Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 30 luglio 2021 n. 21985
PRINCIPIO DI DIRITTO
I decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno sono reclamabili ai sensi dell’art. 720 bis comma 2 c.p.c. unicamente dinanzi alla corte d’appello, quale che sia il loro contenuto (decisorio ovvero gestorio).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Preliminarmente ritiene la Corte di dover affermare l’ammissibilità del regolamento di competenza richiesto d’ufficio dalla Corte d’Appello di Catania. A tal fine, non rileva in senso contrario la circostanza che il Tribunale, inizialmente adito come giudice del reclamo, abbia dichiarato l’inammissibilità del reclamo stesso, trattandosi di pronuncia che appare motivata unicamente in ragione della riscontrata incompetenza in favore della Corte d’Appello. Giova a tal fine il richiamo al principio affermato da questa Corte secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 15463/2020) l’impugnazione proposta davanti al giudice incompetente, anche nell’ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione, non è inammissibile, in quanto comunque idonea a instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della “translatio iudicii”; ne consegue che, avverso il provvedimento che erroneamente dichiari l’inammissibilità dell’impugnazione, è esperibile il rimedio del regolamento necessario di competenza, trattandosi peraltro di piana applicazione, estesa alla materia della cd. volontaria giurisdizione, dei principi affermati da Cass. S.U. n. 18121/2016, che ha precisato che l’appello proposto davanti ad un giudice diverso, per territorio o grado, da quello indicato dall’art. 341 c.p.c. non determina l’inammissibilità dell’impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della “translatio iudicii” (in senso conforme proprio in relazione alla disciplina dell’amministrazione di sostegno, si veda Cass. n. 784/2017, a mente della quale la dichiarazione di inammissibilità del reclamo da parte del giudice dell’appello ha natura di dichiarazione di incompetenza, con conseguente prosecuzione del giudizio davanti al competente tribunale in composizione collegiale attraverso il meccanismo della “translatio iudicii”).
Inoltre, come condivisibilmente sottolineato nell’ordinanza interlocutoria, pur aderendo alla tesi restrittiva che nega la ricorribilità in Cassazione dei provvedimenti che abbiano deciso sul reclamo avverso decreti del giudice tutelare di carattere cd. gestorio, tale conclusione non è preclusiva della ammissibilità del regolamento di competenza d’ufficio, che, in quanto strutturato come strumento volto a sollecitare l’individuazione del giudice naturale precostituito per legge al quale compete la trattazione dell’affare, può essere richiesto anche nel caso in cui l’atto che vi abbia dato luogo non sia ricorribile per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (cfr., proprio in relazione all’amministrazione di sostegno, Cass. n. 32071/2018).
- La Corte d’Appello di Catania, a fronte della declaratoria di inammissibilità (equipollente, per quanto detto, ad una declaratoria di incompetenza) del Tribunale di Siracusa, che ha ritenuto che il provvedimento con il quale si individua la persona dell’amministratore di sostegno, senza però contestare l’effettiva necessità della procedura, dubita che possa ravvisarsi la propria competenza, facendo a tal fine richiamo alla prevalente giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto che i provvedimenti del giudice tutelare in materia di amministratore di sostegno aventi carattere cd. gestionale siano si reclamabili, ma al Tribunale in composizione collegiale, essendo riservati alla cognizione della Corte d’Appello, come appunto prescritto dall’art. 720 bis co. 2 c.p.c., solo i reclami avverso i provvedimenti con i quali si disponga l’apertura, la chiusura o la proroga dell’amministrazione di sostegno, e cioè quei medesimi provvedimenti per i quali, ai sensi del comma 3, sarebbe data la possibilità del ricorso per cassazione.
- La Sesta Sezione con l’ordinanza interlocutoria n. 7833 del 26 agosto 2020, ha ricordato che sulla questione oggetto di remissione per un decennio si era consolidato un orientamento secondo il quale la previsione della reclamabilità in appello del decreto del giudice tutelare, di cui al comma 2 dell’art. 720-bis c.p.c., era ritenuta limitata ai soli provvedimenti del giudice tutelare aventi natura decisoria (i provvedimenti di apertura e di chiusura dell’amministrazione, assimilabili, per loro natura, alle sentenze di interdizione e di inabilitazione) e, come tali, “idonei ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus”. In ogni altro caso, vale a dire per tutti i provvedimenti di natura meramente ordinatoria ed amministrativa, sempre modificabili e revocabili in base ad una rinnovata valutazione degli elementi acquisiti, non incidenti sullo status o sui diritti fondamentali del beneficiario, in quanto attinenti solo alla gestione concreta dell’amministrazione di sostegno (i decreti riguardanti le modalità di attuazione della tutela e la concreta gestione del patrimonio del beneficiario, fra cui anche quelli di designazione, revoca e sostituzione dell’amministratore), restava la competenza generale del tribunale in composizione collegiale prevista per tutti i procedimenti del Giudice tutelare dall’art. 739 c.p.c. (così Cass. 12.12.2018, n. 32071, Cass. 28.9.2017, n. 22693; Cass. 13.1.2017, n. 784; Cass. 29.10.2012, n. 18634).
Tale distinzione opererebbe poi non soltanto in relazione all’individuazione del giudice competente per il reclamo, ma anche in ordine alla proponibilità del ricorso per cassazione ex art. 720-bis, comma 3, c.p.c avverso il provvedimento emesso in tale sede. Siffatta conclusione troverebbe il supporto dell’interpretazione letterale della norma, in quanto il comma 2 dell’art. 720-bis c.p.c. prevede il reclamo alla corte d’appello “del decreto del giudice tutelare”, dove il fatto che il legislatore abbia utilizzato la parola “decreto” al singolare starebbe ad indicare “che proprio e solo del decreto sull’an della procedura si tratta”.
