Massima
In un contesto ordinamentale orientato alla semplificazione e alla sburocratizzazione delle attività private, specie laddove esse abbiano rilevanza economica, si innesta progressivamente un regime di iniziativa economica privata ispirato alla liberalizzazione, dove il fine che il legislatore si prefigge non è più tanto e solo quello di semplificare i procedimenti, quanto piuttosto di eliminarli (o di prevederli con meccanismi ex post piuttosto che ex ante), consentendo ai privati di dare “liberamente” l’abbrivio ad attività economiche, salve le successive verifiche pubbliche e le potenziali reazioni – anche in sede giurisdizionale – di privati portatori di un “contro-interesse”.
Crono-articolo
1865
Viene varato il codice civile unitario, al quale si affianca un codice di commercio che è tuttavia la mera estensione del Codice del commercio del Regno di Sardegna all’intero territorio del Regno d’Italia.
1882
Viene varato il primo vero codice di commercio unitario: confermando la distinzione tra il diritto civile puro ed il diritto commerciale.
1942
Il codice civile – unificando la materia civile a quella commerciale – disciplina l’impresa nel libro V, a partire dagli articoli 2082 e seguenti.
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che prevede all’art.41 la libertà di iniziativa economica privata, seppure in un quadro di programmazione e controllo da parte della legge, giusta coordinamento con l’economia pubblica.
1990
Il 7 agosto viene varata la legge n.241 che, prima ancora del silenzio-assenso (disciplinato dall’art.20), prevede la dichiarazione di inizio attività, c.d. d.i.a., all’art.19. Si tratta di una ipotesi eccezionale che trova applicazione solo nei casi di cui al previsto regolamento di rinvio (da emanarsi entro 90 giorni), e comunque non nelle fattispecie in cui campeggi la discrezionalità dell’Amministrazione ovvero laddove occorra esperire prove, ovvero ancora laddove vi siano dei limiti all’attività economica privata di settore (contingentamento). La versione originaria dell’art. 19 della legge n. 241/1990 prevede due tipi di dia: a) quella per attività cui può darsi inizio immediatamente dopo la presentazione della denuncia (dia ad efficacia immediata); b) quella per attività cui può darsi inizio dopo il decorso di un termine fissato per categorie di atti, in relazione alla complessità degli accertamenti richiesti (dia ad efficacia differita). Non è ammessa dia per quelle attività l’accertamento dei cui presupposti di operatività implichi prove comportanti valutazioni tecniche-discrezionali.
1992
Il 26 aprile viene varato il DPR n.300 che, con molto ritardo rispetto ai 90 giorni previsti, disciplina con dia solo un numero assai esiguo di attività, rientranti nella competenza di pochi Ministeri.
1993
Il 24 dicembre viene varata la legge n.537 (legge finanziaria per il 1994) che, all’art.2, estende la possibilità di avvalersi della dia a tutti i casi in cui siano necessari atti di assenso della PA (autorizzazioni, licenze, nulla-osta e così via): la PA può inibire l’attività economica intrapresa dal privato giusta dia entro i 60 giorni successivi. Scompare la distinzione di cui all’originario art.19 e rimane solo la dia ad efficacia immediata. Inoltre, per quanto concerne i limiti non si fa più riferimento al pregiudizio dei valori storico-artistici e ambientali e al rispetto delle norme a tutela dei lavoratori, chiarendosi tuttavia che la dia non si applica alle attività edilizie. L’iniziativa economica privata ne esce dunque suscettibile di esplicazione più o meno incondizionata, laddove soggetta a titoli autorizzativi di natura vincolata. Con un totale capovolgimento di prospettiva rispetto all’origine, alla normativa regolamentare viene assegnato il compito di fissare i casi eccezionali in cui la dia non trova applicazione (vedrà a questo scopo la luce il successivo DPR n. 411/1994, poi integrato dal d.p.r. n. 486/1996). Viene eliminato il limite delle attività i cui presupposti vadano accertati a mezzo prove comportanti valutazioni tecnico-discrezionali: questa circostanza fa dire a parte della dottrina che ormai è ammissibile la dia anche quando l’attività il cui abbrivio viene dichiarato implichi presupposti e requisiti che richiedano dalla PA la spendita di c.d. discrezionalità tecnica.
2001
Il 01 giugno esce la sentenza del Tar Lombardia, Brescia, n.397 che, quanto alla natura giuridica della dia, assume essersi al cospetto di una fattispecie a formazione successiva (o progressiva) che sfocia in un atto amministrativo tacito: in sostanza, sulla base di taluni presupposti formali e sostanziali, ad una istanza del privato fa seguito il decorso del termine affidato alla PA per esercitare il potere inibitorio, spirato il quale in difetto dell’esercizio di tale potere, si forma un atto amministrativo tacito che chiude la fattispecie.
Il 6 giugno esce il D.p.R. n. 380, testo unico edilizia, il cui art.23 prevede una speciale disciplina procedimentale in tema di d.i.a./s.c.i.a. edilizia, assicurando al privato che spicca la denuncia / segnalazione precise garanzie. L’ordine inibitorio che la PA dovesse rivolgergli deve infatti essere motivato, mentre il privato può ripresentare la d.i.a./s.c.i.a. con le modifiche e le integrazioni che siano necessarie per rendere l’intervento edilizio denunciato conforme alla normativa urbanistica ed edilizia di riferimento. Tale ordine inibitorio motivato, e la conseguente possibilità per il privato denunciante di adeguarsi, viene in seguito da parte della dottrina e della giurisprudenza considerato come assimilabile al preavviso di rigetto, con conseguente inoperatività di quest’ultimo (disciplina generale) a fronte della peculiarità garantista della disciplina speciale, che garantisce comunque il raggiungimento dello scopo divisato (far conoscere al denunciante le ragioni per le quali la propria attività non può essere condotta innanzi e va inibita).
2002
Il 4 settembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4453 che, muovendo dalla natura di atto privato della dia, ritiene che la tutela del terzo sia da affidarsi ad una sollecitazione della PA rimasta senza esito: il terzo sollecita alla PA l’esercizio dei poteri di autotutela previsti dall’art.19, comma 3, della legge 241.90 e, in caso di inerzia della PA, ne impugna il silenzio-inadempimento. Si tratta di un meccanismo che fa leva sulla necessità per il privato di costruirsi un provvedimento da impugnare, sollecitando invano la PA ad intervenire dinanzi all’iniziativa del denunciante.
2003
Il 22 gennaio esce una importante sentenza della I sezione del Tar Liguria, n.113, sul tema della tutela del terzo dinanzi alla dia presentata dall’interessato, e che si impernia sulla possibilità per il terzo medesimo di spiccare azione di (mero) accertamento innanzi al GA, avente ad oggetto l’insussistenza dei presupposti e dei requisiti che giustificano appunto la dia e l’attività che ad essa accede. In sostanza, poiché la dia è un atto del privato (e non della PA), il terzo, dal momento in cui ha conoscenza del comportamento silenzioso – assunto illegittimo – della PA al cospetto dell’attività e/o dei lavori intrapresi dal privato, ha 60 giorni di tempo per invocare dal GA l’accertamento e la declaratoria di illegittimità di tale atteggiamento silenzioso. Si tratta di un’azione di accertamento sui generis, perché avente ad oggetto un interesse legittimo (non un diritto soggettivo), circostanza che giustifica la presenza di un termine decadenziale di 60 giorni (e non di un termine prescrizionale). La sentenza di accertamento del GA dichiara mancanti i presupposti per la scia ed obbliga in tal modo la PA ad ordinare al denunciante la rimozione degli effetti della intrapresa attività (spesso, lavori edilizi).
