generico, detta ricognizione di debito, perfettamente regolare ex. art. 1988 c.c., è da assumersi avere effetto confermativo del preesistente rapporto fondamentale, comportando l'inversione dell'onere della prova che, quindi, nel caso di specie, ricade sulla parte (debitrice) che ha effettuato la ricognizione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 ottobre esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n.23246 alla cui stregua la promessa di pagamento, anche se titolata, diverge dalla confessione in quanto, mentre la prima (promessa di pagamento) consiste in una dichiarazione di volontà intesa ad impegnare il promittente all'adempimento della prestazione oggetto della promessa medesima, la seconda (confessione) consiste nella dichiarazione di fatti sfavorevoli al dichiarante ed ha, perciò, il contenuto di una dichiarazione di scienza.</p> <p style="text-align: justify;">E’ tuttavia possibile per la Corte che, nel contesto di un unico documento, accanto alla volontà diretta alla promessa, coesista una confessione di fatti pertinenti al rapporto fondamentale la quale, avendo valore di prova legale (nella specie, circa l'esistenza del credito) preclude la prova contraria ex art. 1988 c.c. (nella specie, sull'inesistenza o sull'estinzione della prestazione promessa), salva la eventuale revoca della confessione medesima per errore di fatto o violenza.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 dicembre esce l’ordinanza della sezione V tributaria della Cassazione n.30480 onde le attività promozionali svolte con modalità diverse da quelle previste dall'art. 3, 1° comma, d.p.r. n. 430 del 2001 - le quali configurano una promessa al pubblico - in particolare ove basate su di una clausola accessoria al contratto, non possono essere considerate «<em>operazioni a premio</em>» ed esulano, pertanto, dall'ambito applicativo del relativo regime tributario.</p> <p style="text-align: justify;">Per la suprema corte va dunque assunta corretta la sentenza impugnata che ha reputato l'offerta di un premio, condizionata al raggiungimento di un quantitativo di beni venduti, rivolta dalla società contribuente ai rivenditori ed agenti appartenenti alla propria rete commerciale, una promessa del «<em>premio</em>» quale negozio “<em>unilaterale</em>” integrante tuttavia una clausola accessoria al contratto con essi intercoso, e non già una promessa al pubblico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 aprile esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n.9880 onde se la promessa di pagamento - che secondo il più recente orientamento della Corte ha natura negoziale - possiede una rilevanza unicamente processuale, dispensando colui a cui favore tale dichiarazione è stata fatta dall'onere di provarne i fatti costitutivi (c.d. <em>relevatio ab onere probandi</em>), nel caso in cui la ridetta promessa coesista con l'indicazione del fatto costitutivo del debito suddetto, tale indicazione ha natura di confessione, la quale, avendo valore di prova legale, può essere vinta soltanto a mezzo revoca della stessa, provando, secondo quanto previsto dall'art. 2732 c.c., l'errore di fatto o la violenza che ha determinato la dichiarazione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 maggio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n.10583 alla cui stregua la ricognizione di debito formulata dalla società di capitali a favore del socio, attraverso cui la prima intenda attribuire al secondo il diritto (di credito) di recedere dalla società e di ottenere la restituzione del conferimento in conto capitale, nonché del sovrapprezzo, versati al tempo della sottoscrizione della partecipazione sociale, è nulla per contrarietà alle norme imperative che regolano il contratto sociale, in quanto, non avendo ad oggetto poste debitorie corrispondenti a crediti esigibili del socio verso la società, tende a neutralizzare il rischio imprenditoriale cui questi si sottopone incondizionatamente con la sottoscrizione del capitale sociale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 maggio esce la sentenza della Corte d’Appello di Napoli alla cui stregua la dichiarazione di impegno resa dal deputato o dal senatore, in virtù della quale il parlamentare iscritto al partito promette di versare in favore di questo una quota del proprio stipendio, non ha carattere giuridico e quindi non è vincolante, configurandosi come obbligazione naturale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.20899 onde la rinuncia (da parte del presunto creditore) al vantaggio della dispensa dall'onere della prova del rapporto fondamentale, derivante dall'effetto di astrazione processuale prodotto dalla promessa di pagamento ai sensi dell'art. 1988 c.c., può essere anche implicita, ma richiede un'inequivoca manifestazione della pertinente volontà abdicativa, la quale è configurabile quando il beneficiario, nell'azionare il credito, deduca, oltre alla promessa di pagamento, il rapporto ad essa sottostante chiedendo "<em>sua sponte</em>" di provarlo, e non anche quando lo stesso promissario formuli tale richiesta istruttoria per reagire alle eccezioni del promittente.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 ottobre esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.25544 onde, in tema di contratto di agenzia, l'inserimento della provvigione nel conto provvigionale, il cui diritto sorge allorquando l'affare sia andato a buon fine o la mancata conclusione del contratto sia imputabile al preponente, non costituisce fonte autonoma di obbligazione ma mera ricognizione di debito, avente effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, che comporta l'inversione dell'onere della prova dell'esistenza di quest'ultimo ma non impedisce al preponente di sottrarsi al pagamento, dimostrando che al contratto non è stata data esecuzione per fatti a lui non imputabili.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 30 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.14773 onde la rinuncia (da parte del presunto creditore) al vantaggio della dispensa dell'onere della prova del rapporto fondamentale, siccome derivante dall'effetto di astrazione processuale prodotto dalla promessa di pagamento ai sensi dell'art. 1988 c.c., può essere anche implicita, ma richiede una inequivoca manifestazione della pertinente volontà abdicativa, la quale è configurabile quando il beneficiario, nell'azionare il credito, deduca, oltre alla promessa di pagamento, il rapporto ad essa sottostante chiedendo <em>sua sponte</em> di provarlo, e non anche quando lo stesso promissario formuli tale richiesta istruttoria per reagire alle eccezioni del promittente.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 luglio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.20422 alla cui stregua è da assumersi riservata al giudice del merito e sottratta al sindacato di legittimità l'indagine sul contenuto e sul significato delle dichiarazioni della parte, al fine di stabilire se esse importino una ricognizione di debito ai sensi dell'art 1988 c.c</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 febbraio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 2431 alla cui stregua la ricognizione di debito avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento del relativo autore è opponibile alla massa dei creditori, in quanto deve presumersi l'esistenza del rapporto fondamentale, salva la prova – il cui onere grava sul curatore fallimentare – della pertinente inesistenza o invalidità.</p> <p style="text-align: justify;"> * * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 febbraio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.2758 alla cui stregua il soggetto che riconosca l'altrui diritto compie una dichiarazione di scienza, avente ad oggetto il diritto della controparte, dagli effetti esclusivamente interruttivi della prescrizione (che, dunque, riprende a decorrere), diversamente dall'istituto della rinuncia alla prescrizione che è caratterizzato dalla manifestazione di una volontà negoziale con effetto definitivamente dismissivo, avente ad oggetto il proprio diritto alla liberazione dall'obbligo di adempimento.</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte nella specie va dunque dichiarato inammissibile il ricorso scandagliato per mancata censura (nel relativo corpo argomentativo) della valutazione con la quale la corte territoriale, in base ad una indagine condotta sul tenore di una missiva e volta alla ricostruzione della volontà del dichiarante, aveva ravvisato una mera dichiarazione di scienza, rappresentante delle difficoltà finanziarie come causa dell'inadempimento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 febbraio esce la sentenza della V sezione tributaria della Cassazione n.3381 onde - in tema di costi deducibili - i regali in natura che vengano corrisposti dal produttore agli acquirenti-rivenditori della merce in base a promessa unilaterale vanno considerati “<em>operazioni a premio</em>”, ai sensi dell'art. 3, 1° comma, d.p.r. n. 430 del 2001, e non sconti di prezzo, i quali (interamente deducibili come costo) sono configurabili nel caso in cui le attività promozionali si basino su di una clausola accessoria al contratto.</p> <p style="text-align: justify;">In applicazione di tale principio, per il Collegio va confermata l'impugnata sentenza della commissione tributaria regionale secondo cui i viaggi turistici offerti dal produttore a clienti come premio per volumi di acquisto o di rivenduto costituiscono appunto “<em>operazioni a premio</em>”, come tali non integralmente deducibili come costo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 febbraio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.5062 alla cui stregua, in tema di condominio, l'accettazione da parte del nuovo amministratore della documentazione condominiale consegnatagli dal precedente così come un pagamento parziale, a titolo di acconto di una maggiore somma, non costituiscono prove idonee del debito nei confronti di quest'ultimo da parte dei condomini per l'importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili, spettando pur sempre all'assemblea approvare il conto consuntivo, onde confrontarlo con il preventivo ovvero valutare l'opportunità delle spese affrontate d'iniziativa dell' amministratore.</p> <p style="text-align: justify;">La sottoscrizione del verbale di consegna della documentazione, apposta dal nuovo amministratore, non integra pertanto per il Collegio una ricognizione di debito fatta dal condominio in relazione alle anticipazioni di pagamenti ascritte al precedente amministratore e risultanti dalla situazione di cassa registrata.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 marzo esce la importante sentenza delle SSUU della Cassazione n.6459 in tema di patto fiduciario, che investe anche il tema delle promesse unilaterali giusta riferimento alla c.d. promessa di pagamento.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte osserva come per il patto fiduciario con oggetto immobiliare - che s'innesta su un acquisto effettuato dal fiduciario per conto del fiduciante - non è richiesta la forma scritta <em>ad substantiam</em>; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l'accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario.</p> <p style="text-align: justify;">Aggiunge il Collegio che la dichiarazione unilaterale scritta del fiduciario, ricognitiva dell'intestazione fiduciaria dell'immobile e promissiva del suo ritrasferimento al fiduciante, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma, rappresentando una promessa di pagamento, ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, realizzando, ai sensi dell'art. 1988 cod. civ., un'astrazione processuale della causa, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della <em>contra se pronuntiatio</em>, dell'onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria.</p> <p style="text-align: justify;">La prima questione rimessa all'esame delle Sezioni Unite concerne la forma del patto fiduciario con oggetto immobiliare.</p> <p style="text-align: justify;">Premesso che il patto fiduciario dà luogo ad un assetto di rapporti sul piano obbligatorio in forza del quale il fiduciario è tenuto verso il fiduciante a tenere una certa condotta nell'esercizio del diritto fiduciariamente acquistato, ivi compreso il ritrasferimento del diritto al fiduciante o a un terzo da lui designato, l'interrogativo sollevato dall'ordinanza interlocutoria – principia la Corte - è se possa ritenersi rispettato il requisito della forma scritta del patto fiduciario coinvolgente diritti reali immobiliari da una dichiarazione unilaterale scritta del fiduciario che risulti espressione della causa fiduciaria esistente in concreto, pur se espressa verbalmente tra fiduciante e fiduciario; più in particolare, se valida fonte dell'obbligazione di ritrasferire sia soltanto un atto bilaterale e scritto, coevo all'acquisto del fiduciario, o se sia sufficiente un atto unilaterale, ricognitivo, posteriore e scritto del fiduciario, a monte del quale vi sia un impegno espresso oralmente dalle parti.