Avuto riguardo alla ratio della disposizione di legge, invece, le particolari garanzie dell’appello e del ricorso per cassazione sarebbero limitate ai soli provvedimenti di apertura, di rigetto, di chiusura e di proroga dell’amministrazione, in quanto si tratterebbe dei soli provvedimenti destinati ad incidere sui diritti fondamentali e sulla capacità di agire della persona. Infine, l’ordinanza ha ricordato che, sotto il profilo pratico, è stata sottolineata la scarsa efficienza di un sistema che impone il reclamo alla corte d’appello per qualsiasi provvedimento del Giudice tutelare, con aggravio di tempi e di costi del procedimento. Inoltre, a conforto di tale opzione ermeneutica, vi è la “necessità di dare una lettura unitaria dell’art. 720-bis c.p.c., secondo e terzo comma”. Infatti “se il comma terzo enuncia in modo inequivoco la ricorri bilità per cassazione del provvedimento reso in sede di reclamo, non è allora possibile restringere la facoltà del ricorso innanzi al giudice di legittimità ai soli provvedimenti aventi natura decisoria emessi dalla corte d’appello: con la conseguenza che, ammesso ex lege il ricorso per cassazione, finirebbe sempre per doversene, con ogni verosimiglianza, dichiarare l’inammissibilità in quanto involgente questioni di puro fatto.
Onde, si potrebbe concludere, è giocoforza ritenere che alla corte medesima giungano, per via del reclamo, solo i provvedimenti decisori, essendo proprio questa la ratio sottesa alla espressa previsione del comma terzo”. L’ordinanza ha però evidenziato che un contrapposto e più recente orientamento della Corte è emerso con Cass. n. 32409 del 2019, secondo la quale, ai fini dell’individuazione del giudice competente per il reclamo, non assumerebbe alcun rilievo la distinzione tra provvedimenti decisori e provvedimenti gestori del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno, in considerazione della chiara dizione dell’art. 720-bis, comma 2 c.p.c. che prevede che il reclamo debba essere proposto innanzi alla corte d’appello e non al tribunale in qualsiasi caso, atteggiandosi tale articolo come norma speciale e, come tale, prevalente rispetto alla disposizione di carattere generale prevista dall’art. 739 c.p.c. e dall’art. 45 disp. att. c.c.
Secondo tale precedente la distinzione tra provvedimenti decisori e provvedimenti gestori del Giudice tutelare rileverebbe soltanto ai fini della ricorribilità in cassazione ex art. 111 Cost. dei provvedimenti del Giudice tutelare, ma tale paradigma sarebbe stato erroneamente esteso anche al tema della individuazione del giudice competente per il reclamo. L’ordinanza quindi sollecita queste Sezioni Unite a stabilire, in base alla previsione di cui all’art. 720 bis c.p.c., se la competenza sul reclamo della corte d’appello sussista per qualsiasi provvedimento pronunciato dal giudice tutelare con riguardo alla misura dell’amministrazione di sostegno, oppure se tale speciale competenza per l’impugnazione sussista unicamente per i provvedimenti del giudice tutelare aventi natura decisoria, ferma restando per gli altri provvedimenti la competenza del tribunale.
- L‘art. 1 della legge n. 6 del 2004 attribuisce all’amministrazione di sostegno «la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente». E l’art. 404 cod. civ., nel testo modificato da tale legge, precisa che «La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare».
La Corte Costituzionale, chiamata a confrontarsi la prima volta con l’istituto in esame, già con la pronuncia n. 440/2005, ebbe a rilevare che “la complessiva disciplina inserita dalla legge n. 6 del 2004 sulle preesistenti norme del codice civile affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità; e consente, ove la scelta cada sull’amministrazione di sostegno, che l’ambito dei poteri dell’amministratore sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto. Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, estesa per l’inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l’interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria”.
Nonostante la dottrina più sensibile alle tematiche della protezione dell’incapace avesse segnalato l’inadeguatezza dei vecchi e rigidi istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, che si erano rivelati “ontologicamente” inadeguati ad apprestare alle persone affette da disabilità una tutela che consentisse di tener conto della loro situazione personale, relazionale e patrimoniale, diversificando le forme di intervento a seconda delle necessità di ciascuno, essendo data preminenza all’esigenza di salvaguardare il patrimonio e gli interessi della famiglia di origine dell’incapace piuttosto che la cura ed al rispetto dell’individualità della persona, la scelta del legislatore è stata quella di non abolire gli istituti previgenti – sia pure mitigandone gli effetti con alcune modifiche che ne hanno reso possibile, in parte, l’adattamento alla condizione specifica della persona – ma di lasciarli convivere con il nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno, deludendo in parte le attese di quella dottrina che aveva appunto aperto la strada con le proprie riflessioni all’amministrazione di sostegno.
- La commendevole esigenza di armonizzare l’istituto di nuova introduzione e di inserirlo in un già strutturato sistema di tutele, che però aveva mostrato il fiato corto dinanzi alla riscontrata istanza di anteporre la cura della persona a quella del patrimonio, ha impegnato la giurisprudenza di legittimità al fine di offrire una lettura delle norme in grado di soddisfare le dette finalità, pervenendo ad un assetto giurisprudenziale che, come si dirà, ha ricevuto anche una valutazione positiva da parte del giudice delle leggi. E’ stato, infatti, affermato che (cfr. Cass. n. 29981/2020) l’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all’attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido (conf. Cass.n. 12998/2019).
Inoltre, si è precisato che (cfr. Cass. n. 22332/2011) l’amministrazione di sostegno ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 del codice civile. Pertanto rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa, appartenendo all’apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie.
In definitiva, pur essendo prevalente l’esigenza di cura della persona, che di per sé sola legittima il ricorso a tale istituto, in quanto non finalizzato esclusivamente alla tutela degli interessi patrimoniali (cfr. Cass. n. 19866/2018), resta tuttavia insita nella nomina dell’amministratore una potenziale limitazione della capacità del beneficiario, suscettibile di gradazione in ragione dell’esigenza di tutela della persona, ma che può estrinsecarsi anche in limitazioni particolarmente significative, ben potendosi, ad esempio, manifestare anche sotto forma di limite alla capacità di donare (cfr. Cass. n. 12460/2018).
E’ pur vero che, a differenza dell’interdizione e dell’inabilitazione, il provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno non determina uno status di incapacità della persona (Corte Cost. n. 440/2005), a cui debbano riconnettersi automaticamente i divieti e le incapacità che il codice civile fa discendere come necessaria conseguenza della condizione di interdetto o di inabilitato, ma il differente grado di disabilità di cui può essere affetto il beneficiario consente di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, in modo tale da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile a fronte del minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione.