Il 10 giugno esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.3265 che, quanto alla natura giuridica della dia, assume essersi cospetto di una fattispecie a formazione successiva (o progressiva) che sfocia in un atto amministrativo tacito: in sostanza, sulla base di taluni presupposti formali e sostanziali, ad una istanza del privato fa seguito il decorso del termine affidato alla PA per esercitare il potere inibitorio, spirato il quale in difetto dell’esercizio di tale potere, si forma un atto amministrativo tacito che chiude la fattispecie.
*Il 20 giugno esce la sentenza della II sezione del Tar Veneto n.4722 che, quanto alla natura giuridica della dia, assume essersi al cospetto di una fattispecie a formazione successiva (o progressiva) che sfocia in un atto amministrativo tacito: in sostanza, sulla base di taluni presupposti formali e sostanziali, ad una istanza del privato fa seguito il decorso del termine affidato alla PA per esercitare il potere inibitorio, spirato il quale in difetto dell’esercizio di tale potere, si forma un atto amministrativo tacito che chiude la fattispecie.
*Il 10 settembre esce la sentenza della II sezione del Tar Veneto n.4722 che, quanto alla natura giuridica della dia, assume essersi al cospetto di una fattispecie a formazione successiva (o progressiva) che sfocia in un atto amministrativo tacito: in sostanza, sulla base di taluni presupposti formali e sostanziali, ad una istanza del privato fa seguito il decorso del termine affidato alla PA per esercitare il potere inibitorio, spirato il quale in difetto dell’esercizio di tale potere, si forma un atto amministrativo tacito che chiude la fattispecie.
2004
Il 20 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6910 che, quanto alla natura giuridica della dia, assume essersi al cospetto di una fattispecie a formazione successiva (o progressiva) che sfocia in un atto amministrativo tacito: in sostanza, sulla base di taluni presupposti formali e sostanziali, ad una istanza del privato fa seguito il decorso del termine affidato alla PA per esercitare il potere inibitorio, spirato il quale in difetto dell’esercizio di tale potere, si forma un atto amministrativo tacito che chiude la fattispecie.
2005
Il 14 marzo viene varato il decreto legge n.35, che interviene sulla disciplina della dia: quando l’attività economica che il privato vuole intraprendere è sottoposta ad autorizzazione, ma il rilascio di detta autorizzazione dipende solo dall’accertamento di presupposti e requisiti di legge (o di atti amministrativi a contenuto generale) e non siano previsti contingenti o limiti per tale attività, né il rilascio dell’atto autorizzativo è sottoposto a strumenti di programmazione settoriale, l’autorizzazione viene sostituita dalla dia. L’attività può essere intrapresa dopo 30 giorni dalla dia, con ulteriore obbligatoria contestuale comunicazione alla PA che si sta iniziando l’attività denunciata; la PA ha ulteriori 30 giorni per verificare la sussistenza dei presupposti e requisiti di legge e, in caso negativo, per adottare e comunicare al privato l’inibizione all’ulteriore prosecuzione dell’attività in parola, con ordine di rimozione dei relativi effetti ove possibile. Vengono escluse dal regime liberalizzato della dia le autorizzazioni appannaggio di talune Amministrazioni preposte alla cura di interessi particolarmente rilevanti (quali, solo per esemplificare, la pubblica sicurezza, la difesa nazionale, l’amministrazione della giustizia, quella delle finanze ed altri ancora).
Il 14 maggio viene varata la legge n.80 che converte in legge il decreto legge n.35, che introduce nell’art.21 della legge 241.90 un comma 2.bis secondo il quale vengono lasciate “ferme” le generali attribuzioni della PA in tema di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20 della legge 241.90, e dunque anche in tema di dia.
Il 22 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3916 che, quanto alla natura giuridica della dia, assume nella sostanza essersi al cospetto di un atto di natura privata. Per il CdS nei rapporti tra denunciante e amministrazione, la denuncia di inizio attività si pone come atto di parte, che – pur in assenza di un quadro normativo di vera e propria liberalizzazione – consente al privato di intraprendere un’attività in correlazione all’inutile decorso di un termine, cui è legato, a pena di decadenza, il potere dell’amministrazione, correttamente definito inibitorio dell’attività. Sul piano pratico, prosegue il Consiglio di Stato, rileva poco se, in forza di un’inversione procedimentale, la fattispecie dia luogo, con la scadenza del termine, a un titolo abilitativo tacito o al consolidarsi, per volontà legislativa, degli effetti di un atto di iniziativa di parte potendo il privato contestare l’esercizio del potere inibitorio, come tale qualificato dall’amministrazione, vuoi per motivi formali (decadenza dal termine), vuoi sul piano sostanziale (sussistenza dei requisiti). A tale potere resta peraltro estraneo, sul piano normativo della qualificazione degli interessi, colui che si oppone all’intervento, perché la norma sulla denuncia di inizio attività non prende (ancora) formalmente in considerazione la relativa posizione, per qualificarla in senso legittimante, ed egli, in definitiva, non può opporsi, in sede di giurisdizione amministrativa, all’attività del privato. Una volta decorso il termine senza l’esercizio del potere inibitorio, e nella persistenza, generalmente ritenuta, del potere repressivo degli abusi edilizi, colui che si oppone all’intervento, essendosi consolidata la fattispecie complessa che abilita, ex lege o ex actu non rileva, il privato a costruire, sarà legittimato a chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio, che pertanto non avrà, né potrebbe avere, come riferimento il potere inibitorio dell’amministrazione – essendo decorso, a tacer d’altro, il relativo termine, con la conseguenza sottolineata in dottrina che il giudice non potrà costringere l’amministrazione a esercitare un potere da cui è decaduta – bensì il generale potere sanzionatorio, salvo poi a stabilire se tale potere abbia carattere vincolato (come ritengono i più) o sia comunque esercitabile alla stregua dei principi dell’autotutela.
*Il 01 settembre esce la sentenza della Tar Abruzzo, Pescara, n.494 che, quanto alla natura giuridica della dia, assume essersi al cospetto di una fattispecie a formazione successiva (o progressiva) che sfocia in un atto amministrativo tacito: in sostanza, sulla base di taluni presupposti formali e sostanziali, ad una istanza del privato fa seguito il decorso del termine affidato alla PA per esercitare il potere inibitorio, spirato il quale in difetto dell’esercizio di tale potere, si forma un atto amministrativo tacito che chiude la fattispecie.
Il 13 settembre esce la sentenza della II sezione del Tar Veneto, n. 3418, che si sofferma sulla c.d. d.i.a. edilizia, con particolare riferimento all’art.23, comma 6, del testo unico del 2001 in cui si prevede che la PA notifichi all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento (c.d. ordine inibitorio): tale ordine già reca una motivazione e attraverso esso viene assicurata una forma di tutela e di confronto con il privato, il quale ultimo può sempre ripresentare la d.i.a. con le modifiche e le integrazioni che siano necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica; la conclusione è nel senso onde l’art.10.bis non può in questi casi assumersi applicabile, essendo già operativa una efficace (sul piano del contraddittorio procedimentale) disciplina speciale.
2006
L’11 gennaio esce l’ordinanza della I sezione del Tar Toscana n.15 secondo la quale la d.i.a. costituisce un atto di iniziativa procedimentale e dunque, nella sostanza, un abbrivio del procedimento a istanza di parte, sicché l’art.10.bis della legge 241.90 va considerato pienamente applicabile.
