<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima </strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In ambito europeo non esiste una Pubblica Amministrazione “</em>monolite<em>”, definita una volta per tutte; piuttosto – conformemente alla teoria dei c.d. poteri impliciti, non a caso gemmata proprio in ambito comunitario – sono i “</em>fini<em>” quelli che di volta in volta orientano il sistema europeo nel senso di riconoscere, in rapporto a ciascuno specifico ambito, una Pubblica amministrazione, come palesa in modo tutt’affatto sintomatico il diritto del lavoro pubblico sovranazionale. E’ proprio in questo </em>humus<em> giuridico che si fa strada via via, lungo il corso dei lustri, la figura del c.d. “</em>organismo di diritto pubblico<em>”, che è “</em>Amministrazione aggiudicatrice<em>” atipica e che – in quanto tale - è tenuto ad avvalersi delle procedure di evidenza pubblica per identificare l’interlocutore privato al quale venga chiesta una prestazione: il generico riferimento ad un “</em>organismo<em>” palesa come non sempre esso possa dirsi agevolmente identificabile come soggetto pubblico sulla scorta di quanto affiora, ad esempio, dalla relativa forma strutturale (che potrebbe essere anche “</em>privata<em>”), dovendo piuttosto farsi riferimento alla “</em>sostanza<em>” dell’attività che svolge e, appunto, dei fini che esso si propone di raggiungere. L’interprete che si proponga di scovare un “</em>organismo<em>” di diritto pubblico deve infatti, da un lato, polarizzarsi su di un riconoscibile perseguimento dell’interesse generale da parte del medesimo e, dall’altro, escludere la presenza, nell’attività dell’ente di volta in volta considerato, di elementi di tipo commerciale o industriale; in taluni specifici settori, detti “</em>speciali<em>”, dovendolo peraltro esso distinguere dall’ulteriore figura dell’impresa pubblica, laddove la ibridazione con il settore privato si palesa vieppiù spiccata e rimarchevole.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice civile prevede agli articoli 2449 e 2450 le società a partecipazione pubblica e a “<em>nomina pubblica</em>” (ne vengono nominati gli amministratori dallo Stato o dall’ente pubblico, anche se esso non è socio), e all’articolo 2451 le società di interesse nazionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che prevede riserve di legge in tema di soggetti amministrativi, ed in particolare di ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, numero, attribuzioni ed organizzazione dei Ministeri (art.95) e di organizzazione dei pubblici uffici, in modo da assicurarne l’imparzialità ed il buon andamento (art.97): le norme riguardano i soggetti pubblici e dunque, in modo più o meno diretto e mano mano che affioreranno, anche gli organismi di diritto pubblico e le imprese pubbliche, con riguardo ai primi specie per quanto riguarda gli obblighi di buon andamento e di imparzialità.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1971</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 luglio viene varata la Direttiva n.71/305/CEE del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici e che si applica – dal punto di vista soggettivo – alle “<em>Amministrazioni aggiudicatrici</em>” tassativamente individuate dalla Direttiva stessa: Stato, enti pubblici territoriali e persone giuridiche elencate nell’Allegato I alla Direttiva medesima, ovvero le associazioni di diritto pubblico costituite dagli enti pubblici territoriali come le associazioni di Comuni, i consorzi intercomunali, i <em>Gemeindeverbaende</em>, le università statali, i consorzi per i lavori interessanti le università, gli istituti superiori scientifici e culturali, gli osservatori astrofisici, geofisici e vulcanologici, gli enti di riforma fondiaria, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza ed altri ancora. Si tratta di una elencazione tassativa operata a livello sovranazionale che tuttavia esclude dall’applicabilità della normativa in materia di appalti di lavori – ed in particolare dalla operatività dell’evidenza pubblica e delle gare – un cospicuo numero di soggetti giuridici operanti all’interno dei singoli Stati membri che hanno decise connotazioni pubblicistiche “<em>sostanziali</em>” (lo Stato o un altro ente certamente pubblico li controlla, li sovvenziona, li patrimonializza e simili), e che tuttavia non fanno formalmente parte dell’elenco tassativo previsto dalla Direttiva, potendo dunque affidare appalti di lavori senza gara.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1989</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 maggio esce la sentenza della Corte di Giustizia CEE, in causa C-33/88, <em>Pilar Allué e Carme Mary Coonan c. Università di Venezia</em>, che si occupa della deroga al principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità prevista per i lavoratori pubblici, così isolando – ai predetti fini – una specifica nozione di Pubblica Amministrazione. Per la Corte (che nel caso di specie si occupa dei c.d. lettori universitari) i principi di libera circolazione e di parità di trattamento tra i lavoratori hanno natura fondamentale, sicché le relative deroghe – tra le quali proprio quella prevista dall’art.39, paragrafo 4, del Trattato – vanno interpretate in modo da scongiurare per esse un portata più ampia di quella strettamente connessa al perseguimento del relativo, specifico scopo, pena altrimenti la sottrazione al principio di libera circolazione di un amplissimo numero di lavoratori. Proprio questo sospinge la Corte nel senso di una definizione specifica di Pubblica Amministrazione decisamente restrittiva, dovendosi in primo luogo trattare di enti che – al di là delle connotazioni pubblicistiche che in qualche modo palesano – non rivestono carattere imprenditoriale, come invece si registra in quelli che svolgono servizi di trasporto o di distribuzione di gas o energia. Per la Corte, la “<em>Pubblica Amministrazione</em>” va dunque intesa, ai ridetti fini, in senso restrittivo, dovendo la medesima essere elaborata facendo riferimento, in ogni caso, ai due criteri della partecipazione, diretta o indiretta, all’esercizio di poteri pubblici, ovvero della tutela degli interessi generali dello Stato e degli enti pubblici, con la conseguenza onde sono sottratti al canone della libera circolazione quei particolari impieghi “<em>pubblici</em>” che siano caratterizzati dalla titolarità o comunque dall’esercizio di compiti di responsabilità, o comunque dal perseguimento di interessi di natura squisitamente pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 luglio esce la sentenza della Corte di Giustizia CEE, in causa C-188/89, <em>Foster c. British Gas</em>: la Corte deve decidere se un ente può considerarsi “<em>statale</em>” al fine di applicargli “<em>verticalmente</em>” la Direttiva 9 febbraio 1976, n.207 in tema di discriminazioni fondate sul sesso in ambito lavorativo, la eventuale risposta affermativa consentendo l’applicazione diretta, sul piano “<em>verticale</em>” appunto, di tale Direttiva ai lavoratori di tale ente (cosa che non sarebbe predicabile laddove l’ente fosse di natura privata e non potesse dunque essere considerato “<em>Stato</em>”). Per la Corte, al fine di delimitare l’ambito soggettivo di efficacia di determinati atti normativi comunitari, o comunque di isolare il concetto di Pubblica Amministrazione rilevante, deve farsi di volta in volta riferimento alla singola problematica considerata, sicché un conto è la “<em>Pubblica Amministrazione</em>” nel contesto, ad esempio, del principio di libera circolazione dei lavoratori (laddove la nozione va intesa in senso restrittivo, implicando essa una deroga al ridetto principio), ed altro conto è la “<em>Pubblica Amministrazione</em>” in tema appunto di discriminazioni tra lavoratori fondate sul sesso e connessa, eventuale possibilità di invocare gli effetti “<em>verticali</em>” di una Direttiva (laddove al contrario il medesimo concetto va inteso in senso ampliativo). Per la Corte, deve intendersi fare comunque parte degli enti (pubblici) ai quali è possibile opporre le norme di una Direttiva idonea a produrre effetti diretti (verticali) un organismo che, indipendentemente dalla forma giuridica che riveste, sia stato incaricato – giusta un atto della pubblica autorità – di prestare, sotto il controllo della ridetta autorità, un servizio di interesse pubblico e che dispone all’uopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra singoli (e dunque nei rapporti “<em>orizzontali</em>”). Nel caso di specie, ai sensi della ridetta Direttiva il principio di non discriminazione tra i sessi può dunque essere opposto in senso “<em>verticale</em>”, per la Corte, nei confronti di un ente inglese costituito per legge con la finalità di fornire gas in condizioni di monopolio ed i cui amministratori, nominati dal competente Ministro, sono tenuti al rispetto delle direttive di carattere generale e delle istruzioni (concernenti le modalità gestionali del servizio) impartite dall’autorità politica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 luglio viene varata la Direttiva 89/440/CEE del Consiglio, che modifica la direttiva 71/305/CEE laddove coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici. Si tratta di un testo normativo molto importante (sul punto, non modificato dai testi successivi pertinenti <em>ratione materiae</em>), che si occupa di superare gli inconvenienti e le lacune di cui alla precedente Direttiva del 1971 in tema di identificazione, sul crinale soggettivo, delle Amministrazioni aggiudicatrici, come tali tenute ad esperire le gare per l’affidamento di appalti pubblici di lavori. Proprio per superare la rigida tassatività ivi prevista, la nuova Direttiva (art.1, lettera b) affianca allo Stato ed agli enti pubblici territoriali i c.d. “<em>organismi di diritto pubblico</em>”, definendo come tali quelli che sono istituiti per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale, che siano dotati di personalità giuridica e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali e da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è sottoposta a controllo di questi ultimi, oppure i cui organi di amministrazione, di direzione o di vigilanza sono costituiti da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico. Si passa dunque da una nozione “<em>formale</em>” e tassativa di Amministrazione aggiudicatrice ad un’altra di tipo più sfumato, atipico e, soprattutto, sostanziale, che dunque fa riferimento alla natura pubblica reale (seppure a volte trasfigurata) del soggetto considerato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre viene varata la legge n.287 in tema di disciplina <em>antitrust</em>, il cui articolo 8, se al comma 1 afferma che le disposizioni della legge si applicano sia alle imprese private che a quelle pubbliche o a prevalente partecipazione statale, soggiunge poi al comma 2 che esse non si applicano invece alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati. La norma è importante perché porrà il dubbio se la normativa <em>antitrust</em> si applichi o meno agli organismi di diritto pubblico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 27 novembre esce la sentenza della Corte di Giustizia CEE, in causa C-4/91, <em>Bleis</em>, che si occupa della deroga al principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità prevista per i lavoratori pubblici, così isolando – ai predetti fini – una specifica nozione di Pubblica Amministrazione. Per la Corte (che nel caso di specie si occupa degli insegnanti nelle scuole secondarie) i principi di libera circolazione e di parità di trattamento tra i lavoratori hanno natura fondamentale, sicché le relative deroghe – tra le quali proprio quella prevista dall’art.39, paragrafo 4, del Trattato – vanno interpretate in modo da scongiurare per esse un portata più ampia di quella strettamente connessa al perseguimento del relativo, specifico scopo, pena altrimenti la sottrazione al principio di libera circolazione di un amplissimo numero di lavoratori. Proprio questo sospinge la Corte nel senso di una definizione specifica di Pubblica Amministrazione decisamente restrittiva, non dovendosi in primo luogo trattare di enti che – al di là delle connotazioni pubblicistiche che in qualche modo palesano – rivestono carattere imprenditoriale, come nel caso di quelli che svolgono servizi di trasporto o di distribuzione di gas o energia. Per la Corte, la “<em>Pubblica Amministrazione</em>” va dunque intesa, ai ridetti fini, in senso restrittivo, dovendo la medesima essere elaborata facendo riferimento, in ogni caso, ai due criteri della partecipazione, diretta o indiretta, all’esercizio di poteri pubblici, ovvero della tutela degli interessi generali dello Stato e degli enti pubblici, con la conseguenza onde sono sottratti al canone della libera circolazione quei particolari impieghi “<em>pubblici</em>” che siano caratterizzati dalla titolarità o comunque dall’esercizio di compiti di responsabilità, o comunque dal perseguimento di interessi di natura squisitamente pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 dicembre viene varato il decreto legislativo n.406 che attua la Direttiva 89/440/CEE in materia di appalti di lavori pubblici facendo entrare nell’ordinamento italiano la nozione di organismo di diritto pubblico ivi prevista.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 giugno viene varata la Direttiva del Consiglio 92/50/CEE relativa al coordinamento delle procedure degli appalti pubblici di servizi, il cui art. 1, lett. b), stabilisce che per organismo di diritto pubblico si intende qualsiasi organismo: a) istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale; b) con personalità giuridica; c) la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di quest'ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 giugno viene varata la Direttiva 93/38/CEE che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni: si tratta dei c.d. “<em>settori esclusi</em>”. Per tali settori il legislatore europeo inizia a dettare una disciplina tutt’affatto peculiare: nel passato tali settori – fatti oggetto di un regime monopolistico - sono stati sottratti al mercato e alla libera concorrenza, ed è proprio l’obiettivo di garantire, per il futuro, la concorrenza e la relativa tutela anche in questi settori che sospinge il legislatore europeo a dettare questa nuova disciplina.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 marzo esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia n.221 che annette all’Ente autonomo Fiera di Milano natura giuridica di fondazione privata. Non trattandosi di ente pubblico, ad essa non si applicano per il Tar le disposizioni in tema di gare e appalti di lavori pubblici di cui al decreto legislativo n.406.91 (di attuazione della Direttiva 89/440/CEE), e va declinata la giurisdizione in favore del GO.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1995</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 marzo viene varato il decreto legislativo n.157 in materia di appalti pubblici di servizi, il cui art.2 definisce ancora una volta l’organismo di diritto pubblico come qualsiasi organismo, anche in forma societaria: a) istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale; b) con personalità giuridica; c) la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di quest'ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.353, alla cui stregua l’Ente autonomo Fiera di Milano, a differenza di quanto assunto dal Tar, va configurato come organismo di diritto pubblico e, allorché decida di affidare un appalto per la costruzione di nuovi padiglioni espositivi, deve far luogo ad una gara, con giurisdizione affidata al GA. E’ vero che l’ente in questione, precisa il Consiglio, espleta attività di carattere commerciale, ma occorre concettualmente distinguere il carattere commerciale dell’attività esercitata dall’ente fieristico, il quale loca verso corrispettivo degli spazi espositivi, dal carattere generale (e dunque pubblico) dei bisogni per il cui soddisfacimento esso è stato istituito, tra i quali va annoverato quello di promuovere lo sviluppo economico, favorendo la conoscenza dei prodotti dell’industria italiana e straniera da parte dei commercianti e di una consistente massa di consumatori, così realizzando un punto di incontro tra produttori, venditori e acquirenti. La sentenza non trova concorde tutta la dottrina di commento parte della quale – basandosi peraltro sulla opposta interpretazione resa, proprio in tema di enti fieristici, da plurime decisioni della Commissione Europea – fa rilevare come la decisione del Consiglio di Stato si ponga in frizione anche con il dato normativo interno e comunitario, laddove attribuisce significatività al solo requisito telelogico “<em>primo</em>” dell’essere stato l’ente istituito per soddisfare bisogni di “<em>interesse generale</em>” senza, al contempo, annettere alcun rilievo al requisito teleologico “<em>secondo</em>” della istituzione dell’ente medesimo per soddisfare bisogni (di interesse generale) a carattere “<em>non commerciale né industriale</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 novembre esce la sentenza della III sezione del Tar Lombardia n.1365 che, sulle orme del Consiglio di Stato, riconosce nell’Ente fiera di Milano la natura giuridica di organismo di diritto pubblico. Il Tar premette che in ambito comunitario la nozione di ente pubblico (siccome forgiata dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiane) è irrilevante ai fini dell’applicabilità della disciplina pubblicistica in tema di contrattazione, e dunque di gare; afferma poi che l’attività di promozione e di incentivo di determinati settori economico-produttivi, siccome istituzionalmente affidata all’Ente Fiera di Milano, non è riconducibile alla nozione sovranazionale di “<em>attività industriale o commerciale</em>”, poiché questa per essere tale deve corrispondere in via esclusiva alla soddisfazione diretta della domanda di servizi del singolo cittadino consumatore.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 2 luglio esce la sentenza della Corte di Giustizia CEE, in causa C-473/93, <em>Commissione c. Granducato del Lussemburgo;</em> C-173/94, <em>Commissione c. Regno del Belgio</em>; C-290/94, <em>Commissione c. Repubblica Ellenica</em>; che si occupa della deroga al principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità prevista per i lavoratori pubblici, così isolando – ai predetti fini – una specifica nozione di Pubblica Amministrazione. Per la Corte (che nel caso di specie si occupa degli insegnanti nelle scuole primarie, dei lavoratori impiegati nei settori della distribuzione dell’acqua, del gas e della elettricità ed in altri settori pubblici come la sanità, l’istruzione, i trasporti marittimi e aerei e così via) i principi di libera circolazione e di parità di trattamento tra i lavoratori hanno natura fondamentale, sicché le relative deroghe – tra le quali proprio quella prevista dall’art.39, paragrafo 4, del Trattato – vanno interpretate in modo da scongiurare per esse un portata più ampia di quella strettamente connessa al perseguimento del relativo, specifico scopo, pena altrimenti la sottrazione al principio di libera circolazione di un amplissimo numero di lavoratori. Proprio questo sospinge la Corte nel senso di una definizione specifica di Pubblica Amministrazione decisamente restrittiva, non dovendosi in primo luogo trattare di enti che – al di là delle connotazioni pubblicistiche che in qualche modo palesano – rivestono carattere imprenditoriale, come nel caso di quelli che svolgono servizi di trasporto o di distribuzione di gas o energia. Per la Corte, la “<em>Pubblica Amministrazione</em>” va dunque intesa, ai ridetti fini, in senso restrittivo, dovendo la medesima essere elaborata facendo riferimento, in ogni caso, ai due criteri della partecipazione, diretta o indiretta, all’esercizio di poteri pubblici, ovvero della tutela degli interessi generali dello Stato e degli enti pubblici, con la conseguenza onde sono sottratti al canone della libera circolazione quei particolari impieghi “<em>pubblici</em>” che siano caratterizzati dalla titolarità o comunque dall’esercizio di compiti di responsabilità, o comunque dal perseguimento di interessi di natura squisitamente pubblica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 gennaio esce la sentenza della Corte di Giustizia, C-44/96, <em>Mannesmann Anlagenbau Austria AG c. StrohalRotationsdruckGesmbh</em>, alla cui stregua gli elementi che contraddistinguono un organismo di diritto pubblico debbono essere sempre tutti contestualmente presenti; in difetto anche di uno solo di essi, per la Corte non si è al cospetto di un organismo di diritto pubblico, non si ha Amministrazione aggiudicatrice e non si ha l’obbligo di far luogo ad una gara. La pronuncia si sofferma poi sul c.d. requisito teleologico del soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere commerciale o industriale, iniziando quel percorso che condurrà la Corte a rappresentare come i bisogni di carattere non industriale o commerciale costituiscono una <em>species</em> dei bisogni di interesse generale, dovendo dunque il giudice procedere, in doppia fase, dapprima a verificare se l’ente considerato è stato istituito per soddisfare bisogni di interesse generale e, successivamente, a verificare se esso è chiamato a soddisfare quei peculiari bisogni di interesse generale che non abbiano carattere commerciale o industriale. L’oggetto della verifica è, nel caso di specie, la Tipografia di Stato dell’Austria: un ente senza meno dotato di un apparato imprenditoriale e tenuto, come tale, al rispetto delle norme che disciplinano il commercio, ma che non è istituzionalmente preposto al soddisfacimento di bisogni diffusi degli utenti, dacché esso non presta servizi in favore della collettività (la generalità degli utenti e dei consumatori, intesi in modo singolo e collettivo), e palesandosi piuttosto orientato al funzionamento istituzionale dello Stato austriaco ed al soddisfacimento delle relative esigenze di approvvigionamento di determinati beni e servizi (massime di tipo documentale). Per la Corte, l’Ente non opera peraltro in un ambito di tipo competitivo, ma piuttosto in regime di monopolio, avvalendosi dell’esclusiva in ordine alla produzione – in favore della PA austriaca – di determinate tipologie di documenti. La sentenza è importante anche perché per la prima volta si occupa del c.d. organismo pubblico “<em>in parte qua</em>”: per la Corte, al fine di qualificare un ente come organismo di diritto pubblico non è necessario che esso abbia, in via esclusiva o comunque prevalente, lo scopo di soddisfare bisogni di interesse generale non aventi carattere commerciale o industriale, potendo accostare a tale scopo (che potrebbe essere prevalente o meno) anche il perseguimento di altri scopi con connotazione, per l’appunto, commerciale o industriale, onde lo <em>status</em> di organismo di diritto pubblico non dipende dall’importanza relativa, nell’attività dell’organismo medesimo, del soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, tale finalizzazione secondo il diritto europeo non implicando – quantunque si riscontri nel testo normativo l’avverbio “<em>specificatamente</em>” – che il ridetto organismo di diritto pubblico sia incaricato di soddisfare unicamente bisogni di tal guisa, potendosi qualificare tale anche allorché la soddisfazione dei noti bisogni di interesse generale a carattere non commerciale né industriale costituisca solo una parte relativamente poco rilevante delle attività complessive effettivamente disimpegnate dall’ente medesimo. Alla stregua della c.d. “<em>teoria del contagio</em>”, anche dunque quando un ente svolga attività promiscue o comunque polimorfe, esso può essere qualificato come organismo di diritto pubblico, con soggezione alla disciplina dell’evidenza pubblica in tema di appalti (quale Amministrazione aggiudicatrice) allorché sia presente “<em>anche</em>” un’attività finalizzata al perseguimento di un interesse generale a carattere non industriale o commerciale, magari accanto ad una attività e una connessa finalità (pur prevalente) che invece ha per l’appunto foggia spiccatamente industriale o commerciale. Una volta accertato che si è al cospetto di un organismo di diritto pubblico, per la Corte anche con riguardo alla porzione di attività e di finalità dell’ente a vocazione commerciale o industriale, l’ente medesimo va sempre considerato organismo di diritto pubblico, con conseguente obbligo della evidenza pubblica e in sostanza della gara; ciò sia sulla scorta del principio di certezza del diritto – alla cui stregua una norma comunitaria deve