Come sottolineato dal recente intervento del giudice delle leggi (Corte Costituzionale n. 114/2019), le disposizioni in materia di amministrazione di sostegno sono state interpretate in modo da valorizzare tutte le capacità del beneficiario non compromesse dalla disabilità fisica, psichica o sensoriale, sicché ogni limitazione della capacità, pur possibile, deve essere contenuta nel provvedimento di nomina del giudice tutelare, ovvero nelle successive modifiche.
- L‘innesto della novella nel previgente sistema di tutela degli incapaci si è riflesso anche sulla tecnica normativa della quale si è avvalso il legislatore. Nei procedimenti di interdizione e di inabilitazione la decisione assume la forma della sentenza ed è adottata dal Tribunale in composizione collegiale, stante la necessaria partecipazione del Pubblico Ministero, sentenza sottoposta ai mezzi di impugnazione ordinari previsti dall’art. 323 c.p.c. (essendo prevalente in dottrina la conclusione secondo cui si tratterebbe di ipotesi di giurisdizione contenziosa, ovvero di casi paradigmatici di c.d. processi a contenuto oggettivo, ossia di processi volti ad attuare interessi generali o situazioni non soggettivabili che culminano in statuizioni idonee al giudicato), venendo in rilievo la figura del giudice tutelare solo una volta dichiarata l’interdizione o l’inabilitazione, e precisamente nella fase di gestione concreta di tali istituti, provvedendo alla nomina del tutore o del curatore e controllandone e dirigendone l’attività.
Quanto all’impugnabilità dei provvedimenti del giudice tutelare, l’art. 739, comma 1 c.p.c. prevede che “contro i decreti del giudice tutelare si può proporre reclamo con ricorso al tribunale che pronuncia in camera di consiglio. Contro i decreti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio in primo grado si può proporre reclamo con ricorso alla corte d’appello, che pronuncia anch’essa in camera di consiglio” ed al 2° comma che “il reclamo deve essere proposto entro il termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, se è dato in confronto di una sola parte, o dalla notificazione se è dato in confronto di più parti”. Infine, il comma 3 dell’art. 739 prevede che, “salvo che la legge disponga altrimenti, non è ammesso reclamo contro i decreti della corte d’appello e contro quelli del tribunale pronunciati in sede di reclamo”.
Infine, l’art. 45 disp. att. c.p.c. specifica che la competenza a decidere dei reclami avverso i decreti del giudice tutelare, prevista in via generale dall’art. 739 c.p.c., “spetta al tribunale ordinario, quando si tratta dei provvedimenti indicati negli artt. 320, 321, 372, 373, 374, 376 secondo comma, 386, 394, e 395 del codice” mentre la competenza spetta al tribunale per i minorenni in tutti gli altri casi”.
6.1 La legge n. 6 del 2004, per quanto rileva ai fini della questione oggetto della presente decisione, oltre ad inserire nel codice civile al Titolo XII – la cui rubrica è stata rinominata “Delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia” – il nuovo capo I intitolato all’amministrazione di sostegno (artt. 404 – 413), che reca norme sia di carattere sostanziale che processuale, ed ad apportare modifiche, sia sostanziali che processuali, alla disciplina dell’interdizione e dell’inabilitazione (agli artt. 414, 415, 418, 424, 426, 427, 429), ha modificato nel codice di rito l’art. 51 ed inserito il nuovo articolo 720 bis.
Al centro del nuovo istituto è però posto il giudice tutelare che, una volta adito da uno dei soggetti di cui all’art. 406 c.c., provvede, entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta, alla nomina dell’amministratore di sostegno con “decreto motivato immediatamente esecutivo” (art. 405 c. 1), che deve contenere, oltre che l’individuazione dell’amministratore di sostegno e l’indicazione della durata del suo incarico (che può essere sia a tempo determinato che a tempo indeterminato), tutte le prescrizioni idonee a delineare l’ambito all’interno del quale l’amministratore di sostegno dovrà espletare il suo potere di rappresentanza in favore del beneficiario.
Già l’art. 411 c.c. effettua un richiamo a numerose delle norme che disciplinano l’interdizione e l’inabilitazione, e lo stesso avviene, sul versante processuale per effetto del primo comma dell’art. 720 bis c.c., che, facendo sempre salva la clausola di compatibilità, consente l’applicazione all’amministrazione di sostegno anche degli artt. 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c.
6.3 Lo stesso art. 720 bis c.p.c. al comma 2 prevede che “contro il decreto del giudice tutelare è ammesso reclamo alla corte d’appello a norma dell’art. 739” ed al comma 3 che “contro il decreto della corte d’appello pronunciato ai sensi del secondo comma può essere proposto ricorso per cassazione”. La scelta del legislatore di assoggettare l’intero procedimento di amministrazione di sostegno a forme essenzialmente camerali, sia pure temperate dal richiamo a norme espressamente dettate per l’interdizione e l’inabilitazione, ancorchè con il temperamento della clausola di compatibilità, ha alimentato, soprattutto in dottrina, i dubbi circa la natura contenziosa o volontaria della giurisdizione esercitata in materia, dubbi legittimati sia dalla scelta di attribuire il potere decisionale unicamente al giudice tutelare (in passato investito essenzialmente della fase gestionale delle procedure relative a soggetti incapaci), sia dalla espressa previsione del reclamo come rimedio impugnatorio avverso i provvedimenti del giudice tutelare.
Parte della dottrina propende, infatti, per la natura contenziosa del relativo procedimento, valorizzando il rinvio proprio alle norme dettate per l’interdizione e l’inabilitazione, e trae come conseguenza che, ferma restando la divergenza per la forma del provvedimento conclusivo e per la disciplina dei gravami (una sentenza appellabile nell’interdizione, un decreto reclamabile nell’amministrazione di sostegno, ma l’uno e l’altro inseriti in una rete procedimentale che conosce la suprema garanzia del ricorso per cassazione) il procedimento di amministrazione di sostegno produrrebbe comunque, in varia misura, effetti limitativi della capacità di agire del beneficiario non dissimili da quelli causati dall’interdizione e dall’inabilitazione.