Il 27 gennaio esce la sentenza della III sezione del Tar Campania n.1131 secondo la quale il riferimento che l’art.19, comma 3, della legge 241.90 opera ai poteri di autotutela della PA di cui ai successivi articoli 21.quinquies e 21.nonies riguardano i soli presupposti di esercizio di un potere che, in realtà, non è vera e propria autotutela, non andando ad incidere su precedenti atti della PA, quanto piuttosto su un atto del privato: in sostanza, le due disposizioni richiamate dettano i presupposti sostanziali e disciplinano la sequenza procedimentale per poter inibire l’attività privata o rimuoverne i relativi effetti.
*Il 20 aprile esce la sentenza della VI sezione del Tar Campania, n. 5874, che si sofferma sulla c.d. d.i.a. edilizia, con particolare riferimento all’art.23, comma 6, del testo unico del 2001 in cui si prevede che la PA notifichi all’interessato dell’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento (c.d. ordine inibitorio): tale ordine già reca una motivazione e attraverso esso viene assicurata una forma di tutela e di confronto con il privato, il quale ultimo può sempre ripresentare la d.i.a. con le modifiche e le integrazioni che siano necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica; la conclusione è nel senso onde l’art.10.bis non può in questi casi assumersi applicabile, essendo già operativa una efficace (sul piano del contraddittorio procedimentale) disciplina speciale.
*Il 19 giugno esce la sentenza della II sezione del Tar Veneto n.1879 secondo la quale la d.i.a. costituisce un atto di iniziativa procedimentale e dunque, nella sostanza, un abbrivio del procedimento a istanza di parte, sicché l’art.10.bis della legge 241.90 va considerato pienamente applicabile.
*Il 5 luglio esce la sentenza della I sezione del Tar Piemonte n.2728 che ribadisce come la d.i.a. costituisca un atto di iniziativa procedimentale e dunque, nella sostanza, un abbrivio del procedimento a istanza di parte, sicché l’art.10.bis della legge 241.90 va considerato pienamente applicabile.
*Il 5 settembre esce la sentenza della I sezione del Tar Piemonte n.2762 che, quanto alla natura giuridica della dia, assume essersi al cospetto di una fattispecie a formazione successiva (o progressiva) che sfocia in un atto amministrativo tacito: in sostanza, sulla base di taluni presupposti formali e sostanziali, ad una istanza del privato fa seguito il decorso del termine affidato alla PA per esercitare il potere inibitorio, spirato il quale in difetto dell’esercizio di tale potere, si forma un atto amministrativo tacito che chiude la fattispecie.
Il 12 dicembre viene varata la Direttiva 2006/123/CE, meglio nota come Direttiva Bolkestein, particolarmente rilevante dal punto di vista della liberalizzazione delle attività economiche a livello europeo, imperniantesi sull’obiettivo della sburocratizzazione e fondantesi sui principi della libertà di stabilimento, degli sportelli unici, della libera circolazione dei servizi e della fiducia tra gli Stati.
2007
Il 22 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.948, che opta per la tesi privatistica additando la dia quale atto privato tanto nella forma quanto nella sostanza, al quale la legge riconnette in via diretta l’effetto di abilitare il privato denunciante all’esercizio dell’attività denunciata. Proprio perché si tratta di atto di natura privata, la tutela del terzo va affidata ad una sollecitazione della PA rimasta senza riscontro: e tuttavia il terzo sollecita alla PA non già, per il Consiglio di Stato, l’esercizio del potere discrezionale di autotutela, quanto piuttosto l’esercizio del potere vincolato di repressione degli abusi (come nel caso degli abusi edilizi), con conseguente possibilità di impugnare il silenzio siccome formatosi a seguito della inutile sollecitazione.
Il 3 aprile esce la sentenza del Tar Puglia, Lecce, sezione III n.1652 che abbraccia la tesi privatistica additando la dia quale atto privato tanto nella forma quanto nella sostanza, al quale la legge riconnette in via diretta l’effetto di abilitare il privato denunciante all’esercizio dell’attività denunciata.
Il 10 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 4828 che propende per la natura endo-procedimentale del preavviso di rigetto e, dunque, per la relativa non immediata lesività né impugnabilità, in quanto esso rende possibile un contraddittorio all’interno del procedimento che aumenta le chance per il privato di ottenere il bene della vita cui anela. La stessa pronuncia assume non applicabile l’istituto del preavviso di rigetto alla d.i.a.
2009
*Il 10 gennaio esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia n.15 che, quanto alla natura giuridica della dia, assume essersi al cospetto di una fattispecie a formazione successiva (o progressiva) che sfocia in un atto amministrativo tacito: in sostanza, sulla base di taluni presupposti formali e sostanziali, ad una istanza del privato fa seguito il decorso del termine affidato alla PA per esercitare il potere inibitorio, spirato il quale in difetto dell’esercizio di tale potere, si forma un atto amministrativo tacito che chiude la fattispecie.
Il 9 febbraio interviene una importante pronuncia della VI sezione del Consiglio di Stato, la n.717, che con riguardo alla tutela del terzo dinanzi ad una dia assunta spiccata in difetto dei presupposti e requisiti di legge, abbraccia la tesi dell’azione di accertamento autonomo. Il Consiglio parte dal presupposto onde con la dia non si esplica alcun potere di natura pubblicistica, essendosi al cospetto di un atto di natura privata giusta il quale viene dato l’abbrivio ad una attività del pari privata che è legittimata direttamente dalla legge, e non dal potere pubblico. Quando l’art.19 della legge 241.90 richiama i poteri di autotutela, non fa dunque riferimento per il Collegio all’autotutela classicamente intesa, riferendosi piuttosto solo al procedimento da seguire in presenza di determinati presupposti, senza che il tutto sfoci in un atto tecnicamente “di secondo grado” visto che non è configurabile nessun atto di primo grado della PA: attraverso un procedimento che ricalca quello dell’autotutela (ma che non compendia autotutela), la PA può inibire l’attività intrapresa dal privato e rimuoverne gli effetti, dovendo tuttavia esercitare tale potere tenendo conto dell’eventuale affidamento che il privato denunciante abbia maturato giusta decorso di un certo lasso di tempo. Il terzo, per parte sua, può chiedere al GA l’accertamento della circostanza onde non sussistevano i presupposti per iniziare l’attività con semplice dia, invocando una sentenza (di mero accertamento) che, laddove ottenuta, impone alla PA di attivarsi per la rimozione degli effetti prodotti dal denunciante che ha dato l’abbrivio alla divisata attività in difetto dei relativi presupposti. L’azione di accertamento del terzo va spiccata nel termine decadenziale di 60 giorni, per la cui decorrenza il CdS richiama i principi già espressi con riguardo alla impugnazione del titolo esplicito, ed in particolare del permesso di costruire in materia edilizia: non va fatto riferimento all’inizio dei lavori, quanto piuttosto al momento in cui la costruzione realizzata (o l’attività esercitata) rivela in modo certo ed univoco le relative, essenziali caratteristiche, così palesando la relativa non conformità alla legge, ai titoli o, nel caso di attività edilizia, alla disciplina urbanistica di riferimento.
Il 18 giugno esce la legge n.69 che reca disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’ nonche’ in materia di processo civile: particolarmente rilevante l’art.9 che semplifica la procedura di inizio dell’attività imprenditoriale per i soggetti economici che operano nel campo della direttiva servizi 2006/123 (c.d. direttiva “Bolkenstein“): viene eliminato, più in specie, il lasso temporale di trenta giorni, in modo tale che l’attività di impresa possa essere iniziata il giorno stesso della presentazione della d.i.a. alla P.A.; in sostanza, si presenta la dia e si intraprende subito l’attività economica divisata, senza dover attendere i canonici 30 giorni, ma si tratta di un regime valevole solo per i servizi “Bolkenstein”.
Il 7 luglio esce la legge n. 88, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2008 il cui 41 reca delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2006/123/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (Bolkestein).