essere chiara e ad applicazione prevedibile per tutti gli interessati – sia a mente della stessa disciplina normativa comunitaria che, dinanzi ad una Amministrazione aggiudicatrice qualificabile come tale, non ammette – al fine di applicare l’evidenza pubblica – la distinzione tra attività espletate da tale Amministrazione aggiudicatrice nell’interesse generale non commerciale o industriale e attività che, all’opposto, abbiano questa specifica vocazione. Viene così negata la possibilità di configurare – in termini di statuto pubblicistico applicabile – un organismo di diritto pubblico <em>in parte qua</em>, dal momento che al soggetto qualificato come “<em>organismo di diritto pubblico</em>” si applica sempre lo statuto pubblicistico anche con riguardo alla relativa attività commerciale o industriale (c.d. teoria del “<em>contagio</em>”). Si tratta di una presa di posizione che viene criticata da parte della dottrina secondo la quale l’esigenza di garantire la certezza del diritto non può conculcare in modo generico, disinvolto e indiscriminato un valore costituzionale quale è quello della libertà di impresa, che impone all’ente - anche al cospetto di attività (e finalità) spiccatamente imprenditoriali - l’obbligo di applicare dettagliate norme procedurali pubblicistiche per la selezione dell’interlocutore privato chiamato a fornire la prestazione di volta in volta cercata; dato il rapporto di regola ed eccezione che presidierebbe le relazioni tra diritto comune (regola) e diritto pubblico (eccezione), la espansione eccessiva di quest’ultimo implicherebbe secondo queste voci critiche la necessaria applicabilità di regole di diritto pubblico ad enti che operano in settori in cui il legislatore ha invece previsto l’operatività del diritto comune. In altri termini, il “<em>principio di attrazione sulla base della coincidenza soggettiva</em>” - onde un ente che è organismo di diritto pubblico va considerato tale (e gli va applicato il regime pubblicistico) per tutte le attività che esso svolge e le finalità che persegue (quand’anche precipuamente industriali o commerciali, e dunque imprenditoriali) – si paleserebbe irragionevole proprio laddove estende la disciplina pubblicistica anche a settori di operatività in cui tale bisogno di estensione non si ravvisa, per assenza sostanziale di interesse generale perseguito dall’ente, con possibilità dunque di ammettere che un medesimo soggetto sia organismo di diritto pubblico solo “<em>in parte qua</em>”, e dunque solo per le attività e le finalità di tipo “<em>pubblicistico</em>” ad esso eventualmente affidate dal legislatore. Resta però ferma, anche per la parte più avvertita di questa dottrina critica, la necessità di scongiurare che attraverso promiscuità di tipo finanziario l’ente di volta in volta considerato finisca col non avvalersi dell’evidenza pubblica e più in generale col non essere soggetto allo statuto pubblicistico quando invece dovrebbe avvalersene o rimanervi assoggettato, rischio – nondimeno - fronteggiabile in modo relativamente agevole giusta rigorosa separazione contabile, economica e finanziaria, con riguardo ai distinti settori (pubblico e privato) di intervento del medesimo ente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1478 che – con riguardo all’elemento costitutivo della personalità giuridica – abbraccia la tesi dottrinale c.d. sostanziale o funzionale, alla cui stregua anche il fatto che ci si trovi al cospetto di una società di capitali con forma giuridica privata non è idoneo ad escludere la natura di organismo di diritto pubblico, e dunque di Amministrazione aggiudicatrice, del soggetto considerato. Vanno infatti assunti organismi di diritto pubblico tutti gli enti, comprese le persone giuridiche in forma societaria, la cui attività sia finalizzata alla produzione di utilità strumentali rispetto all’interesse generale, come implicito nel fatto stesso della istituzione per la soddisfazione di bisogni di interesse generale; tali bisogni, e con essi le utilità strumentali all’interesse pubblico che l’ente intende produrre per soddisfarli, non devono avere carattere industriale o commerciale, onde si tratta di utilità non assoggettate a regole di mercato e non perseguite sulla base di criteri strettamente imprenditoriali, ancorché attore sia un soggetto che ha forma di società di capitali (apparentemente) privata. Per il Consiglio di Stato poi, sul crinale processuale, per poter predicare la giurisdizione esclusiva del GA occorre, sulla scorta di quanto si evince dall’art.103 Cost., che abbia natura pubblica il soggetto aggiudicatore.</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 novembre esce la sentenza della Corte di Giustizia, C-360/96, <em>Gemeente Arnhem e Gemeente Rheden c.</em> <em>BFI Holding</em>, alla cui stregua gli elementi che contraddistinguono un organismo di diritto pubblico debbono essere sempre tutti contestualmente presenti; in difetto anche di uno solo di essi, per la Corte non si è al cospetto di un organismo di diritto pubblico, non si ha Amministrazione aggiudicatrice e non si ha l’obbligo di far luogo ad una gara. La Corte si sofferma in particolare sul c.d. requisito teleologico della istituzione dell’ente per soddisfacimento di bisogni di interesse generale a carattere non industriale né commerciale, qualificandolo – al pari degli altri del resto – come requisito essenziale e specificando come non tutti i bisogni di interesse generale (sostanzialmente, gli interessi pubblici) rivestano carattere non commerciale né industriale, avendo il legislatore europeo inteso distinguere appunto i bisogni di interesse generale dell’un tipo (a carattere industriale e commerciale) da quelli dell’altro tipo (a carattere non industriale né commerciale). La Corte torna anche sul c.d. organismo di diritto pubblico “<em>in parte qua</em>”, con una impostazione tuttavia meno rigorosa: è organismo di diritto pubblico anche quello che svolge, in modo promiscuo, tanto attività finalizzate al perseguimento di un interesse generale a carattere non commerciale né industriale quanto attività che all’opposto si connotano, in termini di finalizzazione, per tale carattere commerciale e industriale; tuttavia, a differenza di quanto affermato nella precedente pronuncia <em>Mannesmann</em>, la Corte assume di poter sottrarre le attività con finalizzazione commerciale o industriale dall’area dell’evidenza pubblica, non riconoscendo per esse l’obbligo - in capo a quello che resta pur sempre un organismo di diritto pubblico - di bandire una gara (che invece va senz’altro bandita quando si tratti di attività finalizzate al soddisfacimento di bisogni di interesse generale a carattere non commerciale né industriale).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 febbraio viene varato il decreto legislativo n.65 (attuazione delle direttive 97/52/CE e 98/4/CE, che modificano ed integrano, rispettivamente, le direttive 92/50/CEE, in materia di appalti pubblici di servizi, e 93/38/CEE, limitatamente ai concorsi di progettazione), il cui art.2 definisce ancora una volta l’organismo di diritto pubblico come qualsiasi organismo, anche in forma societaria: a) istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale; b) con personalità giuridica; c) la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di quest'ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 aprile esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.97 che esclude in capo all’Ente Fiera di Milano la natura di organismo di diritto pubblico, potendo dunque l’Ente medesimo affidare a terzi appalti senza l’obbligo di osservare le procedure di evidenza pubblica di ascendenza comunitaria (con giurisdizione, per conseguenza, affidata al GO): le SSUU riconoscono che l’ente fieristico in parola persegue e soddisfa istituzionalmente bisogni di interesse generale, ma assumono che non è ravvisabile nel caso di specie l’ulteriore componente del requisito c.d. teleologico che si compendia nella natura “<em>non commerciale</em>” (né industriale) di tali bisogni (pur di interesse generale), l’attività dell’Ente essendo finalizzata al soddisfacimento di esigenze proprie del mercato, dovendosi anche tenere conto del contesto concorrenziale nel cui ambito l’Ente medesimo è chiamato ad operare.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 settembre esce la sentenza della Corte di Giustizia, C-180/98, <em>Pavlov</em>, secondo la quale un soggetto può contemporaneamente svolgere attività economiche rilevanti a fini di applicabilità della normativa Antitrust e attività di natura pubblicistica non soggette alla disciplina di tutela della concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 ottobre esce la sentenza della Corte di Giustizia, C-380/98, <em>University of Cambridge c. H.M. Treasury</em>, che si occupa del requisito del “<em>finanziamento pubblico maggioritario</em>” al fine di identificare un organismo di diritto pubblico. Si tratta delle erogazioni concesse all’ente in questione da un’Amministrazione aggiudicatrice senza tuttavia che possa riconoscersi alcun vincolo di sinallagmaticità, e dunque senza che vi sia alcuna controprestazione a carico dell’ente che riceve tali erogazioni. Ciò in considerazione massime del fatto che, laddove si sia al cospetto di tale tipo di erogazioni senza corrispettivo, l’ente ricevente può risultare condizionato nella scelta dei propri appaltatori (magari “<em>suggeriti</em>” dall’ente pubblico erogatore), circostanza che impone di qualificarlo appunto come organismo di diritto pubblico e di obbligarlo alle gare per la selezione dei propri interlocutori privati. Deve peraltro trattarsi di finanziamento pubblico “<em>maggioritario</em>”, e per la Corte ciò significa, secondo una interpretazione di tipo “<em>quantitativo</em>”, che tale finanziamento deve essere “<em>oltre la metà</em>”, superando dunque il 50% del totale delle entrate di cui beneficia il soggetto finanziato (e che possono anche essere, <em>pro quota </em>minoritaria, di natura commerciale). La Corte afferma peraltro come la ratio delle Direttive comunitarie in materia di appalti pubblici sia quella di imporne l’applicazione dove non vi è concorrenza, allo scopo di assicurare che non vi sia violazione (da parte dell’Ente che non opera appunto in regime di concorrenza) di quei principi di trasparenza e di non discriminazione che il regime concorrenziale consente automaticamente di inverare.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 maggio esce la sentenza della V Sezione della Corte di Giustizia, C-223/99 e C-260/99, <em>Ente Fiera di Milano</em> e <em>Agorà</em>, alla cui stregua gli elementi che contraddistinguono un organismo di diritto pubblico debbono essere sempre tutti contestualmente presenti; in difetto anche di uno solo di essi, per la Corte non si è al cospetto di un organismo di diritto pubblico, non si ha Amministrazione aggiudicatrice e non si ha l’obbligo di far luogo ad una gara. Nel caso di specie, viene esclusa la natura di organismo di diritto pubblico dell’Ente Fiera di Milano. Nel caso <em>Agorà</em> la Corte si sofferma poi in particolare sul c.d. requisito teleologico della istituzione dell’ente per il soddisfacimento di bisogni di interesse generale a carattere non industriale né commerciale, qualificandolo ancora una volta – al pari degli altri del resto – come requisito essenziale e specificando come non tutti i bisogni di interesse generale (sostanzialmente, gli interessi pubblici) rivestano carattere non commerciale né industriale, avendo il legislatore europeo inteso distinguere appunto i bisogni di interesse generale dell’un tipo (a carattere industriale e commerciale) da quelli dell’altro tipo (a carattere non industriale né commerciale).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 settembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4711. Il problema è quello della ostensibilità da parte di Enel.it degli atti di una gara indetta per acquistare dei personal computer. Per il Consiglio di Stato Enel s.p.a., società che controlla Enel.it, va considerato organismo di diritto pubblico che, come tale, spiega una influenza pubblica dominante sulla controllata Enel.it. La sentenza è importante soprattutto laddove si sofferma sul c.d. requisito teleologico e dunque sulla finalizzazione dell’organismo di diritto pubblico a perseguire bisogni di interesse generale non aventi carattere commerciale o industriale: per il Collegio ciò non significa negare la gestione imprenditoriale dell’ente, quanto piuttosto la funzionalizzazione dell’Ente medesimo a soddisfare bisogni di interesse generale della collettività, funzionalizzazione che è senza meno predicabile per Enel s.p.a. la quale, anche attraverso le proprie compagini controllate (tra le quali Enel.it), è stata costituita per gestire le attività di produzione e distribuzione di energia elettrica (ancora solo parzialmente liberalizzate) secondo criteri che non sono proprio quelli caratteristici di un soggetto privato <em>tout court</em>, sol che si consideri l’influenza che ad Enel s.p.a. ed alle relative controllate deriva da un legame stretto con apparati di potere pubblico, potendo quest’ultimo concretamente incidere <em>ab externo</em> (e non già solo giusta ordinario funzionamento dei meccanismi societari interni) sulla relativa attività, anche al fine di garantirne la coerenza con le finalità pubbliche perseguite. In sostanza, il Collegio assume essersi al cospetto di un organismo di diritto pubblico (con applicabilità dello statuto pubblicistico, ivi compreso il regime giuridico dell’accesso agli atti amministrativi, oltre ovviamente a quello delle gare) anche allorché si sia al cospetto di un organismo di diritto pubblico che è tale solo “<em>in parte qua</em>”, per il non essere del tutto scevro da logiche, finalità e connesse attività di tipo commerciale o industriale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 settembre esce la sentenza della sezione III ter del Tar Lazio n.8203 che riconosce nella Grandi Stazioni s.p.a. – società che gestisce il patrimonio immobiliare di Ferrovie dello Stato s.p.a. – la natura di organismo di diritto pubblico, per essere la stessa destinata a soddisfare bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale e commerciale, siccome collegati al servizio pubblico ferroviario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 febbraio esce la sentenza della sezione III ter del <strong>Tar Lazio</strong> n.1559 che – in tema di gestori aeroportuali – ammette la configurabilità di organismi di diritto pubblico “<em>in parte qua</em>”, ai quali si applica pertanto la disciplina riservata alle Amministrazioni aggiudicatrici – massime l’evidenza pubblica e la necessità del ricorso a gare per selezionare l’interlocutore privato – solo allorché la prestazione chiesta al mercato sia strumentale a quella parte delle plurime attività gestite dal soggetto considerato che è volta al soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale e commerciale, con esclusione dunque della diversa ipotesi in cui si cerchi l’appaltatore per una prestazione strumentale ad una attività che non è volta al soddisfacimento di quel tipo di bisogni (nella sostanza, pubblicistici).</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 maggio esce la sentenza della Corte di Giustizia, C-214/00, <em>Commissione c. Regno di Spagna</em>, alla cui stregua gli elementi che contraddistinguono un organismo di diritto pubblico debbono essere sempre tutti contestualmente presenti; in difetto anche di uno solo di essi, per la Corte non si è al cospetto di un organismo di diritto pubblico, non si ha Amministrazione aggiudicatrice e non si ha l’obbligo di far luogo ad una gara.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 maggio esce la sentenza della Corte di Giustizia, C-18/01, <em>Taitotalo Oy</em>, che ribadisce <em>in primis</em> come gli elementi che contraddistinguono un organismo di diritto pubblico debbano essere sempre tutti contestualmente presenti; in difetto anche di uno solo di essi, per la Corte non si è al cospetto di un organismo di diritto pubblico, non si ha Amministrazione aggiudicatrice e non si ha l’obbligo di far luogo ad una gara. la Corte si sofferma poi in particolare sul c.d. requisito teleologico della istituzione dell’ente per soddisfacimento di bisogni di interesse generale a carattere non industriale né commerciale, qualificandolo ancora una volta – al pari degli altri del resto – come requisito essenziale e specificando come non tutti i bisogni di interesse generale (sostanzialmente, gli interessi pubblici) rivestano carattere non commerciale né industriale, avendo il legislatore europeo inteso distinguere appunto i bisogni di interesse generale dell’un tipo (a carattere industriale e commerciale) da quelli dell’altro tipo (a carattere non industriale né commerciale). Per la Corte i bisogni di interesse generale da soddisfare al fine di identificare un organismo di diritto pubblico non hanno carattere industriale né commerciale se si tratta di bisogni che sono soddisfatti in modo diverso dalla offerta di beni e servizi sul mercato, allorché lo Stato provveda a soddisfarli in via diretta ovvero comunque con modalità tali da mantenere un’influenza dominante sul diverso soggetto che li soddisfa. Importante il contesto nel quale opera l’ente in capo al quale occorre verificare la natura di organismo di diritto pubblico: se si tratta di un contesto di tipo concorrenziale, ciò non è sufficiente ad escludere tale natura, e tuttavia la circostanza costituisce un importante indizio in ordine al carattere industriale o commerciale dei bisogni soddisfatti, e dunque della esclusione della natura di organismo di diritto pubblico. Occorre allora, in conformità ad un approccio di tipo fattuale e legato al caso per caso, verificare la sussistenza di tutta una serie di fattori. Laddove il soggetto di che trattasi operi normalmente in condizioni di mercato concorrenziale, persegua scopi di lucro e subisca le eventuali perdite commerciali connesse all’esercizio della propria attività, è difficile sostenere che esso sia stato istituito per soddisfare bisogni che (ancorché di interesse generale) siano di natura non commerciale né industriale. Peraltro, proprio il fatto che l’ente preso in considerazione operi in condizioni di mercato, subisca i rischi connessi alla propria attività (in termini di possibili perdite) e persegua uno scopo di lucro porta a considerare come lo stesso difficilmente aggiudicherà un appalto in condizioni che non si rivelino per esso particolarmente vantaggiose o comunque con una giustificazione economica, con conseguente non necessità di applicare le direttive comunitarie in materia di gare, di appalti e di evidenza pubblica, dovendosi assumere il rispetto dei principi di trasparenza e concorrenzialità automaticamente garantito.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 ottobre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5902 che, in riforma della sentenza del Tar Lazio n.8203.02, esclude che la società Grandi Stazioni s.p.a. rientri nel novero degli organismi di diritto pubblico, stante come si tratti di società preposta a svolgere una attività di gestione di quella parte del patrimonio immobiliare di Ferrovie dello Stato s.p.a. non destinata ai servizi di trasporto ferroviario. Per il Consiglio di Stato, Grandi Stazioni s.p.a. amministra – giusta contratto sottoscritto all’uopo – immobili appartenenti a Ferrovie dello Stato s.p.a. solo fisicamente ed occasionalmente collegati agli immobili delle stazioni ferroviarie intese come impianti destinati al servizio della circolazione dei treni e delle attività da prestare per le persone o le merci trasportate. Poiché gli immobili amministrati da Grandi Stazioni s.p.a. non sono destinati al servizio ferroviario, la relativa amministrazione ed il relativo sfruttamento sono da assumersi come attività commerciale, dovendosi ritenere difettante già il requisito del soddisfacimento di un bisogno di interesse generale.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 ottobre esce la sentenza della Corte di Giustizia CE, C-283-00, <em>Commissione c. Regno di Spagna</em>, che si occupa della società spagnola totalmente pubblica <em>Siepsa</em>, costituita dal Governo spagnolo per l’esecuzione e la gestione dei programmi di edilizia carceraria. La Corte si sofferma ancora una volta – al fine di verificare se è o meno al cospetto di un organismo di diritto pubblico – sul requisito teleologico delle istituzione finalizzata al soddisfacimento di bisogni di interesse generale “<em>a carattere non commerciale né industriale</em>”, affermando di poterne predicare nel caso di specie la sussistenza. La Corte ribadisce che i bisogni di interesse generale da soddisfare al fine di identificare un organismo di diritto pubblico non hanno carattere industriale né commerciale se si tratta di bisogni che sono soddisfatti in modo diverso dalla offerta di beni e servizi sul mercato, allorché lo Stato provveda a soddisfarli in via diretta ovvero comunque con modalità tali da mantenere un’influenza dominante sul diverso soggetto che li soddisfa. Importante il contesto nel quale opera l’ente in capo al quale occorre verificare la natura di organismo di diritto pubblico: se si tratta di un contesto di tipo concorrenziale, ciò non è sufficiente ad escludere tale natura, e tuttavia la circostanza costituisce un importante indizio in ordine al carattere industriale o commerciale dei bisogni soddisfatti, e dunque della esclusione della natura di organismo di diritto pubblico. Occorre allora, in conformità ad un approccio di tipo fattuale e legato al caso per caso, verificare la sussistenza di tutta una serie di fattori. Laddove il soggetto di che trattasi operi normalmente in condizioni di mercato concorrenziale, persegua scopi di lucro e subisca le eventuali perdite commerciali connesse all’esercizio della propria attività, è difficile sostenere che esso sia stato istituito per soddisfare bisogni che (ancorché di interesse generale) siano di natura non commerciale né industriale. Peraltro, proprio il fatto che l’ente preso in considerazione operi in condizioni di mercato, subisca i rischi connessi alla propria attività (in termini di possibili perdite) e persegua uno scopo di lucro porta a considerare come lo stesso difficilmente aggiudicherà un appalto in condizioni che non si rivelino per esso particolarmente vantaggiose o comunque con una giustificazione economica, con conseguente non necessità di applicare le direttive comunitarie in materia di gare, di appalti e di evidenza pubblica, dovendosi assumere il rispetto dei principi di trasparenza e concorrenzialità automaticamente garantito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 gennaio esce l’ordinanza della VI sezione del Consiglio di Stato n.167 che rimette all’Adunanza Plenaria la questione relativa alla natura giuridica della società Grandi Stazioni s.p.a., al fine di verificare se possa riconoscersi in detta società un organismo di diritto pubblico. Il problema – ferma la personalità giuridica e la dominanza pubblica – concerne in particolare la sussistenza del requisito teleologico dell’istituzione al fine di soddisfare bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale e commerciale. Per la Sezione remittente la Grandi Stazioni s.p.a. deve intendersi quale organismo di diritto pubblico, nella relativa veste di <em>longa manus</em> di Ferrovie dello Stato s.p.a. per quanto concerne la gestione di immobili comunque avvinti al servizio pubblico di trasporto ferroviario. Per la sezione rimettente, sulla scia della Corte di Giustizia (ed in particolare dei principi affermati nel caso <em>Taitotalo Oy</em>), i bisogni di interesse generale da soddisfare al fine di identificare un organismo di diritto pubblico non hanno carattere industriale né commerciale se si tratta di bisogni che sono soddisfatti in modo diverso dalla offerta di beni e servizi sul mercato, allorché lo Stato provveda a soddisfarli in via diretta ovvero comunque con modalità tali da mantenere un’influenza dominante sul diverso soggetto che li soddisfa.