La natura prevalentemente contenziosa andrebbe però annessa solo al procedimento di apertura e di cessazione dell’amministrazione, riconoscendosi invece natura camerale alle regole procedimentali dettate per controllare l’attività gestoria dell’amministratore di sostegno. Secondo altra parte della dottrina, invece, il procedimento di amministrazione di sostegno non è riconducibile a modelli preesistenti già conosciuti, di tipo contenzioso o camerale, avendo il legislatore configurato un procedimento del tutto nuovo, in quanto manca sia un rinvio residuale alle norme sul procedimento contenzioso (se non alle speciali forme del processo di interdizione, ma subordinatamente al giudizio di compatibilità), sia un rinvio alle norme che regolano i procedimenti camerali.
Dalla disamina delle norme poste dalla novella si trarrebbe quindi la convinzione della natura non contenziosa del procedimento di amministrazione di sostegno, riconducibile ai procedimenti di volontaria giurisdizione, ancorché connotato da proprie garanzie interne, ben più accentuate rispetto a quelle concesse dal semplificato procedimento camerale di cui agli artt. 737 e segg. c.p.c., e che si esplicano anche con la ricorribilità in cassazione del decreto del giudice tutelare. Inoltre, la conferma della natura non contenziosa andrebbe tratta dall’osservazione che il procedimento di amministrazione di sostegno si conclude con un provvedimento inidoneo al giudicato e funzionale alla sola efficace gestione degli interessi del soggetto, mediante l’intervento integrativo del giudice tutelare (come confermato dai commi 1 e 4 dell’art. 413 c.c. – che attribuiscono al g.t. il potere officioso di dichiarare la cessazione dell’amministrazione quando questa si riveli inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario – e dell’art. 407, comma 4 c.c. – che gli attribuisce il potere officioso di modificare in ogni momento le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno – poteri ritenuti assolutamente incompatibili con il sistema del giudicato).
6.4 Questa Corte è stata chiamata nell’imminenza dell’entrata in vigore della legge n. 6 del 2004, a confrontarsi con alcune delle incertezze interpretative poste dal testo normativo, dovendo immediatamente stabilire la necessità o meno del patrocinio tecnico per la proposizione della richiesta di amministrazione di sostegno. Il dubbio è stato risolto da Cass. n. 25366/2006, che, pur ribadendo che il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno si distingue, per natura, struttura e funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione, ha stabilito che non è richiesto il ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l’emanando provvedimento debba limitarsi ad individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l’intervento dell’amministratore, necessitando, per contro, detta difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell’interessato, incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio. In motivazione è stato però evidenziato che la soluzione da adottare non poteva essere correlata al carattere contenzioso ovvero di volontaria giurisdizione della procedura di cui si tratta, occorrendo invece avere riguardo alla consistenza delle situazioni soggettive coinvolte.
Richiamate le connotazioni funzionali del nuovo istituto, che lo pongono come uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, e che non risulta ricollegabile al solo grado di gravità della patologia di cui sia affetto il beneficiario, ma che non comportano mai l’incapacità generale, totale o parziale, dell’amministrato, ma solo una limitazione rispetto a determinate attività, è stato sottolineato come, sul piano procedimentale, accanto a precetti che risultano del tutto antinomici rispetto al pregresso sistema processuale delineato per l’interdizione e l’inabilitazione, vi è però anche il richiamo a specifiche norme dettate per tali istituti. Ne discende che “l’amministrazione di sostegno si configura come un istituto nel cui contenitore sono riunite ed unificate fattispecie che secondo il sistema pre vigente erano considerate tra loro ontologicamente diverse; e che prevede rimedi e forme di tutela, anch’essi radicalmente nuovi e non compatibili con, le preesistenti, – ma rimaste in vigore – figure normative di protezione degli incapaci.”
L’unicità del nuovo istituto che combina in sè tratti disciplinari tradizionali con elementi del tutto innovativi, impedisce quindi di pervenire ad una soluzione di carattere unitario, valida per tutti i casi indistintamente, non potendosi quindi risolvere le varie problematiche che possano insorgere in nome della generalizzata applicazione delle norme del procedimento camerale ovvero di quello a cognizione ordinaria, imponendosi piuttosto soluzioni differenziate a seconda delle varie fattispecie per le quali è richiesta l’amministrazione di sostegno ovvero in relazione al contenuto del provvedimento emesso dal giudice tutelare.
Ancorché ai fini della risposta da dare al quesito circa la necessità dell’assistenza tecnica, la Corte ha evidenziato che, allorché il provvedimento invocato comporti una limitazione della capacità di agire del soggetto interessato, e dunque una compressione della sua libertà ed autonomia, tale da incidere nella sfera dei diritti inviolabili dell’uomo (ben potendo il giudice tutelare, nella individuazione delle misure idonee a garantire la migliore tutela del beneficiario e nell’esercizio degli ampi poteri discrezionali affidatigli, emettere provvedimenti incidenti nella sfera giuridica dell’interessato con effetti analoghi a quelli “incapacitanti” dei due tradizionali istituti di protezione), una lettura costituzionalmente orientata della normativa di riferimento esige che il destinatario della misura ablativa di diritti disponga delle medesime garanzie che assistono le procedure di interdizione o di inabilitazione, con particolare riferimento al rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio, non potendo ragionevolmente riconoscersi garanzie differenziate in relazione a provvedimenti che spieghino pari effetti sostanziali.
La soluzione quindi da offrire in merito ai dubbi interpretativi che possono porsi, laddove siano chiamate in gioco norme di garanzia delle posizioni degli interessati, non discende dalle forme procedimentali dettate dal legislatore, ma dal contenuto del provvedimento, dovendo essere fatta salva l’esigenza del diritto di difesa e del contraddittorio, quali garanzie fondamentali offerte dal giusto processo, in ogni caso in cui il provvedimento da emettere, sia o non corrispondente alla misura richiesta, incida in maniera diretta sui diritti inviolabili della persona.