Il 6 novembre esce la sentenza del Tar Calabria, Catanzaro, sezione II, n.1214 che – muovendo alla dia come generatrice di un atto di assenso abilitante tacito della PA, coerentemente assume il terzo tutelabile attraverso l’impugnativa nei consueti termini di tale atto, decorrenti da quando il terzo ha avuto contezza del perfezionamento della fattispecie abilitativa.
2010
*Il 10 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.72 che, quanto alla natura giuridica della dia, assume essersi al cospetto di una fattispecie a formazione successiva (o progressiva) che sfocia in un atto amministrativo tacito: in sostanza, sulla base di taluni presupposti formali e sostanziali, ad una istanza del privato fa seguito il decorso del termine affidato alla PA per esercitare il potere inibitorio, spirato il quale in difetto dell’esercizio di tale potere, si forma un atto amministrativo tacito che chiude la fattispecie.
Il 26 marzo esce il decreto legislativo n.59 che esercita la delega di cui alla legge 88 del 2009 ed attua la c.d. Direttiva Bolkestein del 2006 sulla liberalizzazione dei servizi nel mercato interno.
Il 31 maggio esce il decreto legge n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita’ economica, che originariamente all’art.49 non incide sulla dia.
Il 7 giugno esce la sentenza del Tar Campania, Salerno, n.8539, che assume non applicabile alla d.i.a. (disciplina speciale e specifiche garanzie partecipative) l’istituto del preavviso di rigetto (disciplina procedimentale generale).
Il 30 luglio esce la legge n.122 che, nel convertire in legge con modificazioni il decreto legge n.78, all’art.49, introduce tra gli altri il comma 4.bis, che cambia la denominazione della dia in scia (segnalazione certificata di inizio attività), e soprattutto prevede in via generalizzata la possibilità per il privato di iniziare l’attività economica divisata (anche laddove non Bolkestein) sulla scorta appunto della mera scia, e contemporaneamente alla relativa presentazione alla PA, senza dunque dover attendere i successivi 30 giorni. La riforma incide anche su altri elementi quali il contenuto obbligatorio della segnalazione del privato, lo stesso ambito applicativo dell’istituto, il potere demandato alla PA in via successiva e le sanzioni in caso di dichiarazioni mendaci da parte privata in ordine ai presupposti e requisiti necessari per intraprendere l’attività di che trattasi. All’atto della presentazione della scia il privato deve anche, contestualmente, corredare la segnalazione con una serie di documenti (dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà, attestazioni, asseverazioni di tecnici abilitati, dichiarazioni di conformità e così via). Iniziata l’attività contestualmente alla scia, entro i successivi 60 giorni la PA può vietare la prosecuzione dell’attività con rimozione dei relativi effetti, ovvero in alternativa può chiedere al privato di conformare la propria attività ai requisiti di legge assegnando un termine di almeno 30 giorni. Dopo i 60 giorni la PA può intervenire solo in sede di autotutela, giusta potere di annullamento ex art.21.nonies della legge 241.90, peraltro non sempre ma solo quando siano presenti danni ai c.d. interessi sensibili, ovvero al patrimonio artistico e culturale, all’ambiente, alla salute alla sicurezza pubblica o alla difesa nazionale, e previo accertamento che è impossibile tutelare tali interessi attivando il potere conformativo dell’iniziativa privata.
2011
Il 13 maggio viene varato il decreto legge n.70, meglio noto come decreto Sviluppo, che con l’art.5, comma 2, innesta nell’art.19 della legge 241.90 un comma 6.bis alla stregua del quale il potere di intervento successivo della PA (inibizione, conformazione, rimozione degli effetti), laddove si tratti della materia edilizia al cospetto di una dia/scia, è di 30 giorni (dimidiato) in luogo dei 60 ordinari; peraltro, in materia di edilizia la scia viene consentita solo laddove non occorra un permesso di costruire, che dunque non è titolo surrogabile dalla scia medesima: sono le ipotesi del restauro e risanamento conservativo, della ristrutturazione edilizia c.d. “leggera”, della manutenzione straordinaria che non sia “libera”. Inoltre, laddove siano presenti vincoli di natura ambientale, paesaggistica o culturale, la scia edilizia non sostituisce gli atti di autorizzazione e simili (assensi, nulla osta) appannaggio delle amministrazioni competenti, che vanno dunque chiesti ed ottenuti. Resta la possibilità di ricorrere alla c.d. “super dia” nelle ipotesi di maggiore impatto urbanistico, previste dalla legislazione regionale, in cui il privato ha tuttavia la possibilità di scegliere se chiedere il permesso di costruire ovvero procedere appunto con lo strumento semplificato della dia (nuove costruzioni, ristrutturazioni urbanistiche etc.).
Il 12 luglio viene varata la legge n.106, che converte il c.d. decreto Sviluppo, ovvero il decreto legge n.70.
Il 29 luglio esce l’importante sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.15 che, in tema di dia/scia, chiarisce come si tratti di un istituto da ricondursi al fenomeno della liberalizzazione, e non già della semplificazione. La legge detta dei presupposti di fatto e di diritto che consentono ad una attività privata di essere “liberalizzata” e dunque esercitabile senza titoli autorizzatori espliciti della PA e dunque al di fuori dei consueti moduli di tipo procedimentale-provvedimentale. Muovendo da questo presupposto, la dia/scia è atto soggettivamente ed oggettivamente privato che si compendia in una vera e propria assunzione di responsabilità del privato che intenda intraprendere una determinata attività, senza il bisogno di atti di consenso della PA. Si tratta di una liberalizzazione non assoluta, ma parziale: l’auto-responsabilità del privato viene temperata dalla sussistenza di poteri pubblici ex post orientati alla verifica della concreta sussistenza dei presupposti che giustificano l’attività privata intrapresa. Non viene dunque eliso il regime amministrativo, ma esso si trasforma da preventivo (con atto di assenso o consenso esplicito) a successivo, dovendo la PA attivare d’ufficio un procedimento teso alla verifica ex post della sussistenza di tutti i presupposti e requisiti che giustificano l’inizio di una data attività in via immediata e diretta da parte del privato, sulla scorta di una semplice denuncia/segnalazione. Se la dia è epifania di liberalizzazione, essa non può che essere un atto privato volto a comunicare alla PA l’intenzione di intraprendere una attività direttamente ammessa dalla legge, senza la mediazione preventiva del potere pubblico (e salve le verifiche successive). Passando alla tutela accordabile al terzo, la Plenaria ammette in linea teorica la esperibilità di una azione di accertamento nel processo amministrativo, ma ne esclude l’operatività nel caso della dia/scia; piuttosto, si tratta di azione classica demolitoria ex art.29 del codice del processo amministrativo, che si appunta sul mancato esercizio dei poteri inibitori da parte dell’Amministrazione competente: il termine di 60 giorni per impugnare il silenzio della PA (che non ha inibito l’esercizio di una attività che invece andava inibita) decorre – sul modello delle impugnazioni dei titoli edilizi – dalla piena conoscenza della adozione (o, nel caso di specie, della non adozione) dell’atto lesivo, e dunque non già dall’inizio dei lavori da parte del denunciante, ma dal relativo completamento (o dalla scadenza del termine che la PA aveva per intervenire, laddove il terzo abbia avuto anteriormente contezza della presenza della dia / scia). In sostanza, decorso senza esito il potere che la legge concede alla PA per verificare l’attività intrapresa dal privato in modo liberalizzato, interviene un silenzio che preclude alla PA l’esercizio del potere inibitorio: non si è dunque al cospetto di un silenzio non significativo, ma di un vero e proprio provvedimento tacito positivo per il denunciante e negativo per il terzo, che è epifania