</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 marzo vengono varate le Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, che – rispettivamente – coordinano le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali (cd. settori speciali) e procedono alla unificazione di tutte le norme comunitarie in materia di appalti pubblici diversi da quelli di cui ai ridetti settori speciali. Vi viene riprodotta la nozione di organismo di diritto pubblico già forgiata nella Direttiva n.89/440/CEE, questa volta in un ambito oggettivo più ampio esteso a tutti gli appalti pubblici e non limitato solo a quello dei lavori. Importante, della Direttiva 17/2004 in tema di “<em>settori esclusi</em>”, il 10° considerando che rammenta come in tali peculiari settori, in precedenza disciplinati dal diritto privato e dunque sottratti all’evidenza pubblica, vada mantenuta una certa qual peculiarità disciplinare connotata da maggiore flessibilità rispetto ai settori ordinari; le “<em>imprese pubbliche</em>” sono specificamente definite all’art.2, comma 1, lett.b), della Direttiva, dovendosi intendere per tali quelle imprese sulle quali le Amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano tali imprese. Secondo poi l’art.20 della Direttiva 17/2004, la disciplina dei c.d. “<em>settori speciali</em>” (in sostanza, l’obbligo di fare ricorso all’evidenza pubblica per acquisire prestazioni) non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatori, pur operanti nei ridetti settori speciali, aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività, ovvero per l’esercizio di tali attività in un Paese terzo (e dunque in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica all’interno dell’Europa), né ai concorsi di progettazione organizzati a tali fini “<em>diversi</em>”: si tratta di una rigorosa delimitazione dal punto di vista oggettivo del “<em>settore speciale</em>”, che è tale solo se inteso <em>strictu sensu</em>, e dunque con riguardo ad un ambito ad esso strettamente afferente e specificamente circoscritto, al di fuori del quale esso non è più “<em>settore speciale</em>” con la conseguente necessità di capire quale regime gli si applichi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 luglio 2004 esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.9 che si pronuncia sul caso Grandi Stazioni s.p.a., affermando che tale società era tenuta nel caso di specie ad indire la gara, non già tuttavia perché organismo di diritto pubblico (la decisione in ordine a tale qualifica giuridica palesandosi nel caso di specie irrilevante), quanto piuttosto in considerazione del titolo che le ha consentito di gestire le grandi stazioni. Per l’Adunanza, poiché i servizi disciplinati dal decreto legislativo n. 158 del 1995 (c.d. settori esclusi) devono comunque essere svolti da soggetti selezionati tramite la gara, va richiamato il principio generale per il quale l’obbligo di indire la gara – relativa ad un appalto comunitario – continua a sussistere anche quando il soggetto che vi è tenuto non svolge direttamente le relative attività organizzative e di gestione, ma – sulla base di un contratto o di un titolo equivalente – ne affida lo svolgimento ad un altro soggetto (vengono richiamate le pronunce del Cons. Stato, Sez. VI, 24 settembre 2001, n. 5007; Sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1577; Sez. V, 4 novembre 1994, n. 1257; Sez. II, 11 dicembre 1991, n. 1221/91; Sez. II, 11 dicembre 1991, n. 1208/91; Sez. II, 19 giugno 1991, n. 570/91). Nella specie, risulta che – in assenza di una gara e con un contratto di data 14 aprile 2000 - la s.p.a. F.S. (cui nel frattempo è succeduta la s.p.a. R.F.I.) ha affidato per 40 anni alla s.p.a. Grandi Stazioni la gestione esclusiva delle grandi stazioni ferroviarie: tale contratto – prosegue l’Adunanza - non risulta in contrasto con l’art. 8, comma 3, del decreto legislativo n. 158 del 1995, poiché ha comportato <em>ipso iure</em> la traslazione sulla s.p.a. Grandi Stazioni dell’obbligo-dovere di indire la gara, negli stessi termini in cui vi avrebbe dovuto provvedere la s.p.a. Ferrovie dello Stato, se non avesse concluso il contratto di data 14 aprile 2000. Da ciò discende per il Collegio che: a) la s.p.a. Grandi Stazioni era tenuta a bandire la gara per la scelta del contraente, sia quale “<em>impresa pubblica</em>” (ex art. 2, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 158 del 1995), sia quale soggetto cui è stato traslato il relativo obbligo (in conseguenza dell’applicazione dell’art. 8, comma 3, del medesimo decreto legislativo); b) è applicabile l’art. 6, comma 1, della legge n. 205 del 2000, con la conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa esclusiva sulla gara; c) diventano irrilevanti le ulteriori questioni sollevate dall’ordinanza di rimessione sulla qualificabilità della s.p.a. Grandi Stazioni come organismo di diritto pubblico, nonché quelle sulla applicabilità di altre norme della legge n. 205 del 2000 sul servizio pubblico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 febbraio viene varata la legge n.15, recante modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente norme generali sull'azione amministrativa. Tra le norme della originaria legge 241.90 novellate vi è anche l’art.22 in tema di accesso agli atti amministrativi e, in specie, la nozione di Pubblica Amministrazione i cui atti sono accessibili e che viene ad identificarsi (comma 1, lettera e) in tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato, questi ultimi limitatamente alla relativa attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. Recependo precedente giurisprudenza sul punto, il legislatore assume allora gli organismi di diritto pubblico, quand’anche formalmente privati (perché rivestenti forma societaria), quali soggetti tenuti all’ostensione degli atti laddove si facciano stazioni appaltanti in vista dell’affidamento di un appalto pubblico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 aprile viene varato il decreto legislativo n.163, codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, il cui art. 3, comma 26, definisce ancora una volta l’organismo di diritto pubblico come qualsiasi organismo, anche in forma societaria: -istituito per soddisfare specifiche esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; - dotato di personalità giuridica; - la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di quest'ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. Importante anche l’art.217, laddove afferma che l’evidenza pubblica si applica, oltre che (pacificamente) alle c.d. Amministrazioni aggiudicatrici, anche alle c.d. “<em>imprese pubbliche</em>” e a tutti quei soggetti che - pur non essendo (formalmente additati come) Amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche - operino nel campo dei c.d. settori speciali in virtù di diritti speciali o esclusivi; le “<em>imprese pubbliche</em>” sono specificamente definite all’art.3, comma 28, del codice, dovendosi intendere per tali quelle imprese sulle quali le Amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano tali imprese. Secondo poi lo stesso art.217 del codice, la disciplina dei c.d. “<em>settori speciali</em>” (in sostanza, l’obbligo di fare ricorso all’evidenza pubblica per acquisire prestazioni) non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatori, pur operanti nei ridetti settori speciali, aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività, ovvero per l’esercizio di tali attività in un Paese terzo (e dunque in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica all’interno dell’Europa), né ai concorsi di progettazione organizzati a tali fini “<em>diversi</em>”: si tratta di una rigorosa delimitazione dal punto di vista oggettivo del “<em>settore speciale</em>”, che è tale solo se inteso <em>strictu sensu</em>, e dunque con riguardo ad un ambito ad esso strettamente afferente e specificamente circoscritto, al di fuori del quale esso non è più “<em>settore speciale</em>” con la conseguente necessità di capire quale regime gli si applichi. Infine, importante anche l’art.27 del codice, laddove prevede i c.d. “<em>contratti esclusi</em>”: per tale disposizione, l’affidamento di contratti pubblici che siano appunto “<em>esclusi</em>”, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del codice medesimo avviene in ogni caso nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità, tutela dell’ambiente e dell’efficienza energetica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.550, che si occupa della Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. e della valutazione che su di essa ha spiegato l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che vi ha scorto indubbi profili pubblicistici senza che tale circostanza le abbia impedito – con riguardo alla pertinente gestione separata, e dopo l’ingresso delle Fondazioni bancarie – di scorgervi anche finalità di profitto tali da renderla inconciliabile con il perseguimento dei fini generali di cui al Regolamento CE 139/04. Per il Consiglio, in sostanza, qualificare un soggetto come organismo di diritto pubblico non implica in via automatica l’esclusione del soggetto medesimo dal perimetro di quelli tenuti a rispettare la disciplina Antitrust, laddove in punto di fatto tale soggetto abbia agito come operatore economico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 gennaio esce la sentenza della I Sezione della Cassazione n. 355 che ribadisce come un soggetto possa contemporaneamente svolgere attività economiche rilevanti a fini di applicabilità della normativa Antitrust e attività di natura pubblicistica non soggette alla disciplina di tutela della concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 aprile esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-393/06, <em>Aigner</em>, alla cui stregua con riguardo ai c.d. settori speciali – laddove si tratti di un appalto non rigorosamente attinente al relativo, circoscritto ambito, ma finalizzato a perseguire “<em>scopi diversi</em>” da quelli contemplati dalla specifica <em>mission</em> del singolo settore speciale, ed allorché ad un tempo, dal punto di vista soggettivo, il committente (come nel caso di specie) sia una Amministrazione aggiudicatrice (qui un organismo di diritto pubblico) - la impossibilità di applicare il regime dell’evidenza pubblica previsto appunto per i settori speciali fa scattare, in ogni caso, quello previsto per i settori ordinari, permanendo dunque l’obbligo della gara.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 1913, che si occupa dell’Ente Autonomo Fiera del Levante di Bari, escludendone la natura di organismo di diritto pubblico sulla base delle medesime considerazioni spese dalla sentenza delle SSUU n.74.00 con riguardo all’Ente Fiera di Milano, potendo dunque l’Ente medesimo affidare a terzi appalti senza l’obbligo di osservare le procedure di evidenza pubblica di ascendenza comunitaria (con giurisdizione, per conseguenza, affidata al GO): le SSUU riconoscono – con considerazioni che per il Consiglio di Stato sono mutuabili al fine di decidere anche il caso pugliese - che l’ente fieristico milanese persegue e soddisfa istituzionalmente bisogni di interesse generale, ma assumono che non è ravvisabile nel caso di specie l’ulteriore componente del requisito c.d. teleologico che si compendia nella natura “<em>non commerciale</em>” (né industriale) di tali bisogni (pur di interesse generale), l’attività dell’Ente essendo finalizzata al soddisfacimento di esigenze proprie del mercato, dovendosi anche tenere conto del contesto concorrenziale nel cui ambito l’Ente medesimo è chiamato ad operare.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 maggio esce una importante sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato, n.2280, che si sofferma sul c.d. requisito teleologico dell’organismo di diritto pubblico. Per il Collegio occorre conferire preminente rilievo – più che al carattere industriale o commerciale dell’attività di gestione posta in essere dall’ente considerato – al carattere “<em>generale</em>” dell’interesse al cui soddisfacimento tale attività risulta teleologicamente ed istituzionalmente rivolta. In sostanza un ente che utilizza strumenti operativi di tipo generalmente “<em>privatistico</em>” potrebbe comunque additarsi quale organismo di diritto pubblico (in presenza degli altri requisiti necessari), laddove persegua un interesse di tipo generale non industriale che comunque coinvolga la comunità dei consumatori o degli utenti. La sentenza pare dunque ammettere che l’attività gestionale potrebbe anche essere di tipo industriale o commerciale, purché sia generale e “<em>non industriale né commerciale</em>” l’interesse (i bisogni) che - giusta tale attività - l’ente persegue.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 ottobre esce la sentenza delle SSUU n.24722 alla cui stregua si può essere al cospetto di un organismo di diritto pubblico anche allorché il soggetto considerato abbia una forma di diritto privato e sia costituito in forma di società di capitali; per la Corte – che abbraccia la tesi c.d. sostanziale o funzionale – non è infatti la forma giuridica rivestita dall’ente quella dirimente all’uopo, dovendosi piuttosto guardare alla relativa, effettiva realtà interna ed alla relativa preordinazione al soddisfacimento di determinati bisogni, soddisfacimento che può essere perseguito anche da imprese a struttura societaria, senza peraltro che rilevi la maggiore o minore quantità di spazio che al perseguimento di tali bisogni viene in concreto dedicato, potendosi predicare la riconoscibilità di un organismo di diritto pubblico anche allorché il perseguimento di finalità generali non costituisca lo scopo esclusivo dell’ente considerato, ma coesista con lo svolgimento (se del caso, anche prevalente) di attività industriali o commerciali.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 novembre esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia n.2558, alla cui stregua l’Ente Autonomo Fiera del Levante di Bari va qualificato come organismo di diritto pubblico. Senza voler contraddire quanto affermato da Corte di Giustizia UE, Consiglio di Stato e Corte di Cassazione, nondimeno per il Tar, solo a seguito di una verifica in concreto delle peculiarità statutarie ed operative di un ente è possibile pervenire ad affermarne o a negarne la natura di Amministrazione aggiudicatrice. Fatta questa premessa, per il Tar l’Ente fieristico pugliese presenta caratteristiche in parte diverse da quelle dell’omologo milanese (Ente Fiera di Milano), per il quale ultimo è stata esclusa la natura giuridica di organismo di diritto pubblico; ciò dacché il primo è stato destinato, fin dalla relativa istituzione, al perseguimento di finalità <em>lato sensu</em> culturali e politiche (come quelle – stando al relativo Statuto - di diffondere, confrontare e scambiare con gli altri popoli i frutti dell’impresa e del lavoro, la volontà di progresso economico e sociale, la cultura e così via, adottando ogni ulteriore iniziativa utile allo sviluppo dei rapporti, in special modo con gli Stati ed i popoli orientali del Mediterraneo); si tratta di fini peculiari che si sono affiancati al consueto scopo di intermediazione commerciale tipico di ogni ente fieristico pubblico. Per il Tar affiora dunque la destinazione dell’Ente in questione, quantomeno parzialmente, al soddisfacimento di bisogni di tipo non strettamente commerciale o industriale, i quali travalicano financo i confini dell’interesse pubblico nazionale per collocarsi nell’alveo della politica estera e della cooperazione internazionale, con conseguente affrancamento da una finalizzazione di tipo puramente economico. Per il Tar peraltro il fatto che la destinazione alla soddisfazione di simili bisogni di tipo non commerciale coesista con lo scopo – più tipico di un Ente fieristico – di intermediazione e diffusione al servizio delle imprese non può assumersi un ostacolo alla riconoscibilità in capo all’Ente medesimo della natura di organismo di diritto pubblico, dovendosi richiamare all’uopo la giurisprudenza europea laddove ha chiarito che non è necessario che tale organismo sia destinato a soddisfare in via esclusiva bisogni generali privi del carattere industriale o commerciale, essendo al contrario sufficiente che una parte anche minima della relativa attività presenti tale qualità, quand’anche quella residua rivesta proprio un carattere industriale e commerciale; ciò in ossequio ad esigenze di certezza del diritto, oltre che alla ratio di estendere, nei casi dubbi, le ipotesi di assoggettabilità alle regole dell’evidenza pubblica, a fronte di figure organizzative comunque riconducibili all’ambito pubblicistico (viene richiamata la sentenza <em>Mannesmann</em> della Corte di Giustizia del 1998). Per il Tar la qualità di organismo di diritto pubblico non dipende allora in alcun modo dall’importanza (meramente) relativa rivestita dal soddisfacimento di bisogni di interesse generale di carattere non industriale o commerciale, palesandosi piuttosto sufficiente a tale fine che il perseguimento di tale tipologia di bisogno (non industriale o commerciale) rientri tra i compiti istituzionali dell’Ente, quand’anche senza un carattere di preminenza (viene richiamata la sentenza <em>BFI Holding</em> della Corte di Giustizia, ancora del 1998). In conclusione, per il Tar la circostanza che l’Ente Autonomo Fiera del Levante benefici della copertura delle proprie (eventuali) perdite di gestione giusta contributi dello Stato e di altri enti pubblici e che sia in tal modo tenuto indenne dal rischio di impresa induce a ravvisare (e, conseguentemente, a dover scongiurare) il pericolo che l’Ente medesimo, nella selezione delle ditte appaltatrici, tradisca la regola del mercato concorrenziale affidando le proprie commesse a soggetti individuati in difetto delle garanzie proprie dell’evidenza pubblica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 26 marzo esce la sentenza della Corte di Giustizia UE, C-113/07, <em>Selex</em>, secondo la quale un soggetto può contemporaneamente svolgere attività economiche rilevanti a fini di applicabilità della normativa Antitrust e attività di natura pubblicistica non soggette alla disciplina di tutela della concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n. 104, codice del processo amministrativo, in attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante pertinente delega al Governo: il relativo art.133 definisce l’area della giurisdizione esclusiva del GA e, alla lettera e), n.1, affida a detta giurisdizione esclusiva, tra le altre, le controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione ed alle sanzioni alternative. In sostanza, viene forgiata una giurisdizione esclusiva del GA a geometria variabile, che si estende o si restringe a seconda di come il legislatore e la giurisprudenza individuano, di volta in volta, i soggetti tenuti al rispetto della c.d. evidenza pubblica, rimanendovi coinvolti anche gli organismi di diritto pubblico, che al rispetto di tale disciplina sono indubbiamente tenuti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.10068, che rammenta in primo luogo come la nozione di organismo di diritto pubblico sia di origine comunitaria, e come da essa discenda che una società può qualificarsi quale organismo di diritto pubblico se soddisfa 3 specifiche condizioni: 1) è stata istituita per soddisfare specifiche esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) è dotata di personalità giuridica; 3) la relativa attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure (alternativamente) la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi oppure (alternativamente) il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. Dette 3 condizioni, prosegue la Corte, devono sussistere cumulativamente (v. sentenza 15 gennaio 1998, causa C-44/96, <em>Mannesman Anlagenbau Austria e a</em>.) Per quanto riguarda la condizione di cui al punto 1), le normative europee non indicano i criteri per stabilire quando una specifica esigenza di carattere generale abbia carattere non industriale o commerciale. Il diritto comunitario, omettendo di fornire i criteri per stabilire quando ricorra la condizione in esame, rimette agli organi giurisdizionali dei singoli Stati stabilire quando ricorra tale condizione. La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, cui ai sensi dell'art. 234 CE era stata sottoposta una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione del menzionato art. 1, lett. b) della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, relativa al coordinamento delle procedure degli appalti pubblici di servizi, ha fornito alcuni criteri interpretativi al fine di stabilire quando ricorra una esigenza di carattere generale avente carattere non industriale o commerciale (v. sentenza 10 novembre 1998, causa C-360/96, <em>Gemeente Arnhem e Gemeente Rheden c. BFI Holding BV</em>), precisando che la circostanza che l'organismo interessato agisca in situazione di concorrenza sul mercato può costituire un indizio a sostegno del fatto che non si tratti – quelli da esso perseguiti - di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; che questi ultimi bisogni sono, di regola, soddisfatti in modo diverso dall'offerta dei beni o servizi sul mercato; che in linea generale presentano tale carattere quei bisogni al cui soddisfacimento, per motivi connessi all'interesse generale, lo Stato preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende mantenere una influenza determinante. In altre sentenze – proseguono le SSUU - la Corte di giustizia ribadisce tali criteri affermando che spetta al giudice nazionale valutare l'esistenza o meno di un bisogno avente carattere non industriale o commerciale tenendo conto degli elementi giuridici e fattuali pertinenti, quali le circostanze che hanno presieduto alla creazione dell'organismo considerato e le condizioni in cui quest'ultimo esercita la propria attività ivi compresa, in particolare, la mancanza di concorrenza sul mercato, la mancanza del perseguimento di uno scopo di lucro a titolo principale, il difetto di assunzione di rischi collegati a tale attività nonché il finanziamento pubblico eventuale dell'attività in questione (v. sentenza n. 373 del 27.2.2003 causa C- 373/00; vedi altresì cass. sez. un. n. 8225 del 2010).</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 maggio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2919 che, sulla scia della sentenza della Corte di Giustizia del 2008, <em>Aigner</em>, riafferma come – con riguardo ai c.d. settori speciali – laddove si tratti di un appalto non rigorosamente attinente al relativo, circoscritto ambito, ma finalizzato a perseguire “<em>scopi diversi</em>” da quelli contemplati dalla specifica <em>mission</em> del singolo settore speciale, ed allorché dal punto di vista soggettivo il committente (come nel caso di specie) sia una Amministrazione aggiudicatrice (qui un organismo di diritto pubblico), la impossibilità di applicare il regime dell’evidenza pubblica previsto appunto per i settori speciali fa scattare, in ogni caso, quello previsto per i settori ordinari, permanendo dunque l’obbligo della gara.