</p> <p style="text-align: justify;">Si impongono preliminarmente, per il Collegio, alcune premesse di inquadramento.</p> <p style="text-align: justify;">Il fenomeno fiduciario consiste in una operazione negoziale che consente ad una parte (il fiduciante) di far amministrare o gestire per finalità particolari un bene da parte di un'altra (il fiduciario), trasferendo direttamente al fiduciario la proprietà del bene o fornendogli i mezzi per l'acquisto in nome proprio da un terzo, con il vincolo che il fiduciario rispetti un complesso di obblighi volti a soddisfare le esigenze del fiduciante e ritrasferisca il bene al fiduciante o a un terzo da lui designato.</p> <p style="text-align: justify;">Attraverso il negozio fiduciario la proprietà del bene viene trasferita da un soggetto a un altro con l'intesa che il secondo, dopo essersene servito per un determinato scopo, lo ritrasferisca al fiduciante, oppure il bene viene acquistato dal fiduciario con denaro fornito dal fiduciante, al quale, secondo l'accordo, il bene stesso dovrà essere, in un tempo successivo, ritrasferito.</p> <p style="text-align: justify;">Il negozio fiduciario – prosegue la Corte - si presenta non come una fattispecie, ma come una casistica: all'unicità del nome corrispondono operazioni diverse per struttura, per funzione e per pratici effetti.</p> <p style="text-align: justify;">Innanzitutto perché l'investitura del fiduciario nella titolarità del diritto può realizzarsi secondo distinti moduli procedimentali: le parti possono dare origine alla situazione di titolarità fiduciaria sia attraverso un atto di alienazione dal fiduciante al fiduciario, sia - come nel caso da cui è sorta la controversia scandagliata dal Collegio - mediante un acquisto compiuto dal fiduciario in nome proprio da un terzo con denaro fornito dal fiduciante.</p> <p style="text-align: justify;">In secondo luogo perché l'effetto traslativo non è essenziale per la configurabilità di un accordo fiduciario. Accanto alla fiducia dinamica, caratterizzata dall'effetto traslativo strumentale, un modo di costituzione della titolarità fiduciaria è rappresentato dalla fiducia statica, che si ha quando manca del tutto un atto di trasferimento, perché il soggetto è già investito ad altro titolo di un determinato diritto, e il relativo titolare, che sino a un dato momento esercitava il diritto nel proprio esclusivo interesse, si impegna a esercitare le proprie prerogative nell'interesse altrui, in conformità a quanto previsto dal <em>pactum fiduciae</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Nello schema del negozio fiduciario - afferma Cass., Sez. II, 7 agosto 1982, n. 4438 - rientra, oltre quello di tipo traslativo, anche la fiducia statica, i cui estremi sono appunto rappresentati dalla preesistenza di una situazione giuridica attiva facente capo ad un soggetto che venga poi assunto come fiduciario e si dichiari disposto ad attuare un certo disegno del fiduciante mediante l'utilizzazione non già di una situazione giuridica all'uopo creata (come nel negozio fiduciario di tipo traslativo), ma di quella preesistente, che viene così dirottata dal relativo, naturale esito, a ciò potendosi determinare proprio perché a lui fa capo la situazione giuridica di cui si tratta.</p> <p style="text-align: justify;">In terzo luogo perché il negozio fiduciario risponde ad una molteplicità di funzioni, di pratici intenti, essendo diversi i tipi di interessi che possono sorreggere l'operazione. Nella fiducia <em>cum amico</em> la creazione della titolarità è funzionale alla realizzazione di una detenzione e gestione del bene nell'interesse del fiduciante ed in vista di un successivo ulteriore trasferimento della titolarità, allo stesso fiduciante o a un terzo. Nella fiducia <em>cum creditore</em>, invece, il contratto fiduciario intercorre tra debitore e creditore: l'interesse del fiduciante è trasferire la proprietà di un proprio bene al fiduciario, relativo creditore, a garanzia del diritto di credito, con l'impegno del fiduciario a ritrasferire il bene al fiduciante, se questi adempie regolarmente al proprio debito.</p> <p style="text-align: justify;">Questa seconda tipologia - la fiducia <em>cum creditore</em> - esige per la Corte una attenta valutazione nel caso concreto, onde accertare che non integri un contratto in frode alla legge e precisamente in violazione del divieto di patto commissorio (art. 2744 cod. civ.).</p> <p style="text-align: justify;">La dottrina ha a lungo dibattuto alla ricerca di una sistemazione appagante del fenomeno fiduciario sotto il profilo del relativo fondamento causale. Vi è chi, riducendo il negozio fiduciario ad un tipo negoziale, seppure innominato, lo costruisce come un contratto unitario, avente una propria causa interna, la <em>causa fiduciae</em>, consistente in un trasferimento di proprietà, da un lato, e nell'assunzione di un obbligo, dall'altro. In questa prospettiva, l'effetto obbligatorio non costituisce un limite dell'effetto reale, ma si trova con esso in un rapporto di interdipendenza, non già nel senso di corrispettività economica, ma nel senso che l'attribuzione patrimoniale è il mezzo per rendere possibile al fiduciario quel relativo comportamento in ordine al diritto trasferitogli: l'effetto obbligatorio rappresenta dunque la causa giustificatrice dell'effetto reale.</p> <p style="text-align: justify;">Da parte di altri – chiosa ancora la Corte - si ritiene che nell'operazione <em>de qua</em> siano destinati a venire in rilievo singoli negozi tipici, con causa diversa da quella <em>fiduciae</em>, relativamente ai quali la fiducia non opera o non è in grado di operare sul terreno della causa in senso oggettivo, ma su quello dei motivi o su quello delle determinazioni accessorie di volontà.</p> <p style="text-align: justify;">Altri ancora - dopo avere qualificato il contratto fiduciario come il negozio mediante il quale si persegue uno scopo diverso dalla causa del contratto prescelto, avendo il <em>pactum fiduciae</em> la funzione di piegare il contratto prescelto alla realizzazione dello scopo perseguito - ritengono impossibile ricondurre il fenomeno pratico ad una unitaria categoria giuridica e considerano il contratto traslativo e il patto fiduciario come contratti separati, tra loro collegati, nei quali la <em>causa fiduciae</em> esprime il collegamento fra i due contratti ridetti. Tale orientamento costruisce il fenomeno in forma pluralistica, vedendovi un collegamento funzionale tra trasferimenti e obblighi, in attuazione del programma fiduciario: di talché l'interno vincolo obbligatorio (con il quale il fiduciario si obbliga, nel rispetto della fiducia, al compimento del negozio che ne costituisce adempimento), non autonomamente isolabile, interagisce con l'effetto reale esterno.</p> <p style="text-align: justify;">Anche in giurisprudenza non mancano prese di posizione sulla natura giuridica del negozio fiduciario. Così, la Corte rammenta come talvolta le proprie pronunce vedano nel contratto fiduciario un caso di negozio indiretto: un negozio, cioè, con cui le parti perseguono risultati diversi da quelli tipicamente propri del negozio impiegato, e corrispondenti a quelli di un negozio diverso. Il negozio fiduciario - si afferma - rientra nella categoria più generale dei negozi indiretti, caratterizzati dal fatto di realizzare un determinato effetto giuridico non in via diretta, bensì indiretta: il negozio, che è realmente voluto dalle parti, viene infatti posto in essere in vista di un fine pratico diverso da quello suo tipico, e corrispondente in sostanza alla funzione di un negozio diverso.</p> <p style="text-align: justify;">L'intestazione fiduciaria di un bene comporta un vero e proprio trasferimento in favore del fiduciario, limitato però dagli obblighi stabiliti <em>inter partes</em>, compreso quello del trasferimento al fiduciante, in cui si ravvisa il contenuto del <em>pactum fiduciae</em> (Cass., Sez. III, 2 aprile 2009, n. 8024; Cass., Sez. IL 9 maggio 2011, n. 10163; Cass., Sez. I, 17 settembre 2019, n. 23093).</p> <p style="text-align: justify;">Altre volte si opta per un inquadramento in termini di pluralità di negozi connessi da una comune congruenza funzionale ovvero da un'unica finalità economica: nel rapporto fiduciario si ha il concorso di due negozi, l'uno di disposizione e l'altro - che è anche causa del primo - di obbligazione, i quali sono distinti, pur se collegati, e non fusi unitariamente (Cass., Sez. IL 18 aprile 1957, n. 1331); il negozio fiduciario si realizza mediante il collegamento di due negozi, parimenti voluti, l'uno di carattere esterno, efficace verso i terzi, e l'altro, <em>inter partes</em> ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo, per cui il fiduciario è tenuto a ritrasferire il bene al fiduciante o al terzo (Cass., Sez. IL 7 agosto 1982, n. 4438; Cass., Sez. IL 1° aprile 2003, n. 4886; Cass., Sez. I, 8 settembre 2015, n. 17785).</p> <p style="text-align: justify;">Una terza impostazione – rammenta ancora la Corte - si distacca dalle ricostruzioni che descrivono il negozio fiduciario come articolato in due negozi (uno esterno e con effetti reali, l'altro interno e obbligatorio), per sostenere che "<em>qualora tra due parti intercorra un accordo fiduciario, esso comprende l'intera operazione e la connota di una causa unitaria, quella ... di realizzare il programma fiduciario, mentre per la sua realizzazione possono essere posti in essere diversi negozi giuridici, che a seconda dei casi e degli obiettivi che con l'accordo fiduciario ci si propone di realizzare possono essere diversi sia nel numero che nella tipologia</em>" (Cass., Sez. III, 15 maggio 2014, n. 10633).</p> <p style="text-align: justify;">Il fondamento causale e l'inquadramento teorico del negozio fiduciario – precisa a questo punto la Corte - possono rimanere in questa sede soltanto accennati, perché il quesito posto dall'ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione pone in realtà un problema pratico relativo alla individuazione di una regola di dettaglio la cui soluzione prescinde dall'adesione all'una o all'altra tra le tesi appena esposte. La questione sollevata, infatti, concerne la forma dell'impegno con cui il fiduciario si obbliga nei rapporti interni verso il fiduciante, in forza del <em>pactum fiduciae</em>, a ritrasferirgli l'immobile.</p> <p style="text-align: justify;">In considerazione del già rilevato multiforme atteggiarsi del fenomeno fiduciario, tale interrogativo viene esaminato dalle Sezioni Unite nei limiti della pertinente rilevanza, ossia avendo riguardo all'orizzonte di attesa della fattispecie concreta, la quale si caratterizza per essere il fiduciario divenuto titolare del diritto avendolo acquistato in nome proprio da un terzo con mezzi somministratigli dal fiduciante.</p> <p style="text-align: justify;">Conviene allora, per la Corte, passare in rassegna gli indirizzi giurisprudenziali che si sono manifestati sulla specifica questione.</p> <p style="text-align: justify;">Quando l'impegno all'ulteriore trasferimento ad opera del fiduciario riguardi un bene immobile, l'orientamento dominante condiziona la rilevanza del patto fiduciario alla circostanza che i soggetti abbiano consegnato in un atto scritto il <em>pactum</em>. Tale indirizzo, infatti, assimila, <em>quoad effectum</em>, il patto fiduciario, sotto il profilo dell'assunzione dell'obbligo a ritrasferire da parte del fiduciario, al contratto preliminare, con la conseguente necessità di osservare la forma vincolata <em>per relationem</em> prevista dall'art. 1351 cod. civ. In base a tale orientamento, il negozio fiduciario, nel quale sia previsto l'obbligo di una parte di modificare la situazione giuridica a lui facente capo a favore del fiduciante o di altro soggetto da quest'ultimo designato, richiede la forma scritta <em>ad substantiam</em> qualora riguardi beni immobili, atteso che esso è sostanzialmente equiparabile al contratto preliminare - per il quale l'art. 1351 cod. civ. prescrive la stessa forma del contratto definitivo - in relazione all'obbligo assunto dal fiduciario di emettere la dichiarazione di volontà diretta alla conclusione del contratto voluto dal fiduciante (Cass., Sez. II, 18 ottobre 1988, n. 5663; Cass., Sez. II, 29 maggio 1993, n. 6024; Cass., Sez. II, 19 luglio 2000, n. 9489; Cass., Sez. II, 7 aprile 2011, n. 8001; Cass., Sez. I, 26 maggio 2014, n. 11757; Cass., Sez. II, 25 maggio 2017, n. 13216; Cass., Sez. I, 17 settembre 2019, n. 23093).