- La giurisprudenza di questa Corte, che è stata chiamata poi a fornire l’interpretazione delle norme di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 720 bis c.p.c., ha generalmente propeso per una lettura unitaria delle norme, ritenendo che la risposta da dare al quesito in merito all’individuazione del giudice competente a decidere sul reclamo avverso il decreto emesso in tema di amministrazione di sostegno, si correlasse in maniera univoca con l’individuazione delle ipotesi in cui il provvedimento emesso in sede di reclamo sia ricorribile per cassazione. L’orientamento maggioritario, se non altro dal punto di vista numerico, è stato inaugurato da Cass. n. 10187/2011, che ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione, a norma dell’art. 720-bis, ultimo comma, cod. proc. civ., avverso i provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di rimozione e sostituzione ad opera del giudice tutelare di un amministratore di sostegno, avendo tali provvedimenti carattere meramente ordinatorio ed amministrativo e dovendo riferirsi tale norma soltanto ai decreti, quali quelli che dispongono l’apertura o la chiusura dell’amministrazione, di contenuto corrispondente alle sentenze pronunciate in materia di interdizione ed inabilitazione, a norma dei precedenti artt. 712 e seguenti, espressamente richiamati dal primo comma dell’art. 720-bis.
Si è, pertanto, ritenuto di estendere anche all’amministrazione di sostegno il principio affermato in materia di revoca del tutore, sottolineandosi l’assenza del carattere della decisorietà del decreto oggetto del reclamo, aggiungendosi che “ragioni di ordine sistematico sembrano suggerire che tale norma (l’art. 720 bis c.p.c.) sia riferibile soltanto ai decreti, quali quelli che dispongono l’apertura o la chiusura dell’amministrazione, di contenuto corrispondente alle sentenze pronunciate in materia di interdizione e inabilitazione a norma delle disposizioni dei precedenti articoli 712 e seguenti, espressamente richiamati dal primo comma dell’articolo 720 bis, e non anche ad un provvedimento tipicamente gestori° quale è quello che dispone la rimozione e la sostituzione dell’amministratore di sostegno”.
A tale principio hanno poi mostrato di conformarsi Cass. n. 11657/2012 (sempre nel caso di reclamo avverso il decreto del giudice tutelare di sostituzione dell’amministratore di sostegno), Cass. n. 4701/2015 (in relazione al provvedimento della corte d’appello che, in sede di reclamo, aveva confermato il rigetto dell’istanza di sostituzione dell’amministratore di sostegno disposto dal giudice tutelare), Cass. n. 13747/2011 (per la decisione sul reclamo che investiva solo la scelta dell’amministratore di sostegno); Cass. n. 22693/2017; Cass. n. 14983/2016 (che ha invece ritenuto ricorribile il decreto di reclamo avverso il diniego di apertura della procedura); Cass. n. 9839/2018; Cass. n. 2985/2016; Cass. n. 3493/2018 (quanto al decreto reso dal giudice tutelare in tema di autorizzazione alla riscossione di somme capitali, ai sensi dell’art. 374, comma 1, n. 2) c.c., da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno); Cass. n. 5123/2018 (che ha negato la ricorribilità per cassazione avverso il reclamo concernente il provvedimento con il quale il giudice tutelare aveva ordinato all’amministratore di sostegno di revocare il coadiutore, nominato ai sensi dell’art. 408, comma 4, c.c.).
Il carattere decisorio del provvedimento del giudice tutelare riveste poi carattere decisivo non solo ai fini della soluzione da offrire al quesito sulla ricorribilità in cassazione della decisione emessa in sede di reclamo, ma ancor prima ai fini dell’individuazione del giudice competente per il reclamo stesso, in quanto, l’orientamento maggioritario della Corte ha ritenuto che solo per i provvedimenti decisori sia dato reclamo alla Corte d’Appello, e ciò al fine di rendere tra loro coerenti le previsioni del secondo e del terzo comma dell’art.720 bis c.p.c.
7.1 Solo per i decreti del giudice tutelare, tendenzialmente orientati alla formazione del giudicato, sia pure suscettibile di rivisitazione anche alla luce di una rivalutazione dei fatti, come appunto consentito dalla disciplina dell’amministrazione di sostegno (ed in particolare per i decreti di apertura, chiusura e revoca dell’amministrazione di sostegno) è previsto il reclamo alla Corte d’appello, mentre per tutti gli altri privi di tale connotazione resta in vigore la previsione di cui all’art. 739 c.p.c. con la reclannabilità al tribunale in composizione collegiale. Il primo precedente in tal senso è costituito da Cass. n. 18634/2012 che, in sede di regolamento di competenza, sulla pronuncia di inammissibilità della corte d’appello, adita in sede di reclamo avverso il decreto del giudice tutelare, che aveva rigettato l’istanza per l’apertura dell’amministrazione di sostegno, ha affermato che invece sussiste la competenza della corte d’appello a decidere sul reclamo, tenuto conto della chiara dizione letterale dell’art. 720 bis comma 2, norma avente “carattere speciale” e, come tale, prevalente “sulle disposizioni generali previste dagli artt. 739 c.p.c. e 45 disp. att. c.c. che attribuiscono al tribunale in composizione collegiale la competenza in ordine ai reclami proposti contro i provvedimenti del g.t.”, però precisando che “la ratio di tale disciplina va ravvisata nella particolare natura del decreto in esame, che, pur essendo adottato all’esito di un procedimento camerale, non è assimilabile a quelli con cui il giudice tutelare provvede in ordine al compimento di atti di amministrazione o di disposizione dei beni di soggetti incapaci, ma alle sentenze con cui viene dichiarata l’interdizione o l’inabilitazione: esso, infatti, in quanto attinente ad una controversia avente ad oggetto diritti soggettivi o status della persona, ha carattere decisorio ed è destinato ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure “sic stantinbus rebus”, essendo modificabile e revocabile solo nel caso in cui vengano meno i relativi presupposti o si modifichi la situazione di fatto posta della decisione” (in senso conforme Cass. n. 4506/2014).
In adesione a tale precedente si veda anche Cass. n. 784/2017; Cass. n. 32071/2018, quanto alla scelta dell’amministratore di sostegno, ove si sottolinea che la circostanza che “il giudice tutelare sia tenuto, in linea di principio, ad attenersi alle indicazioni fornite dal beneficiario, potendosene discostare esclusivamente in presenza di gravi motivi, non consente di ritenere che l’inosservanza di tale direttiva comporti una modificazione della natura del provvedimento di nomina, la cui contrarietà alle predette indicazioni non si traduce in un ulteriore limitazione della capacità dell’interessato ma solo in una diversa valutazione dell’interesse di quest’ultimo, rimessa alla discrezionalità del giudice tutelare con il solo limite costituito dall’onere di motivare adeguatamente la scelta compiuta”.