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 maggio esce la sentenza del Consiglio di Stato n.3013 alla cui stregua, ai fini della possibilità di predicare la soggezione alla normativa Antitrust, non rileva l’astratta configurabilità di un soggetto come organismo di diritto pubblico (che dunque può anche essere tale senza poter escludere <em>a priori</em> l’applicabilità di tale normativa a tutela della concorrenza): quello che occorre verificare in concreto è il modo in cui tale soggetto ha operato, dovendosi in specie vagliare se – al di là del fine istituzionale del perseguimento di un interesse generale a carattere non commerciale né industriale – sempre in concreto quel soggetto abbia o meno agito con criteri imprenditoriali, così deviando dal perseguimento “<em>neutrale</em>” del fine istituzionale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 agosto esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.16 che, nell’occuparsi degli appalti nei c.d. settori speciali, si pronuncia in particolare sul problema del regime applicabile ad appalti che – quand’anche lambisono i ridetti settori – non sono strettamente pertinenti alla <em>mission</em> di tali settori speciali, e laddove dunque il committente si prefigge “<em>scopi diversi</em>” da quelli strettamente inerenti a tale <em>mission</em>. Secondo l’Adunanza Plenaria, le soluzioni possibili sono 4: 1) si applica la disciplina propria dei settori ordinari, con giurisdizione del GA; 2) si applica la disciplina dei c.d. “<em>contratti esclusi</em>”, di cui all’art.27 del decreto legislativo 163.06, con giurisdizione del GA; 3) si applicano in ogni caso i principi in materia di concorrenza di cui al diritto europeo ed in particolare al diritto dei Trattati, con giurisdizione del GA; 4) si applica il diritto privato, con giurisdizione del GO. Operata subito questa quadruplice alternativa, per il Collegio occorre poi guardare alla natura del soggetto committente. Più in specie, laddove si tratti di una impresa pubblica, questa è tenuta alla gara solo quando bandisce appalti nei settori speciali strettamente intesi, non essendovi tenuta al di fuori del relativo, circoscritto ambito (legato alla <em>mission</em> di tali settori), onde non può ritenersi applicabile la disciplina prevista per i settori ordinari, che implicherebbe in ogni caso l’obbligo della gara. Diverso il caso in cui si tratti di Amministrazioni aggiudicatrici (compresi gli organismi di diritto pubblico), per le quali invece scatta l’obbligo della gara per il relativo rientrare la pertinente fattispecie – esclusa dai settori speciali – comunque nell’ambito dei settori ordinari. Se non si tratta di Amministrazione aggiudicatrice, ma di impresa pubblica, l’Adunanza si pone allora il problema di vedere se - esclusa l’applicazione del regime previsto per i settori speciali e quella prevista per i settori ordinari – possa applicarsi il regime dei c.d. contratti esclusi di cui all’art.27 del codice che, a tutela “<em>minimal</em>” della concorrenza e del mercato, impone una sorta di procedura di evidenza pubblica “<em>di base</em>” ispirata ai noti principi comunitari di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità, tutela dell’ambiente e dell’efficienza energetica. In realtà, per il Consiglio di Stato anche i contratti “<em>esclusi</em>” sono pur sempre appalti ordinari o speciali, e fanno comunque riferimento ai soggetti che appaltano in tali settori: in sostanza, per l’Adunanza i contratti “<em>esclusi</em>” sono contratti che nel codice sono “<em>nominati ma esenti</em>”, e non già contratti che sono ad esso “<em>estranei</em>”; non si assiste dunque ad una terza categoria di appalti forgiata dal legislatore europeo rispetto a quelli ordinari e a quelli speciali, ma ad un diverso fenomeno, i contratti “<em>esclusi</em>” palesandosi come particolari contratti ordinari, ovvero speciali, “<em>esclusi</em>” per l’appunto dall’applicazione delle Direttive e delle norme di recepimento interne per motivazioni diverse, ma che in astratto potrebbero rientrare in una delle ridette due categorie. Ancor più precisamente, per la Plenaria possono individuarsi 2 tipologie di contratti “<em>esclusi</em>”, ovvero: 1) gli appalti “<em>esenti</em>”, che per ragioni di politica comunitaria vengono sottratti all’applicazione di una normativa che, in difetto di tale specifica esenzione, gli si applicherebbe, come nel caso degli appalti “<em>secretati</em>”, ovvero dei servizi di arbitrato e conciliazione, ovvero di acquisto di terreni e fabbricati, ovvero ancora le concessioni di servizi; altro esempio sono gli appalti “<em>sotto soglia</em>”, dacché – stante la mobilità di tale soglia, che muta progressivamente “<em>a ribasso</em>” giusta Regolamento europeo direttamente applicabile negli Stati membri – si è al cospetto per l’Adunanza di un regime di temporanea esenzione, per l’appunto, dall’ordinario regime degli appalti pubblici; 2) gli appalti “<em>estranei</em>”, esclusi perché del tutto al di fuori dei settori di intervento disciplinati dalle Direttive o in genere dall’ordinamento comunitario, come ad esempio gli appalti da eseguirsi al di fuori del territorio dell’Unione europea, ovvero proprio gli appalti aggiudicati dagli enti aggiudicatori nei “<em>settori speciali</em>”, ma per fini diversi da quelli qualificati dalla specifica <em>mission</em> di tali settori. Mentre ai contratti della prima categoria, nominati dal codice ma “<em>esenti</em>”, deve assumersi applicabile la disciplina prevista per i contratti “<em>esclusi</em>” dall’art.27 del Codice, ciò non può del pari predicarsi per i contratti della seconda categoria, e dunque per gli appalti “<em>estranei</em>”, ai quali – proprio perché “<em>estranei</em>” agli scopi e all’oggetto del codice e delle Direttive comunitarie – non si applica né il regime dei contratti “<em>esclusi</em>”, né più in generale i principi a tutela della concorrenza contenuti nei Trattati europei. Non resta dunque, per l’Adunanza, che la quarta alternativa: per i contratti che lambiscono i “<em>settori speciali</em>” ma che si prefiggono “<em>scopi diversi</em>” da quelli afferenti in modo rigorosamente circoscritto alla pertinente <em>mission</em> (e dunque al di fuori del ristretto ambito dei servizi pubblici in ex monopolio), se a bandirli è una Amministrazione aggiudicatrice (compreso un organismo di diritto pubblico), si applica il regime della gara di cui ai settori ordinari, mentre se a bandirlo è un’impresa pubblica si applica il regime di diritto privato, con piena libertà della iniziativa economica privata e giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 dicembre viene varato il decreto legge n.201, il cui art.35, comma 1, inserisce nella legge 287.90 un articolo 21 bis onde l’AGCM è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato (comma 1) e, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia adottato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro 60 giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate: laddove la pubblica amministrazione destinataria non si conformi al parere nei 60 giorni successivi alla relativa comunicazione, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi 30 giorni (comma 2), con applicazione ai giudizi instaurati della disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Secondo una interpretazione dottrinale restrittiva, il fatto che l’AGCM possa - eccezionalmente - impugnare gli atti di “<em>amministrazioni pubbliche</em>” non coinvolgerebbe anche gli atti di imprese pubbliche e di organismi di diritto pubblico che non possono essere assunti “<em>pubbliche amministrazioni</em>”, pur essendovi equiparabili a determinati e specifici fini.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 dicembre viene varata la legge n.214 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.201.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1574 alla cui stregua un ente è istituito per soddisfare bisogni di interesse generale a carattere non commerciale né industriale laddove difetti il c.d. metodo economico, siccome desumibile <em>in primis</em> dalla mancata assunzione, da parte dell’ente di volta in volta considerato, del rischio di impresa, come tipicamente accade allorché – in forza di relazioni finanziarie instaurate con un ente pubblico – il soggetto in parola si veda comunque assicurato, secondo diverse modalità, un flusso di risorse che gli consenta di permanere in ogni caso sul mercato. Si tratta di un elemento di tipo indiziario cui se ne aggiunge un altro, a carattere esterno, avvinto al contesto nel quale il soggetto di che trattasi svolge la propria attività, a seconda che vi sia o meno un mercato dei beni o servizi oggetto delle prestazioni in concreto erogate: il fatto che difetti un mercato concorrenziale effettivamente idoneo, per le oggettive condizioni che lo contraddistinguono, ad indurre gli operatori a svolgere – in quel determinato settore economico – la loro attività rappresenta, per il Collegio, un indizio assai rilevante al fine di provare l’assenza di un metodo economico, di una attività di impresa e, in ultima analisi, per affermare la presenza di un organismo di diritto pubblico tenuto all’evidenza pubblica. Peraltro il soggetto deve perseguire interessi pubblici, come dimostra il fatto che la soddisfazione di bisogni a carattere non commerciale né industriale si incastona nel perseguimento di interessi di tipo pubblicistico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 luglio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 4025, che si occupa dell’Ente Autonomo Fiera del Levante di Bari, escludendone nuovamente la natura di organismo di diritto pubblico sulla base delle medesime considerazioni spese dalla sentenza delle SSUU n.74.00 con riguardo all’Ente Fiera di Milano, potendo dunque l’Ente medesimo affidare a terzi appalti senza l’obbligo di osservare le procedure di evidenza pubblica di ascendenza comunitaria (con giurisdizione, per conseguenza, affidata al GO): l’ente fieristico in parola persegue e soddisfa istituzionalmente bisogni di interesse generale, ma non è ravvisabile nel caso di specie l’ulteriore componente del requisito c.d. teleologico che si compendia nella natura “<em>non commerciale</em>” (né industriale) di tali bisogni (pur di interesse generale), l’attività dell’Ente essendo finalizzata al soddisfacimento di esigenze proprie del mercato, dovendosi anche tenere conto del contesto concorrenziale nel cui ambito l’Ente medesimo è chiamato ad operare.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato alla cui stregua, in primo luogo, per stabilire se un soggetto privato, ai fini della qualificazione in termini di organismo di diritto pubblico, soddisfi specifiche esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, occorre accertare se esso agisce (o meno) in situazione di concorrenza sul mercato, compendiando ciò un indizio a sostegno del fatto che quello perseguito non compendi un bisogno di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale; occorre poi, ancora una volta sulla scia della giurisprudenza comunitaria, che i bisogni siano di regola soddisfatti in modo diverso dall’offerta dei beni o servizi sul mercato e che si tratti di bisogni al cui soddisfacimento, per motivi connessi all’interesse generale, lo Stato preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende mantenere una influenza dominante. Per il Collegio, solo la dimostrazione che l’attività della società di volta in volta considerata viene svolta con metodo non economico, senza rischio di impresa, e che la stessa opera in un mercato non concorrenziale è utile al fine della qualificazione quale organismo di diritto pubblico: la circostanza che in concreto i compiti siano svolti non con metodo economico, ma mediante l’esercizio di una attività che non implichi assunzione del rischio di impresa può desumersi innanzitutto da una connotazione interna dell’assetto societario e, in particolare, dalla esistenza di relazioni finanziarie con l’ente pubblico che assicurano, secondo diverse modalità, la dazione di risorse in grado di consentire la permanenza sul mercato dell’organismo, nonché da un elemento esterno, indiziario, costituito dal contesto in cui l’attività viene esercitata e cioè dall’esistenza o meno di un mercato di beni e servizi oggetto delle prestazioni erogate, con la precisazione onde la mancanza di un mercato non può ovviamente derivare dal fatto che in esso operi la sola società pubblica ma occorre stabilire se un mercato abbia la possibilità di esistere valutando le caratteristiche dei beni e dei servizi offerti, i loro prezzi, nonché la presenza anche solo potenziale di più fornitori. Su altro crinale, il Collegio precisa come la riserva di giurisdizione del GA prevista dall’articolo 63, comma 4, del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 in tema di procedure concorsuali non possa trovare applicazione in presenza di un organismo di diritto pubblico e ciò in quanto: a) non è annoverabile tra le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del citato D. Lgs. n. 165 del 2001; b) la giurisdizione del giudice amministrativo, ex art. 7, comma 2, c.p.a. presuppone in ogni caso la riconducibilità dell’atto, del provvedimento o del comportamento all’esercizio di un potere pubblico; c) la previsione contenuta nell’art. 18, comma 2, del D.L. n. 112 del 2008, convertito in L. n. 133 del 2008 (ed a tenore della quale le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di natura comunitaria, di trasparenza, pubblicità ed imparzialità), si inserisce in ogni caso nell’agire <em>jure privatorum</em> delle società (essendo espressione dei più generali principi di comportamento secondo buona fede, oggettiva e soggettiva), senza necessariamente comportare esercizio di pubbliche potestà e senza incidere direttamente sulla giurisdizione; d) la giurisdizione del GA presuppone la finalità dell’instaurazione di un rapporto di lavoro pubblico, seppure contrattualizzato, alle dipendenze di una PA e non può neppure ipotizzarsi in relazione all’insorgenza di un rapporto di lavoro privato alle dipendenze di una società privata.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4934 che riconosce nella società Aeroporti di Milano Linate e Malpensa un organismo di diritto pubblico, valorizzando in termini di effettività la nozione di “<em>controllo pubblico</em>”, quale elemento capace per l’appunto di identificare simile organismo. La pronuncia richiama anche l’Adunanza Plenaria n.16.11, onde, per i contratti che lambiscono i “<em>settori speciali</em>” ma che si prefiggono “<em>scopi diversi</em>” da quelli afferenti in modo rigorosamente circoscritto alla pertinente <em>mission</em> (e dunque al di fuori del ristretto ambito dei servizi pubblici in ex monopolio), se a bandirli è una Amministrazione aggiudicatrice (compreso un organismo di diritto pubblico), si applica il regime della gara di cui ai settori ordinari, mentre se a bandirlo è un’impresa pubblica si applica il regime di diritto privato, con piena libertà della iniziativa economica privata e giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 febbraio vengono varate le Direttive <strong>2014/24/CE</strong> del Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici (che abroga la Direttiva 2004/18/CE); 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali (che abroga la direttiva 2004/17/CE); 2014/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull'aggiudicazione dei contratti di concessione. Vi viene riprodotta e confermata la nozione di organismo di diritto pubblico già forgiata nella Direttiva n.89/440/CEE, in un ambito oggettivo esteso a tutti gli appalti pubblici ed alle concessioni. Importante, della Direttiva 25/2014 in tema di “<em>settori esclusi</em>”, il 10° considerando che ribadisce come in tali peculiari settori, in precedenza disciplinati dal diritto privato e dunque sottratti all’evidenza pubblica, vada mantenuta una certa qual peculiarità disciplinare connotata da maggiore flessibilità rispetto ai settori ordinari; le “<em>imprese pubbliche</em>” sono specificamente definite all’art.4, comma 2, della Direttiva, dovendosi intendere per tali quelle imprese sulle quali le Amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano tali imprese. Secondo poi l’art.19 della Direttiva 25/2014, la disciplina dei c.d. “<em>settori speciali</em>” (in sostanza, l’obbligo di fare ricorso all’evidenza pubblica per acquisire prestazioni) non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatori, pur operanti nei ridetti settori speciali, aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività, ovvero per l’esercizio di tali attività in un Paese terzo (e dunque in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica all’interno dell’Europa), né ai concorsi di progettazione organizzati a tali fini “<em>diversi</em>”: si tratta di una rigorosa delimitazione dal punto di vista oggettivo del “<em>settore speciale</em>”, che è tale solo se inteso <em>strictu sensu</em>, e dunque con riguardo ad un ambito ad esso strettamente afferente e specificamente circoscritto, al di fuori del quale esso non è più “<em>settore speciale</em>” con la conseguente necessità di capire quale regime gli si applichi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2026 che riconosce nella società Aeroporti di Roma un organismo di diritto pubblico, valorizzando in termini di effettività la nozione di “<em>controllo pubblico</em>”, quale elemento capace per l’appunto di identificare simile organismo.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 maggio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2362, che riconosce nella Fondazione “<em>La Biennale di Venezia</em>” un organismo di diritto pubblico, valorizzando in termini di effettività la nozione di “<em>controllo pubblico</em>”, quale elemento capace per l’appunto di identificare simile organismo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 giugno esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2843 che riconosce nella fondazione “<em>Cà d’Industria</em>” un organismo di diritto pubblico, valorizzando in termini di effettività la nozione di “<em>controllo pubblico</em>”, quale elemento capace per l’appunto di identificare simile organismo. La pronuncia si occupa, più in generale, di verificare come è possibile giungere al riconoscimento, in capo ad un ente, della natura di organismo di diritto pubblico. Solo laddove l’ente considerato non sia una Pubblica Amministrazione, può all’uopo soccorrere il riferimento al fatto che detto ente è stato inserito nel conto consolidato elaborato dall’Istat ai sensi dell’art.1, comma 5, della legge 311.14 e dell’art.1, comma 3, della legge 196.09. Per il Collegio, peraltro, tale elenco elaborato dall’Istat non ha di per sé natura e valore costitutivi della natura pubblica di un ente o organismo, dovendosi piuttosto avere riguardo ad altri profili, ed in particolare a quelli che si imperniano sul concetto di “<em>unità istituzionale pubblica</em>”, la cui derivazione è comunitaria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6146 che riconosce nella Autorità Portuali degli organismi di diritto pubblico, valorizzando in termini di effettività la nozione di “<em>controllo pubblico</em>”, quale elemento capace per l’appunto di identificare simile organismo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.497 alla cui stregua, secondo la definizione contenuta nell’art. 3, comma 26, d.lgs. n. 163/2006, è organismo di diritto pubblico qualsiasi organismo, anche in forma societaria: - istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; - dotato di personalità giuridica; - la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. Si tratta di 3 requisiti che, prosegue il Collegio, come la giurisprudenza ha da tempo chiarito, hanno carattere cumulativo (vengono richiamate, tra le tante, Corte di Giust., CE, 15 gennaio 1998, C-44/96; Cass. Civ., SS.UU, 4 aprile 2000, n. 97; C.d.S., VI, 9 giugno 2008, n. 2764; V, 30 gennaio 2013, n. 570). Di essi – a detta del Collegio - la stazione appaltante non risulta possedere nel caso di specie quello, c.d. teleologico, dell’istituzione “<em>per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale</em>”, l’accertamento intorno al quale richiede una duplice verifica, concernente in prima battuta l’elemento positivo del carattere generale del fine perseguito e, in seconda battuta, quello negativo del carattere non industriale né commerciale del fine stesso: la verifica circa l’istituzionale perseguimento di finalità di interesse generale non è infatti sufficiente (vengono richiamati C.d.S., VI, 17 settembre 1998, n. 1267; Cass. SS.UU., 4 aprile 2000, n. 97, e Corte di Giust. CE, 10 maggio 2001, C-299/99 e 260/99), in quanto l’attività dell’organismo di diritto pubblico deve anche avere «<em>carattere non industriale o commerciale</em>», con compiti che devono pertanto essere svolti non con metodo economico, ma mediante l’esercizio di una attività che non implica assunzione del rischio di impresa (viene richiamata la sentenza delle SS.UU., 9 maggio 2011, n. 10068).</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 maggio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2660 alla cui stregua l’ente pubblico, nella relativa ascendenza sovranazionale, va inteso in senso non già fisso e scolpito una volta per tutte, quanto piuttosto mutevole e cangiante; onde, dovendosi accertare se gli si applica un determinato regime di diritto pubblico previsto dal legislatore, occorre guardare proprio a tale regime pubblicistico e alla <em>ratio</em> che lo sottende; una volta individuata tale <em>ratio</em>, si guarda alle caratteristiche di tipo sostanziale (e non già meramente formale) dell’ente considerato, al fine di verificare se quella disciplina pubblicistica con quella specifica <em>ratio</em> possa essergli applicata.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 febbraio esce la sentenza della II sezione del Tar Lazio n.2654 che richiama l’Adunanza Plenaria n.16.11, onde, per i contratti che lambiscono i “<em>settori speciali</em>” ma che si prefiggono “<em>scopi diversi</em>” da quelli afferenti in modo rigorosamente circoscritto alla pertinente <em>mission</em> (e dunque al di fuori del ristretto ambito dei servizi pubblici in ex monopolio), se a bandirli è una Amministrazione aggiudicatrice (compreso un organismo di diritto pubblico), si applica il regime della gara di cui ai settori ordinari, mentre se a bandirli è un’impresa pubblica si applica il regime di diritto privato, con piena libertà della iniziativa economica privata e giurisdizione del GO. Il Tar precisa tuttavia – scandagliando una ipotesi in cui soggetto aggiudicatore era l’ACEA - come un certo servizio (da affidare a terzi) sia da ricondurre entro la c.d. attività speciale (relativa ai “<em>settori speciali</em>”) anche quando sia - rispetto a detta attività (propria dei settori speciali, e dunque implicante la gara) - in un rapporto funzionale di mezzo a fine, come nel caso del servizio di vigilanza disimpegnato presso proprietà immobiliari ed edifici che costituiscono parte integrante delle reti di produzione, di fornitura o di trasporto. In questi casi, pur non trovandosi al cospetto di un diretto esercizio dell’attività speciale da parte dell’impresa pubblica, il servizio di vigilanza risulta a tale attività strumentalmente correlato, con conseguente, doverosa applicazione della disciplina del codice dei contratti prevista per i settori speciali (e dunque della gara).</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 aprile viene varato il decreto legislativo n.50, nuovo codice dei contratti pubblici, il cui art.3, comma 1, lettera d) definisce – sulla scia della normativa e della giurisprudenza sovranazionale – l’organismo di diritto pubblico come qualsiasi soggetto, anche in forma societaria: a) che sia istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale; b) che sia dotato di personalità giuridica; c) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali e da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è sottoposta a controllo di questi ultimi, oppure i cui organi di amministrazione, di direzione o di vigilanza sono costituiti da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico. Importante anche l’art.114, comma 2, che (sulla scia dell’art.217 del decreto legislativo 163.06, ormai abroogato), ribadisce che l’evidenza pubblica si applica, oltre che (pacificamente) alle c.d. Amministrazioni aggiudicatrici, anche alle c.d. “<em>imprese pubbliche</em>” e a tutti quei soggetti che - pur non essendo (formalmente additati come) Amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche - operino nel campo dei c.d. settori speciali in virtù di diritti speciali o esclusivi; le “<em>imprese pubbliche</em>” sono specificamente definite all’art.3, comma 1, lettera t) del nuovo codice, dovendosi intendere per tali quelle imprese sulle quali le Amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano tali imprese. Secondo poi l’art.14 del nuovo codice, la disciplina dei c.d. “<em>settori speciali</em>” (in sostanza, l’obbligo di fare ricorso all’evidenza pubblica per acquisire prestazioni) non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatori, pur operanti nei ridetti settori speciali, aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività, ovvero per l’esercizio di tali attività in un Paese terzo (e dunque in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica all’interno dell’Europa), né ai concorsi di progettazione organizzati a tali fini “<em>diversi</em>”: si tratta di una rigorosa delimitazione dal punto di vista oggettivo del “<em>settore speciale</em>”, che è tale solo se inteso <em>strictu sensu</em>, e dunque con riguardo ad un ambito ad esso strettamente afferente e specificamente circoscritto, al di fuori del quale esso non è più “<em>settore speciale</em>” con la conseguente necessità di capire quale regime gli si applichi. Infine, importante anche l’art.4 del nuovo codice che – riproponendo il disposto dell’art.27 del codice del 2006 - prevede i c.d. “<em>contratti esclusi</em>”: per tale disposizione, l’affidamento di contratti pubblici che siano appunto “<em>esclusi</em>”, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del codice medesimo avviene in ogni caso nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità, tutela dell’ambiente e dell’efficienza energetica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 ottobre esce la sentenza della Corte di Giustizia UE, in causa C-567/15, alla cui stregua l’art. 1, paragrafo 9, secondo comma, della Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal Regolamento (UE) n. 1251/2011 della Commissione, del 30 novembre 2011, deve essere interpretato nel senso che una società che, da un lato, è detenuta interamente da un’Amministrazione aggiudicatrice la cui attività consiste nel soddisfare esigenze di interesse generale e che, dall’altro, effettua sia operazioni per tale amministrazione aggiudicatrice sia operazioni sul mercato concorrenziale, deve essere qualificata come «<em>organismo di diritto pubblico</em>» ai sensi di tale disposizione, purché le attività di tale società siano necessarie affinché detta amministrazione aggiudicatrice possa esercitare la propria attività e, al fine di soddisfare esigenze di interesse generale, tale società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare, non incidendo a tale riguardo il fatto che il valore delle operazioni interne possa in futuro rappresentare meno del 90%, o una parte non essenziale, del fatturato totale della società.