</p> <p style="text-align: justify;">In questa prospettiva, la valida fonte dell'obbligazione di ritrasferire del fiduciario può essere solo un atto negoziale avente struttura bilaterale e dispositiva. Onere del fiduciante - si legge in Cass., Sez. II, 7 aprile 2011, n. 8001, cit. - è quello "<em>di dimostrare l'esistenza dell'accordo scritto fiduciario, che</em> [ha] <em>preceduto o accompagnato la stipula del contratto di acquisto, con l'assunzione, da parte del fiduciario, dell'obbligo di retrocessione ... del bene immobile</em>".</p> <p style="text-align: justify;">La dichiarazione unilaterale del fiduciario non è ritenuta sufficiente allo scopo, giacché una ricognizione <em>ex post</em> di un atto solenne <em>ab origine</em> perfezionato informalmente non vale a supplire al difetto della forma richiesta dalla legge ai fini della validità dell'atto (Cass., Sez. I, 18 aprile 1994, n. 3706): ai fini del trasferimento della proprietà immobiliare (e relativi preliminari), il requisito della forma scritta prevista ad substantiam "<em>non può essere sostituito da una dichiarazione confessoria dell'altra parte, non valendo tale dichiarazione né quale elemento integrante il contratto né - quando anche contenga il preciso riferimento ad un contratto concluso per iscritto - come prova del medesimo; pertanto, il requisito di forma può ritenersi soddisfatto solo se il documento costituisca l'estrinsecazione formale diretta della volontà negoziale delle parti e non anche quando esso si limiti a richiamare un accordo altrimenti concluso, essendo in tal caso necessario che anche tale accordo rivesta la forma scritta e contenga tutti gli elementi essenziali del contratto non risultanti dall'altro documento, senza alcuna possibilità di integrazione attraverso il ricorso a prove storiche, non consentite dall'art. 2725 cod. civ</em>." (Cass., Sez. II, 9 maggio 2011, n. 10163).</p> <p style="text-align: justify;">Nel ribadire la necessità dell'atto bilaterale scritto – precisa ancora il Collegio - talvolta la giurisprudenza ne mitiga le conseguenze applicando il principio secondo cui la produzione in giudizio di una scrittura, contro la parte dalla quale proviene, equivale a perfezionamento dell'accordo bilaterale. E' ben vero - afferma Cass., Sez. II, 1° aprile 2003, n. 4886 - che l'unilateralità della dichiarazione resa dal fiduciario "<em>contrasta con la necessaria bilateralità del negozio fiduciario, ma, poiché ad avvalersene in giudizio è il contraente del quale manca la sottoscrizione</em>", trova applicazione il consolidato principio per cui "<em>quando ... la parte che non abbia sottoscritto l'atto a forma vincolata la produca in giudizio, invocandone a proprio favore gli effetti e così dando la propria adesione, se l'altra parte non abbia nel frattempo revocato il consenso prima manifestato, il requisito della necessaria consensualità deve ritenersi validamente esistente</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Un indirizzo minoritario, inaugurato da Cass., Sez. III, 15 maggio 2014, n. 10633, ritiene invece che l'accordo fiduciario non necessiti indefettibilmente della forma scritta a fini di validità, ben potendo la prescrizione di forma venire soddisfatta dalla dichiarazione unilaterale redatta per iscritto e sottoscritta con cui il fiduciario si impegni a trasferire determinati beni al fiduciante, in attuazione esplicita (ossia con <em>expressio causae</em>) del medesimo pactum fiduciae.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo questo orientamento, a monte della dichiarazione unilaterale con cui il soggetto, riconoscendo il carattere fiduciario dell'intestazione, promette il trasferimento del bene al fiduciante, può stare anche un impegno orale delle parti, e la dichiarazione unilaterale, in quanto volta ad attuare il <em>pactum</em> preesistente, ha una propria "<em>dignità</em>", che la rende idonea a costituire autonoma fonte dell'obbligazione del promittente, purché contenga la chiara enunciazione dell'impegno e del contenuto della prestazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il nuovo indirizzo – chiosa ancora la Corte - muove dalla constatazione della prassi, nella quale "<em>non è infrequente che l'accordo fiduciario non sia scritto, ma che il soggetto in quel momento beneficiario della intestazione si impegni unilateralmente a modificare in un futuro la situazione</em>" secondo gli accordi presi con l'altro soggetto; e dalla considerazione che "<em>una dichiarazione unilaterale non costituisce necessariamente ed esclusivamente una semplice promessa di pagamento, di valore meramente ricognitivo rispetto ad un impegno ad essa esterno</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Più precisamente, anche "<em>un impegno che nasce come unilaterale ... ha una propria dignità atta a costituire fonte di obbligazioni in quanto è volto ad attuare l'accordo fiduciario preesistente</em>": "<em>la fiducia è la causa dell'intera operazione economica posta in essere, che si articola in diversi negozi giuridici e che colora di liceità e di meritevolezza l'impegno di ritrasferimento assunto</em> [dal fiduciario] <em>con la sottoscrizione del suo impegno unilaterale</em>".</p> <p style="text-align: justify;">La pronuncia che ha innovato l'orientamento tradizionale richiama, intravedendovi profili di affinità, la svolta di giurisprudenza realizzatasi, con la sentenza 2 settembre 2013, n. 20051, della Terza Sezione, in relazione al mandato senza rappresentanza all'acquisto di beni immobili, per il quale la Corte ha escluso la necessità della forma scritta e ha affermato che si può fare ricorso al rimedio dell'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto nei casi in cui ci sia una dichiarazione unilaterale scritta del mandatario, anche successiva all'acquisto, che contenga un preciso impegno e una sufficiente indicazione degli immobili da trasferire.</p> <p style="text-align: justify;">L'orientamento inaugurato dalla sentenza 15 maggio 2014, n. 10633, è compendiato nella seguente massima: "<em>La dichiarazione unilaterale scritta con cui un soggetto si impegna a trasferire ad altri la proprietà di uno o più beni immobili in esecuzione di un precedente accordo fiduciario non costituisce semplice promessa di pagamento ma autonoma fonte di obbligazioni se contiene un impegno attuale e preciso al ritrasferimento, e, qualora il firmatario non dia esecuzione a quanto contenuto nell'impegno unilaterale, è suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ., purché l'atto unilaterale contenga l'esatta individuazione dell'immobile, con l'indicazione dei confini e dei dati catastali</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Nel complessivo panorama giurisprudenziale non possono poi per la Corte essere tralasciate altre due pronunce.</p> <p style="text-align: justify;">Dalla prima - si tratta di Cass., Sez. III, 30 gennaio 1985, n. 560 - si ricava il principio secondo cui deve rivestire <em>ad substantiam</em> forma scritta il negozio traslativo di beni immobili dal fiduciario al fiduciante in esecuzione del <em>pactum fiduciae</em>, ma non anche quest'ultimo. La motivazione della sentenza contiene infatti il seguente passaggio argomentativo: "<em>Quanto, poi, all'assunto del ricorrente, secondo cui non solo il negozio traslativo di beni immobili dal fiduciario al fiduciante in esecuzione del </em>pactum fiduciae<em>, ma anche quest'ultimo deve rivestire </em>ad substantiam<em> forma scritta, basterà ricordare che siffatta tesi ... non trova</em> [...] <em>riscontro nella costruzione dogmatica del negozio fiduciario</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Cass., Sez. II, 27 agosto 2012, n. 14654, a propria volta, pronunciando in un caso riguardante l'intestazione fiduciaria di somme in un conto corrente, si preoccupa tuttavia, in generale, non solo di offrire la definizione di negozio fiduciario, ma anche, in quest'ambito, di dare indicazioni sulla sua forma, nei seguenti termini: la fattispecie del negozio fiduciario "<em>si sostanzia in un accordo tra due soggetti, con cui il primo trasferisce (o costituisce) in capo al secondo una situazione giuridica soggettiva (reale o personale) per il conseguimento di uno scopo pratico ulteriore, ed il fiduciario, per la realizzazione di tale risultato, assume l'obbligo di utilizzare nei tempi e nei modi convenuti la situazione soggettiva, in funzione strumentale, e di porre in essere un proprio comportamento coerente e congruo. Trattandosi di fattispecie non espressamente disciplinata dalla legge, in mancanza di una disposizione espressa in senso contrario, il </em>pactum fiduciae<em> non può che essere affidato al principio generale della libertà della forma</em>".</p> <p style="text-align: justify;">L'indirizzo dominante, nel richiedere la forma scritta <em>ad validitatem</em> del patto fiduciario con oggetto immobiliare, muove da un'equiparazione del patto al contratto preliminare: sia per la somiglianza strutturale (obbligatorietà del futuro <em>contrahere</em>) tra l'uno e l'altro negozio, sia per la similitudine effettuale, che si risolverebbe nell'<em>eadem ratio</em> del requisito di forma imposto dall'art. 1351 cod. civ.</p> <p style="text-align: justify;">In sostanza, chiarisce la Corte, si riconosce l'esistenza di un collegamento tra l'art. 1351 e l'art. 2392 cod. civ., nel senso che, riferendosi l'art. 2392 cod. civ. a tutti i contratti produttivi di un obbligo a contrarre, anche l'art. 1351 cod. civ. dovrebbe estendersi a tutti i contratti che obblighino i contraenti a stipulare un ulteriore negozio formale, con la conseguenza che la norma non riguarderebbe soltanto il contratto preliminare, ma ogni negozio fonte di successivi obblighi a contrarre, e tra questi il patto fiduciario.</p> <p style="text-align: justify;">Questo orientamento - dalla dottrina talvolta condiviso o ritenuto plausibile, talaltra considerato frutto di forti e patenti approssimazioni - deve tuttavia per il Collegio essere rimeditato.</p> <p style="text-align: justify;">Nel rapporto che si realizza per mezzo di un acquisto compiuto dal fiduciario, per conto del fiduciante, direttamente da un terzo, il <em>pactum fiduciae</em> - con cui il fiduciario si obbliga a gestire la posizione giuridica di cui è investito secondo modalità predeterminate e a ritrasferire la stessa al fiduciante - è assimilabile, ad avviso del Collegio, al mandato senza rappresentanza, non al contratto preliminare.</p> <p style="text-align: justify;">In questo senso convergono le indicazioni della giurisprudenza e le analisi della dottrina. Quando pone l'accento sulla struttura e sulla funzione del <em>pactum fiduciae</em>, la giurisprudenza (Cass., Sez. I, 20 maggio 1976, n. 1798) non esita a ricondurre al mandato senza rappresentanza (in particolare, ai rapporti interni tra mandante e mandatario) il patto di ritrasferire al fiduciante il diritto acquistato dal fiduciario. "<em>L'eventualità che la fiducia si estrinsechi attraverso il patto di ritrasferire al fiduciante il diritto acquisito dal fiduciario e che, quindi, venga ad atteggiarsi come un mandato senza rappresentanza</em> [...] <em>è da ritenere</em> [...] <em>perfettamente conforme alla potenziale estensione ed articolabilità del patto relativo</em>": "<em>il mandato senza rappresentanza, infatti, costituendo lo strumento tipico dell'agire per conto (ma non nel nome) altrui, non solo può piegarsi alle esigenze di un </em>pactum fiduciae<em> che contempli l'obbligo del fiduciario di ritrasferire al fiduciante un diritto, ma si pone anzi come la figura negoziale praticamente meglio idonea ad assorbire, senza residui e senza necessità di ulteriori combinazioni</em>, [...] <em>quel determinato intento</em>".</p> <p style="text-align: justify;">La dottrina dal canto suo, prosegue la Corte, evidenzia come mandato (in nome proprio) e negozio fiduciario si presentino entrambi come espressioni della interposizione reale di persona: in particolare, con specifico riguardo all'ipotesi, che qui viene in rilievo, del soggetto che abbia acquistato un bene utilizzando la provvista di altri e per seguire le istruzioni ricevute, essa perviene alla conclusione che tale posizione può essere qualificata come mandato o come fiducia, ma che le norme applicabili sono comunque le stesse.