Carattere di decisorietà, con quanto ne consegue in punto sia di competenza sul reclamo che di ricorribilità per cassazione, è stato poi assegnato ai quei decreti che si pongano in grado di incidere su diritti fondamentali del beneficiario, come appunto sostenuto da Cass. n. 14158/2017, che ha ritenuto reclamabile in appello, il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno, nella parte in cui negava l’autorizzazione all’amministratore di sostegno a denegare il consenso all’esecuzione di terapie emotrasfusionali in favore del beneficiario.
E ciò in quanto l’espressione del consenso a terapie mediche, in nome e per conto dell’amministrato, deve considerarsi “atto personalissimo” diretta mente “incidente sui diritti fondamentali della persona, quale, innanzi tutto, il diritto alla salute”. Sempre in tema di tutela dei diritti fondamentali, è poi intervenuta Cass. n. 4733/2021, in epoca successiva alla pubblicazione dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, che ha ritenuto ammissibile il ricorso in cassazione avverso il reclamo emesso nei confronti della decisione del giudice tutelare che aveva imposto il divieto di contrarre matrimonio, incidendo in maniera definitiva, sia pure “rebus sic stantibus”, sulla capacità di autodeterminarsi della persona e quindi su un diritto personalissimo.
Tale carattere depone quindi per la natura intrinsecamente decisoria della decisione ed, a monte, per la competenza a conoscere del relativo reclamo alla corte d’appello ex art.720 bis c.p.c. In questa occasione la Corte ha ritenuto possibile decidere il ricorso posto al suo esame nonostante il contrasto non fosse ancora stato risolto, sottolineando che, trattandosi di provvedimento pacificamente di carattere decisorio, anche a voler accedere alla tesi ampliativa dell’ambito di applicazione dell’art. 720 bis c.p.c., comma 2, non risulterebbe in alcun modo posta in discussione la competenza della corte d’appello sul reclamo e la conseguente ricorribilità in cassazione.
7.2 Nel delineato orientamento maggioritario, si inserisce poi come voce dissonante Cass. n. 32409/2019, che, nel pronunciarsi in un caso in cui la corte d’appello aveva dichiarato inammissibile davanti a sé la proposizione del reclamo contro il provvedimento del giudice tutelare, che aveva dichiarato estinto il procedimento di amministrazione di sostegno promosso dal pubblico ministero, ha sottoposto a critica il paradigma elaborato dalla giurisprudenza maggioritaria per delineare l’ambito della ricorribilità per cassazione dei provvedimenti del giudice tutelare. In particolare, si sottolinea come il piano della ricorribilità per cassazione non debba necessariamente sovrapporsi a quello della competenza sul reclamo, e ciò in ragione della specialità della disposizione di cui all’art. 720 bis, c. 2, prevalente come tale, sulla disposizione generale di cui agli artt. 739 c.p.c. e 45 disp. att. c.c.
Il testo della norma “nella sua chiarezza è insuscettibile di una diversa interpretazione, poiché il legislatore ha inteso concentrare presso la corte d’appello le impugnazioni avverso il provvedimento del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno, senza necessità di dover indagare sulla natura (decisoria o ordinatoria) dei relativi provvedimenti, diversamente da quanto accade ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione rispetto al quale viene in rilievo la diversa tematica riguardante l’interpretazione dell’articolo 111, comma 7 c. c. in relazione all’articolo 720 bis comma 3 c.p.c.”.
Tuttavia, la pronuncia ha sottolineato la necessità di valutare la ricorribilità per cassazione del provvedimento d’appello sulla base dell’espressa disposizione dell’art. 720 bis, c. 3 c.p.c., “disposizione con la quale il legislatore ha dato attuazione alla regola costituzionale della proponibilità del ricorso per cassazione per violazione di legge ai sensi dell’articolo 111 comma 7 della Costituzione, all’esito di una valutazione legale tipica che, nella specifica materia in esame, esonera questa corte dalla valutazione del carattere decisorio e definitivo del provvedimento impugnato. Diversamente opinando, la suddetta disposizione sarebbe inutile se la proponibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti della corte d’appello in materia di amministrazione di sostegno, dipendesse da una valutazione caso per caso della natura dei provvedimenti impugnati”.
- La diversità di vedute sulla natura del procedimento di amministrazione di sostegno si è ripercossa anche sulla soluzione da offrire al quesito oggetto dell’ordinanza interlocutoria cui queste Sezioni Unite sono chiamate a dare soluzione, posto che il dibattito ha risentito in maniera diretta della diversa opzione teorica alla quale gli autori occupatisi del tema hanno ritenuto di aderire. A rendere, inoltre, più opinabile la problematica in esame contribuisce indubbiamente la stessa previsione di cui all’art.720 bis c.p.c. che, nel prevedere l’applicazione di norme dettate in materia di procedimenti di interdizione e di inabilitazione, nei limiti però della loro compatibilità, viene a contaminare il quadro normativo di riferimento che non risulta del tutto coerente né con l’opzione della natura contenziosa del procedimento né con quella opposta della natura di volontaria giurisdizione.
8.1 Per i fautori di quest’ultima tesi, non avrebbe alcuna rilevanza il carattere della decisorietà, invece valorizzato in giurisprudenza, e la soluzione sarebbe tutta da rinvenire nelle norme specificamente dettate dal legislatore, ponendosi la competenza della corte d’appello per il reclamo come evidentemente di carattere speciale rispetto alla generale previsione di cui all’art. 739 c.p.c. (che invece depone per la competenza del tribunale in composizione collegiale per l’impugnazione dei decreto del giudice tutelare), e tale da estendersi a tutti i provvedimenti del giudice tutelare, a prescindere dal carattere gestorio ovvero decisorio.
