Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, sentenza 03 agosto 2021 n. 30305
La commutazione dell’ergastolo in attuazione di una condizione apposta in un provvedimento di estensione dell’estradizione, adottato da uno Stato estero il cui ordinamento non ammette la pena perpetua, esplica i suoi effetti soltanto in relazione alla pena oggetto della condizione, nell’ambito della relativa procedura di estensione, senza operare con riguardo ad altra pena dell’ergastolo – oggetto di cumulo con la prima – irrogata con una condanna per la cui esecuzione sia stato in precedenza emesso altro provvedimento di estradizione non condizionato.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è riassumibile nei termini di seguito indicati: «Se la condizione di commutazione della pena dell’ergastolo in pena che non comporti inevitabilmente la privazione della libertà personale per l’intera vita, posta dallo Stato estero richiesto con riferimento a condanna per la quale sia stata concessa la estradizione in estensione, debba operare anche in relazione ad altra condanna alla pena dell’ergastolo, per la cui esecuzione è stata concessa in precedenza l’estradizione senza l’apposizione della stessa condizione, e che sia stata, assieme alla prima, oggetto di unificazione delle pene ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen.».
- Prima di esaminare tale questione, deve rilevarsi che, nel caso di specie, pur versandosi in tema di rapporti intergiurisdizionali che coinvolgono due Stati membri dell’Unione Europea, la normativa applicabile ratione temporis non è quella contemplata dalla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 13 giugno 2002 relativamente alla nuova procedura di consegna basata sul mandato di arresto europeo, ma quella prevista dalla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 (entrata in vigore, per l’Italia, il 4 novembre 1963 e, per la Spagna, il 5 agosto 1982), nonché dalle rispettive normative nazionali in tema di estradizione.
La disposizione transitoria di cui all’art. 32 della predetta decisione quadro stabilisce, infatti, che le richieste di estradizione ricevute anteriormente alla data del 1 gennaio 2004 continuano ad essere disciplinate dagli strumenti normativi esistenti all’epoca in materia di estradizione.
A sua volta, la norma transitoria di cui all’art. 40, comma 2, della legge 22 aprile 2005, n. 69, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alla richiamata decisione quadro 2002/584/GAI, prevede che alle richieste di consegna relative a reati commessi prima del 7 agosto 2002 restano applicabili le disposizioni anteriormente vigenti in materia di estradizione.Ne consegue che nella vicenda in esame, ove i reati oggetto delle due procedure estradizionali sono stati commessi anteriormente a quest’ultima data ed entrambe le richieste di consegna sono state formulate prima del su indicato limite temporale del 1 gennaio 2004, la disciplina applicabile è quella prevista dal diritto estradizionale, non quella relativa al mandato di arresto europeo che, in forza dell’art. 31, par. 1, della decisione quadro, ha sostituito nelle relazioni fra gli Stati membri le corrispondenti disposizioni delle convenzioni applicabili in materia di estradizione.
- Sul tema oggetto della questione rimessa alle Sezioni Unite si registrano due diversi orientamenti giurisprudenziali.
3.1. Secondo un primo indirizzo interpretativo, in presenza di plurimi provvedimenti di estradizione, dei quali uno solo condizionato alla non applicazione dell’ergastolo, deve ritenersi esclusa l’efficacia espansiva di tale condizione anche alla diversa consegna in cui la condizione non sia stata espressamente apposta (Sez. 1, n. 47935 del 11/10/2016, Cianciaruso, non mass.).
Deve peraltro rilevarsi, come osservato dalla stessa ordinanza di rimessione, che la fattispecie esaminata nella sentenza da ultimo citata era per taluni aspetti diversa da quella oggetto della presente vicenda, perché in quel caso (anch’esso riguardante una domanda di estradizione formulata dall’Italia al Regno di Spagna) la condizione era stata apposta dall’autorità estera con il primo provvedimento e non era stata reiterata con la concessione della seconda estradizione, sicché tale circostanza era stata interpretata come l’espressione di un mutato orientamento da parte delle Autorità spagnole.
Sulla stessa linea interpretativa si è posta altra decisione della Corte (Sez. 5, n. 21761 del 29/01/2019, Burzotta, non mass.), in relazione ad un caso in cui era stata rigettata la richiesta di rideterminazione della pena dell’ergastolo nella pena massima di ventuno anni di reclusione, ritenendo la pena irrogata legale in quanto applicata nel rispetto del titolo estradizionale, ove alcuna condizione in tema di pena perpetua era stata apposta dalla Spagna. Secondo tale decisione, l’irrogazione della pena dell’ergastolo nei confronti dell’imputato estradato sotto la condizione, recepita dallo Stato italiano ai sensi dell’art. 720, comma 4, cod. proc. pen., che gli venga applicata una pena detentiva solo temporanea, configura un’ipotesi di pena illegale che il giudice dell’esecuzione ha il potere di sostituire ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. Siffatta evenienza, tuttavia, è configurabile, secondo tale orientamento, esclusivamente nel caso in cui la condizione sia stata specificamente posta dallo Stato estradante.
3.2. Un diverso orientamento giurisprudenziale ha, invece, affermato che l’esclusione della pena perpetua non può essere relegata nell’ambito della sola condanna alla pena dell’ergastolo a cui formalmente accede la condizione di commutazione nella pena temporanea. Se così fosse, il significato di garanzia della condizione in parola sarebbe vanificato, qualora, in applicazione della regola sull’unicità del rapporto esecutivo e sulla necessaria unificazione dei plurimi titoli, si dovesse ritenere che la commutazione della pena è un adempimento i cui effetti si disperdano non appena si proceda al cumulo con le altre pene perpetue, tutte irrogate per fatti anteriori alla consegna e per le quali si è pertanto reso necessario il ricorso all’estensione dell’estradizione.
In altre parole, una volta formato il cumulo delle pene per la cui esecuzione l’estradizione è stata reiteratamente richiesta, la condizione posta in relazione ad una di esse estende la sua forza preclusiva anche sulle altre (Sez. 1, n. 12655 del 24/01/2019, Esposito, Rv. 276164). Tale indirizzo interpretativo muove dal presupposto della necessaria ragionevolezza dei comportamenti tenuti dall’Autorità estradante e poggia le sue argomentazioni sulla impossibilità di ritenere che la mancata apposizione della condizione per le richieste successive alla prima, ove invece il provvedimento di estradizione è stato sottoposto a condizione, comporti l’implicita revoca della condizione anteriormente apposta.