</p> <p style="text-align: justify;">Sul versante del rapporto tra preliminare e patto fiduciario - al di là della affinità legata al fatto che anche nel <em>pactum fiduciae</em>, come nell'obbligo nascente dal contratto preliminare, è ravvisabile un momento iniziale con funzione strumentale rispetto ad un momento finale - la riflessione in sede scientifica mette in luce la diversità degli assetti d'interessi perseguiti dall'una e dall'altra figura.</p> <p style="text-align: justify;">Nel preliminare, infatti, l'effetto obbligatorio è strumentale all'effetto reale, e lo precede; nel contratto fiduciario l'effetto reale viene prima, e su di esso s'innesta l'effetto obbligatorio, la cui funzione non è propiziare un effetto reale già prodotto, ma conformarlo in coerenza con l'interesse delle parti. Ne consegue che, mentre l'obbligo di trasferire inerente al preliminare di vendita immobiliare è destinato a realizzare la consueta funzione commutativa, la prestazione traslativa stabilita nell'accordo fiduciario serve, invece, essenzialmente per neutralizzare il consolidamento abusivo di una situazione patrimoniale vantaggiosa per il fiduciario a danno del fiduciante.</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, l'obbligo nascente dal contratto preliminare si riferisce alla prestazione del consenso relativo alla conclusione di un contratto causale tipico (quale la vendita), con la conseguenza che il successivo atto traslativo è qualificato da una causa propria ed è perciò improntato ad una funzione negoziale tipica; diversamente, nell'atto di trasferimento del fiduciario - analogamente a quanto avviene nel mandato senza rappresentanza (art. 1706, secondo comma, cod. civ.) - si ha un'ipotesi di pagamento traslativo, perché l'atto di trasferimento si identifica in un negozio traslativo di esecuzione, il quale trova il proprio fondamento causale nell'accordo fiduciario e nella obbligazione di dare che da esso origina.</p> <p style="text-align: justify;">Le differenze esistenti tra il contratto preliminare e il <em>pactum fiduciae</em> escludono dunque per la Corte la possibilità di equiparare le due figure ai fini di un eguale trattamento del regime formale.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto, poi, al collegamento tra la natura immobiliare del bene acquistato dal fiduciario e l'esecuzione specifica dell'obbligo di trasferimento rimasto inadempiuto, si è chiarito che il rimedio dell'esecuzione in forma specifica non è legato alla forma del negozio da cui deriva l'obbligo di contrattare, potendo l'art. 2932 cod. civ. trovare applicazione anche là dove l'obbligo di concludere un contratto riguardi cose mobili e si trovi pertanto contenuto in un contratto non formale, perché volto, appunto, al trasferimento di beni mobili.</p> <p style="text-align: justify;">La riconduzione allo schema del mandato senza rappresentanza del <em>pactum fiduciae</em> che s'innesta sull'intestazione in capo al fiduciario di un bene da questo acquistato utilizzando la provvista fornita dal fiduciante, orienta per la Corte la soluzione del problema della forma dell'impegno dell'accordo fiduciario con oggetto immobiliare. Invero, al fine di stabilire se un contratto atipico sia o meno soggetto al vincolo di forma, occorre procedere - secondo l'insegnamento di autorevole dottrina - con il metodo dell'analogia, ed accertare se il rapporto di somiglianza intercorra con un contratto tipico a struttura debole (tale essendo quello strutturato dal legislatore sui tre elementi dell'accordo, della causa e dell'oggetto, senza alcun requisito di forma) o con un contratto tipico a struttura forte (nel quale invece il requisito della forma concorre ad integrare la fattispecie), perché soltanto nel secondo caso anche per il negozio atipico è configurabile il requisito di forma.</p> <p style="text-align: justify;">Ora, il mandato senza rappresentanza che abbia per oggetto l'acquisto di beni immobili per conto del mandante e in nome del mandatario, è un contratto a struttura debole. Superando l'orientamento, che risaliva a una pronuncia delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 19 ottobre 1954, n. 3861), che, considerato l'esito reale mediato, garantito da un meccanismo legale munito di forte effettività, estendeva al mandato il vincolo di forma prescritto per il contratto traslativo immobiliare, la giurisprudenza della Corte - a partire dalla citata sentenza della Terza Sezione 2 settembre 2013, n. 20051, alla quale ha fatto seguito Cass., Sez. III, 28 ottobre 2016, n. 21805 - ha infatti statuito che, in ossequio al principio di libertà della forma, il mandato senza rappresentanza per l'acquisto di beni immobili non necessita della forma scritta e che il rimedio dell'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di trasferire al mandante l'immobile acquistato dal mandatario è esperibile anche quando il contratto di mandato senza rappresentanza sia privo di forma scritta.</p> <p style="text-align: justify;">A tale approdo – rammenta ancora la Corte - la giurisprudenza di legittimità è pervenuta rilevando che:</p> <p style="text-align: justify;">- tra il mandante e il mandatario senza rappresentanza trova applicazione il solo rapporto interno, laddove la necessità della forma scritta si impone per gli atti che costituiscono titolo per la realizzazione dell'effetto reale in capo alla parte del negozio;</p> <p style="text-align: justify;">- le esigenze di responsabilizzazione del consenso e di certezza dell'atto, sottese all'imposizione della forma scritta quale requisito di validità del contratto traslativo del diritto reale sul bene immobile, non si pongono con riferimento al mandato ad acquistare senza rappresentanza, dal quale non sorgono effetti reali, ma meramente obbligatori;</p> <p style="text-align: justify;">- i requisiti di forma scritta concernono esclusivamente l'acquisto che il mandatario effettua dal terzo (rapporto esterno) e per quello di successivo trasferimento in capo al mandante del diritto reale sul bene immobile a tale stregua acquistato; l'art. 1351 cod. civ. è norma eccezionale, come tale non suscettibile di applicazione analogica, e neppure di applicazione estensiva, attesa l'autonomia e la netta distinzione sussistente tra mandato e contratto preliminare.</p> <p style="text-align: justify;">Analogamente a quando avviene nel mandato senza rappresentanza, dunque, anche per la validità dal <em>pactum fiduciae</em> prevedente l'obbligo di ritrasferire al fiduciante il bene immobile intestato al fiduciario per averlo questi acquistato da un terzo, non è richiesta per la Corte la forma scritta <em>ad substantiam</em>, trattandosi di atto meramente interno tra fiduciante e fiduciario che dà luogo ad un assetto di interessi che si esplica esclusivamente sul piano obbligatorio.</p> <p style="text-align: justify;">L'accordo concluso verbalmente è fonte dell'obbligo del fiduciario di procedere al successivo trasferimento al fiduciante anche quando il diritto acquistato dal fiduciario per conto del fiduciante abbia natura immobiliare. Se le parti non hanno formalizzato il loro accordo fiduciario in una scrittura, ma lo hanno concluso verbalmente, potrà porsi un problema di prova, non di validità del <em>pactum</em>.</p> <p style="text-align: justify;">L'osservanza del requisito della forma scritta è invece imposta, in base all'art. 1350 cod. civ., per gli atti traslativi: per il contratto, iniziale, di acquisto dell'immobile da parte del fiduciario e per il successivo atto di ritrasferimento ad opera del medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">L'esclusione della necessità della forma scritta per il <em>pactum fiduciae</em> con oggetto immobiliare riconcilia la soluzione giurisprudenziale con la storia e con l'esperienza pratica del negozio fiduciario. La dottrina italiana sulla teoria generale del negozio giuridico ha infatti consegnato alla comunità degli interpreti l'affermazione che non è necessario che l'intesa fiduciaria, rivolta a limitare i poteri del fiduciario, risulti dal tenore documentale del negozio.</p> <p style="text-align: justify;">Questo insegnamento - che corrisponde ad un'idea risalente, ossia al rilievo che il <em>pactum fiduciae</em> è soggetto ad una intesa segreta - non è rimasto privo di riscontro negli svolgimenti giurisprudenziali. Si è infatti statuito (Cass., 13 gennaio 1941, n. 90) che il contratto fiduciario è perfettamente configurabile nel diritto vigente, in quanto con esso si ponga in essere, effettivamente, il contratto che appare dallo scritto, ma con un vincolo o con una limitazione o condizione non espressa ed affidata alla fiducia dell'altro contraente.</p> <p style="text-align: justify;">In questa stessa prospettiva, si è ribadito (Cass., Sez. I, 22 maggio 1947, n. 794) che si ha negozio fiduciario quando, oltre ai patti risultanti dallo scritto, si ponga in essere un patto non espresso affidato alla fiducia di uno dei contraenti. D'altra parte, la dimensione pratica del fenomeno fiduciario, quale emerge dal contesto complessivo delle controversie venute all'esame dei giudici, offre un quadro variegato di accordi fiduciari verbali tra coniugi, conviventi e familiari relativi alla intestazione di immobili acquistati in tutto o in parte con denaro di uno solo di essi, nel quale le parti, per motivi di opportunità, di lealtà e di fiducia reciproca, sono restie a consegnare in un atto scritto il <em>pactum</em> tra di esse intervenuto.</p> <p style="text-align: justify;">Proprio rivolgendo l'analisi all'esperienza e ai modi di attuazione dei comportamenti, chiosa ancora la Corte, un'autorevole dottrina è giunta alla conclusione che condizionare all'osservanza della forma scritta la validità del patto fiduciario significherebbe praticamente escludere la rilevanza pratica della fiducia in molte ipotesi di fiducia <em>cum amico</em>, dato che la formalità del patto finirebbe quasi sempre per incidere sulla dimensione pratica del comportamento, escludendone la fiduciarietà dal punto di vista della morfologia del fenomeno empirico.</p> <p style="text-align: justify;">Fissato il principio secondo cui non è richiesta la forma scritta per la validità del patto fiduciario avente ad oggetto l'obbligazione del fiduciario di ritrasferire al fiduciante l'immobile dal primo acquistato da un terzo in nome proprio, si tratta di stabilire la rilevanza della posteriore dichiarazione scritta con cui l'interposto, riconosciuta l'intestazione fiduciaria, si impegna ad effettuare, in favore del fiduciante o di un terzo da lui indicato, il ritrasferimento finale.</p> <p style="text-align: justify;">Le Sezioni Unite ritengono che la dichiarazione ricognitiva dell'interposizione reale e promissiva del ritrasferimento non rappresenta il <em>vestimentum</em> per mezzo del quale dare vigore giuridico, con la forma richiesta dalla natura del bene, a quello che, altrimenti, sarebbe un nudo patto. Infatti, una volta ammessa la validità del patto fiduciario immobiliare anche se stipulato <em>verbis</em>, il fiduciario dichiarante è già destinatario di una obbligazione di ritrasferimento, e tale patto non scritto è il titolo che giustifica l'accoglimento della domanda giudiziale di esecuzione specifica dell'obbligo di ritrasferimento su di lui gravante.</p> <p style="text-align: justify;">D'altra parte, non sussistono ostacoli ad ammettere, a tutela del fiduciante deluso, il particolare rimedio di cui all'art. 2932 cod. civ.: avendo la Corte chiarito che l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto è applicabile non solo nelle ipotesi di contratto preliminare non seguito da quello definitivo, ma anche in qualsiasi altra fattispecie dalla quale sorga l'obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto, sia in relazione ad altro negozio, sia in relazione ad un atto o fatto dai quali detto obbligo possa discendere <em>ex lege</em> (Cass., Sez. II, 30 marzo 2012, n. 5160); ed avendo la dottrina riconosciuto la possibilità di ricorrere al meccanismo che l'art. 2932 cod. civ. tipicamente configura per ottenere in forma specifica l'esecuzione dell'obbligo, che il fiduciario si è assunto con la stipulazione del <em>pactum</em>, di ritrasferire al fiduciante - o a un terzo da lui designato - il bene o la posizione di titolarità.</p> <p style="text-align: justify;">Il fiduciante deluso che si affidi ad un patto stipulato <em>verbis</em>, tuttavia, potrebbe avere difficoltà di dimostrare in giudizio l'intervenuta stipulazione dell'accordo e di ottenere la sentenza costitutiva nei confronti del fiduciario infedele.