Del pari, la previsione di cui all’art. 720 bis c.p.c. legittima la ricorribilità in cassazione di tutti i provvedimenti del giudice tutelare, o almeno per quelli che attengono all’istituzione ed alla vita dell’amministrazione di sostegno, e ciò sia perché così dispone espressamente la legge, sia perché in questa materia la scelta del legislatore a favore del ricorso per cassazione risponderebbe, non già all’esigenza di garantire diritti soggettivi (come sotteso alla logica che ha ispirato l’esegesi prevalente in questa Corte dell’art. 111 co. 7 Cost.), ma al fine “di assicurare un adeguato espletamento della funzione nomofilattica”, anche in un settore riconducibile al novero della volontaria giurisdizione.
Sarebbero quindi reclamabili in Corte d’Appello e ricorribili in cassazione non solo i decreti di apertura e chiusura dell’amministrazione, ma anche quelli che investono la nomina ovvero la sostituzione dell’amministratore, che invece, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte, non lo sarebbero. Anche tale dottrina però ritiene che restino al di fuori del campo di applicazione degli ultimi due commi dell’art. 720 bis c.p.c. i provvedimenti meramente autorizzatori.
8.2 La dottrina che invece sostiene che il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno abbia carattere contenzioso, in quanto sostanzialmente assimilabile ai procedimenti in tema di interdizione e di inabilitazione, pur sottolineando la specialità della norma di cui all’art. 720 bis c.p.c., quanto alla regola dettata per il reclamo, ritiene però che la competenza della corte d’appello operi solo per i provvedimenti aventi effettivamente carattere decisorio, e cioè quelli di apertura ovvero di cessazione della procedura. Viceversa, i provvedimenti privi del carattere della decisorietà sarebbero unicamente reclamabili, ma dinanzi al Tribunale ai sensi dell’art. 739 c.p.c., essendone preclusa la ricorribilità in cassazione.
Diversa posizione è assunta da quella parte della dottrina che, pur propendendo per la natura contenziosa del provvedimento (sub specie di procedimento a “contenuto oggettivo”), sottolinea però l’esigenza di dover differenziare l’approccio al problema a seconda che si debba risolvere quello della competenza per il reclamo ovvero che debbano individuarsi i decreti ricorribili in cassazione. Infatti, la previsione di cui al secondo comma dell’art. 720 bis c.p.c. nell’assegnare alla corte d’appello il reclamo contro i provvedimenti del giudice tutelare, detta una regola speciale e derogatoria rispetto all’art. 739 c.p.c., destinata quindi a prevalere, senza che si imponga già al momento della scelta di reclamare l’indagine circa il carattere decisorio o meno del decreto impugnato.
L’interpretazione letterale della norma è in questo caso destinata ad assumere carattere assorbente rispetto ad ogni altra diversa lettura della norma, ma la distinzione tra provvedimenti decisori e non assume però nuovamente importanza nel caso in cui si debba stabilire se il provvedimento emesso in sede di reclamo sia suscettibile di ricorso per cassazione. Solo i provvedimenti aventi carattere di decisorietà sarebbero infatti ricorribili e senza che tale soluzione si denoti come intrinsecamente contraddittoria rispetto al diverso approccio al tema della reclamabilità.
In primo luogo, con una generalizzata possibilità di ricorso per cassazione, anche i decreti di contenuto tipicamente gestorio assumerebbero, per gli effetti di norma correlati alla pronuncia della cassazione, un connotato di irrevocabilità che invece è chiaramente contraddetto dal sistema, che mira ad assicurare alle misure aventi siffatta connotazione un elevato margine di flessibilità correlata alle concrete esigenze del beneficiario. Inoltre, il dato letterale, che pur viene reputato dirimente quanto all’esegesi del secondo comma, in relazione alla disposizione del terzo comma va considerato in vista della “coerenza degli effetti che da una certa interpretazione derivano nel contesto in cui si colloca”, occorrendo quindi garantire il rimedio del ricorso per cassazione ai soli provvedimenti oggettivamente decisori.
- Ritiene la Corte che alle questioni complessivamente poste dall’ordinanza di rimessione debba essere fornita una risposta articolata, e soprattutto diversificata, non potendo tout court accomunarsi sulla base del medesimo presupposto il profilo dell’individuazione del giudice competente per il reclamo con quello della ricorribilità per cassazione del provvedimento emesso. Infatti, la tesi sostenuta dall’orientamento sinora prevalente parte dalla necessità di dover riscontrare, già al momento della scelta del giudice cui indirizzare il reclamo, la natura decisoria o meno del provvedimento impugnato, traendo poi come conseguenze dal riscontro di tale connotazione sia la reclamabilità in corte d’appello sia la successiva ricorribilità per cassazione.
Ad avviso della Corte, e rispondendo in tal modo alle sollecitazioni di cui a Cass. n. 32409/2019, ai fini della competenza per il reclamo non può essere offerta un’interpretazione della norma di cui al secondo comma dell’art. 720 bis c.p.c. che vada oltre la lettera della legge, posto che la lettera della norma costituisce il limite al quale deve arrestarsi anche l’interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo semmai essere sollevato l’incidente di costituzionalità (cfr. Cass. S.U. n. 8230/2019).
Una volta che si riconosce che per tutti i provvedimenti emessi dal giudice tutelare il rimedio è quello del reclamo, indipendentemente dal carattere decisorio o meno degli stessi, non può essere data un’esegesi della norma che ometta di prendere in considerazione la scelta esplicita del legislatore che ha previsto il reciamo alla corte d’appello (in tal senso non appare dirimente il riferimento al singolare fatto dalla legge al provvedimento del giudice tutelare, non potendosi inferire da tale opzione linguistica una sottintesa volontà di individuare in tal modo solo il decreto con il quale si apra la procedura di amministrazione di sostegno).
La concentrazione in capo alla Corte d’Appello di tutti i reclami avverso i decreti del giudice tutelare, oltre che rispondere ad una valutazione discrezionale del legislatore, sul piano storico ben si giustifica anche in ragione delle incertezze che erano insorte, soprattutto nella giurisprudenza di merito, a seguito della riforma del giudice unico (D. Lgs. n. 51/1998) che aveva soppresso l’ufficio di pretura, trasferendo le funzioni tutelari ad esso in precedenza appartenenti al tribunale in funzione monocratica, lasciando inalterato, tuttavia, il quadro normativo, ancora oggi in vigore, disegnato dagli articoli 739 c.p.c. e 45 disp. di attuazione del c.c.