3.3. A tale ultimo precedente la Sezione rimettente non ha ritenuto di potersi conformare sulla base di un duplice ordine di argomentazioni, rispettivamente incentrate sulla insindacabilità delle determinazioni assunte dallo Stato estero e sull’impermeabilità della autonomia dei provvedimenti di estradizione rispetto al principio di unicità del rapporto esecutivo. Si è in primo luogo esclusa, entro tale prospettiva, qualsiasi possibilità di indagare sulle intenzioni dello Stato membro di emissione e di interpretare, pertanto, la sua scelta di non apporre la condizione di commutazione.
Quest’ultima, infatti, vale «….per quel che è e nei limiti in cui è stata posta: non viene né potenziata né annullata dai provvedimenti di estradizione incondizionata precedenti o successivi: non ne è travolta ma nemmeno si espande». In secondo luogo, coerentemente con tale premessa argomentativa, è stata valorizzata l’autonomia di ciascun provvedimento di estradizione, non rilevando che taluno di essi venga richiesto in estensione, sicché, proprio in ragione di tale assenza di interferenze, il principio di unicità del rapporto esecutivo impedisce di far refluire una condizione apposta dallo Stato estradante nell’esecuzione di pene che da tale condizione non siano interessate.
- Il Collegio ritiene di condividere l’impostazione delineata dalla ordinanza di rimessione per le ragioni di seguito indicate.
4.1. Alle Sezioni Unite è devoluta la composizione di un contrasto giurisprudenziale insorto su una questione che si colloca nel delicato punto di intersezione fra il diritto estradizionale e l’applicazione in sede esecutiva di un cumulo relativo a pluralità di condanne all’ergastolo, nell’ipotesi in cui il rapporto di cooperazione giudiziaria internazionale ponga l’Italia, quale Stato richiedente, in contatto con uno Stato – come, nel caso di specie, il Regno di Spagna – che non contempli nel suo apparato sanzionatorio la pena della detenzione a vita. Deve in primo luogo osservarsi come, in simili evenienze, le norme convenzionali (ad es., l’art. 16, parr. 1 e 2, del Trattato di estradizione sottoscritto dall’Italia con il Venezuela il 23 agosto 1930 e ratificato nel nostro ordinamento con la legge 17 aprile 1931, n. 517) prevedano talora la possibilità che lo Stato estero accordi la consegna, subordinandola, tuttavia, alla condizione che la sanzione irrogata perda il suo carattere di perpetuità.
Analogo obiettivo, del resto, ha inteso perseguire, nell’ambito dei Paesi aderenti all’Unione europea, la disciplina della nuova procedura di consegna basata sul mandato di arresto europeo, atteso che l’art. 5, n. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 13 giugno 2002, nel prevedere le garanzie che lo Stato emittente deve fornire in casi particolari, stabilisce che “se il reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso è punibile con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà a vita, l’esecuzione di tale mandato può essere subordinata alla condizione che lo Stato membro emittente preveda nel suo ordinamento giuridico una revisione della pena comminata – su richiesta o al più tardi dopo 20 anni – oppure l’applicazione di misure di clemenza alle quali la persona ha diritto in virtù della legge o della prassi dello Stato membro di emissione, affinché la pena o la misura in questione non siano eseguite”.
4.2. Nella sua più recente evoluzione, come ricordato nell’ordinanza di rimessione, la giurisprudenza di legittimità tende ad affermare che, dalla violazione di un impegno assunto in sede internazionale, discende l’illegalità della pena perpetua eventualmente inflitta all’estradato (Sez. 1, n. 1776 del 30/11/2017, dep. 2018, Burzotta, Rv. 272053; Sez. 1, n. 6278 del 16/07/2014, dep. 2015, Esposito, Rv. 262646), la quale può essere in tal caso rimossa anche attraverso l’incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. Un approdo ermeneutico, questo, il cui esito, valorizzando le implicazioni sottese alle più recenti indicazioni offerte dalle Sezioni Unite in tema di limiti opponibili alla intangibilità del giudicato nei casi in cui la pena debba subire modificazioni necessarie imposte dal sistema a tutela dei diritti primari della persona (Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260696; Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Esposito, Rv. 258651), costituisce il superamento di un altro indirizzo che negava, invece, l’esperibilità del rimedio in fase esecutiva (Sez. 1, n. 26202 del 17/06/2009, Licciardi, Rv. 244186).
L’estradato, dunque, è tutelato dai riverberi negativi di eventuali infrazioni compiute nel procedimento penale a suo carico. Non v’è dubbio, infatti, che l’irrogazione della pena dell’ergastolo, rispetto ad un imputato estradato sotto la condizione – recepita dallo Stato italiano ai sensi dell’art. 720, comma 4, cod. proc. pen. – che gli venga applicata una pena detentiva solo temporanea, configuri un’ipotesi di pena illegale. Tale disposizione integra il parametro normativo legale che fonda l’esercizio della potestà punitiva statuale e concorre, insieme alla norma incriminatrice interna, a delimitare la cornice edittale astratta del reato, che risulterà dalla combinazione della previsione di pena originariamente stabilita con gli adattamenti e le limitazioni che formano oggetto della condizione stabilita per effetto della norma convenzionale.
Quest’ultima, a sua volta, dovendo rispettare i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, tra cui l’art. 25, secondo comma, Cost., non potrà importare aggravamenti del trattamento sanzionatorio, ma renderà possibile, se del caso, la mitigazione, ove accettata dall’Italia nel quadro degli strumenti di cooperazione giudiziaria in materia estradizionale. Ne consegue che, nell’ipotesi di estradizione concessa sotto condizione, l’inosservanza di quest’ultima costituisce una forma di inadempimento di obblighi internazionali di fonte convenzionale, la cui tutela riposa direttamente (non diversamente da quanto accade per gli obblighi derivanti dalla adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) sull’art. 117, primo comma, Cost. (Sez. 1, n. 1776 del 30/11/2017, dep. 2018, Burzotta, cit.).
4.3. Può accadere, peraltro, che la dinamica del rapporto di cooperazione giudiziaria in materia estradizionale presenti profili di particolare complessità, determinati dal fatto che la persona, ricercata per una pluralità di titoli, sia consegnata in forza di molteplici provvedimenti di estradizione che si susseguono nel tempo. Nel caso in esame si controverte sulla eventuale efficacia espansiva della condizione apposta soltanto in relazione ad un provvedimento di estradizione e sulla sua attitudine a vincolare l’esecuzione anche di altro provvedimento ove essa formalmente non figura, con riferimento alla specifica ipotesi nella quale le pene da eseguire siano state oggetto di provvedimento di “cumulo” ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen.