</p> <p style="text-align: justify;">Si spiegano, allora, il ruolo e il significato della dichiarazione scritta del fiduciario. La dichiarazione ricognitiva dell'intestazione fiduciaria e promissiva del ritrasferimento è infatti un atto unilaterale riconducibile alla figura della promessa di pagamento, ai sensi dell'art. 1988 cod. civ., la cui funzione è quella di dispensare «<em>colui a favore del quale è fatta dall'onere di provare il rapporto fondamentale</em>», l'esistenza di questo presumendosi fino a prova contraria. Da tale dichiarazione non dipende la nascita dell'obbligo del fiduciario di ritrasferire l'immobile al fiduciante: essa non costituisce fonte autonoma di tale obbligo, che deriva dal <em>pactum</em>, anche se stipulato soltanto verbalmente, ma è produttiva dell'effetto di determinare la <em>relevatio ab onere probandi</em> e di rafforzare così la posizione del fiduciante destinatario della dichiarazione stessa, il quale, in virtù di questa, è esonerato dall'onere di dimostrare il rapporto fondamentale.</p> <p style="text-align: justify;">Si è dunque in presenza di una astrazione processuale, perché il rapporto fondamentale deve bensì sempre esistere (in tal senso non vi è astrazione sostanziale o materiale), ma la relativa esistenza, a seguito della dichiarazione ricognitiva e promissiva del fiduciario, è presunta <em>iuris tantum</em>, risolvendosi così la vicenda in un'inversione dell'onere della prova. In altri termini, rendendo la dichiarazione, il fiduciario non assume l'obbligazione di ritrasferimento, essendo egli già obbligato in forza del <em>pactum fiduciae</em>, ancorché stipulato verbalmente; assume, piuttosto, l'onere di dare l'eventuale prova contraria dell'esistenza, validità, efficacia, esigibilità o non avvenuta estinzione del <em>pactum</em>, così come dei suoi limiti e contenuto, ove difformi da quanto promesso o riconosciuto.</p> <p style="text-align: justify;">Tale soluzione – prosegue la Corte - si pone in linea con il proprio insegnamento (Cass., Sez. I, 13 ottobre 2016, n. 20689) onde la promessa di pagamento non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determinando, ex art. 1988 cod. civ., un'astrazione meramente processuale della <em>causa debendi</em>, da cui deriva una semplice <em>relevatio ab onere probandi</em> che dispensa il destinatario della dichiarazione dall'onere di provare quel rapporto, che si presume fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, venendo, così, meno ogni effetto vincolante ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto suddetto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento ad esso attinente che possa comunque incidere sull'obbligazione derivante dal riconoscimento o dalla promessa.</p> <p style="text-align: justify;">Occorre evidenziare che dall'art. 1988 cod. civ. non è richiesto che promessa di pagamento e ricognizione di debito contengano un riferimento al titolo dell'obbligazione, e che le dichiarazioni titolate sono tuttavia ammissibili e riconducibili alla disciplina dettata da tale disposizione. Si è infatti affermato che la ricognizione di debito titolata, che comporta la presunzione fino a prova contraria del rapporto fondamentale, si differenzia dalla confessione, che ha per oggetto l'ammissione di fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all'altra parte: ne consegue che la promessa di pagamento, ancorché titolata, non ha natura confessoria, sicché il promittente può dimostrare l'inesistenza della causa e la nullità della promessa (Cass., Sez. III, 5 luglio 2004, n. 12285; Cass., Sez. III, 31 luglio 2012, n. 13689; Cass., Sez. II, 5 ottobre 2017, n. 23246).</p> <p style="text-align: justify;">Preme sottolineare – prosegue la Corte - che una prospettiva analoga è stata delineata, nell'udienza di discussione, dall'Ufficio della Procura Generale, parte pubblica chiamata, nel processo civile di cassazione, a collaborare all'attuazione dell'ordinamento in maniera indipendente rispetto agli interessi concreti delle parti.</p> <p style="text-align: justify;">Il pubblico ministero ha infatti messo in luce che "<em>non sussistono né principi generali dell'ordinamento, né disposizioni di legge che consentano di negare la possibilità di attribuire efficacia all'atto scritto unilaterale ricognitivo di un precedente negozio fiduciario tra le parti, che in esecuzione di tale accordo, raggiunto nel rispetto del principio di libertà delle forme, contenga l'impegno a trasferire un immobile</em>": "<em>non i principi in materia di forma, dominati dal principio della libertà delle forme, le cui deroghe non sono suscettibili di applicazione analogica ex art. 14 delle preleggi</em>"; "<em>non la necessaria liceità causale e meritevolezza dell'impegno negoziale assunto dalle parti, poiché la prospettiva più favorevole alla libertà delle forme non impedisce tale apprezzamento da parte del giudice chiamato a dirimere le relative controversie</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Conclusivamente, a risoluzione del contrasto di giurisprudenza sollevato con l'ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione, le Sezioni Unite enunciano i seguenti principi di diritto: «<em>Per il patto fiduciario con oggetto immobiliare che s'innesta su un acquisto effettuato dal fiduciario per conto del fiduciante, non è ri- chiesta la forma scritta </em>ad substantiam<em>; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l'accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario</em>.»; «<em>La dichiarazione unilaterale scritta del fiduciario, ricognitiva dell'intestazione fiduciaria dell'immobile e promissiva del suo ritrasferimento al fiduciante, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma, rappresentando una promessa di pagamento, ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, realizzando, ai sensi dell'art. 1988 cod. civ., un'astrazione processuale della causa, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della </em>contra se pronuntiatio<em>, dell'onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria</em>.»</p> <p style="text-align: justify;">Alla luce degli enunciati principi di diritto, il primo motivo di ricorso va per la Corte dichiarato infondato, anche se deve essere corretta la motivazione in diritto della sentenza impugnata.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte di Napoli è giunta alla conclusione che tra le parti in causa è intervenuto, con riguardo alla compravendita di cui all'atto del notaio Maffia del 18 giugno 1984, un accordo fiduciario per il trasferimento dell'immobile a Bernardino D'Amodio: immobile intestato alla Maccotta e ad altro fratello del fiduciante, Angelantonio D'Amodio, ma acquistato e poi completato dallo stesso Bernardino D'Amodio.</p> <p style="text-align: justify;">Nell'accertare con logico e motivato apprezzamento, alla stregua delle risultanze processuali, che l'operazione economica realizzata dalle parti configura effettivamente un negozio fiduciario, la Corte partenopea ha però collegato il diritto di Bernardino D'Amodio ad ottenere la pronuncia ex art. 2932 cod. civ. non al patto concluso verbalmente - avendolo dichiarato nullo per difetto di forma, sulla premessa che "<em>il negozio fiduciario, richiedendo la forma scritta </em>ad substantiam, [è] <em>nullo laddove difetti tale requisito formalistico</em>" -, ma alla successiva dichiarazione fiduciaria della Maccotta, cogliendo in tale impegno "<em>non ... un negozio autonomo ma un ... elemento dell'operazione fiduciaria</em>".</p> <p style="text-align: justify;">In sostanza, secondo la Corte territoriale, alla sussistenza di un collegamento negoziale, connaturato al negozio fiduciario, tra l'atto di compravendita del 1984 e la scrittura privata del 2002 non è di ostacolo né il lungo lasso temporale tra i due atti, non essendo richiesta la contestualità dei due negozi, né la unilateralità della scrittura successiva, atteso che la produzione in giudizio con la dichiarata intenzione di valersene equivale ad accettazione.</p> <p style="text-align: justify;">Ora, le premesse da cui ha preso avvio la sentenza impugnata vanno per il Collegio corrette, una volta che le Sezioni Unite hanno riconosciuto la validità del patto fiduciario immobiliare stipulato verbalmente ed hanno escluso la necessità di individuare nella posteriore dichiarazione scritta resa dal fiduciario la fonte dell'obbligazione di ritrasferire il bene al fiduciante.</p> <p style="text-align: justify;">Così emendata la motivazione in diritto della sentenza della Corte d'appello, la statuizione dalla stessa resa si sottrae alle censure articolate con il motivo, ben potendo la prova dell'intervenuta stipulazione del <em>pactum</em> ravvisarsi nella dichiarazione scritta della Maccotta, promissiva del pagamento traslativo sulla base della ricognizione della disgiunzione, nel rapporto interno, tra titolarità formale del complesso immobiliare e appartenenza economica sostanziale dello stesso.</p> <p style="text-align: justify;">D'altra parte, va anche escluso, per completezza, che ci si trovi di fronte ad una promessa priva di titolazione, giacché il dichiarato impegno della Maccotta a ritrasferire la porzione del complesso immobiliare al cognato D'Amodio trova, appunto, la sua premessa giustificativa nella ricognizione del rapporto sotteso alla dissociazione tra la titolarità giuridica formale del bene in capo all'interposta e la situazione di appartenenza economica sostanziale dello stesso in capo al fiduciante (essendo stato l'edificio "<em>acquistato e poi completato dallo stesso Bernardino D'Amodio</em>", che ha provveduto anche a rimborsare "<em>tutte le tasse e spese ... sostenute</em>" dall'intestataria).</p> <p style="text-align: justify;">Il secondo motivo scandagliato, prosegue poi la Corte, è in parte inammissibile e in parte infondato. Là dove denuncia il difetto, nella scrittura privata del 2002, del requisito della determinatezza o della determinabilità dei beni immobili oggetto della promessa di trasferimento, il motivo prospetta per la prima volta in cassazione una questione non esaminata con la sentenza impugnata e il cui scrutinio presuppone un'indagine di fatto che non risulta essere stata sollecitata con l'atto di appello.</p> <p style="text-align: justify;">E' invero pacifico – prosegue il Collegio - che già la sentenza di primo grado ritenne dimostrata, sulla base delle "<em>espresse ed inequivocabili dichiarazioni rese dalla convenuta nella scrittura privata del 28 marzo 2002</em>", l'esistenza della interposizione reale intervenuta tra la Maccotta e il D'Amodio nella intestazione "<em>dei beni immobili oggetto dell'atto stipulato per notaio Mario Maffia in data 18 giugno 1984</em>", e, in accoglimento della domanda ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., dichiarò pertanto trasferiti tali beni immobili in favore del D'Amodio o di persona da lui nominata.</p> <p style="text-align: justify;">Risulta <em>per tabulas</em>, dalla sentenza della Corte di Napoli e dalla stessa sommaria esposizione dei fatti di causa compiuta dalla odierna ricorrente, che con l'atto di gravame la Maccotta ha impugnato la pronuncia del Tribunale sotto i seguenti profili: - in primo luogo, là dove era stata ritenuta provata l'esistenza del <em>pactum fiduciae</em> in assenza di patto scritto, mancanza non sopperibile con la scrittura privata del 28 marzo 2002, la quale, avendo carattere confessorio, sarebbe stata inidonea; - in secondo luogo, là dove si era tenuto conto della transazione intervenuta con Angelantonio D'Amodio e Paola Petito, nonostante si trattasse di <em>res inter alios acta</em>; - in terzo luogo, in relazione all'erronea interpretazione della scrittura del 2002, dall'appellante ritenuta non idonea a sostenere le ragioni dell'attore, e alla circostanza che tale atto era intervenuto quando oramai il diritto dell'attore era prescritto; - infine, con riguardo all'equivocità della formula utilizzata nel dispositivo della sentenza (apparentemente di accertamento, in realtà con effetti costitutivi ai sensi dell'art. 2932 cod. civ.) e alla mancanza di statuizioni concernenti le annotazioni nei pubblici registri immobiliari.</p> <p style="text-align: justify;">Nessuna doglianza è stata articolata con l'atto di appello con riferimento alla questione, che qui viene dedotta, della mancanza, nella dichiarazione del marzo 2002, dell'indicazione precisa dei confini e dei dati catastali relativi agli immobili oggetto dell'impegno a trasferire, e della discrasia tra l'impegno, risultante dalla predetta scrittura, a trasferire il complesso immobiliare per la "<em>quota</em>" di pertinenza e la circostanza che, in realtà, la Maccotta è proprietaria esclusiva di quattro unità residenziali, mentre gli unici beni in proprietà comune sono la corte pertinenziale e i locali cantinati. Si tratta, evidentemente, di questione nuova (la ricorrente non indica i luoghi del processo di merito dove la stessa sia stata posta o trattata): questione che, presupponendo indagini in fatto, non può essere sollevata per la prima volta in cassazione.