</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre 2017 esce la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, causa C-413/15, che si pronuncia in via interpretativa chiarendo che l’art. 288 T.F.U.E. deve essere interpretato nel senso che non esclude, di per sé, che le disposizioni di una direttiva idonee a produrre un effetto diretto siano opponibili a un ente che non sia dotato di tutte le caratteristiche enunciate al punto 20 della sentenza del 12 luglio 1990, Foster e a., lette congiuntamente a quelle indicate al punto 18 della medesima sentenza (segnatamente, al punto 18 della sentenza in parola, che essa aveva «di volta in volta affermato che disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva potevano essere invocate dagli amministrati nei confronti di organismi o di enti che erano soggetti all’autorità o al controllo dello Stato o che disponevano di poteri che eccedevano i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli»; al punto 20 della medesima sentenza, essa ne ha dedotto che «fa comunque parte degli enti ai quali si possono opporre le norme di una direttiva idonee a produrre effetti diretti un organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con un atto della pubblica autorità, di prestare, su controllo di quest’ultima, un servizio d’interesse pubblico e che dispone a questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli»). Nel caso di specie, con la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, il giudice del rinvio chiedeva se le disposizioni della seconda direttiva 84/5/CEE del Consiglio, del 30 dicembre 1983, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli (GU 1984, L 8, pag. 17), come modificata dalla terza direttiva 90/232/CEE del Consiglio, del 14 maggio 1990 (GU 1990, L 129, pag. 33) (in prosieguo: la «seconda direttiva») che siano idonee a produrre un effetto diretto, siano opponibili a un organismo di diritto privato al quale uno Stato membro abbia demandato il compito di cui all’articolo 1, paragrafo 4, della stessa direttiva. La Corte, risponde alla questione interpretativa sottopostale dichiarando che le disposizioni di una direttiva idonee a produrre un effetto diretto sono opponibili a un organismo di diritto privato cui sia stato demandato da uno Stato membro un compito di interesse pubblico, come quello inerente all’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 1, paragrafo 4, della seconda direttiva e che, a tal fine, disponga per legge di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli, come il potere di imporre agli assicuratori che svolgono un’attività di assicurazione automobilistica nel territorio dello Stato membro interessato di affiliarsi a tale organismo e di finanziarlo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 1° marzo esce la sentenza della Cassazione Civile, a SS.UU., n. 4899 la quale viene chiamata a pronunciarsi su un regolamento preventivo di giurisdizione, sollevato nel corso di un giudizio amministrativo pendente per l’annullamento dell’aggiudicazione del servizio mensa che Poste Italiane S.p.A. aveva concesso a favore di un’ impresa privata. La società Poste Italiane, convenuta, sollevava il regolamento di giurisdizione, sostenendo che nella materia de qua dovesse essere riconosciuta la giurisdizione del g.o., argomentando di essere a tutti gli effetti una società per azioni regolata dal codice civile, all'esito di un complesso percorso iniziato con il d.l. n. 187 del 1993, convertito nella I. n. 71 del 1994; evocando giurisprudenza ordinaria e amministrativa, fra cui la citata Adunanza Plenaria n. 16 del 2011, la ricorrente adduceva che il c.d. autovincolo all'osservanza della normativa di riferimento di cui al d.lgs. n. 163 del 2006, che essa si sarebbe imposta nel dar corso alla procedura di affidamento, non sarebbe in alcun modo rilevante ai fini della individuazione della giurisdizione. La Suprema Corte sostiene che, nel caso di specie, “non c’è dubbio che la procedura di gara indetta da Poste Italiane s.p.a., avente ad oggetto l'appalto del servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo di buoni pasto cartacei, non sia funzionale agli scopi istituzionali della stazione appaltante, ossia i servizi postali di cui all'art. 211 del d.lgs. 163/2006, le cui controversie ricadono ex lege nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo. In particolare, l'appalto de quo non rientra in alcuno dei "servizi postali" e degli "altri servizi diversi dai servizi postali" che, ai sensi dell'art. 211 d. Igs. n. 163/2006, giustificano l'applicazione della disciplina del testo normativo in esame nei settori speciali”. E', quindi, evidente che l'appalto, avente ad oggetto l’affidamento del servizio mensa, non rientra in alcuno dei servizi effettuati da Poste Italiane, nemmeno come appalto ad essi strumentale, non potendosene ravvisare la funzionalizzazione ad una delle attività rientranti nel relativo settore speciale. D'altra parte, l'applicazione del d.lgs. n. 163/2006 non può essere giustificata neanche dall'"auto vincolo" di Poste Italiane contenuto nel bando di gara, dal momento che, per principio unanimemente acquisito alla giurisprudenza ordinaria e amministrativa, la sottoposizione o meno dell'appalto al regime pubblicistico divisato dal d.lgs. n. 163/2006 discende esclusivamente dalle caratteristiche oggettive dell'appalto e soggettive della stazione appaltante, e dunque dall'esistenza di un vincolo "eteronomo". Ne consegue, in definitiva, che il servizio per l'assegnazione di buoni pasto per i dipendenti di Poste Italiane non rientra nell'ambito applicativo del d. Igs. n. 163/2006 e, pertanto, l'impugnazione degli atti della procedura di causa è sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo. L'art. 133, comma 1, lettera e) del d.lgs. n.104/2010 (e successive modifiche) devolve, infatti, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le sole controversie "relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitone e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione ed alle sanzioni alternative". Come già precisato, però, la contestata procedura di gara concerne l'affidamento di appalto estraneo ai settori speciali (senza che rilevi, per quanto detto, la sua eventuale riconducibilità ai settori ordinari) e si sottrae, pertanto, all'ambito applicativo del d.lgs. n. 163/2006 e all'obbligo di esperire una procedura ad evidenza pubblica, di talché l'impugnazione dei relativi atti non rientra nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva di cui all'art. 133, comma 1, lettera e) c.p.a. ed è, di conseguenza, devoluta alla (residuale) competenza giurisdizionale del giudice ordinario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 aprile esce la sentenza della sezione I ter del Tar Lazio n.4100 alla cui stregua va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo con riguardo ad una controversia riguardante gli atti di una gara bandita dalla Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC) e finalizzata all’affidamento dei servizi di trasporto e facchinaggio; il Tar Lazio assume la ridetta Federazione avere natura di organismo di diritto pubblico, onde essa è tenuta a bandire le gare nel rispetto della disciplina prevista per le Amministrazioni aggiudicatrici dal <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50</a> (codice dei contratti pubblici), non potendo procedere ad un mero confronto tra ditte interessate all’affidamento ad di fuori della disciplina del <a href="http://www.lexitalia.it/n/1686">Codice dei contratti</a>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Piemonte n.469 onde deve assumersi non rientrare nella giurisdizione del G.A. una controversia relativa alla procedura seguita dal Centro Agro Alimentare Torino (CAAT) e finalizzata alla locazione di uno stand, atteso che tale Centro non è da considerarsi un organismo di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. d) del <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">D.Lgs. n. 50/2016</a>, non andando pertanto soggetto alle regole dell’evidenza pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno esce la sentenza n. 9 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale chiarisce il principio secondo cui il Giudice amministrativo provvede in ogni caso a non dare applicazione a un atto normativo nazionale in contrasto con il diritto dell’Unione europea. L’art. 1, comma 1, d.P.C.M. n. 174 del 1994 e l’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 487 del 1994, laddove impediscono in assoluto ai cittadini di altri Stati membri dell’UE di assumere i posti dei livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato e laddove non consentono una verifica in concreto circa la sussistenza o meno del prevalente esercizio di funzioni autoritative in relazione alla singola posizione dirigenziale, risultano in contrasto con il par. 2 dell’art. 45 del TFUE e non possono trovare conseguentemente applicazione. Importante il punto 5.2 della motivazione in diritto su libertà di circolazione ed eccezione di nazionalità nell’accesso agli impieghi pubblici (direttori di polo museale): “La Corte di giustizia ha più volte precisato i confini e i limiti entro i quali gli Stati membri possono applicare la c.d. ‘eccezione di nazionalità’ di cui al richiamato paragrafo 4 dell’articolo 45 del TFUE. 5.2.1. In via generale va osservato che, trattandosi di eccezione rispetto a una delle libertà fondamentali del Trattato, la giurisprudenza della Corte ha serbato sul punto un atteggiamento di estremo rigore. 5.2.1.1. In particolare è stato stabilito che le eventuali misure nazionali volte ad affermare la c.d. ‘riserva di nazionalità’ devono essere limitate a “<em>quanto strettamente necessario</em>” a salvaguardare gli interessi sottesi all’adozione di tale misura. 5.2.1.2. Un consolidato orientamento della Corte di giustizia ha altresì chiarito che gli Stati membri possono legittimamente invocare la riserva di nazionalità per i soli impieghi nell’amministrazione pubblica “<em>che hanno un rapporto con attività specifiche della pubblica amministrazione in quanto incaricata dell’esercizio dei pubblici poteri e responsabile della tutela degli interessi generali dello Stato (…)</em>” I criteri in questione sono stati richiamati - con valenza evidentemente ricognitiva - dalla Commissione europea attraverso la Comunicazione interpretativa dal titolo “<em>Libera circolazione dei lavoratori – realizzarne pienamente i vantaggi e le potenzialità</em>” (Documento COM(2002) 694 def. dell’11 dicembre 2002). Con tale documento l’Esecutivo comunitario – attraverso puntuali richiami alla giurisprudenza della Corte di giustizia - ha ricordato che “<em>gli Stati membri sono autorizzati a riservare gli impieghi nella pubblica amministrazione ai loro cittadini solo se questi impieghi sono direttamente collegati ad attività specifiche della pubblica amministrazione, vale a dire quando questa sia investita dell'esercizio dell'autorità pubblica e della responsabilità di salvaguardare gli interessi generali dello Stato (…)</em>”. La stessa Commissione europea, con la Comunicazione dal titolo “<em>Libera circolazione di lavoratori e accesso agli impieghi nella pubblica amministrazione degli Stati membri: l’azione della Commissione in materia di applicazione dell'articolo 48, paragrafo 4 del trattato CEE</em>” (Documento 88/C 72/02 in GUCE C72 del 18 marzo 1988), ha chiarito che possono essere ricondotti alla ‘riserva di nazionalità’ “<em>gli impieghi dipendenti dai ministeri statali, dai governi regionali, dalle collettività territoriali e da altri enti assimilati e infine dalle banche centrali, quando si tratti del personale (funzionari e altri) che eserciti le attività coordinate intorno ad un potere pubblico giuridico dello Stato o di un’altra persona morale di diritto pubblico, come l’elaborazione degli atti giuridici, la loro esecuzione, il controllo della loro applicazione e la tutela degli organi dipendenti</em>”. 5.2.2. La Corte di Giustizia ha poi chiarito che l’eventuale esercizio di taluni compiti di interesse pubblicistico non giustifica di per sé la c.d. ‘riserva di nazionalità. 5.2.2.1. In particolare, nell’esaminare la normativa italiana in tema di rilascio della licenza per l’esercizio dell’attività di vigilanza privata e di guardia privata giurata (articoli 134 e 138 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza – R.D. 18 giugno 1931, n. 773) la Corte, pur non negando che tali figure professionali svolgono attività di interesse pubblicistico, ha tuttavia negato che ciò sia sufficiente al fine di giustificare la ‘riserva di nazionalità’ di cui al più volte richiamato paragrafo 4 dell’articolo 45 del TFUE. Al riguardo la Corte ha fatto riferimento alla giurisprudenza secondo cui, al fine di richiamare in modo legittimo la sopra indicata eccezione in relazione a talune figure, è necessario che queste siano connotate da “<em>una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri</em>” (in tal senso: CGUE, sentenza 31 maggio 2001 in causa C-283/99 – <em>Commissione c/ Repubblica italiana</em> -; <em>id</em>., sentenze 29 ottobre 1998, in causa C-114/97 – <em>Commissione c/ Spagna</em> e 9 marzo 2000, in causa C-355/98, <em>Commissione c/ Belgio</em>). 5.2.2.2. La Corte ha inoltre esaminato la questione se, anche ad ammettere che talune figure professionali esercitino in maniera diretta e specifica taluni poteri di carattere pubblicistico, tale circostanza legittimi di per sé il ricorso alla c.d. ‘riserva di nazionalità’, ovvero se – a tal fine - l’esercizio di tali poteri debba assumere un carattere del tutto prevalente in relazione al complesso delle funzioni e dei compiti demandati alla figura professionale di cui si discute. Come è stato da taluni osservato, la Corte di Giustizia si è dunque domandata se, al fine di applicare legittimamente la riserva di nazionalità debba trovare applicazione il c.d. ‘<em>criterio del contagio</em>’ (secondo cui è sufficiente che la figura di che trattasi eserciti anche un solo potere di carattere pubblicistico nel complesso dei compiti attribuiti), ovvero se debba trovare applicazione il diverso ‘<em>criterio della prevalenza</em>’ (secondo cui è invece necessario che i poteri di matrice pubblicistica, autoritativa e coercitiva assumano valenza prevalente in relazione al complesso dei compiti attribuiti). Ebbene, la Corte di giustizia ha risolto la questione nel secondo dei sensi richiamati. In particolare, con la sentenza 10 settembre 2014 in causa C-270/13 - <em>Iraklis Haralambidis</em> la Corte di giustizia, pur non negando che talune delle funzioni demandate <em>ex lege</em> al Presidente di un’Autorità portuale italiana comportino l’adozione di provvedimenti di carattere coattivo intesi alla tutela degli interessi generali dello Stato (e che quindi rientrino – a rigore – nell’area di possibile esenzione propria della c.d. ‘riserva di nazionalità’), ha nondimeno escluso che tale circostanza legittimi <em>ex se</em> l’attivazione di tale riserva. Secondo la Corte, in particolare, “<em>il ricorso a tale deroga non può essere giustificato dal solo fatto che il diritto nazionale attribuisca poteri d’imperio (…). È necessario pure che tali poteri siano effettivamente esercitati in modo abituale da detto titolare e non rappresentino una parte molto ridotta delle sue attività</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 luglio esce l’ordinanza n. 7778 del Tar Lazio – Roma, Sez.III, che rimette alla Corte di Giustizia le seguenti le seguenti questioni pregiudiziali:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) se la società Poste Italiane s.p.a. debba essere qualificata “organismo di diritto pubblico”, ai sensi dell’art 3, comma 1, lett. d), <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">lgs. 18 aprile 2016, n. 50</a>(Codice dei contratti pubblici) e delle direttive comunitarie di riferimento (2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE);</li> <li>b) se la predetta qualificazione si estenda alla società, partecipata al 100%, Poste Tutela s.p.a., peraltro in via di già deliberata fusione con la prima, tenuto conto del punto n. 46 delle premesse alla direttiva 2014/23/UE sulle persone giuridiche controllate;</li> <li>c) se dette società siano tenute a svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica solo per l’aggiudicazione degli appalti, che siano in relazione con l’attività svolta nei settori speciali, in base alla direttiva 2014/25/UE, quali enti aggiudicatori, per i quali la stessa natura di organismi di diritto pubblico dovrebbe ritenersi assorbita nelle regole della parte II° del Codice degli appalti, con piena autonomia negoziale – e regole esclusivamente privatistiche – per l’attività contrattuale non attinente a detti settori, tenuto conto dei principi dettati dalla direttiva 2014/23/UE, punto n. 21 delle premesse e art. 16;</li> <li>d) se le medesime società, per i contratti da ritenere estranei alla materia, propria dei settori speciali, restino invece – ove in possesso dei requisiti di organismi di diritto pubblico – soggette alla direttiva generale 2014/24/UE (e quindi alle regole contrattuali ad evidenza pubblica), anche ove svolgenti – in via evolutiva rispetto all’originaria istituzione – attività prevalentemente di stampo imprenditoriale e in regime di concorrenza;</li> <li>e) se comunque, in presenza di uffici in cui si svolgono, promiscuamente, attività inerenti al servizio universale e attività a quest’ultimo estranee, il concetto di strumentalità – rispetto al servizio di specifico interesse pubblico – possa ritenersi escluso per contratti inerenti la manutenzione sia ordinaria che straordinaria, la pulizia, gli arredi, nonché il servizio di portierato e di custodia degli uffici stessi;</li> <li>f) se infine, ove la prospettazione di Poste Italiane s.p.a. fosse ritenuta condivisibile, debba ritenersi contrastante col consolidato principio di legittimo affidamento dei partecipanti alla gara la riconduzione a mero autovincolo – non soggetto a tutte le garanzie di trasparenza e pari trattamento, disciplinate dal codice degli appalti – l’indizione di una procedura concorsuale, debitamente pubblicizzata senza ulteriori avvertenze al riguardo sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (1).</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Il 18 ottobre 2018 esce la sentenza della Corte di Giustizia (C-606/17), che si pronuncia sulla questione pregiudiziale, sollevata ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia), con decisione del 6 luglio 2017, rendendo corretta interpretazione degli articoli 49, 56, 105 TFUE e seguenti, nonché degli articoli 1 e 2 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi. Nel caso concreto, la controversia italiana aveva ad oggetto il ricorso di una società operante nel settore farmaceutico, la quale contestava la legittimità dell’affidamento diretto (senza gara) al Sacro Cuore - dell’appalto per la fornitura di un farmaco, da parte dell’ Unità sanitaria locale n. 3 e l’Ospedale dell’Angelo di Mestre. Nel primo grado, il Tar aveva respinto le doglianze dell’impresa farmaceutica, sostenendo che il contratto di affidamento non fosse a titolo oneroso e, in secondo luogo, che il Sacro Cuore, in quanto ospedale “classificato”, considerato come pubblico, non potesse essere considerato terzo, rispetto all’amministrazione affidante. Il Consiglio di Stato, adito in sede di appello della ricorrente, solleva la questione interpretativa innanzi alla Corte di Giustizia, rilevando che la Corte non ha ancora avuto occasione di pronunciarsi sulla situazione del tutto particolare di organismi come gli ospedali «classificati», che sono funzionalmente inseriti nel sistema sanitario regionale, sebbene la loro gestione resti privata sul piano del finanziamento, della nomina degli amministratori e delle regole di funzionamento interno. Alla luce di tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:</p> <p style="text-align: justify;">«1) Se la disciplina europea in materia di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e, segnatamente, gli articoli l e 2 della direttiva [2004/18], comprenda nel proprio ambito applicativo anche le operazioni complesse mediante le quali un’amministrazione pubblica aggiudicatrice intenda attribuire direttamente ad un determinato operatore economico un finanziamento di scopo, interamente finalizzato alla realizzazione di prodotti destinati ad essere forniti gratuitamente, senza ulteriore procedura di gara, a diverse amministrazioni, esentate dal pagamento di un qualsiasi corrispettivo al predetto soggetto fornitore; se, di conseguenza, la citata normativa europea osti ad una disciplina nazionale che consenta l’affidamento diretto di un finanziamento di scopo finalizzato alla realizzazione di prodotti destinati ad essere forniti, senza ulteriore procedura di gara, a diverse amministrazioni, esentate dal pagamento di un qualsiasi corrispettivo al predetto soggetto fornitore; 2) Se la disciplina europea in materia di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e, segnatamente, gli articoli 1 e 2 della direttiva 2004/18, e gli articoli 49, 56, 105 [TFUE e seguenti], ostino ad una normativa nazionale che, equiparando gli ospedali privati “classificati” a quelli pubblici, attraverso il loro inserimento nel sistema della programmazione pubblica sanitaria nazionale, regolata da speciali convenzioni, distinte dagli ordinari rapporti di accreditamento con gli altri soggetti privati partecipanti al sistema di erogazione delle prestazioni sanitarie, in assenza dei requisiti per il riconoscimento dell’organismo di diritto pubblico e dei presupposti dell’affidamento diretto, secondo il modello dell’<em>in house providing</em>, li sottrae alla disciplina nazionale ed europea dei contratti pubblici, anche nei casi in cui tali soggetti siano incaricati di realizzare e fornire gratuitamente alle strutture sanitarie pubbliche specifici prodotti necessari per lo svolgimento dell’attività sanitaria, ricevendo contestualmente un finanziamento pubblico funzionale alla realizzazione di tali forniture».