- La scelta, da parte dello Stato richiesto, di apporre condizioni necessarie per concedere l’estradizione costituisce il frutto di una determinazione affatto inusuale, tanto da essere espressamente prevista anche nell’art. 720, comma 4, cod. proc. pen. Questa disposizione disciplina quella peculiare forma di estradizione attiva condizionata che ricorre nell’ipotesi in cui le autorità italiane avanzino una richiesta di estradizione nei confronti di una persona della quale altro Stato abbia la fisica disponibilità, al fine di sottoporla a procedimento penale ovvero di dare esecuzione ad una pronuncia di condanna. In tal caso, all’eventuale apposizione di una o più condizioni da parte dello Stato richiesto si correla il potere-dovere delle competenti autorità dello Stato richiedente di vagliarne la conformità ai principi fondamentali del proprio ordinamento giuridico.
E’ evidente, al riguardo, la connotazione politica della decisione, affidata al Ministro della giustizia, di accettare o rifiutare le condizioni eventualmente poste dallo Stato estero per concedere l’exequatur alla domanda di estradizione proveniente dall’Italia. All’organo politico, infatti, compete l’accettazione delle clausole cui l’estradizione è subordinata, purché non contrastanti con “i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano”, ma con il vincolo, se tale limite non è violato, del loro rispetto da parte dell’autorità giudiziaria, che ad esse necessariamente deve adeguarsi ponendo in essere gli atti e gli adempimenti conseguenziali. Non v’è, di contro, alcun obbligo per l’autorità giudiziaria di osservare condizioni ulteriori rispetto a quelle accettate dal Ministro. Se dallo Stato richiesto non è formulata una espressa manifestazione di volontà in ordine ad una consegna condizionata, essa non è affatto desumibile sulla base di elementi presuntivi, nemmeno quando questi abbiano natura dispositiva e condizionino la effettività della tutela di diritti costituzionalmente garantiti dall’ordinamento straniero.
Solo se posta, la condizione comporta una responsabilità dello Stato richiedente, come evidenziato dalla dottrina, sicché non può esservi alcuna interferenza tra onere e responsabilità della condizione: il primo, infatti, resta nell’ambito della competenza funzionale dello Stato richiesto, la seconda invece segue le regole stabilite dall’ordinamento dello Stato richiedente. La conferma di tale impostazione ermeneutica si ricava proprio dall’analisi testuale della richiamata disposizione di cui all’art. 720 cod. proc. pen., là dove si attribuisce al Ministro il potere di accettare le riserve eventualmente poste dallo Stato che ha concesso la consegna, imponendo al contempo all’autorità giudiziaria il vincolo del rispetto delle sole condizioni accettate.
Solo se la condizione viene espressamente posta, lo Stato richiedente, nell’accettarne il contenuto in quanto \ compatibile con i principi fondamentali, può ritenersi impegnato a garantirne il rispetto a livello internazionale. Sul piano sistematico, la norma codicistica ricollega alla sussistenza della clausola sia i poteri di controllo del Ministro sulla sua ammissibilità, che l’obbligo giudiziale di darvi esecuzione; sul versante politico, invece, essa mira a garantire il rispetto per l’autonomia di ogni ordinamento giuridico, prescrivendo che la libertà di decisione dello Stato estero trovi un limite nella discrezionalità dell’autorità nazionale competente e nei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano. L’interna articolazione delle regole di riparto delle competenze politiche e giurisdizionali stabilite nell’art. 720 cod. proc. pen costituisce la riprova che soltanto la condizione espressa ha una portata vincolante per l’autorità italiana, laddove il mancato rispetto dei diritti fondamentali nel procedimento estero non autorizza le autorità nazionali a porvi rimedio attraverso la previsione di presunzioni che troverebbero un limite invalicabile nell’enunciato legislativo.
L’estradando, peraltro, può attivare i rimedi giurisdizionali appositamente previsti nell’ordinamento dello Stato richiesto, qualora il provvedimento di estradizione non preveda la condizione che dovrebbe esservi apposta a tutela di un suo diritto (nel caso di specie, il divieto di applicazione della pena perpetua). Occorre tuttavia considerare che, nell’ipotesi in cui quei rimedi interni non siano stati utilizzati e il provvedimento di estradizione non contenga alcuna condizione, non è consentito al giudice italiano sindacare il provvedimento estero. All’autorità giudiziaria italiana non è neppure consentito di apporre arbitrariamente in via interpretativa una condizione o una limitazione che lo Stato estero non ha previsto.
Ne discendono, quale logico corollario, due conseguenze: a) l’obbligo per il giudice nazionale di dar seguito al provvedimento di consegna condizionata è determinato dalla natura e dall’ampiezza del suo contenuto e non può oltrepassare il limite, di carattere sostanziale, derivante dal fatto che lo Stato richiesto non abbia esplicitamente subordinato la concessione dell’estradizione alla riserva che il soggetto consegnato non venga sottoposto alla pena dell’ergastolo; b) solo nell’ipotesi in cui l’autorità estera abbia manifestato la volontà di condizionare l’estradizione alla presenza, nell’ordinamento dello Stato richiedente, di particolari misure volte a mitigare la esecuzione dell’ergastolo, l’irrogazione della sanzione perpetua da parte del giudice italiano viene ad integrare un’ipotesi di pena illegale, emendabile per il tramite dell’incidente di esecuzione.
La condizione di commutazione della pena dell’ergastolo che, nel corso di una procedura estradizionale, venga apposta in relazione ad una sola delle pene dello stesso genere irrogate con plurime sentenze di condanna emesse nei confronti della medesima persona opera, pertanto, con esclusivo riferimento alla esecuzione della pena per la quale quel provvedimento di estradizione sia stato emesso.
- Sotto altro, ma connesso profilo, si pone la disamina delle questioni legate alla natura e alle modalità di applicazione dell’istituto della “estensione dell’estradizione” o “estradizione suppletiva”, che opera qualora sia necessario ampliare l’ambito della prima consegna e consentire l’esecuzione di titoli relativi a reati commessi in precedenza, superando, in tal modo, il vincolo costituito dal principio di specialità.