</p> <p style="text-align: justify;">Priva di fondamento è, poi, la censura, con cui, reiterando un profilo di doglianza già dedotto con il primo motivo, si lamenta che sia stato riconosciuto sussistente, in capo alla Maccotta, un obbligo di trasferimento privo di giustificazione causale, mancando un sottostante rapporto fiduciario.</p> <p style="text-align: justify;">Infatti, conclude la Corte, la ricognizione dell'interposizione e la promessa di trasferimento che s'innesta sulla descritta dissociazione consentono di ritenere dimostrata in giudizio, in forza della dispensa dalla prova del rapporto fondamentale e della relativa presunzione, l'esistenza dell'accordo fiduciario. D'altra parte, la promessa di pagamento ben può essere interpretata come incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione che fosse eventualmente nel frattempo maturata, e qualificata, quindi, come rinuncia tacita alla prescrizione, a norma dell'art. 2937, ultimo comma, cod. civ.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre ricordare in generale delle promesse unilaterali?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di fonti delle obbligazioni di natura né “<em>contrattuale</em>”, né tampoco “<em>aquiliana</em>”, compendiandosi in un atto o fatto idoneo a produrre obbligazione secondo l’ordinamento giuridico di cui all’art.1173 c.c.;</li> <li>esse – pur apparendo all’esterno quale fonte “<em>atipica</em>” di obbligazione - si contraddistinguono all’interno per la loro tipicità (c.d. <em>numerus clausus</em>), siccome inscritta espressamente all’art.1987 c.c., onde non si danno promesse unilaterali “<em>impegnative</em>” che non siano come tali previste dalla legge;</li> <li>strutturalmente, si è al cospetto di una dichiarazione di volontà “<em>impegnativa</em>”, dacché il soggetto che “<em>dichiara</em>” – detto promittente - assume un’obbligazione dichiarando di volerla, per l’appunto, assumere e divenendo per conseguenza “<em>debitore</em>”;</li> <li>dal lato di chi la riceve, detto promissario, si ingenerano degli affidamenti che il diritto tutela rendendolo “<em>creditore</em>” anche senza bisogno di una accettazione della promessa partecipata dal promittente, in un contesto strutturale che resta, proprio per questo, “<em>unilaterale</em>” senza mai divenire bilaterale;</li> <li>proprio la nota “<em>tipicità</em>” delle fattispecie di promessa unilaterale rende difficile sciogliere il nodo concernente il potere, o meno, dell’autonomia privata di far luogo a promesse unilaterali impegnative oltre le ipotesi esplicitamente previste dal legislatore codicistico, il quale ultimo – come ha osservato la più attenta dottrina, che non ha mancato di accennare, <em>ratione materiae</em>, ad una sorta di schizofrenia legislativa – si muove non senza margini di ambiguità, da un lato utilizzando il termine “<em>promessa</em>” in vari “<em>luoghi</em>” del codice civile nei quali, ad una apparente bilateralità o plurilateralità, è sempre in qualche modo sottesa una larvata unilateralità (promessa di matrimonio: articoli da 79 a 81; promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo: art.1381; promessa di mutuo: art.1822; promessa di oblazioni da parte dei componenti di un comitato: art.41); dall’altro, affida alla stessa Relazione al codice la dichiarazione onde le promesse unilaterali, pur tipiche, non sono tutte e solo quelle di cui al libro IV in tema di obbligazioni e contratti.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre ricordare - in specie - in punto di “<em>tipicità</em>” delle promesse unilaterali?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>stando alla tesi più tradizionale, le promesse unilaterali sono “<em>tipiche</em>”;</li> <li>in sostanza, occorre un’autorizzazione legislativa specifica per far sì che una promessa unilaterale (e, dunque, “<em>non accettata</em>”) possa assumersi impegnativa per chi la rende; diversamente - ed a meno che non ci si trovi appunto in una delle fattispecie <em>expressis verbis</em> previste dalla legge (ad esempio, una promessa al pubblico) - si è al cospetto dunque di un negozio (promessa unilaterale atipica) nullo;</li> <li>lo sfondo di questa impostazione va ricercato nella c.d. centralità del consenso, con conseguente troneggiare del contratto tra le fonti dell’obbligazione, la quale ultima è “<em>normalmente</em>” il prodotto del convergere di due specifiche volontà (negoziali), quella di chi propone e quella di chi accetta;</li> <li>ad assumere il contrario, si arriverebbe a dire che è impegnativa quella che in realtà si atteggia a mera proposta, del tutto irrilevante in difetto della “<em>voluta</em>” accettazione da parte dell’interlocutore; ciò anche in ossequio al principio della c.d. intangibilità della sfera giuridica altrui, a propria volta avvinto al canone della relatività dei negozi giuridici (che vincolano solo le parti che li hanno voluti): l’intangibilità dell’altrui libertà personale impone che l’attitudine ad incidere nella pertinente sfera giuridica in via unilaterale – quand’anche solo con effetti vantaggiosi per il terzo che se ne voglia beneficiare – sia rigorosamente autorizzata dalla legge e, dunque, ancora una volta “<em>tipica</em>”;</li> <li>dal punto di vista sistematico, questa opzione ermeneutica viene avallata dal richiamo al combinato disposto degli articoli: e.1) 1173 c.c., che non richiama esplicitamente le promesse unilaterali accanto al contratto e al fatto illecito, quali fonti di obbligazioni; e.2) 1987 c.c., che assume le promesse unilaterali “<em>impegnative</em>” nei soli casi previsti dalla legge e, dunque, per via “<em>tipica</em>” e, in qualche modo, eccezionale, con norma di ordine pubblico come tale non derogabile dall’autonomia privata e, con essa, dalla volontà delle parti;</li> <li>si tratta di una presa di posizione coerente anche con il c.d. principio causale, sol che si consideri come – sulla scorta del noto brocardo “<em>promitto quia promitto</em>” – la promessa unilaterale trova in sé medesima la propria giustificazione sul crinale, per l’appunto, della causa, e come tale va autorizzata esplicitamente dalla legge, non potendosi ammettere per converso promesse impegnative “<em>atipiche</em>” che entrerebbero in rotta di collisione con il combinato disposto degli articoli 1325 e 1418, comma 2, c.c., palesandosi nulle per difetto di causa quale elemento strutturalmente essenziale del negozio giuridico idoneo a produrre spostamenti patrimoniali;</li> <li>peraltro, assumere impegnativa una promessa unilaterale “<em>atipica</em>” (e, come tale, non prevista dalla legge) significherebbe riconoscere rilevanza giuridica a negozi da un lato “<em>unilaterali</em>” (e, dunque, impegnativi per una sola parte) e, dall’altro, scevri da rigorosi requisiti di forma; è pur vero infatti che il sistema giuridico appare orientato al principio della libertà delle forme, ma è del pari vero che ogni qual volta si renda necessario richiamare l’attenzione del soggetto agente in ordine all’importanza dell’atto che sta per compiere (come nel caso della donazione, strutturalmente bilaterale in quanto contratto, ma funzionalmente “<em>unilaterale</em>”, perché impoverisce solo una delle parti tra le quali intercorre), il legislatore prevede – in guisa di “<em>compensazione</em>” – una forma più rigorosa per tale atto; nel caso della promessa unilaterale “<em>atipica</em>”, invece, la relativa previsione in via generalizzata finirebbe col dare la stura a forme di liberalità del pari “<em>atipiche</em>” perché non sorrette, per l’appunto, dalla imprescindibile forma dell’atto pubblico, <em>ex lege</em> invece richiesta;</li> <li>dal punto di vista della causa “<em>astrattamente</em>” considerata, poi, diventa difficile dare una giustificazione alla promessa unilaterale di una prestazione che, nello stesso momento in cui non sia liberale (e, dunque, donativa), non trovi il proprio contraltare in una controprestazione ad essa sinallagmaticamente avvinta.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre ricordare - in specie, ed all’opposto - in punto di “<em>atipicità</em>” delle promesse unilaterali?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>stando alla tesi più recente, le promesse unilaterali sono “a<em>tipiche</em>”, dovendosi garantire tutela all’affidamento di chi riceve una dichiarazione con forma di promessa che ne lambisca la sfera giuridica in termini di beneficio o comunque di vantaggio (e non già, dunque, di svantaggio);</li> <li>si assume <em>in primis</em> ormai datato il c.d. dogma della volontà e, con esso, il primato del contratto quale fonte di obbligazioni “<em>volute</em>”, e scaturite per l’appunto dalla volontà di entrambi i contraenti;</li> <li>occorre piuttosto attribuire massima significatività al concetto di “<em>affidamento</em>”, onde è la “<em>dichiarazione</em>” (contrattuale o, più genericamente, negoziale) a progressivamente conquistare la scena, valendo in quanto tale – e per gli affidamenti che ingenera – ad onta della reale volontà dei contraenti; una presa di posizione che, portata alle estreme conseguenze, avvince il contratto alla mera concordanza delle dichiarazioni delle parti, quand’anche ad esse non corrispondano volontà effettive dei contraenti medesimi e, dunque, un reale “<em>accordo</em>” (mutuo consenso) tra di loro;</li> <li>se poi ci si sposta dalle “<em>parti</em>” ai “<em>terzi</em>”, l’intangibilità della sfera giuridica di questi ultimi – e la connessa “<em>relatività</em>” degli effetti del contratto - appare un dogma obsoleto sempre più oggetto di un deciso ridimensionamento con riguardo massime alle fattispecie in cui il terzo venga lambito da effetti favorevoli che non implichino peculiari pregiudizi al proprio ambito giuridico tanto statico quando dinamico (come palesa peraltro la parabola del c.d. contratto a favore di terzo); si rinvia in proposito, per approfondimenti, all’apposito CRONO PERCORSO dedicato agli EFFETTI DEL CONTRATTO RISPETTO AI TERZI;</li> <li>da questo punto di vista, perché si producano effetti obbligatori e, dunque, impegnativi non conta tanto che il terzo “<em>accetti</em>”, quanto piuttosto che “<em>non rifiuti</em>”, onde sarebbe inammissibile solo un negozio (se del caso, unilaterale) che non consenta al terzo, per l’appunto, di liberamente ed incondizionatamente rifiutarne gli effetti per lui (solo) favorevoli;</li> <li>resta imprescindibile la necessità che alla dichiarazione in forma di “<em>promessa</em>” unilaterale che produca effetti favorevoli nella sfera giuridica di un terzo sia sottesa una “<em>causa</em>”; circostanza confermata dal fatto che, ai sensi dell’art.1324 c.c., le norme che regolano i contratti si osservano anche per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, e tra tali norme va annoverato anche il successivo art.1325, che contempla per l’appunto tra gli imprescindibili elementi strutturali del negozio, anche unilaterale, per l’appunto una “<em>causa</em>”;</li> <li>che siano ammissibili promesse unilaterali atipiche discende, in questo prisma ermeneutico, dallo stesso art.1333 c.c., siccome correttamente interpretato; si tratta di una disposizione collocata in modo ambiguo nell’ambito della disciplina dei contratti in generale, ma che in realtà configura proprio uno schema – messo a disposizione dell’autonomia privata - nel quale calare promesse unilaterali “<em>atipiche</em>” impegnative (e, come tali, fonti di obbligazione) idonee a far raggiungere le più disparate finalità, e dunque a soddisfare interessi di diversa specie (anche del debitore: interessi personali, a sfondo liberale e donativo; interessi patrimoniali, a sfondo gratuito ma – per l’appunto - “<em>interessato</em>”); lo palesa, sempre secondo questa interpretazione, la stessa toponomastica codicistica della norma, collocata subito prima dell’art.1334 c.c. dedicato – non a caso – all’efficacia degli atti “<em>unilaterali</em>”;</li> <li>sul crinale della forma, proprio il fatto che la promessa unilaterale atipica è capace di realizzare interessi i più disparati dello stesso promittente consente di distinguere le promesse che consentono di soddisfare “<em>unilateralmente</em>” e dunque “<em>gratuitamente</em>” interessi personali e liberali del promittente (assimilabili alla donazione) e promesse che consentono di soddisfare – del pari “<em>unilateralmente</em>” e “<em>gratuitamente</em>” – interessi