</p> <p style="text-align: justify;"> La Corte di Giustizia, in merito alla prima questione, dichiara che l’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18 deve essere interpretato nel senso che la nozione di «contratti a titolo oneroso» ricomprende la decisione mediante la quale un’amministrazione aggiudicatrice attribuisce ad un determinato operatore economico direttamente, e dunque senza previo esperimento di una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, un finanziamento interamente finalizzato alla fabbricazione di prodotti destinati ad essere forniti gratuitamente da detto operatore a diverse amministrazioni, esentate dal pagamento di qualsiasi corrispettivo a favore dell’operatore stesso, ad eccezione del versamento, a titolo di spese di trasporto, di un importo forfettario di EUR 180 per ciascun invio. Sulla seconda questione, la Corte si pronuncia nel senso che l’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), e l’articolo 2 della direttiva 2004/18 devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, la quale, equiparando gli ospedali privati «classificati» a quelli pubblici, attraverso il loro inserimento nel sistema della programmazione pubblica sanitaria nazionale, regolata da speciali convenzioni, distinte dagli ordinari rapporti di accreditamento con gli altri soggetti privati partecipanti al sistema di erogazione delle prestazioni sanitarie, li sottrae alla disciplina nazionale e a quella dell’Unione in materia di appalti pubblici, anche nei casi in cui tali soggetti siano incaricati di fabbricare e fornire gratuitamente alle strutture sanitarie pubbliche specifici prodotti necessari per lo svolgimento dell’attività sanitaria, quale corrispettivo per la percezione di un finanziamento pubblico funzionale alla realizzazione e alla fornitura di tali prodotti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 ottobre esce il parere del Consiglio di Stato, Commissione Speciale, n. 2427, che si pronuncia in via consultiva sulla natura giuridica della. Chiarisce il Consiglio di Stato che la LUMSA non è un ente pubblico non economico, ma è un ente di diritto privato. La LUMSA non è un organismo di diritto pubblico, poiché difetta il terzo dei tre requisiti cumulativi necessari per la configurabilità di tale tipologia soggettiva, ossia il requisito della influenza pubblica dominante, poiché riceve un contributo finanziario pubblico di minima entità, registra la presenza di un solo componente pubblico sugli undici membri dell’organo di amministrazione, non presenta nessun componente pubblico nell’organo di vigilanza, non è soggetto al controllo statale della gestione, poiché la vigilanza ministeriale e gli altri poteri previsti dalla legge speciale costituiscono un potere di vigilanza estrinseca e formale e non integrano quel controllo intrinseco e sostanziale sulla gestione che è richiesto ai fini della sussistenza di questa particolare modalità di manifestazione del requisito della dominanza pubblica. La LUMSA può pertanto procedere alla stipula di contratti di lavori, servizi e forniture senza necessità del previo esperimento di procedure di evidenza pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 novembre esce la sentenza della Corte di Cassazione a SS.UU., n. 28651 del 2018, che <strong>ribadisce il principio secondo cui </strong>la giurisdizione del giudice amministrativo è connessa con l’esercizio di un potere amministrativo. Ne deriva che ove manchi l’esercizio di un pubblico potere, la posizione giuridica di chi chiede la nullità della delibera di approvazione del bilancio ha natura di diritto soggettivo con giurisdizione del giudice ordinario, anche laddove la causa sia intentata nei confronti di un soggetto che abbia la qualità di organismo di diritto pubblico. Nel caso specifico, la controversia era nata innanzi al Tar Piemonte: la UniCredit Banca S.p.A. (ora UniCredit S.p.A.) aveva impugnato innanzi al TAR del Piemonte la delibera con cui l'assemblea del Consorzio A.S.A. - Azienda Servizi Ambiente della Comunità Montana Alto Canavese aveva approvato il bilancio consuntivo dell'anno 2008, insieme al bilancio stesso, alle relative relazioni ed al verbale di riunione del Consiglio di Amministrazione. A sostegno dell'impugnazione, la Banca affermava di esser titolare nei confronti del Consorzio, per il quale svolgeva il servizio di cassa, di un credito per l'erogazione di un'anticipazione non rimborsata, ed aveva sostenuto che il pareggio di bilancio era dovuto ad illegittimi artifici</p> <p style="text-align: justify;">contabili. Il TAR adito aveva declinato la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario, ed il gravame proposto da UniCredit era stato rigettato dal Consiglio di Stato, che, con sentenza n. 5011 del 28.11.2016, aveva confermato la giurisdizione del giudice ordinario, in riferimento all'art. 7 del CPA, evidenziando che, pur essendo il Consorzio A.S.A. un organismo di diritto pubblico, la delibera di approvazione del bilancio era priva di qualunque connotato autoritativo e non costituiva espressione di discrezionalità amministrativa, talchè l'atto non era riconducibile all'esercizio di un pubblico potere e rispetto ad esso le situazioni soggettive si configuravano come diritti soggettivi, natura che andava riconosciuta al credito a tutela del quale la Banca aveva agito.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 novembre esce la sentenza del Tar Lazio – Roma, sezione III ter, n. 11474, che si pronuncia rilevando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in favore del giudice ordinario, in materia di controversia circa l’esecuzione di un contratto di locazione intercorso tra la Fiera di Roma s.r.l. ed una società privata. Sostiene il collegio che esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, rientrando in quella del giudice ordinario, una controversia relativa ad un contratto di locazione stipulato tra una società privata e la Fiera di Roma s.r.l., per la gestione del servizio di caffetteria e ristorazione presso il Quartiere Fieristico; infatti tale rapporto contrattuale – consistente nella gestione del servizio di caffetteria e ristorazione presso il c.d. quartiere fieristico di Fiera di Roma s.r.l. – non si riferisce alla gestione di un pubblico servizio né ad aree demaniali, non rientrando, di conseguenza, né nella disciplina dei contratti passivi della p.a. (regolati, attualmente, dal d.lgs. n. 50 del 2016), né nel novero delle concessioni di bene pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 dicembre esce la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 7031, che si pronuncia confermando la legittimità di una gara che non aveva seguito le regole dell’evidenza pubblica, indetta per la realizzazione e gestione di aree e/o locali destinati ad attività di cambiavalute presso gli aeroporti Leonardo da Vinci di Fiumicino e G.B. Pastine di Ciampino, in base al presupposto secondo cui detti aereoporti non potevano vedersi riconoscere la natura giuridica di organismi di diritto pubblico. Segnatamente, sostiene il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa che “in base all’art. 3, lett. d), del <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50</a> (Codice dei contratti pubblici), si intende per «organismi di diritto pubblico», qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato IV: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. I menzionati requisiti, ai fini del riconoscimento della qualifica di organismo di diritto pubblico, devono sussistere cumulativamente, con la precisazione che il requisito dell’influenza dominante, descritto nel precedente punto 3), è integrato anche in presenza di uno soltanto dei presupposti ivi contemplati. Tanto premesso, deve ritenersi che la società Aeroporti di Roma p.a. non possa essere qualificata come organismo di diritto pubblico, essendo priva del requisito di cui al punto 1) dell’art. 3 lett. d), del <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50</a> (c.d. requisito teleologico), non risultando la stessa costituita “<em>per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale</em>”. Osta al riconoscimento del requisito in questione la circostanza che la società, operante in un mercato concorrenziale, sia gestita secondo criteri di efficacia e redditività tipici dell’imprenditore privato e con assunzione del rischio di impresa (alla stregua del principio nella specie).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019 </strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 gennaio esce la sentenza della Corte di Cassazione, a SS.UU. Civili, n. 332, che si pronuncia in tema di riparto di giurisdizione affermando che l<em>a controversia riguardante la contestazione della legittimità degli esiti della procedura di gara, volta ad individuare i contraenti per lo svolgimento dell’attività di bar ristorazione da stipularsi da parte del concessionario del trasporto locale (l’Azienda Trasporti Milanese -ATM SpA), con riguardo agli immobili commerciali concessi (ad ATM, società in house, «annoverabile nell’ambito degli organismi di diritto pubblico») dal Comune di Milano e posti nelle stazioni della metropolitana, spetta all’A.G.O. , atteso che il rapporto tra il Comune concedente ed il concessionario (ATM) non ha alcun rilievo per il terzo contraente (chi gestirà bar e ristorazione), che resta del tutto estraneo al primo accordo, che ne costituisce un mero presupposto e, pertanto, il rapporto tra il concessionario e il terzo si risolve in un contratto di diritto privato”. Nel caso di specie, il Consiglio di Stato, in sede di appello, aveva ritenuto che nella materia de qua sussistesse la giurisdizione del g.o.: secondo il giudice di appello, l'attività oggetto del rapporto controverso, rispetto alle operazioni di trasporto pubblico locale affidate in concessione dal Comune alla concessionaria ATM, non aveva natura necessaria ma solo eventuale essendo, tra l'altro, remunerata senza l'impegno di una quota parte del prezzo del trasporto. Del resto, l'estraneità del Comune rispetto al rapporto in oggetto era confermata dal fatto che il disciplinare di concessione lasciava ampia libertà ad ATM in ordine alla valorizzazione commerciale degli spazi dati in disponibilità e che i proventi della locazione erano soggetti ad una contabilità separata, rispetto a quella relativa alla remunerazione dei servizi di trasporto pubblico. Ricorrendo per cassazione, la parte privata, tra l’altro, si lamentava del fatto che il C.d.S. non aveva considerato che ATM è una società in house del Comune di Milano e, comunque, è «annoverabile nell'ambito degli organismi di diritto pubblico». Il contratto oggetto della controversia sarebbe qualificabile come «vera e propria concessione tra Pubblica Amministrazione e concessionario» e, quindi, le controversie relative all'affidamento del contratto spetterebbero alla giurisdizione del GA. La Corte di Cassazione, confermando la sentenza del Consiglio di Stato, innanzi ad essa impugnata, rileva che è irrilevante la natura di ATM SpA, ossia se essa sia un'«impresa pubblica» e/o un «organismo pubblico» poiché «neppure la natura (latu sensu) pubblica del soggetto comporta infatti l'applicabilità in toto della disciplina pubblicistica all'attività da questo svolta ed è, da sola, insufficiente ad interferire sulla regola del riparto». Nella specie, la constatazione che il contratto stipulato da ATM non aveva ad oggetto lo svolgimento di un servizio connesso e strumentale a quello oggetto della concessione, che in quest'ultima rinveniva un mero presupposto e che costituiva un contratto di locazione, come tale non riconducibile a quelli oggetto del d.lgs. n. 163 del 2006 (applicabile nella specie ratione temporis), portano a ritenere che «correttamente il Consiglio di Stato ha affermato che si era al cospetto di una vicenda in tutto privatistica e di natura prettamente commerciale (concessione - recte, locazione -...), indubbiamente accessoria rispetto all'attività di TPL.</em></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 gennaio 2019 esce la sentenza n. 4446 della Cassazione Penale, sez. II, che si pronuncia respingendo il ricorso proposto dal difensore di un imputato avverso una disposta confisca per equivalente, di beni mobili, immobili e somme di denaro (ai sensi degli artt. 640 quater e 322 ter cod.pen.); nel ricorso, il difensore si doleva dell’illegittimità della disposta misura, posto che il soggetto erogante il finanziamento oggetto di truffa era una società di diritto privato, come risultava chiaramente dal capo di imputazione, per cui non potevano trovare applicazione le aggravanti di truffa ai danni dello Stato o di ente pubblico richiamate dall'art. 640 quater cod.pen. quali presupposti per l'applicazione della confisca obbligatoria del prezzo o del profitto del reato. La Cassazione respingendo la tesi difensiva di parte ricorrente, conferma la confisca. La Corte motiva, sostenendo che "ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., anche gli enti a formale struttura privatistica devono qualificarsi come "pubblici", in presenza dei seguenti requisiti, indicati dal legislatore all'art. 3 del D.Lgs. n. 163 del 2006: a) la personalità giuridica; b) l'istituzione dell'ente per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi caratterenon industriale o commerciale; c) il finanziamento della attività in modo maggioritario da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, oppure la sottoposizione della gestione al controllo di questi ultimi o la designazione da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, di più della metà dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza." (Sez.2, sentenza n. 29709 del 19/04/2017, Ferrara, vedi anche Sez.2, sentenza n. 17889 del 14/04/2015 - 01: "Ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., rientrano nella categoria di enti pubblici tutti gli enti strumentali al perseguimento di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, posti in situazione di stretta dipendenza nei confronti dello Stato,degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico in senso formale).</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 aprile 2019 esce l’ordinanza di rimessione n. 5327 del Tar Lazio – Roma, Sez. III, Gare, che rimette alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:</p> <p style="text-align: justify;">1) se la società Poste Italiane s.p.a. debba essere qualificata “organismo di diritto pubblico”, ai sensi dell’art 3, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 50 del 2016 e delle direttive comunitarie di riferimento (2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE);</p> <p style="text-align: justify;">2) se detta società sia tenuta a svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica solo per l’aggiudicazione degli appalti, che siano direttamente riferibili all’attività propria dei settori speciali, di cui alla direttiva 2014/25/UE, in applicazione della quale la stessa natura di organismo di diritto pubblico dovrebbe ritenersi assorbita nelle regole della parte II° del Codice degli appalti, con piena autonomia negoziale – e regole esclusivamente privatistiche – per l’attività contrattuale non attinente, in senso stretto, a tali settori, tenuto conto dei principi dettati dalla direttiva 2014/23/UE, punto n. 21 delle premesse e art. 16;</p> <p style="text-align: justify;">3) se la medesima società, per i contratti da ritenere estranei alla materia, propria dei settori speciali, resti invece – ove in possesso dei requisiti di organismo di diritto pubblico – soggetta alla direttiva generale 2014/24/UE (e quindi alle regole contrattuali ad evidenza pubblica), anche ove svolgente – in via evolutiva rispetto all’originaria istituzione – attività prevalentemente di stampo imprenditoriale e in regime di concorrenza, ostando ad una diversa lettura la direttiva 2014/24/UE, per contratti conclusi da Amministrazioni aggiudicatrici; il “considerando” n. 21 e l’art. 16 della citata direttiva 2014/23/UE, d’altra parte, pongono solo un parametro presuntivo, per escludere la natura di organismo di diritto pubblico per le imprese, che operino in condizioni normali di mercato, essendo comunque chiaro, in base al combinato disposte delle medesime disposizioni, il prioritario riferimento alla fase istitutiva dell’Ente, ove quest’ultimo sia destinato a soddisfare “esigenze di interesse generale” (nel caso di specie sussistenti e non ancora cessate);</p> <p style="text-align: justify;">4) se comunque, in presenza di uffici in cui si svolgono, promiscuamente, attività inerenti al settore speciale e attività diverse, il concetto di “strumentalità” – rispetto al servizio di specifico interesse pubblico – debba essere inteso in modo non restrittivo, ostando, a quest’ultimo riguardo, i principi di cui al “considerando” n. 16, nonché gli artt. 6 e 13 della direttiva 2014/25/UE, che richiamano – per l’individuazione della disciplina applicabile, il concetto di “destinazione” ad una delle attività, disciplinate dal Codice dei contratti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">5) se infine l’indizione – con le forme di pubblicità previste a livello sia nazionale che comunitario – di una procedura di gara ad evidenza pubblica, a norma del codice degli appalti, possa rilevare ai fini dell’individuazione dell’area di destinazione dell’appalto, ovvero dell’attinenza di quest’ultimo al settore speciale di riferimento, in senso conforme all’ampliata nozione di “strumentalità”, di cui al precedente quesito n. 4), ovvero – in via subordinata – se l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dallo stesso soggetto che abbia indetto tale procedura di gara, o da soggetti che a detta procedura abbiano vittoriosamente partecipato, possa considerarsi abuso del diritto ai sensi dell’art. 54 della Carta di Nizza, quale comportamento che – pur non potendo incidere, di per sé, sul riparto di giurisdizione – rileva quanto meno ai fini risarcitori e delle spese di giudizio, poiché lesivo del legittimo affidamento dei partecipanti alla gara stessa, ove non vincitori e ricorrenti in sede giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;"> Il 12 febbraio 2019 esce l’ordinanza di rimessione al Consiglio di Stato, n. 1006, sezione V, con cui vengono rimesse alla Corte di Giustizia dell’U.E. le seguenti questioni: 1) se sulla base delle caratteristiche della normativa interna relativa all’ordinamento sportivo la Federazione calcistica italiana (e, in generale, qualsiasi Federazione sportiva nazionale) sia qualificabile come organismo di diritto pubblico, in quanto istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; se in particolare ricorra il requisito teleologico dell’organismo nei confronti della Federazione pur in assenza di un formale atto istitutivo di una pubblica amministrazione e malgrado la sua base associativa, in ragione del suo inserimento in un ordinamento di settore (sportivo) organizzato secondo modelli di stampo pubblicistico e del vincolo al rispetto dei principi e delle regole elaborate dal Comitato olimpico nazionale italiano e dagli organismi sportivi internazionali, attraverso il riconoscimento a fini sportivi dell’ente pubblico nazionale; se inoltre tale requisito possa configurarsi nei confronti di una Federazione sportiva quale la Federazione italiana giuoco calcio, dotata di capacità di autofinanziamento, rispetto ad un’attività non a valenza pubblicistica quale quella oggetto di causa, o se invece debba considerarsi prevalente l’esigenza di assicurare in ogni caso l’applicazione delle norme di evidenza pubblica nell’affidamento a terzi di qualsiasi tipologia di contratto di tale ente.</p> <p style="text-align: justify;">2) Va rimessa alla Corte di giustizia U.E. la questione se sulla base dei rapporti giuridici tra il C.O.N.I. e la F.I.G.C.- Federazione Italiana Giuoco Calcio il primo disponga nei confronti della seconda di un’influenza dominante alla luce dei poteri legali di riconoscimento ai fini sportivi della società, di approvazione dei bilanci annuali e di vigilanza sulla gestione e il corretto funzionamento degli organi e di commissariamento dell’ente; se per contro tali poteri non siano sufficienti a configurare il requisito dell’influenza pubblica dominante propria dell’organismo di diritto pubblico, in ragione della qualificata partecipazione dei presidenti e dei rappresentanti delle Federazioni sportive negli organi fondamentali del Comitato olimpico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 aprile esce l’ordinanza della Corte di Cassazione a SS.UU. Civili, n. 11509, che si pronuncia risolvendo la questione dibattuta del riparto di giurisdizione, tra giudice ordinario e giudice amministrativo, in tema di esclusione da benefici, per l’installazione di impianto fotovoltaico, disposta dal Gestore di servizi energetici. La Corte di legittimità risolve la questione riconoscendo che appartiene alla giurisdizione esclusiva del GA ex art.133, comma 1, lettera o) del c.p.a. la controversia vertente sui danni derivati dall’esclusione, anche per motivi procedimentali, dai benefici derivanti dall’attivazione di un impianto fotovoltaico, disposta dal Gestore dei servizi energetici, dacché tale controversia afferisce ad un provvedimento concernente la produzione di energia adottato da un soggetto titolare di funzioni pubblicistiche. La Corte, pertanto, accoglie la tesi della società ricorrente che aveva sollevato il regolamento preventivo di giurisdizione innanzi alla Cassazione nell’ambito della controversia pendente innanzi al giudice di merito, rilevando di essere una società per intero partecipata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e, in forza dei poteri pubblicistici conferiti dalla legge, da considerarsi allora soggetto equiparato alla pubblica Amministrazione, e che pertanto la domanda risarcitoria proposta dal privato doveva essere conosciuta dal giudice amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 giugno esce l’ordinanza della Corte di Cassazione a SS.UU. Civili, n. 17567, in tema di Enti Pubblici e sui requisiti per gli organismi di diritto pubblico. Sostiene la Corte che per definire la natura di organismo di diritto pubblico di un soggetto, alla luce dei criteri enucleati all’art. 3, lett. d), <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">D.Lgs. 50/2016</a>, occorre avere riguardo: in primo luogo, al tipo di attività svolta dalla società e all’accertamento che tale attività sia rivolta alla realizzazione di un interesse generale, ovvero che sia necessaria affinché la pubblica amministrazione possa soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali è chiamata e, in secondo luogo, che tale società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche. In particolare, in merito a quest’ultimo profilo, è necessario, in primo luogo, che la società non fondi la propria attività principale su criteri di rendimento, efficacia e redditività e che non assuma su di sé i rischi collegati allo svolgimento di tale attività i quali devono ricadere sull’amministrazione controllante. In secondo luogo, il servizio d’interesse generale che ne costituisce l’oggetto non può essere rifiutato per ragioni di convenienza economica. L’ente fieristico, per essere ritenuto organismo di diritto pubblico, nel perseguire l’interesse pubblico deve agire senza essere soggetto alle regole di mercato, e quindi senza che possa ritenersi esercitata dallo stesso attività di carattere commerciale. La Fiera di Roma non può qualificarsi come organismo di diritto pubblico e, pertanto, sussiste la giurisdizione del G.O. per le relative controversie nei suoi confronti, atteso che, dall’esame del suo statuto, risulta carente il requisito di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), num. 1, del <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">d.lgs. 50/2016</a>; tale carenza esime dal verificare la presenza degli ulteriori due requisiti che concorrono ai fini della individuazione degli organismi di diritto pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 settembre esce la sentenza del CdS n. 9 in Adunanza Plenaria, che affronta la questione della natura giuridica degli atti del gestore servizi energetici. Chiarisce il Supremo Consesso che hanno natura provvedimentale soltanto gli atti con cui il GSE accerta il mancato assolvimento, da parte degli importatori o produttori di energia da fonte non rinnovabile, dell’obbligo di cui all’art.11 d.lgs. n. 79/99. Salvo il legittimo esercizio, ricorrendone i presupposti, dell’autotutela amministrativa, tali atti diventano pertanto definitivi ove non impugnati nei termini decadenziali di legge. Deve invece riconnettersi natura non provvedimentale agli atti con cui il GSE accerta in positivo l’avvenuto puntuale adempimento del suddetto obbligo da parte degli operatori economici di settore.