Sulla configurazione del rapporto con la precedente richiesta di estradizione un’autorevole dottrina osserva che, a differenza di quanto può trasparire dalla denominazione ricevuta nel codice (art. 710 cod. proc. pen.), l’estensione dell’estradizione presuppone una nuova domanda di estradizione e non un puro e semplice operare della prima concessione anche con riferimento al fatto diverso. I tratti caratterizzanti l’istituto, dunque, non consentono di individuarvi una fattispecie ancillare ovvero una mera appendice esecutiva della precedente procedura, ma ne disegnano – come del resto si verifica anche nelle contigue ipotesi della riestradizione (art. 711 cod. proc. pen.) e del transito (art. 712 cod. proc. pen.) – un procedimento autonomo, pur se logicamente collegato a quello della estradizione principale. Il procedimento di estradizione suppletiva si instaura a seguito di una nuova domanda di estradizione, che non solo viene presentata, dopo la consegna dell’estradato, da parte dello stesso Stato che l’ha ottenuta, ma ha altresì ad oggetto un fatto anteriore alla consegna e diverso da quello per il quale l’estradizione è già stata concessa.
Si tratta, quindi, di una richiesta di estensione di effetti della precedente estradizione attraverso una nuova domanda, con la quale si sollecita lo Stato richiesto ad esprimere il suo consenso al fine di eliminare i limiti – oggettivamente derivanti dal principio di specialità dell’estradizione – che sono imposti alla giurisdizione dello Stato richiedente e che sono da quest’ultimo accettati con il precedente esito positivo della procedura. Il ricorso al procedimento di estensione costituisce, dunque, lo strumento convenzionalmente previsto ed accettato per ottenere, nel rispetto del principio di specialità, lo scopo che altrimenti potrebbe raggiungersi solo attraverso una sua violazione. Una ulteriore conferma di tale impostazione si ricava dalla stessa formulazione lessicale della disposizione di cui all’art. 710 cit. che, nel disciplinare in linea generale le forme dell’istituto, sia pure sul versante dell’estradizione passiva, prevede la presentazione di una “nuova domanda di estradizione” dopo la consegna dell’estradato, non un puro e semplice operare della prima concessione anche in relazione ad un fatto diverso e anteriore.
La procedura estensiva, infatti, si modella in via di principio sulle stesse regole – “in quanto applicabili” – che operano per l’originaria domanda di estradizione formulata in via ordinaria, ma contempla alcune deroghe, poiché il giudizio davanti alla corte d’appello si svolge in assenza della persona interessata dalla nuova domanda di estradizione e presuppone che alla nuova domanda vengano allegate le dichiarazioni rese dinanzi ad un giudice dello Stato richiedente dall’interessato, sì da consentirgli di esprimersi in ordine alla richiesta di estensione. Inoltre, non si fa neppure luogo al giudizio se l’estradato, con le sue dichiarazioni, presta il consenso alla richiesta estensiva.
Costituisce, peraltro, un’ipotesi diversa quella relativa alla domanda aggiuntiva di estradizione, che viene generalmente distinta dalla estensione dell’estradizione, in quanto presuppone la non avvenuta estradizione per un reato oggetto di una domanda precedentemente presentata, laddove la richiesta di estensione presuppone l’avvenuta consegna in estradizione a fronte di un petitum precedentemente formulato per altro reato anteriormente commesso rispetto a tale consegna.
V’è altresì da osservare, al riguardo, che, a seguito della riforma del Libro XI del codice di procedura penale operata dal d.lgs. 3 ottobre 2017, n. 149, l’istituto della estensione dell’estradizione è stato per la prima volta disciplinato anche nell’ambito della procedura di estradizione attiva. Attraverso la nuova disposizione di cui all’art. 721-bis cod. proc. pen. – inserita nel tessuto codicistico dall’art. 5, comma 1, lett. c), d.lgs. cit. – si consente infatti l’emissione di un’ordinanza cautelare non esecutiva e strumentale al perfezionamento della procedura estradizionale suppletiva attivata con una richiesta appositamente inviata allo Stato estero, senza che le relative cadenze procedimentali dell’istituto divergano dal modello generale delineato, nei suoi contenuti essenziali, dalla richiamata disposizione di cui all’art. 710. L’autonomia della procedura di estradizione suppletiva, in definitiva, impone di mantenerne separati i presupposti, i contenuti e gli obiettivi da quelli propri della procedura ordinaria di estradizione, senza che le forme o le condizioni che caratterizzano la progressione dell’una possano refluire sulla intervenuta definizione dell’altra.
- Analoga autonomia, sul piano sia procedimentale che valutativo, prevede altresì la disposizione, specificamente applicabile nel caso di specie, di cui all’art. 14, par. 1, lett. a), della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, al fine di superare il limite derivante dall’applicazione del principio di specialità.Ora, nel delineare le eccezioni opponibili alla regola della specialità, la norma pattizia prevede espressamente l’ipotesi del consenso manifestato dallo Stato parte che abbia già provveduto alla consegna e che dovrà in seguito pronunziarsi, ai sensi dell’art. 14, par. 1, “per un fatto qualsiasi anteriore alla consegna che non sia quello che ha dato luogo all’estradizione”. In tal caso, infatti, si prevede che una “domanda sarà presentata a tale scopo, corredata degli atti previsti nell’articolo 12 e di un processo verbale giudiziario contenente le dichiarazioni dell’estradato.
Questo consenso sarà dato quando il reato per il quale è chiesto implica l’obbligo dell’estradizione conformemente alla presente Convenzione”. La disposizione di cui all’art. 14, par. 1, lett. a), dunque, nel ritenere necessaria una nuova domanda per ottenere il consenso dello Stato che ha concesso l’estradizione, richiama la norma generale prevista dall’art. 12 della Convenzione, che a sua volta contiene la disciplina della originaria richiesta di estradizione, regolandone la forma, il contenuto e le modalità di documentazione e trasmissione. Per la estensione dell’estradizione la richiamata norma pattizia prevede, pertanto, la presentazione di una domanda ad hoc, accompagnata da una specifica documentazione e finalizzata ad un ben preciso risultato, rappresentato dall’ampliamento della già concessa estradizione in relazione ad una diversa causa petendi.
- Considerazioni analoghe devono altresì svolgersi in ordine alle forme esecutive degli adempimenti materiali relativi alla consegna rimandata (rinviata) o condizionata, che possono verificarsi in seguito alla definizione della procedura estradizionale, secondo quanto previsto dall’art. 19 della suddetta Convenzione.