di un potere amministrativo. La PA adotta in modo silenzioso – non esercitando il potere inibitorio ad essa attribuito dalla legge – un atto di espresso diniego di adozione del provvedimento inibitorio che, se non è necessario sul versante del denunciante (ed infatti ha natura silenziosa), è invece importante dal punto di vista del terzo perché apre i termini per la relativa impugnativa dinanzi al GA. In sostanza la PA – lasciando trascorrere senza intervenire il termine per l’esercizio del proprio potere inibitorio – consente ex post e per silentium al denunciante di esercitare la intrapresa attività, e nel contempo denega al terzo l’esercizio del potere inibitorio con un atto silenzioso impugnabile. Nell’impugnare il silenzio-diniego della PA all’esercizio del potere inibitorio (se del caso, con decorrenza dal completamento dei lavori), il privato per la Plenaria può anche chiedere al GA di condannare la PA ad esercitare il detto potere inibitorio, giusta richiamo al proprio precedente n.3 del 2011 che, in tema di interessi pretensivi e di relativa tutela nel processo amministrativo, ha individuato tra le possibili tecniche di tutela quella appunto della richiesta al GA di condannare la PA ad esercitare i propri poteri autoritativi. Qualora poi il privato – prima ancora che si formi il silenzio-diniego della PA a cagione dell’inutile decorso del termine ad essa assegnato per inibire l’attività intrapresa dal denunciante – intenda contrastare la ridetta attività, per la Plenaria può spiccare azione di accertamento da parte del GA della insussistenza dei presupposti e dei requisiti che giustificano l’attività “liberalizzata”: un’azione che, se accolta, spiega effetti conformativi sulla successiva azione della PA, in qualche modo sospingendola ad inibire l’attività del denunciante. Né a tale soluzione può ostare, per la Plenaria, l’art.34, comma 2, del codice del processo amministrativo laddove vieta al GA di pronunciarsi su poteri della PA non ancora esercitati: nel momento in cui viene spiccata l’azione di accertamento da parte del terzo, quello che il GA deve verificare sono infatti i soli presupposti processuali, che devono sussistere appunto al momento della domanda, e non le condizioni dell’azione (quale appunto è da intendersi il fatto che il potere della PA sia stato esercitato o sia scaduto il relativo termine di esercizio), che devono invece sussistere al momento della decisione della causa nel merito, con la conseguenza onde il completamento del procedimento amministrativo di controllo sulla dia/scia, con scadenza del relativo termine, deve intendersi come condizione dell’azione che deve essere necessariamente presente al momento della decisione nel merito del giudizio, autorizzando medio tempore anche l’adozione di misure cautelari ai sensi dell’art.55 del codice del processo laddove il terzo invochi un pregiudizio grave ed irreparabile connesso alla diretta intrapresa di un’attività che va intesa come non liberalizzata.
Il 13 agosto viene varato il decreto legge n.138, il cui art.6, comma 1, aggiunge all’art.19 della legge 241.90 un comma 6.ter importante perché dichiara che la scia e la dia non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Ai soggetti interessati viene consentito di sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti alle PA e, in caso di inerzia di quest’ultima, di avvalersi della tutela avverso il silenzio inadempimento di cui all’art.31 del c.p.a. Da un lato dunque si parla di natura sostanzialmente privata della scia, che non è un provvedimento tacito direttamente impugnabile; dall’altro, l’unica tutela esperibile dal terzo è quella avverso il silenzio che la PA serba sulla sollecitazione ad esercitare i relativi poteri inibitori.
Il 14 settembre viene varata la legge n.148 che converte in legge il decreto n.138: in sede di conversione, il legislatore si preoccupa di chiarire che l’azione ex art.31 cpa è l’unica a disposizione del terzo che intenda dolersi della dia/scia presentata dall’interessato, in tal modo sconfessando apertamente le conclusioni dell’Adunanza Plenaria n.15 dello stesso anno, senza tuttavia dire precisamente come la tutela avverso il silenzio-inadempimento pubblico si coordina con la specifica disciplina della scia. Peraltro, l’azione avverso il silenzio inadempimento della PA non ha più bisogno di previa diffida, mentre nella ipotesi della scia il privato è obbligato, prima di attivarsi avverso il silenzio, a sollecitare la PA a prendere posizione nei confronti della segnalazione del privato interessato. Altro problema concerne il tratto cronologico che va dal momento in cui la segnalazione viene presentata fino allo spirare del termine (60 giorni) a disposizione della PA per intervenire: per quanto concerne la tutela (anticipata) del terzo il legislatore tace, mentre la Plenaria n.15 ha indicato la possibilità di agire in ogni caso giusta azione di accertamento. Inoltre, sul crinale del soggetto che presenta la scia si profila una situazione di incertezza duratura: il terzo potrebbe infatti sollecitare la PA ad intervenire sulla scia nei termini previsti dal legislatore, riservandosi poi l’azione avverso il silenzio ad un secondo momento, nell’arco di un anno, siccome previsto dall’art.31, comma 2, del codice del processo amministrativo.
2012
Il 9 febbraio esce la sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, Trento, n.50, che assume non applicabile alla d.i.a. / s.c.i.a. (disciplina speciale e specifiche garanzie partecipative) l’istituto del preavviso di rigetto (disciplina procedimentale generale).
Il 5 marzo esce la sentenza della II sezione del Tar Veneto n.298 che muove dal presupposto onde – ai sensi del decreto legislativo n.195 del 2011 (primo correttivo al cpa) è possibile agire ex art.31 del cpa avverso il silenzio inadempimento della PA, oltre che nella classica ipotesi di scadenza del termine procedimentale, anche negli “altri casi previsti dalla legge”, tra i quali è da annoverarsi proprio la dia/scia: il terzo può dunque agire nei confronti della PA che non si attivi anche nel corso del termine ad essa assegnato per attivarsi (60 giorni), con una azione di accertamento che, laddove sfociante in una sentenza (o, in sede cautelare, in una ordinanza) del pari di accertamento, costringe poi la PA sul piano conformativo ad adeguarsi al dictum giudiziale del Tar e a bloccare l’iniziativa privata per acclarato difetto dei presupposti di legge per farvi luogo.
Il 12 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Lombardia n.1075 che prende in esame l’azione avverso il silenzio esperibile dal terzo in caso di scia, ai sensi dell’art.31 del cpa: normalmente un’azione avverso il silenzio presuppone un procedimento amministrativo iniziato e concluso senza un provvedimento della PA, mentre nel caso di specie si tratta di azione avverso il silenzio sui generis perché non c’è nessun procedimento amministrativo, e questo è il motivo per il quale nel primo correttivo al codice del processo amministrativo (decreto legislativo 195.11) l’azione avverso il silenzio, oltre che nel classico caso di scadenza del termine procedimentale senza una provvedimento espresso, è stata consentita anche “negli altri casi previsti dalla legge”. In realtà, nel caso che occupa non difetta il procedimento: si è al cospetto piuttosto di un procedimento d’ufficio (di verifica, avviato dalla PA una volta ricevuta la scia), e non di un procedimento ad istanza di parte a valle del quale scatta normalmente l’azione avverso il silenzio dell’Amministrazione.
Il 12 giugno esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia n.1187 secondo la quale il nuovo comma 6.ter dell’art.19 della legge 241.90, laddove prevede esplicitamente la natura privatistica della scia (che non costituisce atto amministrativo direttamente impugnabile) e la possibilità per il terzo di tutelarsi aggredendo l’inerzia ed il conseguente silenzio-inadempimento della PA, ha efficacia retroattiva quale norma di interpretazione autentica.