Accanto all’orientamento dei giudici di merito secondo cui il nuovo assetto ordinamentale determinato dal d. Igs. n. 51 del 1998 non poteva giustificare la conservazione al tribunale di una competenza quale giudice di merito di seconda istanza, essendogli stata tale competenza sottratta in via generale, sicché l’impugnazione era da ritenersi demandata al giudice superiore, da individuarsi nella Corte d’Appello, altra posizione fu espressa da alcune pronunce che, nel confutare la tesi dell’effetto di abrogazione implicita che la legge sul giudice unico di primo grado avrebbe avuto sull’art. 739 c.p.c., sottolineavano, invece, a conferma della persistente competenza del tribunale sul reclamo, proprio il fatto che tale norma, unitamente all’art. 45 disp. att. non fosse stata abrogata né con il d. Igs. n. 51 del 1998 né, successivamente, con la I. n. 6 del 2004 che aveva introdotto l’art. 720 bis c. p.c.
La questione che, al di fuori della disciplina in tema di amministratore di sostegno, non ha ricevuto particolari approfondimenti presso il giudice di legittimità (si veda Cass.n. 2937/2008 che afferma la competenza del tribunale in composizione collegiale per il reclamo contro il provvedimento di rimozione del tutore, ma facendo leva sulla disciplina di cui all’art. 669 terdecies c.p.c.), si poneva come obiettivamente dibattuta e non è quindi inverosimile che la scelta del legislatore del 2004 sia stata dettata, oltre che dall’esigenza di assicurare un controllo sull’operato del giudice tutelare in una materia particolarmente sensibile, in quanto potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà dell’individuo, da parte di un ufficio giudiziario diverso da quello cui appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, anche dalla finalità di dissipare ogni dubbio interpretativo, quale scaturente dalla riforma del giudice unico.
L’attribuzione generalizzata alla corte d’appello della competenza a decidere sui reclami avverso i provvedimenti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno appare altresì foriera di indubbi vantaggi sul piano della semplificazione, in quanto assicura l’immediata individuazione del giudice cui indirizzare la richiesta di controllo del provvedimento impugnato, senza doversi sin da subito interrogare sul carattere decisorio o meno del provvedimento impugnato, eliminando per l’effetto anche i potenziali conflitti che la prassi applicativa ha mostrato essere ben frequenti, in merito alla corretta individuazione del giudice competente, come testimoniato anche dal ricorso oggetto di causa, scaturente da regolamento di competenza d’ufficio, a seguito di conflitto negativo di competenza tra tribunale e corte d’appello.
Così come del pari risulta evidente la semplificazione che discende dalla soluzione cui intende accedere questa Corte, quanto alla non infrequente ipotesi in cui il medesimo decreto contenga al suo interno statuizioni di carattere gestorio e di carattere decisorio (come appunto reso evidente dal contenuto complesso che può assumere il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno ex art.405 c.c.).
Nel caso in cui la parte fosse interessata a contestare la legittimità ovvero l’opportunità del provvedimento sia per la parte decisoria che per quella gestoria, il reclamo, stando alla soluzione offerta dalla giurisprudenza di questa Corte, dovrebbe essere indirizzato separatamente al tribunale ovvero alla corte d’appello, in ragione del contenuto del decreto, con un’evidente duplicazione dei mezzi di impugnazione (si veda per l’analoga soluzione raggiunta da questa Corte quanto all’ipotesi in cui nel medesimo provvedimento siano contenute statuizioni ognuna delle quali suscettibile di un distinto rimedio impugnatorio, Cass.n. 29228/2017, quanto alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anziché con separato decreto, per la quale resta ferma la necessità dell’opposizione ex art. 170 del d.P.R. n. 115/2002, essendo da escludere che possa essere contestata con gli ordinari mezzi di impugnazione previsti per la sentenza; conf. Cass.n. 3028/2018; Cass. n. 10487/2020; Cass. S.U. n. 4315/2020).
L’interpretazione letterale e storica della norma, unitamente ad evidenti considerazioni di economia processuale, depongono quindi per la conclusione per cui tutti i decreti del giudice tutelare emessi in materia di amministrazione di sostegno siano reclamabili dinanzi alla Corte d’Appello a prescindere dal loro contenuto (decisorio ovvero gestorio). Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: I decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno sono reclamabili ai sensi dell’art. 720 bis comma 2 c.p.c. unicamente dinanzi alla corte d’appello, quale che sia il loro contenuto (decisorio ovvero gestorio).
- Risolta nei suesposti termini la questione concernente la competenza in materia di reclamo, ritengono però le Sezioni Unite che l’affermazione circa la generalizzata competenza della Corte d’Appello quale giudice competente per il reclamo non implichi altresì che debba trarsi dalla stessa la conclusione circa l’altrettanto generalizzata ammissibilità del ricorso per cassazione avverso tutti i decreti emessi in sede di reclamo, in quanto al diverso fine di individuare quali siano i provvedimenti ricorribili, la lettera della legge impone in ogni caso la verifica del carattere della decisorietà, quale tradizionalmente elaborato nella giurisprudenza di questa Corte ed inteso quale connotato intrinseco dei provvedimenti suscettibili appunto di essere sottoposti al vaglio del giudice di legittimità (cfr. ex multis, Cass. S.U. n. 1914/2016, nonché, da ultimo, Corte Costituzionale n. 89/2021).
- Alla luce delle superiori considerazioni, e tornando alla decisione del regolamento di competenza d’ufficio oggetto del presente ricorso, ritiene la Corte che debba essere affermata la competenza della Corte d’Appello di Catania, pur vertendo il reclamo sulla sola scelta del giudice tutelare circa la persona dell’amministratore di sostegno, attesa la generale competenza della Corte d’Appello, ex art. 720 bis co. 2, c.p.c., per il reclamo avverso tutti i provvedimenti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno. Le parti dovranno quindi riassumere il giudizio dinanzi alla indicata Corte d’Appello entro tre mesi dalla pubblicazione della presente ordinanza. Nessuna statuizione va assunta in tema di spese.