Secondo tale norma, infatti, lo Stato richiesto potrà, “dopo avere deciso sulla domanda di estradizione”, rinviare la consegna della persona richiesta, affinché possa essere da esso perseguita o, se è già stata condannata, affinché possa espiare sul suo territorio una pena irrogatale per un fatto diverso da quello per il quale l’estradizione è domandata (par. 1). Invece di rinviare la consegna, inoltre, la medesima disposizione prevede che lo Stato richiesto possa consegnare temporaneamente allo Stato richiedente la persona richiesta alle condizioni che saranno stabilite di comune accordo fra le Parti (par. 2). Ne deriva che alla concessione dell’estradizione non necessariamente consegue, senza soluzione di continuità, la materiale consegna dell’estradato allo Stato richiedente, secondo le forme e i tempi disciplinati dall’art. 18 della richiamata Convenzione.Sia il rinvio della consegna che la consegna temporanea, accompagnata dalla possibile apposizione di condizioni concordate di comune intesa fra le Parti, presuppongono, peraltro, che sulla domanda di estradizione lo Stato richiesto abbia già deciso.
Si tratta, dunque, di alternative modali della procedura di consegna, intesa quale adempimento materiale successivo alla concessione dell’estradizione, che può come tale presentare diverse connotazioni in sede esecutiva, a seconda delle esigenze, repressive o di altra natura, proprie degli Stati parte: esigenze che variano a seconda della peculiarità del caso e che, proprio attraverso la apponibilità di determinate condizioni, possono trovare in concreto il loro soddisfacimento sulla base di un bilanciato apprezzamento dei rispettivi interessi. Nella prospettiva ora delineata, l’estradizione temporanea o condizionata implica che lo Stato interessato dovrà procedere al materiale adempimento della consegna non appena la presenza della persona richiesta non sia più necessaria ai fini della celebrazione del processo all’interno del proprio ordinamento.
La norma pattizia, in altri termini, introduce chiaramente una attenuazione della facoltà di differimento che sussiste in deroga all’obbligo di estradizione e che non è a sua volta concepibile, quindi, se non in relazione alla comune assunzione di tale obbligo, lasciando al contempo ai singoli Stati parte la piena libertà di valutare l’opportunità o meno del differimento. Lo schema seguito dalla Convenzione europea di estradizione del 1957 viene significativamente replicato in numerose fonti pattizie bilaterali, prevedendosi per lo più la facoltà, non l’obbligo, del differimento in relazione alla specificità delle diverse situazioni concrete.
A mero titolo esemplificativo possono menzionarsi, al riguardo: a) l’art. 10 della Convenzione di estradizione con la Repubblica Argentina del 9 dicembre 1987, ratificata con I. 19 febbraio 1992, n. 219; b) l’art. 8 del Trattato di estradizione con l’Australia del 26 agosto 1985, ratificato con I. 2 gennaio 1989, n. 12; c) l’art. XIII del Trattato con il Canada del 6 maggio 1981, ratificato con I. 22 aprile 1985, n. 158; d) l’art. 12 del Trattato con il Paraguay del 19 marzo 1997, ratificato con I. 27 gennaio 2000, n. 14). Cadenze non dissimili, del resto, caratterizzano l’articolazione procedimentale configurata dalla stessa normativa codicistica (art. 709 cod. proc. pen.), là dove, sempre in seguito alla decisione sulla domanda di estradizione, si prevedono sia la sospensione della consegna (in forma di obbligo anziché di mera facoltà) che una consegna temporanea allo Stato richiedente, rimettendo la relativa facoltà al Ministro della giustizia, che vi provvederà dopo aver sentito l’autorità giudiziaria competente per il procedimento in corso nello Stato o per l’esecuzione della pena, concordando successivamente modalità e termini della consegna con le autorità dell’altro Stato.,
- Indefinitiva, una volta consegnata alle autorità dello Stato richiedente la persona oggetto della relativa domanda, il procedimento di estradizione, anche nella sua appendice propriamente esecutiva, deve considerarsi ormai esaurito. Ciò non esclude ovviamente la presenza, secondo le specifiche previsioni al riguardo dettate dalle fonti convenzionali, di un eventuale obbligo di riconsegna una volta che siano cessate le esigenze – legate alla definizione del procedimento interno ovvero all’espiazione della pena irrogata per il fatto diverso – in vista delle quali si sia proceduto alla consegna temporanea.
Dall’autonomia delle diverse domande estradizionali che possono essere in concreto attivate nei confronti della medesima persona – non importa se in via ordinaria o estensiva – discende che la condizione apposta in relazione al provvedimento terminativo dell’una non può esercitare alcuna incidenza sul provvedimento che definisce l’altra.
E’ peraltro evidente, nella prospettiva logico-sistematica e teleologica propria della normativa estradizionale, che una condizione può essere validamente apposta dallo Stato estero, e ritualmente accettata dal Ministro della giustizia ai sensi dell’art. 720, comma 4, cit., solo in vista della concessione dell’estradizione ( per concedere l’estradizione….), dunque ai fini del definitivo accoglimento della domanda, non certo quando la relativa procedura si sia conclusa e le finalità – processuali o esecutive – per le quali essa è stata concessa siano state – come nel caso in esame – ormai definitivamente raggiunte.
- Inconclusione, la questione posta dall’ordinanza di rimessione va risolta enunciando il seguente principio di diritto: «La commutazione dell’ergastolo in attuazione di una condizione apposta in un provvedimento di estensione dell’estradizione, adottato da uno Stato estero il cui ordinamento non ammette la pena perpetua, esplica i suoi effetti soltanto in relazione alla pena oggetto della condizione, nell’ambito della relativa procedura di estensione, senza operare con riguardo ad altra pena dell’ergastolo – oggetto di cumulo con la prima – irrogata con una condanna per la cui esecuzione sia stato in precedenza emesso altro provvedimento di estradizione non condizionato».
- Alla stregua del principio di diritto sopra enunciato può ora procedersi all’esame dei motivi dedotti a sostegno del ricorso.
11.1. Logicamente preliminare all’esame di tali motivi deve ritenersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso, prospettata dal Procuratore generale sul rilievo che la questione reiterata dal ricorrente in sede esecutiva era stata già vagliata e respinta nell’ambito del relativo giudizio di merito.
Con la sentenza n. 44488 del 1 dicembre 2010 questa Corte ha definito il procedimento penale, relativo al reato di omicidio aggravato e ad altri fatti di reato commessi dal ricorrente in Casal di Principe il 19 marzo 1994, per il quale le autorità spagnole avevano concesso la prima estradizione senza apporvi alcuna condizione in merito all’applicabilità della pena dell’ergastolo. Con tale decisione veniva rigettato il motivo di ricorso con il quale si era prospettata l’illegalità della pena dell’ergastolo e si sottolineava, per un verso, l’assenza nel fascicolo processuale degli atti giudiziari di riferimento invocati dal ricorrente, e, per altro verso, il fatto che il provvedimento con il quale l’autorità spagnola aveva deliberato la concessione dell’estradizione non aveva posto alcuna condizione, affermando infine che l’eventuale illegalità dell’ergastolo avrebbe potuto comportare, in ogni caso, non la nullità della sentenza, ma l’eseguibilità della pena solo fino al limite temporale concesso dallo Stato estero.
