<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, VI Sezione Penale, sentenza 22 giugno 2021, n. 24462</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il ricorso è fondato.</em></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><em> Quanto al primo motivo, ritiene il Collegio che il tessuto giustificativo della sentenza impugnata si caratterizzi per una ricostruzione dei fatti che è intrisa di aporie logiche.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Le registrazioni audiovisive, osserva la Corte, documentano <strong>gesti di intollerabile violenza</strong> e <strong>gratuite vessazioni psicologiche</strong> che si reiteravano nella classe del maestro, se non quotidianamente, con cadenza costante; certamente corroborative dell’ipotesi d’accusa, tali condotte vengono, al contrario, ritenute poco significative di abitualità, quale requisito base del reato di maltrattamenti, in ragione del rapporto di proporzione quantitativa con le condotte lecite, in esse riprese pure documentate.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Assumendo che quelle immagini siano state lette dai giudici di primo grado sotto la suggestione delle didascalie apposte dalla polizia giudiziaria, dunque in una chiave pregiudizialmente e smaccatamente colpevolista, nonché sminuendo la portata offensiva dei singoli gesti, la Corte di appello parcellizza i dati probatori, che avrebbe dovuto inserire, invece, in una lettura coordinata, per pervenire, infine, ad escludere che le violenze vi siano state (tant’è che le riqualifica come ipotesi di percosse continuate).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La valutazione della prova è inficiata da <strong>illogicità manifesta</strong>, oltre che da <strong>contraddittorietà</strong>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Con affermazioni prive di consequenzialità logica, si assume che la M. sia un teste astioso verso il maestro e lo abbia consapevolmente calunniato, perché condizionata dalla decisione di cambiare scuola ai propri figli, come poi aveva fatto; l’insegnante G. avrebbe assistito ad un unico episodio violento, uno schiaffo sulla nuca, valutato, nonostante la sua innegabile gravità e gratuità, poco significativo; la T. sarebbe teste parziale ed inattendibile nelle sue dichiarazioni per rapporti di amicizia con le parti in causa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ancora, il piccolo L. , di soli quattro anni, autore della prima rivelazione, per avere visto il maestro ripetere il gesto delle "campane", ossia il gesto di scuotere violentemente la testa del suo compagno - gesto di inequivoco significato repressivo, per come mimato dal bambino - viene considerato inattendibile solo perché vivace, "manesco e poco rispettoso delle regole" a prescindere da qualsiasi valutazione sulla genuinità e spontaneità del suo narrato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ed invero, i rilievi sulla mancata assunzione delle deposizioni dei minori alcuni dei quali - va ricordato - erano al tempo così piccoli da non essere in grado di parlare, non esimeva il giudice di merito dal valutare in canoni di attendibilità il contributo cognitivo offerto dal solo, tra i bambini, che abbia dato un contributo di conoscenza (sia pure attraverso il filtro della narrazione materna).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La decisione enfatizza, al contrario, il racconto dei testi a discarico, gli undici operatori scolastici i quali hanno tassativamente escluso di aver visto il maestro porre in essere atteggiamenti violenti o umilianti nei confronti dei minori.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È evidente, osserva la Corte, l’incongruenza di un tale rilievo: quanto innanzi vale solo a dimostrare che il maestro - il quale, come emerso in istruttoria, risulta sia stato attento a cambiare registro comportamentale dopo avere avuto notizia dalla collega, che era stata escussa dagli inquirenti, delle indagini in corso ed a verificare, da quel momento, l’assenza di strumenti di captazione nelle aule - si è guardato bene dal porre in essere tali atteggiamenti in presenza di chi aveva, al pari di lui, un primario dovere di cura verso i bambini affidati alla istituzione scolastica. Al contrario, è intuitivo comprendere che determinate condotte l’E. ponesse in essere quando si trovava da solo con i bambini.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In ogni caso, risulta agli atti che una teste ha dichiarato di aver assistito ad uno schiaffo dato dal maestro ad un bimbo, tra collo e viso, ed un’altra teste di aver assistito all’isolamento da parte del maestro di una bimba, per punizione, in una stanza con porta chiusa, elementi che la decisione bolla come irrilevanti.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La Corte riporta, poi, un’osservazione della difesa di cui, incredibilmente, considerato l’accoglimento del ricorso del condannato, sembra abbia condiviso i contenuti: "... i filmati restituivano un comportamento brusco, molto maschile, frutto della necessità di una comunicazione fisica in luogo di quella verbale, da alcuni neppure comprensibile per via di problematiche varie, frutto di stanchezza e di tensione legata alla tenuta di una classe con etnie varie (almeno 5) e con bambini di età compresa tra i due e i cinque anni".</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ancora, sempre in una <strong>smaccata prospettiva giustificazionista</strong>, il comportamento del maestro -"per di più uomo" -, i cui modi sono descritti come dal tratto deciso, talora brusco, altre volte energico oltre il consentito" e anche poco "consono", ma in ogni caso espressivi solo di <strong>animus corrigendi</strong> e non invece di "<strong>volontà maltrattante</strong>”, ebbene, un tale comportamento sarebbe stato determinato dalla necessità di mantenere un "difficile ordine" in una classe "ingestibile" e di adottare un "rigido protocollo comportamentale".</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>A prescindere dalla assoluta inconsistenza della giustificazione in chiave sessista, soggiunge la Corte, quasi che un simile stile educativo possa ritenersi antropologicamente "proprio" del genere maschile e, in quanto tale, tollerabile, si tratta di affermazioni contrarie alle più basilari regole del comportamento civile che un insegnante, in particolare, è tenuto più di ogni altro ad osservare.