patrimoniali del promittente (quali atti gratuiti ma “<em>interessati</em>” e, come tali, “<em>non liberali</em>”); non tutte le promesse unilaterali (quali atti gratuiti), in questo prisma ermeneutico, possono dunque assumersi “<em>liberali</em>” e “<em>donative</em>”, solo queste ultime dovendosi assumere soggette alla forma solenne, e non anche le promesse unilaterali gratuite “<em>interessate</em>” e dunque “<em>non liberali</em>” e – come tali - “<em>non donative</em>”;</li> <li>all’interesse del promittente (ancorché realizzato con atto gratuito) si riconnette indefettibilmente una “<em>causa</em>”; ed è proprio quando manca la causa – e, dunque, quando la promessa è astratta che - secondo questa opzione ermeneutica orientata alla atipicità – scatta la clausola di “<em>tipicità</em>” di cui all’art.1987 c.c., onde vanno assunte tipiche le solo promesse unilaterali, per l’appunto, astratte; quando invece una “<em>causa</em>” si rinviene, la promessa unilaterale “<em>atipica</em>” torna ammissibile; proprio la necessità che sussista una giustificazione causale divide la dottrina favorevole all’atipicità delle promesse unilaterali in 2 filoni interpretativi: i.1) occorre sempre che vi sia <em>expressio causae</em> da parte del promittente unilaterale, e dunque una esplicita menzione dell’interesse che causalmente sorregge la ridetta promessa unilaterale; i.2) non occorre ogni volta una esplicita <em>expressio causae</em> da parte del promittente unilaterale, l’art.1324 c.c. autorizzando una estensione alle promesse unilaterali dei congegni presuntivi previsti per i contratti, onde un interesse del promittente si può presumere, anche se ovviamente vi deve essere (per scongiurare la a-causalità della promessa) e va ricercato di volta in volta dall’interprete (segnatamente, dal giudice);</li> <li>ciò appare coerente con la più moderna concezione della c.d. causa in concreto, che consente di assumere operative promesse unilaterali c.d. “<em>a causa variabile</em>”; si parla in proposito di: j.1) causa<em> “di reclame</em>”: è il caso di chi prometta una prestazione artistica che non presenti un corrispettivo economico immediato, ma che implichi pubblicità per chi la esegue e beneficio alla pertinente immagine; j.2) causa “<em>esterna</em>” solutoria: è la fattispecie dell’accordo di separazione per eseguire il quale uno dei coniugi separati promette di trasferire in proprietà un immobile al figlio; j.3) causa (interna o “<em>esterna</em>”) di garanzia: è il caso di chi promette unilateralmente di garantire con riguardo ad un diverso rapporto giuridico che intrattiene con il proprio creditore o con riguardo ad un rapporto che avvince tra loro soggetti terzi, ad uno dei quali il promittente è in qualche modo avvinto; j.4) più genericamente, causa “<em>gratuita</em>” non donativa (e dunque “<em>interessata</em>” ma non liberale).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Chi ammette promesse unilaterali “<em>atipiche</em>”, quali figure in genere evoca?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>l’atto di dotazione patrimoniale della fondazione di cui agli articoli 14 e 15 c.c.; si tratta dell’atto – collegato a quello di “<em>erezione</em>” della fondazione in ente – con il quale si dota la fondazione di un patrimonio; si contendono il campo in dottrina 2 tesi: a.1) si è in effetti al cospetto di una promessa unilaterale, come dimostra il punto 781 della Relazione al codice civile che, proprio richiamando gli articoli 14 e 15 c.c., afferma da intendersi in modo tutt’altro che “<em>rigido</em>” la tipicità delle promesse impegnative, siccome predicata all’art.1987 c.c. (dottrina minoritaria); a.2) non si è al cospetto di una promessa unilaterale, giacché l’atto di dotazione di una fondazione non è ricettizio e non è revocabile, come invece lo è – per l’appunto – una promessa unilaterale: si tratta piuttosto di un atto di attribuzione “<em>diretta</em>” (e non già meramente “<em>promessa</em>”) gratuito non donativo, che non ha tuttavia natura di promessa unilaterale per i motivi anzidetti (dottrina maggioritaria);</li> <li>la donazione obnuziale ex art.785 c.c.; anche se il codice parla infatti di “<em>donazione</em>” – richiamando di questa figura la struttura ordinariamente contrattuale, e dunque bilaterale - la donazione <em>propter nuptias</em> si presenta in realtà “<em>unilaterale</em>”, non avendo bisogno di accettazione da parte del donatario; essa si presenta peraltro, secondo una opzione ermeneutica (ed a meno di volerla considerare soggetta a condizione) con foggia di “<em>promessa</em>” laddove essa “<em>non produce effetto finché non segua il matrimonio</em>” al quale è avvinta;</li> <li>la proposta irrevocabile di cui all’art.1329 c.c.: alla stregua di tale norma (comma 1), se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta fatta all’oblato per un certo tempo, la revoca di tale proposta è senza effetto; a chi afferma trattarsi di promessa unilaterale atipica, discendendone l’obbligo per il proponente – assunto in via unilaterale (a differenza dell’opzione, che ha natura contrattuale) – di concludere il contratto oggetto della proposta, si giustappone la tesi di chi assume tale proposta irrevocabile quale atto pre-contrattuale alla stregua di qualunque altra proposta (e della stessa accettazione), incapace come tale di far nascere una corrispondente obbligazione;</li> <li>lo schema “<em>contrattuale</em>” di cui all’art.1333 c.c.: si tratta del c.d. negozio rifiutabile, espressamente definito dal legislatore del codice quale schema “<em>contrattuale</em>” (con obbligazioni a carico del solo proponente), ma che in realtà si compendia sul crinale strutturale in una proposta “<em>unilaterale</em>” che è irrevocabile appena giunge a conoscenza del destinatario (beneficiario), il cui silenzio (mancato rifiuto) implica conclusione del (sedicente) contratto; secondo parte della dottrina, si è al cospetto della norma “<em>principe</em>” in tema di atipicità delle promesse impegnative, capace di far rientrare dalla finestra, proprio in termini di “<em>atipicità</em>”, quello che l’art.1987, e la rigida “<em>tipicità</em>” in esso iscritta, vi ha fatto uscire;</li> <li>la costituzione di rendita vitalizia ex art.1872 c.c.: secondo taluni, oltre agli strumenti onerosi espressi (alienazione di un bene mobile o immobile; cessione di un capitale) e a quelli gratuiti del pari espressi (donazione e testamento), una rendita vitalizia potrebbe costituirsi anche giusta promessa unilaterale atipica all’uopo, con effetti dunque obbligatori; chi è contrario assume piuttosto configurarsi, in caso di promessa, non già una figura autonoma di promessa unilaterale (come tale, “<em>atipica</em>”), quanto piuttosto una promessa al pubblico, ovvero una mera promessa di pagamento o ricognizione di debito, secondo lo schema “<em>tipico</em>” di cui agli articoli 1988 e 1989 c.c.;</li> <li>la costituzione di ipoteca ex art.2821, comma 1, c.c.: poiché l’ipoteca può anche essere concessa mediante dichiarazione unilaterale (da farsi, sotto pena di nullità, per atto pubblico o scrittura privata), si è al cospetto per parte della dottrina di una vera e propria promessa unilaterale ad opera del debitore (o del terzo datore), dal quale scaturisce l’obbligo di costituzione di ipoteca, dacché il pertinente diritto reale di garanzia si costituisce solo giusta iscrizione nei registri immobiliari ai sensi dell’art.2808, comma 2, c.c.; non manca tuttavia chi, criticamente, assume in realtà – e dal punto di vista tecnico – come l’ipoteca si costituisca in via immediata e diretta giusta la ridetta dichiarazione unilaterale (che non è dunque fonte di obbligazione alcuna), l’iscrizione nei registri immobiliari producendo il diverso effetto della opponibilità <em>erga omnes</em> di un diritto reale di per sé già costituito;</li> <li>l’offerta del terzo acquirente di un immobile ipotecato, rivolta ai creditori ipotecari, di liberare l’immobile medesimo dall’ipoteca, ai sensi degli articoli 2890 e seguenti c.c.: si tratta della fattispecie compendiantesi nella c.d. “<em>purgazione dell’ipoteca</em>”, onde il terzo acquirente di un immobile ipotecato (che non sia personalmente obbligato) offre ai creditori ipotecari – con offerta notificata – una somma corrispondente al prezzo concordato (con l’alienante-debitore) per l’acquisto del bene medesimo, ovvero – qualora il pertinente prezzo non sia stato determinato – una somma pari al valore da lui stesso dichiarato ai creditori ipotecari; si contendono il campo <em>ratione materiae</em> fondamentalmente 2 tesi: g.1) si tratta di una promessa unilaterale atipica, fonte per il terzo acquirente di immobile ipotecato di un vero e proprio obbligo nei confronti dei creditori ipotecari, da adempiere in forma specifica ovvero giusta risarcimento del danno in caso di relativo inadempimento (tesi recessiva); g.2) si tratta, piuttosto, di un’offerta dalla quale discende per il terzo acquirente di immobile ipotecato non già un obbligo (nell’interesse dei creditori ipotecari) quanto piuttosto un onere (nell’interesse proprio), configurandosi il pagamento di quanto offerto non già quale adempimento di un obbligazione (in realtà, mai nata) quanto piuttosto quale <em>condicio iuris</em> per la liberazione (“<em>purgazione</em>”) dell’immobile acquistato dall’ipoteca che su di esso grava, come conferma la revocabilità della dichiarazione di offerta prevista dall’art.2893 c.c., in palmare frizione con la nota irrevocabilità delle promesse unilaterali “<em>impegnative</em>”;</li> <li>i titoli di credito di cui agli articoli 1992 e seguenti c.c.: secondo parte della dottrina si tratterebbe di promesse unilaterali atipiche, fonti di obblighi connessi all’’obbligazione sottostante che essi incorporano; chi critica quest’opzione ermeneutica fa notare, nondimeno, come i titoli di credito si limitino a “<em>rispecchiare</em>” il rapporto causale che li sottende, onde essi solo in modo tutt’affatto peculiare si atteggiano a fonte di obbligazioni, facendo piuttosto luogo – giusta incorporazione del rapporto obbligatorio sottostante, per l’appunto, in un “<em>titolo</em>” – ad una astrazione sostanziale che fa da contraltare (peraltro, secondo una disciplina “<em>tipica</em>”) all’astrazione processuale prevista dall’art.1988 c.c. in tema di promessa di pagamento e di ricognizione di debito;</li> <li>le c.d. lettere di <em>patronage</em>, con riguardo alle quali si rinvia al CRONO PERCORSO ad esse specificamente dedicato.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare in particolare della promessa di pagamento e della ricognizione di debito?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di due istituti entrambi previsti da una medesima norma, l’art.1988 c.c.;</li> <li>ciò che li accomuna è - sul crinale strutturale, ed <em>in primis</em> – il fatto che si tratta in entrambi i casi di atti unilaterali tra vivi;</li> <li>li accomuna, ancora, il fatto che tanto il promissario di un pagamento (colui, dunque, che ne riceve la promessa) tanto il destinatario di una ricognizione di debito sono dei “<em>presunti creditori</em>” sulla base di una presunzione “<em>iuris tantum</em>”, che può dunque essere vinta dall’interlocutore che ha un interesse opposto;</li> <li>non sono infatti essi tenuti a provare di essere creditori, quanto il promittente (nella promessa di pagamento) e colui che riconosce (nella ricognizione di debito) a dover provare, piuttosto, di non esserne debitori;</li> <li>ciò in forza di un meccanismo chiamato “<em>astrazione processuale</em>” che, come tale, si limita solo ad invertire l’onere della prova in ordine ad una determinata situazione giuridica soggettiva con carattere di pretesa, senza tuttavia farla “<em>nascere</em>”;</li> <li>tanto la promessa “<em>di pagamento</em>” quanto la ricognizione “<em>di debito</em>” possono essere: f.1) “<em>pure</em>”, laddove non facciano menzione del rapporto sottostante (ad esempio, un precedente contratto intercorso tra le parti) dal quale il pagamento promesso o il debito riconosciuto in concreto derivano; f.2) “<em>titolate</em>”, laddove all’opposto facciano esplicita menzione del rapporto sottostante (ad esempio, un precedente contratto intercorso tra le parti) dal quale il pagamento promesso o il debito riconosciuto in concreto derivano;</li> <li>sui rapporti tra i due istituti si contendono il campo 3 diverse opzioni ermeneutiche: g.1) si tratta di un medesimo fenomeno giuridico, onde la ricognizione di debito non è altro che un duplicato inutile della promessa di pagamento, o viceversa; g.2) si tratta di fenomeni giuridici distinti sul