Ciò premesso, la richiamata eccezione deve ritenersi infondata, poiché la questione posta dalla Sezione rimettente è diversa da quella vagliata nel giudizio ordinario, segnalandosi la presenza di un contrasto in ordine alle modalità di determinazione della pena complessiva in sede di cumulo, nelle ipotesi in cui non tutte le pene detentive per la cui esecuzione è stata richiesta ed accolta l’estradizione siano accompagnate da una condizione posta dallo Stato estero.
Così come prospettata, infatti, la questione non è limitata solo alla verifica delle conseguenze derivanti, in punto di legalità della pena dell’ergastolo irrogata per un determinato fatto di reato, dalla omessa apposizione di una condizione all’interno della relativa procedura estradizionale, ma tende a stabilire i limiti di efficacia, e in particolare la potenzialità espansiva in sede di formazione del cumulo, di una condizione di commutazione della pena dell’ergastolo in pena temporanea, ossia a verificare se tale condizione possa estendersi o meno, ed in quali forme, alla pena complessiva come determinata nel cumulo in sede esecutiva, quando in un’altra procedura di estradizione l’esecuzione di quella medesima pena non sia stata accompagnata dall’apposizione di analoga condizione. Al riguardo, pertanto, nessuna preclusione può ritenersi formata per effetto del giudicato intervenuto in sede di cognizione.
11.2. Infondate devono ritenersi le censure dedotte con il primo motivo di ricorso, atteso che nell’ambito della prima procedura di estradizione non è stata posta alcuna condizione dalle autorità spagnole in ordine alla esecuzione della pena dell’ergastolo. Con l’ordinanza del 23 aprile 1999 l’Audiencia Nacional, dopo aver richiamato i precedenti provvedimenti con i quali era stata, rispettivamente, dichiarata l’ammissibilità dell’estradizione e concessa la consegna del De Falco alle autorità ( italiane, si limitava, su richiesta di queste ultime, a disporre, ai sensi dell’art. 19 della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, la consegna temporanea della persona richiesta, affinché venisse dapprima giudicata in Italia e poi riconsegnata alla Spagna, sì da poter essere ivi giudicata ed espiare, se del caso, la pena oggetto della pronuncia di condanna eventualmente emessa nei suoi confronti. Un provvedimento, quello testé richiamato, che regolava il profilo meramente esecutivo della consegna della persona estradata, in quanto presupponeva l’intervenuta definizione positiva del procedimento estradizionale e mirava a soddisfare, sulla base di una facoltà rimessa alla discrezionalità dello Stato richiesto e alla luce delle condizioni da determinare di comune intesa fra gli Stati Parti, le concorrenti esigenze legate all’attuazione degli interessi giurisdizionali nei rispettivi ordinamenti.
Al riguardo, in particolare, l’ordinanza impugnata ha correttamente osservato come, nell’adottare il richiamato provvedimento, l’autorità spagnola abbia espressamente considerato la precedente decisione positiva assunta in merito alla richiesta di estradizione, limitandosi poi ad esprimere un parere favorevole alla consegna temporanea del De Falco, in conformità alle previsioni della norma pattizia di cui all’art. 19. Sotto tale profilo, invero, si è già avuto modo di rilevare come la possibilità di fare ricorso alla consegna condizionata intervenga nella fase meramente esecutiva della relativa procedura e necessariamente presupponga una statuizione decisoria favorevole dello Stato richiesto in ordine alla domanda di estradizione, sicché non può intravedersi alcuna ipotesi di “fattispecie a formazione progressiva” con riferimento all’adozione del successivo, e del tutto autonomo, provvedimento di estensione dell’estradizione in data 4 ottobre 2004.
Si è dinanzi, infatti, a provvedimenti giurisdizionali non interdipendenti, ma adottati dalle autorità dello Stato richiesto in momenti e per fatti di reato diversi, fra loro non collegati e oggetto di autonome e diverse domande estradizionali. Con il provvedimento emesso il 4 ottobre 2004 l’Audiencia Nacional, dopo aver richiamato sia l’estradizione già concessa in via ordinaria con l’ordinanza del 14 luglio 1998 che la susseguente consegna temporanea alle autorità italiane lungo l’intero arco temporale ricompreso fra il 14 aprile 2000 ed il 26 gennaio 2004, ha accolto la nuova richiesta, subordinando la concessione dell’estradizione in estensione per i fatti commessi dal ricorrente in Cascais il 6 marzo 1991 alla condizione che, nel caso gli venisse irrogata la pena dell’ergastolo, non ne derivasse “inevitabilmente la privazione della libertà per tutta la vita”. Condizione, questa, che le autorità spagnole hanno considerato “accettata con la stessa accettazione della persona richiesta” da parte della autorità italiane, contestualmente differendone, anche in tal caso, la consegna a soddisfatta giustizia interna.
La presenza della richiamata condizione, peraltro, non può in concreto esercitare alcuna incidenza sul precedente, e del tutto autonomo, provvedimento di concessione dell’estradizione, che, assunto oltre cinque anni prima, non poneva alcuna condizione allo Stato richiedente in relazione alla pena irrogata per i fatti di reato oggetto della prima domanda, preoccupandosi di assicurare soltanto la possibilità della riconsegna del ricorrente per la celebrazione del processo dinanzi alle autorità spagnole per fatti-reato commessi in quello Stato. Corretta, dunque, deve ritenersi, sotto tale profilo, l’affermazione dall’ordinanza impugnata secondo cui alcun effetto retroattivo di eterointegrazione del contenuto del primo provvedimento estradizionale può riconoscersi alla condizione apposta in relazione al secondo provvedimento di estensione dell’estradizione.
