<p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>In tema di cessazione del rapporto di lavoro subordinato soggetta a procedure tipiche, l'espressione "intenda licenziare" di cui all'art. 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 costituisce una chiara manifestazione della volontà di recesso dal contratto di lavoro condizionata al corretto esperimento della procedura prevista dalla citata legge per l'ipotesi dei licenziamenti collettivi. Per converso, l'espressione "</em></strong><strong><em>deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo" di cui all'art 7 comma 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604 non assume la valenza di recesso datoriale, ma l'atto di impulso alla procedura prevista dal novellato art. 7 cui consegue la fase compensativo-conciliativa innanzi alla competente dtl</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em> </em></strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>Con il primo motivo la SMS GROUP denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 24 con riferimento all’erroneo calcolo dell’arco di 120 giorni entro il quale sarebbero avvenuti non già dei licenziamenti ma solo delle dichiarazioni dell’intenzione di licenziare L. n. 604 del 1966, ex art. 7.</li> <li>Con il secondo motivo denuncia ancora la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 24 sotto il profilo dell’erronea equiparazione dell’intenzione di recedere ex art. 7 cit. ad un vero e proprio licenziamento.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">I motivi, che possono essere congiuntamene esaminati, sono fondati. Deve infatti osservarsi che l’espressione intenda licenziare di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 24 è una chiara manifestazione della volontà di recesso, pur necessariamente ancorata al fatto che i licenziamenti non possono essere intimati se non successivamente all’iter procedimentale di legge, mentre cosa ben diversa è l’espressione deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo ai sensi della novellata L. n. 604 del 1966, art. 7, che è invece imposta al fine di intraprendere la nuova procedura di compensazione (o conciliazione) dinanzi alla DTL, e non può quindi ritenersi di persé un licenziamento. Deve poi osservarsi che alla luce di una corretta interpretazione dell’art. 1, paragrafo 1, comma 1, lett. a) della Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), rientra nella nozione di "licenziamento" il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente ed a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta del lavoratore medesimo (Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015 in causa C-422/14, p.ti da 50 a 54); una tale interpretazione, conforme alla citata giurisprudenza della Corte di Giustizia, comporta il superamento della precedente in merito alla L. n. 223 del 1991, art. 24, anche alla luce del D.Lgs. n. 151 del 1997 di attuazione alla Direttiva comunitaria 26 giugno 1992, n. 56, nel senso che nel numero minimo di cinque licenziamenti, ivi considerato come sufficiente ad integrare l’ipotesi del licenziamento collettivo, non possono includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all’iniziativa del datore di lavoro (Cass. n. 15401/20, Cass. n. 1334/07).</p> <ol style="text-align: justify;" start="3"> <li>Il ricorso deve essere pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia, oltre che per la regolazione delle spese di lite.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, Lavoro, sentenza del 31.05.2021, n. 15118</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p>