Il 21 giugno esce la sentenza del Tar Campania, sezione VI, n.2982 secondo la quale il difetto di una esplicita sollecitazione della PA da parte del terzo ad esercitare i relativi poteri inibitori rende inammissibile il relativo ricorso ai sensi dell’art.31 del codice del processo amministrativo.
Il 27 giugno esce la sentenza della Corte costituzionale n.164 che chiarisce come tutto il meccanismo della segnalazione certificata di inizio attività costituisca «prestazione specifica» dello Stato nei confronti del cittadino anche laddove viene tutelato «il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima», così condividendo l’assunto legislativo ritraibile da varie disposizioni di legge che riconducono la normativa nazionale in materia di SCIA ai «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» e che, com’è noto, sono rimessi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m), Cost. (cfr. art. 29, comma 2-quater l. 241/1990; art. 49, comma 4-ter, d.l. 78/2010, conv. con l. 122/2010).
Il 18 luglio esce la sentenza della sezione II bis del Tar Lazio n.6564 che – riprendendo quanto già affermato dal Tar Veneto con la sentenza n.298 del medesimo anno – muove dal presupposto onde – ai sensi del decreto legislativo n.195 del 2011 (primo correttivo al cpa) è possibile agire ex art.31 del cpa avverso il silenzio inadempimento della PA, oltre che nella classica ipotesi di scadenza del termine procedimentale, anche negli “altri casi previsti dalla legge”, tra i quali è da annoverarsi proprio la dia/scia: il terzo può dunque agire nei confronti della PA che non si attivi anche nel corso del termine ad essa assegnato per attivarsi (60 giorni), con una azione di accertamento che, laddove sfociante in una sentenza (o, in sede cautelare, in una ordinanza) del pari di accertamento, costringe poi la PA sul piano conformativo ad adeguarsi al dictum giudiziale del Tar e a bloccare l’iniziativa privata per acclarato difetto dei presupposti di legge per farvi luogo. Per il Tar Lazio, tutte le volte che l’effettività della tutela impone l’esperibilità di un’azione di accertamento, come appunto nel caso della scia, essa deve essere assunta ammissibile.
Il 26 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4255 che – nel richiamare quanto deciso dall’Adunanza Plenaria nel contesto letterale della sentenza n.15.11 – riafferma come il terzo abbia a disposizione, in caso di scia, l’azione demolitoria avverso il silenzio significativo formatosi a seguito dello scadere del termine assegnato alla PA per intervenire, da assumersi quale provvedimento negativo implicito.
2013
Il 21 giugno viene varato il decreto legge n.69, c.d. decreto del Fare, che all’art.30 si occupa della dia edilizia: laddove l’intervento porti ad una modifica della sola sagoma, e non anche del volume dell’immobile oggetto di intervento, non occorre il permesso di costruire e basta la scia, mentre continua ad essere imprescindibile il permesso di costruire laddove si tratti di immobili vincolati ai sensi del decreto legislativo n.42 del 2004.
Il 3 luglio esce la sentenza della sezione II ter del Tar Lazio n.6571 che in una fattispecie di scia richiama la disciplina normativa di cui all’art.19, comma 6.ter, della legge 241.90 (come introdotto nel 2011), onde la scia rappresenta un atto privato connesso ad una attività liberalizzata, non costituendo pertanto un provvedimento tacito impugnabile: il terzo controinteressato può in via stragiudiziale sollecitare la PA ad attivare i propri poteri di intervento e, in caso di mancato conforto a questa iniziativa, può poi agire avverso il silenzio inadempimento ai sensi dell’art.31 del cpa.
Il 9 agosto viene varata la legge n.98 che converte in legge il decreto legge del Fare n.69.
Il 20 dicembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.6160 che abbracciando l’opzione ermeneutica fatta propria dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n.15 del 2011, conferma la dia essere epifania di liberalizzazione (temperata), non potendo come tale che compendiare un atto privato volto a comunicare alla PA l’intenzione di intraprendere una attività direttamente ammessa dalla legge, senza la mediazione preventiva del potere pubblico (e salve le verifiche successive).
2014
*Il 28 febbraio esce la sentenza del Tar Umbria n.142 che, abbracciando l’opzione ermeneutica fatta propria dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n.15 del 2011, conferma la dia essere epifania di liberalizzazione (temperata), non potendo come tale che compendiare un atto privato volto a comunicare alla PA l’intenzione di intraprendere una attività direttamente ammessa dalla legge, senza la mediazione preventiva del potere pubblico (e salve le verifiche successive).
*Il 9 maggio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.2384 che, abbracciando l’opzione ermeneutica fatta propria dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n.15 del 2011, conferma la dia essere epifania di liberalizzazione (temperata), non potendo come tale che compendiare un atto privato volto a comunicare alla PA l’intenzione di intraprendere una attività direttamente ammessa dalla legge, senza la mediazione preventiva del potere pubblico (e salve le verifiche successive).
2015
Il 7 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3366, che parte dal presupposto, ormai acquisito, che la scia è atto di natura soggettivamente ed oggettivamente privata (e non pubblica). Laddove la PA resti inerte per 60 giorni (30 in materia edilizia), le viene preclusa la possibilità di inibire l’attività intrapresa dal privato. Laddove un terzo si affermi pregiudicato dalla scia, egli può utilizzare lo strumento previsto dall’art.31 del cpa, ovvero l’azione avverso il silenzio-inadempimento della PA (che non si sia attivata per inibire l’attività iniziata dal segnalante pur in difetto dei presupposti e requisiti di relativa liberalizzazione), ottenendo una sentenza di accertamento cui la PA deve conformarsi. Ad evitare tuttavia una prolungata situazione di incertezza per il segnalante e per la PA, il terzo deve agire (avverso il silenzio ex art.31 del cpa) non già entro l’anno, quanto piuttosto nel consueto termine decadenziale, con individuazione del dies a quo sulla scorta della giurisprudenza formatasi in tema di impugnazione dei titoli edilizi e di percezione della relativa lesività. Viene fatto notare tuttavia come l’accoglimento della domanda del terzo – che ne conforta l’azione avverso il silenzio della PA – non consente più, in ogni caso, alla P.A. medesima l’esercizio di quei poteri inibitori dai quali essa sia già decaduta per l’inutile decorso del tempo (60 giorni, 30 in materia edilizia): secondo il Consiglio di Stato però non solo l’annullamento giurisdizionale del titolo ad aedificandum a seguito di DIA è possibile (ove accolta l’azione del terzo ex art.31 cpa), ma soprattutto implica sia l’illiceità delle opere edilizie realizzate in base ad esso, sia l’obbligo della P.A. di dar esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali. In caso di dia edilizia, si può allora discutere se l’intimato Comune debba procedere necessariamente alla demolizione del manufatto ai sensi dell’art. 31 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 o se, nella specie, non vi sia una gamma articolata di altre possibili soluzioni: quel che tuttavia importa davvero è che il Comune esegua i decisa del Giudice, in quanto, una volta esperita l’azione ex art. 31 c.p.a. ed accolto il ricorso del terzo, non v’è più spazio all’esercizio dei poteri d’autotutela e non resta altro alla P.A. che l’ottemperanza.