Per tali ragioni, dunque, l’ordinanza impugnata deve ritenersi correttamente argomentata là dove ha deciso di accogliere, esclusivamente in relazione ai fatti oggetto della sentenza della Corte di assiste di Santa Maria Capua Vetere del 8 luglio 2009 (divenuta irrevocabile il 27 marzo 2012), l’istanza presentata dal ricorrente in sede esecutiva, sia pur avendo erroneamente disposto, al contempo, la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella di anni trenta di reclusione. La condizione al riguardo posta dallo Stato estero non aveva previsto, infatti, alcun obbligo di sostituzione con una pena temporanea, ma soltanto quello di evitare – come puntualmente posto in rilievo nell’ordinanza di rimessione – che l’esecuzione della pena dell’ergastolo, legittimamente irrogata, potesse sostanziarsi, nei fatti, nella privazione della libertà per tutta la vita, “….senza quindi che l’esecuzione fosse regolata in modo tale da sottrarre la pena detentiva perpetua alla inevitabilità di una restrizione carceraria per l’intera vita”.
Nei termini in cui era stata formulata, dunque, la condizione in esame richiedeva semplicemente che la pena dell’ergastolo potesse essere rivista e non comportasse necessariamente la reclusione a vita. La sua apposizione da parte dello Stato estero, a ben vedere, non richiede nulla di più o di diverso da quanto sia già previsto nell’ordinaria disciplina italiana dell’ergastolo, che, come è noto, contempla la possibilità che il condannato fruisca: a) di permessi-premio dopo l’espiazione di almeno dieci anni; b) del regime di semi-libertà dopo l’espiazione di almeno venti anni di pena; c) della liberazione condizionale dopo l’espiazione di almeno ventisei anni di pena.
Al riguardo v’è altresì da osservare che, in relazione al trattamento delle persone condannate per i reati di cui all’art. 4-bis, comma 1, ord. pen., l’attuale quadro normativo tende ad evolversi nella prospettiva di una regolamentazione più completa e coerente con i principi costituzionali, dopo che la Corte costituzionale si è pronunciata al riguardo, con ordinanza n. 97 del 11 maggio 2021, rinviando di un anno la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di cassazione con ordinanza del 3 giugno 2020, in modo da attribuire al Parlamento un congruo periodo di tempo per affrontare le numerose questioni problematiche inerenti alla disciplina in esame, riservandosi “di verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte”. Con la richiamata ordinanza, infatti, questa Corte aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 -bis, comma 1, e 58 -ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché dell’art. 2 del dl. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, nella parte in cui escludono che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato all’ergastolo per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416- bis cod. pen., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia.
11.3. Nessun rilievo al fine qui considerato può attribuirsi al provvedimento, adottato dall’autorità giudiziaria spagnola in data 26 dicembre 2019, con il quale è stata integrata la parte dispositiva del decreto di estradizione a suo tempo emesso in data 14 luglio 1998, aggiungendovi la richiamata clausola secondo cui “La consegna sarà condizionata al presupposto che, nel caso dovesse essere inflitta al reclamato Nunzio De Falco, la pena dell’ergastolo, questa sia soggetta a revisione, in modo che non comporti la privazione della libertà inevitabilmente a vita”.
Dall’adozione di tale provvedimento, emesso a procedura estradizionale ormai definitivamente conclusa e in una fase in cui l’esecuzione della pena irrogata dall’autorità giudiziaria italiana era in corso da tempo, non può derivare alcun effetto giuridico nei confronti della competente autorità dello Stato richiedente, che può assumere le determinazioni al riguardo previste dall’art. 720, comma 4, cod. proc. pen. solo in una fase prodromica alla concessione dell’estradizione, dunque ai fini del definitivo accoglimento della relativa domanda, non certo quando tale procedura si sia già esaurita in senso favorevole per lo Stato richiedente. Nella medesima prospettiva, del resto, risulta, dalla richiamata nota informativa trasmessa dal Ministro della giustizia in data 22 marzo 2021, che in relazione al provvedimento adottato dall’autorità spagnola in data 26 dicembre 2019 non è stata assunta alcuna determinazione ai sensi dell’art. 720 comma 4 cit. e che, nel caso in esame, l’esercizio del potere da tale disposizione attribuito al Ministro sarebbe stato, comunque, precluso dall’ultraventennale lasso di tempo trascorso tra l’originario provvedimento di estradizione e il provvedimento – emesso peraltro da un’autorità giudiziaria, anziché governativa – che ha successivamente apposto la condizione alla consegna.
- Parimenti infondata deve ritenersi la seconda censura, incentrata dal ricorrente sulle modalità di formazione del cumulo delle pene in sede esecutiva.
12.1. Nel nostro ordinamento, come è noto, l’art. 663 cod. proc. pen. attribuisce al pubblico ministero il potere di determinare la pena da eseguire, allorquando la stessa persona sia stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi, in conformità alla regola dettata dall’art. 80 cod. pen., ove si stabilisce che l’applicazione delle norme sul concorso delle pene (artt. 72 ss. cod. pen.) avviene in fase esecutiva se non si è provveduto con le sentenze di merito.
Da tale disciplina discende la formazione di un titolo esecutivo unico, rappresentato dal provvedimento di “cumulo”, nel quale sono ricomprese tutte le pene da espiare, in modo da evitarne il frazionamento in singoli provvedimenti esecutivi gestiti da uffici diversi del pubblico ministero. Entro tale prospettiva, questa Corte ha affermato che il principio dell’unità delle pene concorrenti si ispira, da un lato, all’esigenza di assicurare una corretta realizzazione della pretesa punitiva e, dall’altro, a quella di evitare al condannato un possibile pregiudizio derivante dall’autonoma e distinta esecuzione delle pene inflitte per una pluralità di reati (Sez. 1, n. 26270 del 23/04/2004, Di Bella, Rv. 228138).
Nel caso in cui venga adottato un provvedimento di unificazione di pene concorrenti vige, infatti, il principio della unitarietà della esecuzione, per cui tutte le pene della stessa specie vengono eseguite contemporaneamente come pena unica (Sez. 1, n. 2590 del 11/12/2020, dep. 2021, Bitri Migena, Rv. 280650; Sez. 1, n. 23571 del 06/05/2008, Conti, Rv. 240129), mentre l’ordinamento non prevede in alcun modo un possibile ordine di espiazione delle sanzioni detentive quando ricomprese nell’ambito di una esecuzione cumulata (Sez. 1 n. 3577 del 24/05/1996, La Padula, Rv. 205486; Sez. 1, n. 2469 del 27/05/1992, Indolfi, Rv. 191275; Sez. 1, n. 566 del 06/02/1992, Di Laura, Rv. 189612) Analogamente, non si ritiene possibile lo scioglimento del cumulo in modo da riscontrare l’intervenuta estinzione per prescrizione di una delle pene ricondotte ad unità mentre è in corso l’esecuzione del cumulo stesso (Sez. 1, n. 12033 del 14/02/2013, Vitale, non mass.; Sez. 1, n. 23571 del 6/5/2008, Conti, cit.).