crinale effettuale, dacché la promessa di pagamento costituisce un vincolo obbligatorio parallelo a quello al quale si riferisce e ad esso collegato, mentre la ricognizione di debito si risolve in un negozio di accertamento avente ad oggetto il vincolo sottostante (senza dunque far luogo ad un vincolo nuovo); 3) si è al cospetto di due figure giuridiche – quanto a pertinente regime - in parte sovrapponibili ed in parte differenti l’una dall’altra;</li> <li>sul crinale della (dibattutissima) natura giuridica dei due istituti, si fronteggiano diverse tesi: h.1) si tratta in entrambi i casi di negozi con effettualità tipicamente ed esclusivamente processuale, a struttura unilaterale e recettizia, che fanno luogo ad un inversione dell’onere della prova con riguardo all’obbligo preesistente e sotteso al previo rapporto fondamentale tra i due interlocutori privati (tesi “<em>processuale</em>”, ormai più accreditata); 2) si tratta in entrambi i casi di un negozio di accertamento con il quale la parte dichiarante o promittente – avvalendosi dell’autonomia privata - accerta, conferma o dichiara una situazione giuridica che già esiste nell’orbe giuridico, sciogliendo dubbi in ordine ai pertinenti, concreti contorni in termini di contenuto, misura ed effetti; da questo punto di vista, anche senza che intervenga concorde dichiarazione o comunque “<em>accettazione</em>” da parte del creditore, il debitore elimina qualsivoglia dubbio o contestazione in ordine alla ridetta situazione giuridica soggettiva di pretesa, anche - ed all’occorrenza – con l’obiettivo di prevenire una possibile lite ovvero di comporne una già insorta, con funzione analoga a quella della transazione (tesi “<em>sostanziale</em>”, ormai meno accreditata); h.3) si tratta in entrambi i casi di una dichiarazione di scienza con natura genericamente “<em>confessoria</em>”, con conseguente erronea riconduzione all’autonomia privata, rilevando tanto nella promessa di pagamento quanto nella ricognizione di debito non già una volontà del dichiarante - orientata a creare, modificare o estinguere una situazione giuridicamente rilevante – quanto piuttosto la intervenuta dichiarazione, per l’appunto, di un determinato fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole al destinatario della dichiarazione, con evidenti effetti processuali sul crinale probatorio; si tratta dunque di atti dichiarativi di preesistenti rapporti, con funzione processuale e, per taluno, financo di atti con valenza esclusivamente processuale (probatoria), assimilabili alla confessione stragiudiziale; la conseguenza è che, per quanto concerne i vizi della volontà, rileva solo l’errore di fatto e la violenza ai sensi dell’art.2732 c.c., quali motivi di revoca della ridetta “<em>confessione</em>” (tesi del tutto minoritaria); h.4) si tratta in entrambi i casi di atti giuridici in senso stretto che, aderendo ad un rapporto contrattuale già corrente tra le parti, si limitano a “<em>fissare</em>” e dunque a “<em>cristallizzare</em>” – nel momento della dichiarazione - la posizione di una parte rispetto all’altra (tesi, del tutto minoritaria, della c.d. “<em>semplificazione analitica</em>”);</li> <li>quanto all’oggetto, tanto la promessa di pagamento quanto la ricognizione di debito concernono diritti “<em>relativi</em>” e, dunque, rapporti di credito-debito, e non ammettono intermediari tra chi rende “<em>personalmente</em>” la promessa o la ricognizione (in veste di debitore) e chi “<em>personalmente</em>” la riceve (creditore); si discute in proposito se esse possano avere ad oggetto un diritto reale, circostanza negata dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie; parte della dottrina ammette nondimeno che le “<em>componenti obbligatorie</em>” che ineludibilmente accedono ad ogni diritto reale possano essere fatte oggetto tanto di promessa di pagamento quanto di ricognizione di debito;</li> <li>sul crinale della forma, va registrato come il legislatore non abbia preso in proposito esplicita posizione, circostanza che ha fatto affiorare 3 diverse opzioni ermeneutiche: j.1) la forma è libera, dovendosi assecondare anche per la promessa di pagamento e per la ricognizione di debito il principio della libertà delle forme che assiste in genere l’autonomia privata, massime laddove campeggi sul punto il silenzio del legislatore del codice (tesi prevalente); j.2) la forma è scritta <em>ad substantiam</em>: tanto la promessa di pagamento quanto la ricognizione di debito, secondo questo orientamento, costituiscono atti di natura confessoria e, come tali, a valenza probatoria, compendiando una autentica “<em>prova documentale</em>”, onde non possono non essere per iscritto, come palesa anche l’art.634 c.p.c. onde possono fondare un decreto ingiuntivo, tra gli altri, le promesse unilaterali consacrate in una scrittura privata (tesi recessiva); j.3) la forma è scritta, ma solo quando il rapporto fondamentale che sottende la promessa di pagamento o la ricognizione di debito esiga tale forma scritta, che dunque opera “<em>per relationem</em>” (tesi intermedia); la questione della forma si pone con particolare significatività sol che si consideri come in entrambe le fattispecie (promessa di pagamento e ricognizione di debito) si presume esistente un rapporto fondamentale che, laddove consacrato in un documento, fa scattare l’art.2722 c.c., alla cui stregua non si può provare per testimoni un patto aggiunto o contrario anteriore o contemporaneo, per l’appunto, al contenuto di un “<em>documento</em>”.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare in particolare della promessa al pubblico?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una fattispecie “<em>tipica</em>” di promessa impegnativa, disciplinata dagli articoli da 1989 a 1991 c.c.;</li> <li>un soggetto, detto promittente, si rivolge al pubblico “<em>promettendo</em>”, per l’appunto, una prestazione con caratteri di impegnatività <em>in incertam personam</em> (e dunque a soggetto indeterminato <em>a priori</em>); classico, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, il caso del c.d. concorso a premi, in cui si promette una prestazione (premio) a chi si troverà in una certa situazione o avrà compiuto una determinata azione (fattispecie che va peraltro distinta da quella della lotteria, laddove campeggia piuttosto un contratto aleatorio);</li> <li>destinatari della promessa possono essere: c.1) chi si trovi in una determinata situazione (crinale statico); c.2) chi compia una determinata azione (crinale dinamico);</li> <li>la promessa diviene vincolante non appena è resa pubblica;</li> <li>dal punto di vista della struttura e della natura giuridica, si contendono il campo due distinte prospettive ermeneutiche: e.1) si è al cospetto di un negozio unilaterale impegnativo, come tale fonte di obbligazioni, in forza del quale il promittente è vincolato ad eseguire la prestazione promessa a favore di chi si trovi in una determinata situazione, ovvero compia una certa azione, a prescindere dall’accettazione di quest’ultimo; tale vincolatività – sul crinale diacronico – inizia al momento della pubblicazione della promessa “<em>al pubblico</em>” e dura fino allo scadere del termine fissato dallo stesso promittente o, in mancanza, allo scadere di 1 anno dalla ridetta pubblicazione (qualora non gli sia stato comunicato l’avveramento della situazione o il compimento dell’azione prevista: art.1989, comma 2, c.c.); e.2) si è al cospetto di un contratto e, dunque, di un negozio bilaterale che costituisce una <em>species</em> del <em>genus</em> cui appartiene il negozio rifiutabile ex art.1333 c.c.;</li> <li>la promessa al pubblico è “<em>impegnativa</em>” ed è dunque fonte di obbligazione, a prescindere da qualsivoglia accettazione del promissario; questo la distingue dall’offerta al pubblico ai sensi dell’art.1336 c.c., che è anch’essa rivolta “<em>al pubblico</em>” ma è per l’appunto una offerta e, dunque, una “<em>proposta</em>” senza effetti obbligatori ed alla quale, perché nasca un impegno, deve giocoforza seguire una accettazione dell’oblato, con conseguente inserimento in una (ancorché peculiare) fattispecie a formazione progressiva orientata alla stipula di un contratto (questo sì, impegnativo); proprio sul crinale della distinzione tra promessa al pubblico ed offerta al pubblico (quest’ultima anche in rapporto al c.d. “<em>invito ad offrire</em>”) si giocano le diverse posizioni di dottrina e giurisprudenza in tema di bandi di concorso o di gara, per i quali – con particolare riguardo ai bandi di gara - si rinvia allo specifico CRONO PERCORSO ad essi dedicato;</li> <li>prima che scada il termine divisato (annuale o fissato dal promittente), la promessa al pubblico può essere revocata dal promittente ex art.1990 c.c., ma solo per giusta causa (c.d. irrevocabilità relativa) e col vincolo dell’osservanza della medesima forma della promessa (“<em>al pubblico</em>”) revocata o di una forma equivalente; la revoca può intervenire anche quando si sia già verificata la situazione prevista nella promessa o sia stata già compiuta l’azione in essa divisata, ma in tal caso essa non può in nessun caso avere effetto: si è dunque al cospetto di una fattispecie di inefficacia assoluta della revoca; dovendo trattarsi di “<em>giusta causa</em>”, non è l’atteggiamento soggettivo del promittente a poter legittimare la revoca della promessa (ad esempio, una diversa valutazione personale in ordine all’opportunità di mantenere efficace la promessa stessa: in tal caso si parla di revoca “<em>illegittima</em>”), quanto piuttosto taluni elementi “<em>oggettivi</em>” che, come tali, prescindano dalla relativa volontà impedendogli di tenere fede alla promessa (e sempre che la situazione prevista non si sia verificata o l’azione non si sia compiuta, circostanza nella quale la revoca si atteggerebbe a “<em>tardiva</em>”); una questione particolare si pone quando chi doveva trovarsi in una data situazione o compiere una data azione abbia già eseguito la propria “<em>prestazione</em>” nel momento in cui interviene una revoca “<em>illegittima</em>”, fronteggiandosi in questo caso due distinte opzioni ermeneutiche: g.1) la revoca, oltre che tardiva, è illegittima, onde non solo è inefficace, ma obbliga anche il promittente (che già deve la prestazione promessa) al risarcimento del danno nei confronti del promissario, una diversa interpretazione dovendosi assumere del tutto irragionevole; g.2) l’effetto della revoca “<em>tardiva</em>” è sempre e solo l’inefficacia della promessa, pur quando si tratti di revoca anche “<em>illegittima</em>”, dal momento che solo quando si verifica la situazione o viene compiuta l’azione divisata il “<em>promissario</em>” diviene tale, perfezionandosi il relativo rapporto con il promittente (originariamente “<em>in incertam personam</em>”), onde solo da quel momento possono nascere obblighi per il promittente e pretese per il promissario, ormai individuato, che non potrebbe come tale pretendere il risarcimento del danno per il <em>vulnus</em> ad una pretesa che è appena (o, comunque, da pochissimo) nata.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale rapporto avvince le promesse unilaterali alle c.d. Carte dei servizi pubblici?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>dal punto di vista della natura giuridica, in tema di Carte dei servizi pubblici vengono distinte due diverse fattispecie;</li> <li>nel caso in cui la Carta dei servizi venga adottata da un gestore del servizio pubblico che è un soggetto privato, stando all’interpretazione più accreditata, essa ha natura negoziale di promessa unilaterale rivolta alla collettività degli utenti ed orientata a disciplinare la qualità del pertinente servizio offerto (potendo essere inscritta anche negli atti che regolamentano il rapporto tra PA concedente e concessionario privato);</li> <li>nel diverso caso in cui la Carta dei servizi venga adottata da un gestore del servizio pubblico che è un soggetto pubblico, si tratta - anche stando alla giurisprudenza - di un atto amministrativo adottato dal soggetto pubblico gestore del servizio nell’esercizio della propria potestà di auto-organizzazione, dovendosi tuttavia in questo caso ulteriormente distinguere: c.1) la Carta dei servizi va assunta di natura regolamentare se impone, nell’ambito del c.d. rapporto di utenza, l’osservanza di determinati obblighi in via immediata e diretta; c.2) la Carta dei servizi va assunta quale atto amministrativo generale, allorché esigenze operative od organizzative consentano di discostarsi dal modello strumentale che essa, in generale appunto, configura.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>