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Non esiste mai necessità "di una comunicazione fisica" (che nel caso si concretizzava in un intervento manesco violento) in luogo di quella verbale" tanto più nell’accudimento di bambini piccoli, né comportamenti violenti possono essere giustificati da "stanchezza e tensione legata alla tenuta di una classe con etnie varie".</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Anzi, un educatore, soprattutto in situazioni problematiche di ambientamento dei bambini, ha il dovere di creare un ambiente formativo il più possibile sereno e condizioni di benessere, favorevoli all’apprendimento ed all’armonico sviluppo psico-fisico dei soggetti affidati alla sua cura.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Affermando poi che i modi del maestro andavano "oltre il consentito" la Corte d’appello, contraddicendo i suoi precedenti enunciati, ne ammette la illiceità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Anche il riferimento alla finalità di tali condotte "azioni sorrette sempre e solo dall’animus corrigendi" è improprio, atteso che i comportamenti del maestro costituiscono <strong>l’antitesi dei corretti metodi educativi</strong>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Instaurare in classe un <strong>clima di tensione e di disagio</strong>, quale effetto dei comportamenti aggressivi dell’insegnante, non può che indurre i piccoli ad adottare comportamenti imitativi, anch’essi connotati da aggressività, verso i compagni e verso il docente, con un impatto sui piccoli altamente diseducativo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Alla luce di tutte le argomentazioni spese nel chiaro tentativo di sminuire la gravità delle azioni violente del maestro (quali: sollevare i piccoli per un braccio e per una gamba e trasportarli in tal modo da un lato all’altro della stanza; tirarli per le gambe e per le braccia; scuotere testa e collo, esercitare pressione sul capo), come inequivocamente documentate dai filmati, il discorso giustificativo della decisione appare infarcito di una quantità di inferenze, fondate su massime di esperienza francamente inesistenti. E, peraltro, si tratta di condotte tanto più gravi in quanto dimostrano l’assoluta incuranza da parte del soggetto, datore di cura, del rischio concreto di procurare gravi danni a parti del corpo dei bimbi di quella età estremamente fragili, quali gli arti, il collo e il capo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È anche emerso dalla documentazione processuale che oggetto di tali "manovre" violente erano prevalentemente i bambini più piccoli, di due o tre anni, non ancora in grado di parlare e quindi di riferire ai genitori.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Corollario della lettura indebitamente parcellizzata delle risultanze istruttorie e della completa svalutazione delle prove dichiarative a carico è stato l’epilogo assolutorio per tutte le condotte che non hanno trovano riscontro nell’attività tecnica e, dunque, per un ampio arco temporale.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="2"> <li><em> Parimenti fondato, prosegue la Corte, è il secondo motivo di ricorso.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>La sentenza impugnata propone une nozione di abitualità che non trova riscontro nella ermeneusi della fattispecie incriminatrice.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’<strong>abitualità della condotta</strong>, precisa la Corte, implica una <strong>serialità o reiterazione di comportamenti</strong>, ma non è corretto affermare che tale nesso venga meno quando vi sia una <strong>minima proporzione quantitativa</strong> tra condotte maltrattanti e condotte lecite. Ciò, specie ove si consideri che il reato potrebbe realizzarsi attraverso la ripetizione di gesti violenti o umilianti, ciascuno in sé di durata istantanea.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Devono piuttosto ritenersi escluse dal perimetro dell’abitualità condotte isolate, sporadiche, e non cementate da una <strong>unitaria volontà sopraffattrice</strong>, giacché <strong>è la persistenza dell’elemento intenzionale che connota la fattispecie</strong>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La giurisprudenza di legittimità ha affermato, al riguardo che l’art. 572 c.p., contempla una ipotesi di <strong>reato necessariamente abituale</strong> che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica), ovvero non perseguibili (ingiurie, percosse o minacce lievi), o procedibili solo a querela, ma che acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo; sicché può affermarsi che la condotta si perfeziona allorché si realizza un minimo di tali condotte, collegate da un <strong>nesso di abitualità</strong> (Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995, Rv. 201148). Così pure, si è precisato che non è necessario che tali atti, delittuosi o meno, vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo (con riferimento ad una fattispecie in cui la condotta contestata, consistita nell’ingiuriare, minacciare ed aggredire fisicamente la vittima, tenendo, altresì, atteggiamenti palesemente denigratori nei suoi confronti era stata attuata nel corso di tre mesi di convivenza frammezzata da periodi di quiete) (Sez. 3, n. 6724 del 22/11/2017, dep. 2018, 272452).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Dunque, conclude la Corte, vi è una insanabile frattura logica tra l’avere escluso il carattere di abitualità e la operata riqualificazione di diversi episodi, definiti di "manomissione fisica", plurimi ed avvenuti in un ristretto periodo di tempo, asseritamente sostenuti da finalità educativa (dunque avvinti da un’intenzione sostanzialmente unitaria), nel reato di percosse continuate, non fosse altro perché conseguenza di un simile assetto ricostruttivo è che restano fuori dall’area di rilevanza penale atti vessatori che integrano gli estremi della violenza solo morale (come l’isolamento forzato, la chiusura in stanza di un bimbo piccolo, etc.).</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="3"> <li><em> La sentenza va pertanto annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio, alla luce delle linee interpretative sopra tracciate.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>La Corte procederà altresì al regolamento delle spese del presente giudizio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p>