Se l’operazione di scioglimento del cumulo è consentita al fine di concedere al condannato l’accesso a benefici quali l’indulto o gli istituti di diritto penitenziario, non altrettanto può disporsi per stabilire un ordine nell’esecuzione delle pene, tutte comprese nel cumulo, così da consentire la prescrizione di alcune di esse nel corso della esecuzione cumulata (Sez. 1, n. 2590 del 11/12/2020, dep. 2021, Bitri Migena, cit.).
Il principio dell’unità del rapporto esecutivo si riflette sulla eventuale applicazione del criterio moderatore previsto in linea generale dall’art. 78 cod. pen. e viene derogato solo qualora, durante l’espiazione di una determinata pena o dopo che l’esecuzione di quest’ultima sia stata interrotta, il condannato commetta un nuovo reato (Sez. 1, n. 13985 del 25/02/2020, Del Cecato, Rv. 278939, Sez. 1, n. 32896 del 30/06/2014, Facella, Rv. 261197), dovendosi in tal caso procedere alla formazione di cumuli parziali. Il calcolo unitario delle pene concorrenti presuppone, pertanto, la loro integrale cumulabilità, che è possibile quando le pene si riferiscono a reati commessi in epoca antecedente all’inizio della esecuzione di una di esse (Sez. 5, n. 50135 del 27/11/2015, Broegg, Rv. 265966).
Vanno peraltro inserite, all’interno del cumulo, non solo tutte le pene che non risultino ancora espiate alla data di commissione dell’ultimo reato, ma anche quelle già espiate che comunque possano avere un riflesso sul criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen. o sul cumulo materiale, anche in vista della maturazione dei requisiti temporali per l’ammissione ad eventuali benefici penitenziari (Sez. 1, n. 20207 del 27/03/2018, Tasca, Rv. 273141).
12.2. La su esposta disciplina ordinaria del cumulo materiale trova la sua regolamentazione negli artt. 73, primo comma, e 80 cod. pen., cui fa integrale rinvio la disposizione prevista dall’art. 663 cit. Tale disciplina viene tuttavia derogata nelle specifiche ipotesi – comunemente definite di cumulo “giuridico” – cui fanno riferimento gli artt. 72, 73, secondo comma, e 78 cod. pen. Le deroghe al cumulo materiale delle pene, previste per la fase del giudizio dagli artt. 72 ss. cod. pen., si applicano, infatti, secondo quanto stabilito nella disposizione di cui all’art. 80 cit., anche nella fase della esecuzione delle pene.
Nel caso in esame viene in rilievo la deroga riguardante l’ipotesi del concorso di reati che importano la pena dell’ergastolo e di reati che importano pene detentive temporanee: nel ricorrere di tali evenienze, l’art. 72 cit. prevede che il giudice aggiunge alla pena perpetua quella dell’isolamento diurno per un periodo di tempo compreso fra sei mesi e tre anni, ovvero fra due e diciotto mesi, a seconda che il cumulo abbia ad oggetto, rispettivamente, più delitti ciascuno dei quali importa la pena dell’ergastolo (primo comma), ovvero un delitto che importa la pena dell’ergastolo ed uno o più delitti che importano pene detentive temporanee per un tempo complessivo superiore a cinque anni (secondo comma).L’impossibilità di prolungare la pena perpetua con l’irrogazione di un secondo ergastolo, ovvero di una ulteriore pena detentiva di carattere temporaneo, obbliga il sistema penale a derogare al principio del cumulo materiale in favore di una previsione sanzionatoria autonoma, improntata ad una mitigazione della complessiva gravità della pena attraverso la determinazione in misura variabile della sanzione aggiuntiva dell’isolamento diurno.
Una deroga, questa, la cui ratio giustificatrice, all’interno della unità del rapporto esecutivo, è ispirata alla medesima logica di “contenimento” che connota l’applicazione del criterio moderatore previsto dall’art. 78 cit. nel caso di concorso di reati che importano l’irrogazione di pene detentive temporanee o pecuniarie della stessa specie (art. 73 cod. pen.), ovvero di pene temporanee detentive di specie diversa (art. 74 cod. pen.).
Il principio della unitarietà dell’esecuzione, per cui tutte le pene vengono eseguite contemporaneamente come pena unica, non si sovrappone, tuttavia, snaturandone la ratio e le finalità, agli effetti prodotti nell’ordinamento dalla positiva definizione di una procedura estradizionale attivata dallo Stato nel quadro di una normativa convenzionale che impone l’assolvimento di ben precisi obblighi internazionali di collaborazione giudiziaria con gli Stati parte. Le modalità di applicazione di tale principio, infatti, non comportano alcuna mutazione o alterazione delle caratteristiche genetiche del titolo da cui ha tratto origine la pena detentiva poi confluita nel cumulo.
Al riguardo, si è già avuto modo di osservare che la commutazione dell’ergastolo in pena temporanea, in attuazione di una condizione apposta dallo Stato estero soltanto in relazione ad uno dei provvedimenti estradizionali, esplica i suoi effetti limitatamente all’ergastolo oggetto della decisione di condanna assunta dall’autorità giudiziaria italiana in virtù del positivo epilogo di quella procedura estradizionale e non ha rilievo sulle altre pene dell’ergastolo irrogate in forza di condanne per la cui esecuzione siano stati richiesti ed emessi altri, non condizionati, provvedimenti di estradizione.
La pena dell’ergastolo cui accede la condizione – convertita, come si è visto, in una pena temporanea di anni trenta – confluisce in sede esecutiva con l’altra, di eguale natura, interessata da un provvedimento di estradizione non condizionato, dando luogo all’applicazione di una pena perpetua accompagnata dalla misura dell’isolamento diurno per effetto della regola del cumulo di cui all’art. 72, secondo comma, cit., valendo soltanto sulla prima di esse l’effetto commutativo. Ne discende che, operata siffatta commutazione in pena detentiva temporanea, la successiva necessaria confluenza con l’altra, che mantiene la sua originaria natura di pena perpetua, determina l’esecuzione della pena dell’ergastolo (nel caso di specie con isolamento diurno per un periodo da due a diciotto mesi ai sensi dell’art. 72, secondo comma, cit., stante la temporaneità superiore a cinque anni della pena commutata), senza alcun temperamento obbligato di temporaneità della pena complessiva risultante dal cumulo.