</p> <p style="text-align: justify;">Il Consiglio di Stato, in Commissione speciale, il 26 ottobre 2018 rende il parere n. 2427. Dichiarando l’abrogazione implicita del combinato disposto degli artt. 51 e 199 del R.D. n. 1592 del 1933 ed escludendo la qualifica di ente pubblico non economico e di organismo di diritto pubblico alla Libera Università Maria Santissima Assunta, si può affermare che l’ateneo è un ente di diritto privato e, pertanto, può procedere alla stipula di contratti di lavori, servizi e forniture senza necessità del previo esperimento di procedure di evidenza pubblica. In particolare, la <strong>LUMSA non è un organismo di diritto pubblico</strong>, poiché difetta il terzo dei tre requisiti cumulativi necessari per la configurabilità di tale tipologia soggettiva, ossia il requisito della influenza pubblica dominante, poiché riceve un contributo finanziario pubblico di minima entità, registra la presenza di un solo componente pubblico sugli undici membri dell’organo di amministrazione, non presenta nessun componente pubblico nell’organo di vigilanza, non è soggetto al controllo statale della gestione, poiché la vigilanza ministeriale e gli altri poteri previsti dalla legge speciale costituiscono un potere di vigilanza estrinseca e formale e non integrano quel controllo intrinseco e sostanziale sulla gestione che è richiesto ai fini della sussistenza di questa particolare modalità di manifestazione del requisito della dominanza pubblica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 febbraio esce la sentenza del TAR LOMBARDIA – MILANO, SEZ. II, n. 240, che rende una puntuale definizione dell’organismo di diritto pubblico. In parte motiva, infatti, si legge che: “si sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 50 del 2016, l’organismo di diritto pubblico va definito come qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato IV: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico; i suddetti requisiti devono intendersi come cumulativi e di conseguenza la mancanza anche di uno solo di essi porta ad escludere lo status di organismo di diritto pubblico e alla disapplicazione della normativa comunitaria sugli appalti pubblici (1). Il ricorso ad un soggetto privato che svolga l’attività di centralizzazione della committenza o le attività di committenza ausiliaria può avvenire, secondo il diritto dell’Unione (v. considerandum n. 70 della Direttiva 2004/24/UE), esclusivamente ricorrendo alle regole di evidenza pubblica per la scelta del soggetto privato chiamato a svolgere tale servizio e non mediante un affidamento diretto che risulterebbe consentito solo laddove il soggetto chiamato a svolgere simile servizio sia sostanzialmente pubblico; diversamente opinando si realizzerebbe un’evidente violazione dei principi “di non discriminazione e tutela della concorrenza che la disciplina degli appalti pubblici si pone di perseverare”. Si consentirebbe, infatti, ad un soggetto privato ed anche privo dei requisiti pubblicistici richiesti dall’ordinamento di svolgere direttamente un servizio remunerato senza la preventiva applicazione delle regole in tema di evidenza pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 febbraio esce la sentenza n. 964 del Consiglio di Stato, Sez. V, che si pronuncia sulle procedure di affidamento espletate dagli organismi di diritto pubblico. Afferma il Collegio che le controversie sulle procedure per l’affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture rientrano nella giurisdizione amministrativa esclusiva (art. 7 cod. proc. amm.) al ricorrere delle due condizioni dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), cod. proc. amm., vale a dire, quanto al profilo soggettivo, che la procedura di scelta del contraente sia espletata da soggetti «comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale» e, quanto al profilo oggettivo, che il contratto da affidare rientri nella tipologia contrattuale per la quale è previsto l’espletamento di una procedura di gara, dunque che abbia ad oggetto «lavori, servizi e forniture». Non è, pertanto, sufficiente un’autonoma determinazione di fare applicazione delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici per la selezione del contraente (c.d. autovincolo), ma è necessario un obbligo oggettivo e di legge (2). Tre sono i requisiti dell’organismo di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 50 del 2016 (che è in ciò conforme alla corrispondente disposizione comunitaria), cumulativamente richiesti: a) che sia istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale (c.d. requisito teleologico); b) che sia dotato di personalità giuridica (c.d. requisito personalistico); c) che l’attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismo di diritto pubblico oppure la gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure l’organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. Affinché si possa dire diretta a soddisfare un bisogno avente carattere «non industriale o commerciale», l’attività dell’ente deve rispondere a un interesse primario della collettività, come la salute, l’ambiente, la sicurezza e così via (3). Molti di questi bisogni generali, tuttavia, sono soddisfatti anche da privati in regime di libera concorrenza, e non sono riservati in esclusiva a soggetti riconducibili in qualche modo alle pubbliche amministrazioni. Sicché non è esclusa la qualificazione di organismo di diritto pubblico dal fatto che l’ente offra prestazioni o servizi insieme a soggetti privati in un mercato concorrenziale: ma il regime concorrenziale del mercato è un forte indizio del fatto che esso, pur soddisfacendo bisogni collettivi, in realtà cerca specialmente di conseguire un proprio lucro (4).</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 aprile esce la rilevante sentenza del Tar Lazio – Roma, sez. III, n. 5327, che rimette alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale in merito alla qualificazione da attribuire a Poste Italiane S.p.A.. Vengono deferite alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:</p> <p style="text-align: justify;">1) se la società Poste Italiane S.p.A. debba essere qualificata “organismo di diritto pubblico”, ai sensi dell’art 3, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 50 del 2016 e delle direttive europee di riferimento (2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE);</p> <p style="text-align: justify;">2) se detta società sia tenuta a svolgere procedure contrattuali a evidenza pubblica solo per l’aggiudicazione degli appalti, che siano direttamente riferibili all’attività propria dei settori speciali, di cui alla Dir. 2014/25/UE, in applicazione della quale la stessa natura di organismo di diritto pubblico dovrebbe ritenersi assorbita nelle regole della parte II del Codice degli appalti, con piena autonomia negoziale - e regole esclusivamente privatistiche – per l’attività contrattuale non attinente, in senso stretto, a tali settori, tenuto conto dei principi dettati dalla Dir. 2014/23/UE,punton.21dellepremesseeart.16(Cass., SS.UU.,n.4899del2018 cit. e, per l’ultima parte, Cons.Stato, Ad. Plen., n. 16 del 2011 cit.);</p> <p style="text-align: justify;">3) se la medesima società, per i contratti da ritenere estranei alla materia, propria dei settori speciali, resti invece - ove in possesso dei requisiti di organismo di diritto pubblico - soggetta alla direttiva generale 2014/24/UE (e quindi alle regole contrattuali ad evidenza pubblica), anche ove svolgente - in via evolutiva rispetto all’originaria istituzione - attività prevalentemente di stampo imprenditoriale e in regime di concorrenza. 4) se comunque, in presenza di uffici in cui si svolgono, promiscuamente, attività inerenti al settore speciale e attività diverse, il concetto di “strumentalità” - rispetto al servizio di specifico interesse pubblico - debba essere inteso in modo non restrittivo (come sinora ritenuto dalla giurisprudenza nazionale, in conformità alla ricordata pronuncia n. 16 del 2011 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato), ostando, a quest’ultimo riguardo, i principi di cui al “considerando” n. 16, nonché gli artt. 6 e 13 della Dir. 2014/25/UE, che richiamano - per l’individuazione della disciplina applicabile, il concetto di “destinazione” ad una delle attività, disciplinate dal Codice dei contratti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">Deve essere chiarito, pertanto, se possano essere “destinate”al settore speciale di riferimento –anche con le modalità vincolistiche attenuate, proprie dei settori esclusi - tutte le attività funzionali al settore stesso, secondo le intenzioni della stazione appaltante (ivi compresi, pertanto, i contratti inerenti la manutenzione sia ordinaria che straordinaria, la pulizia, gli arredi, nonché i servizi di portierato e di custodia degli uffici, o altre forme di utilizzo di questi ultimi, se intese come servizio per la clientela), restando effettivamente privatizzate solo le attività “estranee”, che il soggetto pubblico o privato può esercitare liberamente in ambiti del tutto diversi, con disciplina esclusivamente riconducibile al codice civile e giurisdizione propria del giudice ordinario (di quest’ultimo tipo ad esempio, per quanto qui interessa, è certamente il servizio bancario svolto da Poste Italiane, ma non altrettanto potrebbe dirsi con riferimento alla fornitura e all’utilizzo degli strumenti di comunicazione elettronica, se posti al servizio dell’intero ambito di attività del Gruppo, pur essendo particolarmente necessari appunto per l’attività bancaria). Non sembra peraltro inutile sottolineare lo “sbilanciamento”, indotto dall’interpretazione restrittiva attualmente prevalente, introducendosi nella gestione di settori assimilabili o contigui regole totalmente diverse, per l’affidamento di lavori o servizi: da una parte, le minuziose garanzie imposte dal Codice dei contratti per l’individuazione dell’altro contraente, dall’altra la piena autonomia negoziale dell’imprenditore, libero di operare contrattazioni in funzione esclusiva dei propri interessi economici, senza alcuna delle garanzie di trasparenza, richieste per i settori speciali e per quelli esclusi;</p> <p style="text-align: justify;">5) se infine l’indizione - con le forme di pubblicità previste a livello sia nazionale che comunitario - di una procedura di gara ad evidenza pubblica, a norma del codice degli appalti, possa rilevare ai fini dell’individuazione dell’area di destinazione dell’appalto, ovvero dell’attinenza di quest’ultimo al settore speciale di riferimento, in senso conforme all’ampliata nozione di “strumentalità”,di cui al precedente quesito. 5),ovvero- in via subordinata - se l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dallo stesso soggetto che abbia indetto tale procedura di gara, o da soggetti che a detta procedura abbiano vittoriosamente partecipato, possa considerarsi abuso del diritto ai sensi dell’art. 54 della Carta di Nizza, quale comportamento che - pur non potendo incidere, di per sé, sul riparto di giurisdizione (cfr. anche, sul punto, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 16 del 2011 cit.) - rileva quantomeno ai fini risarcitori e delle spese di giudizio, poiché lesivo del legittimo affidamento dei partecipanti alla gara stessa, ove non vincitori e ricorrenti in sede giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2021</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 febbraio esce la sentenza della IV sezione della Corte di Giustizia UE nelle cause riunite C-155/19 e C-156/19 Sulla natura della FIGC.</p> <p style="text-align: justify;">Ricorda la Corte che, a norma dell’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettere da a) a c), della direttiva 2014/24, un’entità deve essere qualificata come «organismo di diritto pubblico» qualora essa, in primo luogo, sia stata istituita per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, in secondo luogo, sia dotata di personalità giuridica e, in terzo luogo, sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle autorità regionali o locali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la sua gestione sia posta sotto la vigilanza di tali autorità o organismi, oppure il suo organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, da autorità regionali o locali o da altri organismi di diritto pubblico. I tre requisiti sono cumulativi, fermo restando che i tre criteri menzionati nell’ambito del terzo requisito hanno invece carattere alternativo.</p> <p style="text-align: justify;">Per quanto riguarda il primo di questi tre requisiti, il legislatore dell’Unione ha inteso sottoporre alle norme vincolanti sugli appalti pubblici soltanto le entità create allo scopo specifico di soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale e l’attività delle quali risponda a siffatte esigenze. A questo proposito, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga sin dalla sua creazione oppure successivamente a quest’ultima, l’entità in questione deve assicurare effettivamente il soddisfacimento di esigenze di interesse generale, e la presa in carico di siffatte esigenze deve poter essere constatata oggettivamente.</p> <p style="text-align: justify;">In Italia, l’attività di interesse generale costituita dallo sport viene realizzata da ciascuna delle federazioni sportive nazionali nell’ambito di compiti a carattere pubblico espressamente attribuiti a queste federazioni dall’articolo 15, comma 1, del decreto legislativo n. 242 e tassativamente elencati all’articolo 23, comma 1, dello Statuto del CONI.</p> <p style="text-align: justify;">A questo proposito, consta che vari dei compiti elencati all’articolo 23, comma 1, dello Statuto del CONI, quali il controllo del regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi, la prevenzione e la repressione del doping, oppure la preparazione olimpica e di alto livello, sono privi di carattere industriale o commerciale, aspetto questo la cui verifica è però riservata al giudice del rinvio. Date tali circostanze, qualora assicuri effettivamente la realizzazione di compiti siffatti, una federazione sportiva nazionale soddisfa il requisito enunciato all’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera a), della direttiva 2014/24.</p> <p style="text-align: justify;">Tale conclusione non è invalidata, in primo luogo, dal fatto che la FIGC ha la veste giuridica di un’associazione di diritto privato e che la sua creazione non deriva, di conseguenza, da un atto formale istitutivo di un’amministrazione pubblica. Infatti, da un lato, il tenore letterale dell’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, della direttiva 2014/24 non contiene alcun riferimento alle modalità di creazione o alla veste giuridica dell’entità in questione. Dall’altro lato, occorre ricordare che la nozione di «organismo di diritto pubblico» deve ricevere un’interpretazione funzionale indipendente dalle modalità formali della sua attuazione, cosicché tale necessità osta a che venga operata una distinzione in base alla veste legale e al regime giuridico applicabile all’entità di cui trattasi in virtù del diritto nazionale ovvero in base alla forma giuridica delle disposizioni che istituiscono tale entità.</p> <p style="text-align: justify;">In secondo luogo, è del pari irrilevante il fatto che la FIGC persegua, a fianco delle attività di interesse generale tassativamente elencate all’articolo 23, comma 1, dello Statuto del CONI, altre attività che costituiscono una gran parte dell’insieme delle sue attività e che sono autofinanziate. Infatti, la Corte ha già statuito che è indifferente che un’entità, oltre alla propria missione di soddisfacimento di esigenze di interesse generale, realizzi altre attività e che il soddisfacimento delle esigenze di interesse generale costituisca soltanto una parte relativamente poco importante delle attività realmente intraprese da tale entità, nella misura in cui questa continui a farsi carico delle esigenze che è specificamente obbligata a soddisfare.</p> <p style="text-align: justify;">Date tali circostanze, il fatto che una federazione sportiva nazionale sia dotata di una capacità di autofinanziamento in relazione, segnatamente, alle attività prive di carattere pubblico da essa esercitate non può presentare alcuna rilevanza, dato che, infatti, una siffatta capacità di autofinanziamento è ininfluente sull’attribuzione di compiti a carattere pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Viene quindi dichiarato che l’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera a), della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che un’entità investita di compiti a carattere pubblico tassativamente definiti dal diritto nazionale può considerarsi istituita per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, ai sensi della disposizione sopra citata, quand’anche essa sia stata creata non già sotto forma di amministrazione pubblica, bensì di associazione di diritto privato, e alcune delle sue attività, per le quali essa è dotata di una capacità di autofinanziamento, non abbiano carattere pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Passando poi al terzo criterio, occorre ricordare che i criteri alternativi figuranti all’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera c), della direttiva 2014/24 rispecchiano tutti la stretta dipendenza di un organismo nei confronti dello Stato, delle autorità regionali o locali o di altri organismi di diritto pubblico, e che, per quanto riguarda più precisamente il criterio relativo alla vigilanza sulla gestione, una vigilanza siffatta si basa sulla constatazione di un controllo attivo sulla gestione dell’organismo in questione idoneo a creare una dipendenza di quest’ultimo nei confronti dei poteri pubblici, equivalente a quella che esiste allorché è soddisfatto uno degli altri due criteri alternativi, ciò che può consentire ai poteri pubblici di influire sulle decisioni del suddetto organismo in materia di appalti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, in linea di principio, un controllo a posteriori non soddisfa tale criterio, in quanto esso non consente ai poteri pubblici di influire sulle decisioni dell’organismo in questione in tale settore.</p> <p style="text-align: justify;">Risulta che, esercitando essenzialmente una funzione di regolazione e di coordinamento, il CONI costituisce un’organizzazione di vertice che mira innanzitutto a rivolgere alle federazioni sportive nazionali regole sportive, etiche e strutturali comuni in modo da inquadrare la pratica sportiva in modo armonizzato in accordo con le norme internazionali, in particolare nel contesto delle competizioni e della preparazione ai Giochi olimpici. A questo proposito, occorre d’altronde rilevare che, a norma dell’articolo 7, comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 242, il controllo del CONI su tali federazioni sembra essere essenzialmente limitato ai settori del regolare svolgimento delle competizioni, della preparazione olimpica, dell’attività sportiva di alto livello e dell’utilizzo dei contributi finanziari, circostanza questa la cui verifica spetta al giudice di merito.</p> <p style="text-align: justify;">Per contro, non risulta che il CONI abbia il compito di regolamentare i dettagli della pratica sportiva nel quotidiano o di ingerirsi nella gestione concreta delle federazioni sportive nazionali e nei rapporti che esse intrattengono con le strutture di base costituite dai club, dalle associazioni e dalle altre entità pubbliche o private, nonché con qualsiasi individuo che desideri praticare lo sport.</p> <p style="text-align: justify;">Questa definizione del ruolo e della missione del CONI sembra essere suffragata dall’articolo 20, comma 4, dello Statuto del CONI, in virtù del quale le federazioni sportive nazionali, pur essendo tenute ad esercitare l’attività sportiva e le relative attività di promozione in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI, beneficiano, sotto la vigilanza di quest’ultimo, di un’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione nell’ambito dell’ordinamento sportivo. Risulta dunque che, ad eccezione dei settori nei quali il CONI è legittimato a intervenire e ad esercitare un controllo, dette federazioni beneficiano di un’ampia autonomia per quanto riguarda la propria gestione e la gestione dei diversi aspetti della disciplina sportiva di cui esse si occupano, tenendo presente che i loro rapporti con il CONI sono limitati, prima facie, al rispetto, da parte loro, degli orientamenti e delle regole generali dettate dal CONI stesso. L’articolo 15, comma 4, del decreto legislativo n. 242 precisa d’altronde che è l’assemblea elettiva della federazione sportiva nazionale interessata il soggetto che provvede all’approvazione e alla verifica dei bilanci programmatici di indirizzo dell’organo di amministrazione, ciò che tende a dimostrare, anche in questo caso, che le suddette federazioni hanno una piena autonomia di gestione.</p> <p style="text-align: justify;">In una configurazione siffatta, la quale, tenuto conto della grande varietà delle soluzioni adottate nei diversi Stati membri, è peculiare dell’ordinamento sportivo italiano, occorre considerare che un’amministrazione pubblica, incaricata, essenzialmente, di dettare delle regole in materia sportiva, di verificare la loro corretta applicazione e di intervenire unicamente a livello dell’organizzazione delle competizioni e della preparazione olimpica senza disciplinare l’organizzazione e la pratica nel quotidiano delle varie discipline sportive, non può essere considerata, di primo acchito, come un organo gerarchico capace di controllare e dirigere la gestione delle federazioni sportive nazionali, e ciò ancor meno nel caso in cui tali federazioni godano di autonomia di gestione.</p> <p style="text-align: justify;">L’autonomia di gestione conferita alle federazioni sportive nazionali in Italia sembra dunque, in linea generale, deporre in senso contrario all’esistenza di un controllo attivo da parte del CONI esteso a tal punto che quest’ultimo potrebbe influire sulla gestione di una federazione sportiva nazionale come la FIGC, segnatamente in materia di affidamento di appalti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò premesso, una presunzione siffatta può essere rovesciata qualora sia dimostrato che, nei fatti, i diversi poteri spettanti al CONI nei confronti della FIGC hanno l’effetto di creare una dipendenza di tale federazione rispetto al CONI, tale per cui quest’ultimo possa influire sulle decisioni di detta federazione in materia di appalti pubblici. A questo proposito, lo spirito di competizione sportiva, la cui organizzazione e concreta gestione sono di spettanza delle federazioni sportive nazionali impone di non considerare tali diversi poteri del CONI in un’accezione troppo tecnica, ma di dare agli stessi un’interpretazione più sostanziale che formale.</p> <p style="text-align: justify;">Viene quindi dichiarato che il secondo dei criteri alternativi previsti dall’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera c), della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che, nel caso in cui una federazione sportiva nazionale goda, in virtù del diritto nazionale, di autonomia di gestione, la gestione di tale federazione può considerarsi posta sotto la vigilanza di un’autorità pubblica soltanto qualora da un’analisi complessiva dei poteri di cui tale autorità dispone nei confronti della federazione suddetta risulti che esiste un controllo di gestione attivo il quale, nei fatti, rimette in discussione l’autonomia di cui sopra fino al punto di consentire all’autorità summenzionata di influire sulle decisioni della federazione stessa in materia di appalti pubblici. La circostanza che le varie federazioni sportive nazionali esercitino un’influenza sull’attività dell’autorità pubblica in questione in virtù della loro partecipazione maggioritaria in seno ai principali organi collegiali deliberativi di quest’ultima è rilevante soltanto qualora sia possibile dimostrare che ciascuna delle suddette federazioni, considerata singolarmente, è in grado di esercitare un’influenza significativa sul controllo pubblico esercitato da tale autorità nei confronti della federazione stessa, con la conseguenza che tale controllo venga neutralizzato e la federazione sportiva nazionale torni così ad avere il dominio sulla propria gestione, e ciò malgrado l’influenza delle altre federazioni sportive nazionali che si trovano in una analoga situazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che cosa si intende per “<em>soggetto pubblico</em>” in ambito Europeo?