Corte Costituzionale, sentenza 30 luglio 2021 n. 175
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, in relazione all’art. 1-ter, comma 2, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, lettere a) e b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
4.– Entrambe le questioni sollevate dal rimettente interrogano questa Corte sulla legittimità costituzionale della disciplina legislativa in forza della quale la mancata presentazione dell’istanza di accelerazione nel processo penale, di cui all’art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, comporta la inammissibilità, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della medesima legge, della domanda di equa riparazione.
Pertanto, pur se il rimettente estende la censura di legittimità costituzionale ad altre disposizioni (artt. 1-bis, comma 2, e 6, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001), lo scrutinio da parte di questa Corte deve incentrarsi sulla conformità a Costituzione dell’art. 2, comma 1, di tale legge, in riferimento all’art. 1-ter, comma 2, della stessa.
Deve, infatti, rilevarsi che, a norma dell’art. 1-bis, comma 2, «[c]hi, pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all’articolo 1-ter, ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’irragionevole durata del processo ha diritto ad una equa riparazione»; tale disposizione si limita chiaramente a riconoscere il diritto della parte che ha esperito i rimedi preventivi ad agire per ottenere l’equa riparazione da irragionevole durata del processo e postula, ovviamente, la legittimità dei rimedi preventivi che contempla, sicché la decisione in ordine ad essa è condizionata da quella che si assume in ordine alla sanzione di inammissibilità per effetto della mancata presentazione dell’istanza di accelerazione nel processo penale.
L’art. 6, comma 2-bis, d’altra parte, detta la disciplina transitoria finalizzata all’applicazione dei rimedi preventivi di cui all’art. 1-ter, stabilendo che «[n]ei processi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all’articolo 2, comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data non si applica il comma 1 dell’articolo 2». Quest’ultima norma, più che dare luogo essa stessa al dubbio di legittimità costituzionale prospettato dal rimettente, comporta l’applicabilità della disposizione censurata nel giudizio presupposto e quindi la rilevanza delle questioni. Il rimettente, del resto, non dubita in via diretta della legittimità costituzionale della disciplina transitoria, sicché la decisione ad essa relativa non potrà, del pari, che discendere dalla decisione che si adotta in ordine alla disciplina a regime, applicabile nel giudizio principale per effetto della disposizione transitoria.
Tanto premesso, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, in relazione all’art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, sono fondate.
4.1.– Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge n. 89 del 2001 – come sostituito dall’art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134 – nella parte in cui era negata la proponibilità della domanda di equa riparazione in pendenza del procedimento presupposto (sentenza n. 88 del 2018), questa Corte ha rilevato la carenza di «concreta efficacia acceleratoria» dei rimedi preventivi allestiti dalla legge n. 208 del 2015, posto che gli strumenti elencati dall’art. 1-ter della legge n. 89 del 2001 «alla luce della loro disciplina processuale, non vincolano il giudice a quanto richiestogli e, […] per espressa previsione normativa, “[r]estano ferme le disposizioni che determinano l’ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti”» (art. 1-ter, comma 7, della legge n. 89 del 2001).
4.2.– Con la sentenza n. 34 del 2019 questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale «dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 […], convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 3, comma 23, dell’Allegato 4 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 […] e dall’art. 1, comma 3, lettera a), numero 6, del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195 […]», considerando che l’istanza di prelievo nei processi amministrativi – da detta norma disciplinata, «prima della rimodulazione come rimedio preventivo operatane dalla legge n. 208 del 2015» – costituiva non un adempimento necessario, ma «una mera facoltà del ricorrente […] con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia né con l’obiettivo del contenimento della durata del processo né con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata».
4.3.– La sentenza n. 169 del 2019 ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 83 del 2012, come convertito, il quale prevedeva che «[n]on è riconosciuto alcun indennizzo: […] e) quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini [di sua ragionevole durata] di cui all’articolo 2-bis [recte: all’art. 2, comma 2-bis]» della legge n. 89 del 2001. In tale occasione, questa Corte ha affermato che «la suddetta istanza, non diversamente dall’istanza di prelievo nel processo amministrativo, non costituisce […] un adempimento necessario ma una mera facoltà dell’imputato e non ha – ciò che è comunque di per sé decisivo − efficacia effettivamente acceleratoria del processo. Atteso che questo, pur a fronte di una siffatta istanza, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di sua ragionevole durata, senza che la violazione di detto termine possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità del ricorrente». La predetta sentenza ha comunque precisato che la mancata presentazione dell’istanza di accelerazione nel processo penale presupposto poteva eventualmente assumere rilievo ai fini della determinazione del quantum dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda.