Il 7 agosto viene varata la legge n.124 che incide sul regime della scia a mezzo delega al Governo (art.5) ed anche in via immediata e diretta (art.6). Al Governo viene chiesto di individuare con precisione i procedimenti per i quali è prevista la scia, quelli in regime di silenzio assenso, quelli sottoposti ad autorizzazione espressa e quelli oggetto di comunicazione preventiva; viene altresì chiesto di predisporre una disciplina di carattere generale per quanto concerne tutte le attività non soggette ad autorizzazione preventiva espressa (contenuti standard degli atti dei privati, relative modalità di presentazione, svolgimento della procedura, strumenti di documentazione o attestazione degli effetti di tali atti dei privati). Per quanto concerne gli interventi diretti operati da questa legge, significativa la riformulazione dei comma 3 e 4 dell’art.19 della legge 241.90 in tema di poteri successivi della PA rispetto alla presentazione della scia privata e del contestuale abbrivio dell’attività economica, con particolare riguardo ai presupposti richiesti dalla legge. La PA ha 60 giorni per procedere a verificare la scia sulla scorta dei documenti che la corredano, potendo entro il detto termine – ove l’attività sia fuori asse rispetto al quadro ordinamentale e non sia regolarizzabile – inibire con atto motivato la prosecuzione dell’attività e ordinare la rimozione degli eventuali effetti dannosi prodotti; laddove invece si tratti di irregolarità suscettibili di regolarizzazione, del pari con atto motivato la PA invita il privato ad adeguare l’attività intrapresa alla normativa vigente, indicando specificamente quali siano le misure idonee per tale adeguamento e fissando al privato un termine di 30 giorni per provvedere: allo scadere di tale termine, ove il privato non si sia adeguato, l’attività intrapresa va considerata vietata. Resta in vigore il generalizzato potere di sospensione dell’attività privata da parte della PA. Un altro importante intervento da ricondursi alla legge in parola è quello spiegato sul comma 3 dell’art.19 della legge 241.90: non viene più fatto salvo, e dunque viene escluso, il potere di autotutela della PA (annullamento e revoca) successivo alla scadenza dei 60 giorni decorrenti dalla scia, muovendo dalla ormai ovvia considerazione onde non è esercitabile l’autotutela pubblica su un atto che ha natura privata (e che non è un provvedimento amministrativo tacito). Decorsi tuttavia i 60 giorni, che sono 30 in ambito edilizio, viene prevista la possibilità per la PA di esercitare in ogni caso i poteri inibitori, conformativi o sospensivi (con ordine di rimozione degli effetti), a condizione tuttavia che sussistano i presupposti che l’art.21.nonies legge 241.90 fissa per l’annullamento in autotutela di un atto amministrativo, ovvero le ragioni di interesse pubblico, la necessità di tener conto degli interessi del segnalante e dei controinteressati, ed il limite temporale del termine ragionevole, che non può comunque superare il perentorio termine di 18 mesi decorrente secondo taluni dalla scia stessa, mentre secondo un’altra interpretazione dallo scadere dei successivi 60 giorni (che costituiscono l’arco temporale in cui la PA può fisiologicamente intervenire anche senza i presupposti di cui all’art.21.nonies della legge 241.90). Presenti i presupposti di cui all’art.21.nonies della legge 241.90, l’intervento post 60 giorni da parte dell’Amministrazione non è più condizionato alla presenza di un danno per gli interessi sensibili, venendo dunque generalizzato.
*Il 12 novembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.5161 che, muovendo dal presupposto, ormai acquisito, che la scia è atto di natura soggettivamente ed oggettivamente privata (e non pubblica), ribadisce come laddove la PA resti inerte per 60 giorni (30 in materia edilizia), le venga preclusa poi la possibilità di inibire l’attività intrapresa dal privato. Se un terzo si afferma pregiudicato dalla scia, egli può utilizzare lo strumento previsto dall’art.31 del cpa, ovvero l’azione avverso il silenzio-inadempimento della PA (che non si sia attivata per inibire l’attività iniziata dal segnalante pur in difetto dei presupposti e requisiti di relativa liberalizzazione), ottenendo una sentenza di accertamento cui la PA deve conformarsi. Ad evitare tuttavia una prolungata situazione di incertezza per il segnalante e per la PA, il terzo deve agire (avverso il silenzio ex art.31 del cpa) non già entro l’anno, quanto piuttosto nel consueto termine decadenziale, con individuazione del dies a quo sulla scorta della giurisprudenza formatasi in tema di impugnazione dei titoli edilizi e di percezione della relativa lesività. Viene fatto notare tuttavia come l’accoglimento della domanda del terzo – che ne conforta l’azione avverso il silenzio della PA – non consente più, in ogni caso, alla P.A. medesima l’esercizio di quei poteri inibitori dai quali essa sia già decaduta per l’inutile decorso del tempo (60 giorni, 30 in materia edilizia): secondo il Consiglio di Stato però non solo l’annullamento giurisdizionale del titolo ad aedificandum a seguito di DIA è possibile (ove accolta l’azione del terzo ex art.31 cpa), ma soprattutto implica sia l’illiceità delle opere edilizie realizzate in base ad esso, sia l’obbligo della P.A. di dar esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali. In caso di dia edilizia, si può allora discutere se l’intimato Comune debba procedere necessariamente alla demolizione del manufatto ai sensi dell’art. 31 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 o se, nella specie, non vi sia una gamma articolata di altre possibili soluzioni: quel che tuttavia importa davvero è che il Comune esegua i decisa del Giudice, in quanto, una volta esperita l’azione ex art. 31 c.p.a. ed accolto il ricorso del terzo, non v’è più spazio all’esercizio dei poteri d’autotutela e non resta altro alla P.A. che l’ottemperanza.
2016
*Il 29 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.839 che, muovendo dal presupposto, ormai acquisito, che la scia è atto di natura soggettivamente ed oggettivamente privata (e non pubblica), ribadisce come laddove la PA resti inerte per 60 giorni (30 in materia edilizia), le venga preclusa poi la possibilità di inibire l’attività intrapresa dal privato. Se un terzo si afferma pregiudicato dalla scia, egli può utilizzare lo strumento previsto dall’art.31 del cpa, ovvero l’azione avverso il silenzio-inadempimento della PA (che non si sia attivata per inibire l’attività iniziata dal segnalante pur in difetto dei presupposti e requisiti di relativa liberalizzazione), ottenendo una sentenza di accertamento cui la PA deve conformarsi. Ad evitare tuttavia una prolungata situazione di incertezza per il segnalante e per la PA, il terzo deve agire (avverso il silenzio ex art.31 del cpa) non già entro l’anno, quanto piuttosto nel consueto termine decadenziale, con individuazione del dies a quo sulla scorta della giurisprudenza formatasi in tema di impugnazione dei titoli edilizi e di percezione della relativa lesività. Viene fatto notare tuttavia come l’accoglimento della domanda del terzo – che ne conforta l’azione avverso il silenzio della PA – non consente più, in ogni caso, alla P.A. medesima l’esercizio di quei poteri inibitori dai quali essa sia già decaduta per l’inutile decorso del tempo (60 giorni, 30 in materia edilizia): secondo il Consiglio di Stato però non solo l’annullamento giurisdizionale del titolo ad aedificandum a seguito di DIA è possibile (ove accolta l’azione del terzo ex art.31 cpa), ma soprattutto implica sia l’illiceità delle opere edilizie realizzate in base ad esso, sia l’obbligo della P.A. di dar esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali. In caso di dia edilizia, si può allora discutere se l’intimato Comune debba procedere necessariamente alla demolizione del manufatto ai sensi dell’art. 31 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 o se, nella specie, non vi sia una gamma articolata di altre possibili soluzioni: quel che tuttavia importa davvero è che il Comune esegua i decisa del Giudice, in quanto, una volta esperita l’azione ex art. 31 c.p.a. ed accolto il ricorso del terzo, non v’è più spazio all’esercizio dei poteri d’autotutela e non resta altro alla P.A. che l’ottemperanza.