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>non</strong> se ne può parlare come <strong>categoria unitaria</strong>;</li> <li>occorre guardare a <strong>ciascuna singola materia</strong> in cui <strong>rileva la nozione</strong> di “<strong><em>soggetto pubblico</em></strong>”;</li> <li>ciascuna di queste <strong>materie</strong> reca seco <strong>peculiari esigenze</strong>, che si riflettono sulla <strong>specifica nozione di soggetto pubblico</strong> ad esse riferita, siccome forgiata dalla <strong>normativa europea</strong> ed interpretata dalla <strong>giurisprudenza sovranazionale</strong>;</li> <li>ad esempio, vi sono <strong>obblighi o divieti</strong> previsti da <strong>singole norme di ascendenza sovranazionale</strong> che si applicano agli <strong>apparati pubblici</strong> che sono <strong>articolazioni</strong> degli <strong>ordinamenti</strong> di <strong>ciascun Stato membro</strong>, tanto che nel caso di <strong>violazione di tali obblighi o divieti</strong> scatta la <strong>responsabilità</strong>, per l’appunto, del <strong>pertinente Stato membro</strong>: su questo crinale, la giurisprudenza comunitaria ha via via <strong>forgiato</strong> una <strong>specifica nozione</strong> di “<strong><em>soggetto pubblico</em></strong>” che è tale proprio perché <strong>apparato pubblico</strong> capace di <strong>impegnare</strong> la <strong>responsabilità</strong> del singolo <strong>Stato membro</strong>;</li> <li>ancora, un <strong>principio sovranazionale importantissimo</strong> è quello della <strong>libera circolazione dei lavoratori</strong> all’interno dell’Unione (il cittadino di uno Stato membro può accedere alle <strong>opportunità lavorative</strong> offerte da un <strong>altro Stato membro</strong> alle <strong>stesse condizioni</strong> garantite al cittadino di quest’ultimo, tanto in termini di <strong>accesso all’impiego</strong> quanto per ciò che concerne <strong>trattamento economico</strong> e <strong>condizioni di lavoro</strong>); canone che tuttavia <strong>soffre una deroga</strong> per quanto concerne gli <strong>impiegati pubblici</strong>, e dunque gli <strong>impiegati delle Pubbliche Amministrazioni</strong>: a questo specifico fine occorre fare riferimento alla <strong>nozione di soggetto pubblico</strong> prevista dall’<strong>45, paragrafo 4</strong>, del TFUE;</li> <li>l’approccio europeo <strong>non è</strong> dunque di tipo “<strong><em>formale-definitorio</em></strong>” quanto piuttosto “<strong><em>sostanziale-qualificatorio</em></strong>”, con particolare riferimento alla <strong>foggia pubblicistica di un ente</strong> dal punto di vista <strong>strutturale</strong> ovvero, in altri casi, <strong>funzionale</strong>, ai fini dell’applicazione della <strong>normativa pertinente</strong> e della connessa <strong>interpretazione pretoria</strong>;</li> <li>in un <strong>prisma</strong> decisamente “<strong><em>policromatico</em></strong>”, un ente è allora <strong>pubblico a certi fini</strong> e per <strong>assecondare una certa <em>ratio</em></strong>, mentre <strong>non lo è per altri fini</strong> o con riguardo ad <strong>una <em>ratio</em> diversa</strong>;</li> <li>tra questi <strong>fini</strong> e queste “<strong><em>rationes</em></strong>”, vi sono quelli concernenti la <strong>concorrenza negli appalti pubblici</strong> e la connessa <strong>necessità</strong> – laddove <strong>un appalto sia appunto “<em>pubblico</em>”</strong>, e dunque facente riferimento alla <strong>natura “<em>pubblica</em>”</strong> del soggetto <strong>committente</strong> – di <strong>individuare l’interlocutore privato</strong> attraverso una <strong>selezione</strong> e dunque una <strong>gara</strong>: in questo settore, rileva un <strong>particolare ente pubblico</strong>, la “<strong><em>Amministrazione aggiudicatrice</em></strong>”, che se in una <strong>prima fase</strong> viene individuata – anche a livello <strong>comunitario</strong> – in modo <strong>chiuso e tassativo</strong>, in un secondo momento trova poi cittadinanza in un <strong>novero sempre più ampio ed “<em>aperto</em>”</strong> di casi, concretandosi in un <strong>catalogo di enti “<em>atipico</em>”</strong> e sempre <strong>meno vincolato</strong> a <strong>precisi indici</strong> di concreta riconoscibilità, proprio al fine di <strong>favorire al massimo</strong> la <strong>concorrenza</strong> negli <strong>appalti pubblici</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa compendia il requisito (c.d. teleologico) della istituzione per il soddisfacimento di bisogni a carattere non industriale o commerciale al fine di riconoscere un organismo di diritto pubblico?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta senza dubbio del <strong>requisito più problematico</strong>, anche in termini di pertinente <strong>identificazione concreta</strong>;</li> <li>non è sufficiente infatti <strong>istituire</strong> una <strong>persona giuridica</strong> deputata a perseguire <strong>finalità </strong>(a <strong>soddisfare bisogni</strong>) <strong>di interesse generale</strong>, e che dunque produca un <strong>impatto sulla collettività</strong>; il perseguimento di <strong>tali finalità</strong> e dunque, in sostanza, dell’<strong>interesse pubblico</strong>, si <strong>ricava già</strong> direttamente dalla <strong>necessaria compresenza</strong> di un <strong>altro requisito imprescindibile</strong> per riconoscere un organismo di diritto pubblico, che si compendia nella “<strong><em>influenza pubblica dominante</em></strong>”, la quale <strong>non avrebbe senso</strong> se l’ente in questione non fosse istituito appunto <strong>per essere deputato</strong> a perseguire interessi pubblici;</li> <li>occorre dunque un <strong><em>quid pluris</em></strong>, vale a dire la <strong>preordinazione</strong> di tale istituzione dell’ente a <strong>soddisfare interessi</strong> (realizzare <strong>bisogni</strong>) di <strong>tipo non industriale né commerciale</strong>;</li> <li>la verifica di questo requisito passa allora attraverso una <strong>doppia fase di accertamento</strong>: d.1) l’ente <strong>persegue interessi</strong> (soddisfa <strong>bisogni</strong>) di carattere <strong>generale</strong> e, dunque, <strong>interessi pubblici</strong>; d.2) tali interessi pubblici generali <strong>non hanno</strong> carattere <strong>commerciale</strong>, né <strong>industriale</strong>;</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa compendia il requisito della personalità giuridica al fine di riconoscere un organismo di diritto pubblico?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>certamente può essere organismo di diritto pubblico una <strong>persona giuridica “<em>pubblica</em>”</strong>;</li> <li>più <strong>dubbio</strong> è invece se possa esserlo una <strong>persona giuridica privata</strong>, o comunque <strong>di diritto privato</strong>;</li> <li>per la <strong>giurisprudenza europea</strong>, la <strong>forma giuridica</strong> nel diritto interno a ciascuno Stato membro è <strong>indifferente</strong> rispetto alla qualificazione di un soggetto quale <strong>organismo di diritto pubblico</strong>, essendo sufficiente che ci si trovi al cospetto di una <strong>persona giuridica</strong>, in una con <strong>tutti gli altri elementi costitutivi</strong> della figura;</li> <li>per la dottrina interna, si contrappongono <strong>2 tesi</strong>: d.1) la tesi c.d. “<strong><em>formale</em></strong>” o <strong>gestionale</strong>, onde la <strong>forma societaria</strong> (società di capitali) presuppone indefettibilmente la <strong>natura imprenditoriale</strong> e <strong>l’<em>imprinting</em> commerciale</strong> del soggetto che ne è rivestito ed è <strong>come tale letteralmente ed ontologicamente incompatibile</strong> con l’organismo di diritto pubblico (tesi <strong>recessiva</strong>); è una tesi <strong>criticata fortemente</strong> da chi muove dalla <strong>natura “<em>sostanziale</em>”</strong> – e non già <strong>meramente “<em>formale</em>”</strong> – del <strong>diritto europeo</strong> (massime quello sugli <strong>appalti</strong>) tanto in termini di <strong>legislazione</strong> che di <strong>giurisprudenza</strong>, dovendosi anche tenere conto del fatto che vi è la <strong>necessità di usare</strong> in sede sovranazionale una <strong>terminologia giuridica unitaria</strong> che va poi <strong>adattata alle diverse lingue</strong> dei singoli Stati membri, circostanza che – specie con riferimento a <strong>materie di tipo “<em>organizzativo</em>”</strong> o comunque attinenti alla <strong>definizione di figure soggettive</strong> come appunto quella di organismo di diritto pubblico – sospinge il legislatore europeo ad avvalersi di <strong>una terminologia</strong> che, calibrata su quella del <strong>singolo Stato membro</strong>, può rivelarsi <strong>relativa</strong>, <strong>ambigua</strong> o comunque <strong>approssimativa</strong>, come appunto nel caso dell’organismo di diritto pubblico; d.2) la tesi <strong>d. “<em>sostanziale</em>”</strong> o <strong>funzionale</strong>: in molti degli Stati membri tanto le <strong>funzioni pubbliche</strong> quanto i <strong>servizi pubblici</strong> sono sovente appannaggio di <strong>soggetti</strong> che rivestono una <strong>forma</strong> che <strong>non è quella tipica</strong> degli <strong>enti pubblici</strong>, onde la necessità di scongiurare <strong>facili elusioni della normativa europea</strong> in materia di affidamento degli appalti pubblici (quella medesima che ha sospinto il legislatore europeo a <strong>passare</strong> da una <strong>situazione di <em>numerus clausus</em> e di tassatività </strong>delle Amministrazioni aggiudicatrici ad uno <strong>aperto alla atipicità</strong> e <strong>connotato funzionalmente</strong> dalla presenza di <strong>taluni elementi costitutivi </strong>da intendersi quali <strong>indici di riconoscimento</strong> della “<strong><em>pubblicità</em></strong>” del soggetto considerato) non può che fondare una nozione di organismo di diritto pubblico in cui <strong>anche il requisito della personalità giuridica</strong> rileva <strong>non già in senso formale</strong>, quanto piuttosto <strong>sostanziale e funzionale</strong>, <strong>non potendo escludersi <em>a priori</em></strong> la riconoscibilità di tale natura anche in soggetti che rivestono la <strong>forma</strong> di persone giuridiche <strong>private</strong> (tesi <strong>più accreditata</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa compendia il requisito della c.d. influenza pubblica dominante al fine di riconoscere un organismo di diritto pubblico?</strong></p> <p style="text-align: justify;">Deve concorrere – in via <strong>alternativa</strong> – <strong>una</strong> di <strong>3 possibili condizioni</strong>, che sono <strong>sintomatiche</strong> per <strong>presunzione <em>iuris et de iure</em></strong> della natura di “<strong><em>organismo di diritto pubblico</em></strong>”:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>finanziamento pubblico maggioritario</strong> dell’attività dell’ente;</li> <li><strong>controllo pubblico</strong> sulla <strong>gestione</strong>; si ha certamente controllo pubblico di questo tipo quando la <strong>maggioranza delle azioni</strong> dell’ente sono in mano a soggetti pubblici; anche laddove non sia ravvisabile tale <strong>partecipazione maggioritaria</strong> al capitale, ciò tuttavia non esclude a priori la presenza di tale tipo di <strong>controllo pubblico</strong>, che va inteso secondo la giurisprudenza in una <strong>accezione assai ampia ed onnicomprensiva</strong>;</li> <li><strong>più del 50% dei componenti</strong> degli <strong>organi di direzione, amministrazione o vigilanza</strong> <strong>nominati</strong> da un <strong>soggetto pubblico</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa si intende per organismo di diritto pubblico “<em>in parte qua</em>”, e che problemi pone?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>bisogna muovere dalla considerazione di <strong>soggetti decisamente “<em>ibridi</em>”</strong>;</li> <li>si tratta di quei soggetti che <strong>presentano </strong>certamente<strong> 2 dei 3 </strong>requisiti<strong> indispensabili</strong> per il riconoscimento di un <strong>organismo di diritto pubblico</strong>: la <strong>personalità giuridica</strong> e la <strong>dominanza pubblica</strong> (o influenza pubblica dominante);</li> <li>il <strong>terzo</strong> requisito – vale a dire l’<strong>istituzione</strong> finalizzata alla <strong>soddisfazione di bisogni di interesse generale non aventi carattere commerciale né industriale</strong> – è invece riconoscibile <strong>solo</strong> con riguardo ad <strong>una parte delle attività</strong> espletate dal soggetto considerato, e <strong>non anche in altre</strong> (più tipicamente commerciali o industriali);</li> <li>il problema che si pone è se la <strong>disciplina dell’organismo di diritto pubblico</strong>, e segnatamente quella che <strong>lo annovera come Amministrazione aggiudicatrice </strong>(gare, evidenza pubblica), sia applicabile <strong>anche</strong> quando la <strong>prestazione</strong> per la quale <strong>si individua il terzo interlocutore privato</strong> sia strumentale al <strong>disimpegno di una attività</strong> che <strong>non è rivolta</strong> al soddisfacimento di <strong>bisogni generali a carattere non commerciale né industriale</strong>; ovvero sia applicabile <strong>solo quando la prestazione</strong> per la quale si individua il terzo interlocutore privato <strong>sia strumentale</strong> al disimpegno di una <strong>attività che è rivolta</strong> al soddisfacimento di <strong>bisogni generali a carattere non commerciale né industriale</strong> (e, dunque, sia applicabile <strong>solo “<em>in parte qua</em>”</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa implica la riconoscibilità in un soggetto della natura di organismo di diritto pubblico?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>è applicabile la disciplina <strong>dell’evidenza pubblica</strong> e, dunque, l’<strong>obbligo di far luogo ad una gara</strong> per assegnare un <strong>appalto pubblico</strong>; più nel dettaglio, l’organismo di diritto pubblico è tenuto a <strong>rispettare le direttive comunitarie</strong> (e le <strong>norme interne di recepimento</strong>) in tema di <strong>appalti sopra-soglia</strong> e di relative <strong>procedure di aggiudicazione</strong>, in ottica di concreta <strong>identificazione dell’interlocutore privato</strong>;</li> <li>è applicabile la disciplina dell’<strong>accesso agli atti amministrativi</strong>, dovendo l’organismo di diritto pubblico assumersi “<strong><em>Pubblica amministrazione</em></strong>” ai sensi dell’<strong>22, comma 1, lettera e)</strong> della <strong>legge 241.90</strong> allorché è tenuto al <strong>rispetto della normativa interna ed europea</strong> in tema di <strong>evidenza pubblica</strong> e <strong>gare di appalto</strong>;</li> <li>è (potenzialmente) applicabile il c.d. <strong>statuto penale della PA</strong>, e dunque le <strong>norme penali</strong> che interferiscono con la <strong>consistenza</strong> e l’<strong>azione</strong> di una <strong>Pubblica Amministrazione</strong>; più in specie, le <strong>persone fisiche</strong> che operano <strong>nell’ambito</strong> dell’organismo di diritto pubblico, quand’anche rivestente <strong>forma societaria</strong>, vengono coinvolte in una <strong>attività</strong> che è giocoforza <strong>procedimentalizzata</strong> ed <strong>oggettivamente di natura “<em>pubblica</em>”</strong>, massime in sede di <strong>identificazione dell’interlocutore privato</strong> negli <strong>appalti</strong> affidati a valle dell’<strong>evidenza pubblica</strong>, con possibile qualifica in termini di <strong>pubblico ufficiale</strong> (art.<strong>357</strong>p.) o di <strong>incaricato di pubblico servizio</strong> (art.<strong>358 </strong>c.p.) soggettivamente rilevante <strong>in sede penale</strong>, dovendosi peraltro ormai assumere in larga parte <strong>superate</strong> le <strong>perplessità</strong> che – prima del recepimento della figura “<strong><em>organismo di diritto pubblico</em></strong>” in una <strong>disciplina di tipo normativo primario</strong> – parte della <strong>dottrina</strong> sollevava in termini di rispetto del <strong>principio della riserva di legge</strong>;</li> <li>dal punto di vista <strong>processuale</strong>, quando l’organismo di diritto pubblico <strong>bandisce una gara</strong> la <strong>giurisdizione</strong> è <strong>esclusiva in capo al GA</strong> ai sensi dell’<strong>133,, lettera e), n.1</strong> del codice del processo amministrativo, quand’anche tale organismo di diritto pubblico <strong>rivesta una forma societaria</strong>;</li> <li>dal punto di vista <strong>commerciale</strong>, è <strong>dubbio</strong> se possa applicarsi all’organismo di diritto pubblico la <strong>disciplina <em>Antitrust</em></strong> di cui alla <strong>legge 287.90</strong>, contendendosi il campo sul punto <strong>2 opzioni ermeneutiche contrapposte</strong>: e.1) la disciplina antitrust <strong>non si applica</strong> all’organismo di diritto pubblico, poiché essa <strong>si applica alle “<em>imprese</em>”</strong> (tanto pubbliche che private) ai sensi <strong>dell’art.8</strong> della legge 287.90, e <strong>tale non è</strong> un organismo di diritto pubblico (tesi “<strong>letterale</strong>”, ormai <strong>recessiva</strong>); e.2) è <strong>impresa qualunque entità</strong> che eserciti una <strong>attività economica</strong> che consista nell’<strong>offerta di beni o servizi</strong> sul <strong>mercato</strong>, in modo <strong>indipendente</strong> dallo <strong>statuto giuridico</strong> del soggetto in questione, dalle relative <strong>modalità di finanziamento</strong> e dal <strong>fine di lucro</strong> (o meno) perseguito, onde <strong>non può escludersi <em>a priori</em></strong> la applicabilità all’organismo di diritto pubblico della <strong>disciplina antitrust</strong> (tesi <strong>più accreditata</strong>, seguita dalla <strong>giurisprudenza europea</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa compendia una impresa pubblica e quale regime può assumerglisi applicabile?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la nozione di <strong>impresa pubblica</strong> è strettamente <strong>collegata</strong> a quella di “<strong><em>settori speciali</em></strong>”: <strong>acqua</strong>, <strong>trasporti</strong>, <strong>energia</strong>, <strong>telecomunicazioni</strong>, <strong>poste</strong>;</li> <li>un’impresa pubblica <strong>non è</strong> <strong>normalmente</strong> tenuta ad <strong>aggiudicare appalti</strong> attraverso una <strong>gara</strong>; ma se l’appalto concerne <strong>uno dei “<em>settori speciali</em>”</strong>, anche <strong>l’impresa “<em>pubblica</em>”</strong> è obbligata ad avvalersi dell’<strong>evidenza pubblica</strong>;</li> <li>tali “<strong><em>settori speciali</em></strong>”, a lungo disciplinati dal <strong>diritto privato</strong> in condizioni di <strong>monopolio</strong> e dunque <strong>non lambiti dall’obbligo della gara</strong>, sono stati via via <strong>attratti nell’ambito</strong> della disciplina – di tipo <strong>più schiettamente “<em>pubblicistico</em>”</strong> - in cui va garantita la <strong>concorrenza</strong> nell’ottica del <strong>mercato</strong>, con necessità di far luogo a <strong>gare</strong> al fine di <strong>aggiudicare appalti</strong>; ciò attraverso i <strong>3 connessi fenomeni</strong> della <strong>privatizzazione</strong>, della <strong>liberalizzazione</strong> e della <strong>regolazione</strong>;</li> <li>caratteristica dell’impresa pubblica è infatti quella di <strong>essere un’impresa come le altre</strong> che tuttavia <strong>subisce l’influenza dominante</strong> di una <strong>Amministrazione aggiudicatrice</strong>; tale influenza dominante <strong>si presume <em>ex lege</em></strong> allorché la PA aggiudicatrice, <strong>direttamente o indirettamente</strong>, anche <strong>alternativamente</strong>: d.1) vi detiene la <strong>maggioranza del capitale sottoscritto</strong>; d.2) <strong>controlla</strong> la <strong>maggioranza dei voti</strong> cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa medesima; d.3) può <strong>designare più del 50% dei membri</strong> del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa medesima;</li> <li>è del tutto <strong>irrilevante</strong> – allo scopo di riconoscere una <strong>impresa pubblica</strong> – il <strong>fine perseguito</strong> dalla stessa, che dunque (<strong>a differenza</strong> di quanto accade con <strong>l’organismo di diritto pubblico</strong>) può anche essere – e anzi <strong>normalmente è</strong>, visto che trattasi di “<strong><em>impresa</em></strong>” – connotato da <strong>spiccati caratteri di commercialità o industrialità</strong>;</li> <li>quello che conta <strong>è esclusivamente la “<em>dominanza pubblica</em>”</strong>, e dunque il <strong>rapporto stretto</strong> con una <strong>Amministrazione aggiudicatrice “<em>dominante</em>”</strong>;</li> <li>può essere “<em>impresa pubblica</em>” un’<strong>azienda autonoma</strong>, un <strong>ente pubblico economico</strong>, una <strong>p.a. mista a prevalente capitale pubblico</strong> e così via, purché si riscontri il requisito della <strong>dominanza pubblica</strong>;</li> <li>l’impresa pubblica soggiace ai <strong>canoni</strong> che presidiano alla <strong>normale gestione commerciale</strong>, proprio perché “<strong><em>impresa</em></strong>”, e <strong>ne sopporta i rischi</strong> potendo anche <strong>fallire</strong>; subisce, al contempo, <strong>l’influenza dominante</strong> di <strong>una o più Amministrazioni aggiudicatrici</strong>, facendo luogo ad <strong>un “<em>ibrido</em>” privato-pubblico</strong> del tutto singolare;</li> <li>legislatore europeo e, in sede di recepimento, legislatore interno, nell’ambito dei “<strong><em>settori speciali</em></strong>” identificano dunque <strong>in modo atipico e <em>sui generis</em></strong> l’ente aggiudicatore, stante la <strong>disomogeneità soggettiva</strong> delle <strong>entità che operano in tali settori</strong>, talvolta disciplinate dal <strong>diritto pubblico</strong> e talaltra dal <strong>diritto privato</strong>: una “<strong><em>impresa</em></strong>” che nei <strong>settori ordinari</strong> <strong>non</strong> sarebbe “<strong><em>ente aggiudicatore</em></strong>”, nei <strong>settori speciali</strong> viene invece considerata tale e, dunque, “<strong><em>pubblica</em></strong>”, essendo <strong>tenuta alla gara</strong> ed avvinta all’evidenza pubblica nella <strong>identificazione degli interlocutori privati</strong> chiamati ad erogare prestazioni a relativo favore;</li> <li>nei <strong>settori speciali</strong> dunque <strong>l’obbligo della gara non è legato</strong> alla <strong>finalizzazione</strong> al perseguimento di un <strong>interesse generale non avente carattere commerciale o industriale</strong>, come invece accade nei <strong>settori ordinari</strong>, laddove alla gara è appunto tenuto <strong>l’organismo di diritto pubblico</strong>, istituito per perseguire tali finalità; in detti settori speciali <strong>anche chi svolge attività imprenditoriale pura</strong> può essere tenuto ad esperire <strong>la gara</strong>, se soggetto <strong>all’influenza dominante</strong> di una PA aggiudicatrice.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali problemi solleva la categoria dei c.d. settori speciali negli appalti?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>dal punto di vista <strong>soggettivo</strong>, solo laddove una <strong>impresa pubblica</strong> operi <strong>in detti settori</strong>, essa <strong>deve esperire la gara</strong>, mentre laddove operi <strong>al di fuori</strong> di tali settori, essa (pur soggetta ad una <strong>dominanza pubblica</strong>) <strong>non</strong> sarà soggetta all’<strong>obbligo di gara</strong>;</li> <li>dal punto di vista <strong>oggettivo</strong>, <strong>l’obbligo di gara</strong> – anche in capo all’impresa pubblica – concerne <strong>solo</strong>, in senso <strong>restrittivo</strong>, gli appalti propri dei “<strong><em>settori speciali</em></strong>”, e <strong>non anche</strong> appalti che siano <strong>ad essi collaterali</strong> perché <strong>aggiudicati per “<em>scopi diversi</em>”</strong> da quelli afferenti allo <strong>stretto esercizio delle attività</strong>, rigorosamente <strong>circoscritte</strong>, afferenti ai ridetti <strong>settori speciali</strong>;</li> <li><strong>non</strong> trova applicazione dunque nei “<strong><em>settori speciali</em></strong>” la c.d. “<strong><em>teoria del contagio</em></strong>”, elaborata dalla sentenza della <strong>Corte di Giustizia</strong> <strong><em>Mannesmann</em></strong> in tema di <strong>organismo di diritto pubblico</strong> ed alla cui stregua, una volta che un soggetto <strong>è riconosciuto per tale</strong>, <strong>tutti gli appalti</strong> che aggiudica (compresi quelli finalizzati a soddisfare <strong>esigenze di carattere industriale o commerciale</strong>) soggiacciono <strong>all’obbligo della gara</strong>;</li> <li>si pone allora la necessità di capire <strong>quale regime si applica</strong> agli <strong>appalti</strong> che <strong>lambiscono</strong> i “<em>settori speciali</em>”, ma che <strong>non rientrano </strong>nel relativo <strong>ambito oggettivo</strong> di operatività;</li> <li>un’impresa pubblica che agisce nell’ambito di un <strong>settore speciale</strong> deve infatti <strong>giocoforza avvalersi della gara</strong> per affidare <strong>tutti gli appalti</strong> che sono <strong>consustanziali alla “<em>mission</em>”</strong> di tale settore speciale, mentre <strong>è dubbio se debba bandire la gara</strong> anche per quegli appalti che coinvolgano <strong>scopi diversi</strong> da quelli che <strong>avvincono</strong> (seppure in ottica <strong>strumentale</strong>) il circoscritto ambito di tali <strong>settori speciali “<em>in senso stretto</em></strong>”, in relazione ai quali appalti si pone il problema di capire se <strong>si applica la disciplina di diritto pubblico</strong> (gara, evidenza pubblica) o quella <strong>di diritto privato</strong> (scelta discrezionale dell’appaltatore privato);</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>