4.4.– Da ultimo, la sentenza n. 121 del 2020, con riferimento ai rimedi preventivi introdotti per i processi civili dalla legge n. 208 del 2015 (art. 1-ter, comma 1, della legge n. 89 del 2001) quale condizione di ammissibilità della domanda di equo indennizzo, ha invece ritenuto gli stessi, per l’effetto acceleratorio della decisione che può conseguirne, riconducibili alla categoria dei «rimedi preventivi volti ad evitare che la durata del processo diventi eccessivamente lunga», in quanto consistenti non già nella «proposizione di un’istanza con effetto dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” ‒ che si riduce ad un adempimento puramente formale ‒», ma nella «proposizione di possibili, e concreti, “modelli procedimentali alternativi”, volti ad accelerare il corso del processo, prima che il termine di durata massima sia maturato».
4.5.– Le richiamate sentenze di questa Corte sono del tutto coerenti con la giurisprudenza della Corte EDU, per la quale, ai fini della “effettività” dei ricorsi relativi a cause concernenti l’eccessiva durata dei procedimenti, la migliore soluzione in termini assoluti è la prevenzione. Ciò comporta che, rispetto all’obbligo di esaminare le cause entro un termine ragionevole, imposto dall’art. 6, paragrafo 1, CEDU agli Stati contraenti, alle eventuali carenze del sistema giudiziario può sopperire nella maniera più efficace un ricorso finalizzato ad accelerare i procedimenti. Tale ricorso è da preferire ad un rimedio meramente risarcitorio, ma è “effettivo” soltanto nella misura in cui rende più sollecita la decisione da parte del tribunale interessato ed è adeguato solo se non interviene in una situazione in cui la durata del procedimento è già stata chiaramente eccessiva (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 25 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, e, più di recente, sentenza 30 aprile 2020, Keaney contro Irlanda).
4.6.– Ad identiche conclusioni deve pervenirsi con riferimento all’art. 2, comma 1, in relazione all’art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui comportano l’inammissibilità della domanda di equa riparazione proposta dall’imputato o da altra parte del processo penale che non abbiano depositato un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’art. 2, comma 2-bis. Le disposizioni censurate contrastano con l’esigenza del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata, e con il diritto ad un ricorso effettivo, garantiti dagli evocati parametri convenzionali, la cui violazione implica, per interposizione, quella dell’art. 117, primo comma, Cost.
4.7.– Il deposito dell’istanza di accelerazione nel processo penale, pur presentato come diritto alla stregua dell’art. 1-bis, comma 1, della legge n. 89 del 2001, opera, piuttosto, come un onere, visto che il mancato adempimento, in base al comma 1 del successivo art. 2, comporta l’inammissibilità della domanda di equa riparazione. Tuttavia, la presentazione dell’istanza, che pur deve intervenire almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini ragionevoli fissati per ciascun grado dall’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, non offre alcuna garanzia di contrazione dei tempi processuali, non innesta un modello procedimentale alternativo e non costituisce perciò uno strumento a disposizione della parte interessata per prevenire l’ulteriore protrarsi del processo, né implica una priorità nella trattazione del giudizio, come chiarisce il comma 7 dell’art. 1-ter della stessa legge, in base al quale restano fermi, nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi, i criteri dettati dall’art. 132-bis del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale).
4.8.– In tal senso, l’istanza di accelerazione prevista dalle norme censurate, quale facoltà dell’imputato e delle altre parti del processo penale, non rivela efficacia effettivamente acceleratoria del giudizio, atteso che questo, pur a fronte dell’adempimento dell’onere di deposito, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di ragionevole durata, senza che la violazione dello stesso possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità della parte. La mancata presentazione dell’istanza di accelerazione nel processo penale può eventualmente assumere rilievo ai fini della determinazione della misura dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non deve condizionare la proponibilità della correlativa domanda.
4.9.– Va, dunque, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, in relazione all’art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, lettere a) e b), della legge n. 208 del 2015.
Per le ragioni esposte al punto 4, restano assorbite le questioni di legittimità costituzionale concernenti l’art. 1-bis, comma 2, e l’art. 6, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001.