Il 30 marzo esce il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n.389 reso sullo schema di decreto legislativo elaborato in attuazione della delega di cui alla legge 124.15: vi si chiarisce come la scia rappresenti un modulo di liberalizzazione di talune attività economiche private, per esercitare le quali non occorre un preventivo atto di assenso amministrativo, potendo esse essere intraprese sulla scorta della mera dichiarazione del privato attestante i relativi presupposti di legge (e salvi i successivi controlli ex parte publica). Da questo punto di vista, essa si distingue dal silenzio-assenso, che risponde alla diversa logica non già della liberalizzazione, quanto piuttosto della semplificazione procedimentale, dove l’assenso preventivo dell’Amministrazione è necessario, ma risulta appunto semplificato e stilizzato per silentium.
Il 30 giugno viene varato il decreto legislativo n.126 (c.d. Scia 1), che attua la delega di cui alla legge 124.15 anche sul crinale della scia. Il relativo art.2, comma 2, lettera c), incide sull’art.19, comma 2, della legge 241.90 , prevedendo per la PA la possibilità di sospendere, con atto motivato, l’attività economica intrapresa dal privato giusta scia laddove si riscontrino attestazioni non veritiere ovvero comunque un pericolo per l’interesse pubblico in materia di ambiente, di paesaggio, di salute, di sicurezza pubblica, di beni culturali o di difesa nazionale: le ipotesi di possibile sospensione dell’attività privata da parte della PA vengono dunque ormai assunte come tassative, con esclusione di un potere pubblico generalizzato di sospensione siccome in precedenza previsto. Non viene attuata la parte della delega concernente la individuazione dei procedimenti soggetti a scia (e a silenzio assenso), che viene rinviata ad altro e successivo decreto legislativo. Particolare importanza riveste l’art.2 in tema di standardizzazione e contenuto tipico delle istanze, segnalazioni e comunicazioni private, con l’obiettivo di sburocratizzare e, ad un tempo, coordinare i vari livelli di governo territoriale anche attraverso accordi o intese in sede di Conferenza unificata. Ci si muove nel quadro dell’accesso civico (decreto legislativo 33.13) e di quello libero e universale (decreto legislativo 97.16), con una tutela della pubblicità rafforzata in quanto, laddove un ente territoriale resti inadempiente nella pubblicazione dei moduli utili al privato per la scia, la Regione (anche su sollecitazione del privato) può fissare un termine per provvedere, decorso il quale può provvedere essa stessa in via sostitutiva. Con l’art.3 viene introdotto un art.18.bis nella legge 241.90 che presiede alle ricevute da rilasciarsi immediatamente anche in via telematica, al segnalante: dette ricevute indicano i termini del possibile intervento della PA e, a determinate condizioni, possono compendiare comunicazione di avvio del procedimento. Laddove la scia venga presentata a PA incompetente, i termini per intervenire (60 giorni, o 30 in materia edilizia) decorrono da quando essa perviene alla PA competente. Di rilievo anche la disciplina che viene introdotta nella legge 241.90 con il nuovo art.19.bis, e che compendia quella che è stata definita la concentrazione dei regimi amministrativi; può accadere che il procedimento (e l’attività) in relazione al(la) quale sia presentata dal privato la scia sia connesso con altri di competenza di altre PA, ovvero di altre articolazioni in seno alla medesima PA, e per questo motivo viene prevista l’indicazione sul sito istituzionale di ciascuna PA dello sportello unico cui fare riferimento (comma 1); quando per lo svolgimento dell’attività soggetta a scia siano necessarie altre scia (o comunicazioni, attestazioni, asseverazioni o notifiche), viene consentito al privato di presentare un’unica scia allo sportello unico indicato sul sito istituzionale della PA procedente (si parla in tal caso, disciplinato dal comma 2 del nuovo art.19.bis legge 241.90, di c.d. “scia unica”), alla quale fa seguito una fase di coordinamento tra la PA ricevente la scia e le altre, che vengono coinvolte ai fini della verifica – per i profili di competenza di ciascuna – dei presupposti e requisiti legali connessi all’attività divisata, e che possono proporre i noti provvedimenti (inibizione, conformazione etc) fino a 5 giorni prima della scadenza del noto termine di 60 giorni dalla presentazione della scia da parte del privato; in altri casi più complessi (comma 3), il privato presenta la scia, e tuttavia occorrono atti di assenso o pareri di altri uffici o amministrazioni, ovvero occorre eseguire delle verifiche preventive: in simili ipotesi il privato non presenta allo sportello unico una vera e propria scia, quanto piuttosto un’istanza in relazione alla quale viene rilasciata ricevuta, e che fa decorrere il termine per la convocazione di una conferenza di servizi ex art.14 della legge 241.90, con impossibilità per il privato di far partire immediatamente l’attività segnalata, dovendo egli attendere il rilascio degli altri atti necessari e di competenza di altre articolazioni amministrative, a valle della conferenza di servizi, che gli vengono comunicati dallo sportello unico. La concentrazione dei regimi amministrativi implica dunque che per il privato è sufficiente presentare una scia sia nelle ipotesi (art.19.bis, comma 2: vera e propria liberalizzazione) in cui occorrano altre scia nei confronti di altre amministrazioni, ed in tal caso egli può subito e contestualmente iniziare l’attività divisata, non appena presentata la scia “unica” allo sportello unico (telematico); sia nella differente ipotesi (art.19.bis, comma 3: si tratta di una semplificazione procedimentale) in cui occorrano non altre scia, ma altri atti – “non certificabili” autonomamente dal privato medesimo – di assenso (che sono dunque delle autorizzazioni) da parte di altre amministrazioni, ipotesi nella quale l’attività non può subito essere iniziata, e la scia prende la forma di una istanza che può essere in ogni caso presentata al medesimo sportello unico (telematico), ferma restando la necessità per far partire l’attività divisata di attendere l’esito della conferenza di servizi, con conseguente adozione degli atti ivi previsti da parte delle competenti amministrazioni: in questo secondo caso, si parte con una istanza (presentata secondo le modalità della scia), vi succede una fase provvedimentale vera e propria e, in caso di esito positivo di quest’ultima debitamente comunicato al privato istante, si ritorna sui binari della scia, con possibilità di intraprendere l’attività divisata e con i consueti poteri successivi affidati alla PA che presidia lo specifico interesse pubblico di settore. La dottrina di commento ha rappresentato come l’art.19.bis neo-introdotto dal legislatore configuri una disciplina di principio che appare tuttavia, al momento, non parimenti normata nei relativi aspetti applicativi, non essendo individuata l’Autorità competente a ricevere la segnalazione, né le conseguenze che possano derivare dalla violazione del termine finale assegnato alle PPAA coinvolte per far pervenire le rispettive proposte.
Il 4 agosto esce il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n.1784 sullo schema di decreto legislativo (c.d. Scia 2) con il quale il Governo procede all’attuazione della delega in materia di scia, con peculiare riferimento alla individuazione dei procedimenti sottoposti a scia o a silenzio assenso.
Il 25 novembre viene varato il decreto legislativo n.222, c.d. decreto Scia 2, che procede nell’attuazione della delega conferita al Governo con la legge 124.15: il Governo procede nella mappatura delle diverse attività private nei settori dell’edilizia, del commercio e dell’ambiente, specificando per ciascuna di esse quale procedimento occorre attivare; giusta apposita tabella, vengono individuate le attività oggetto di comunicazione, di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), di silenzio assenso nonché quelle per cui è necessario un provvedimento espresso, prevedendo anche specifiche disposizioni normative di coordinamento. Più in specie, alla stregua dell’art.2, ciascuna delle attività elencate nell’allegata tabella A conosce un proprio regime amministrativo specifico, in taluni casi affermandosi sufficiente la mera comunicazione dello svolgimento dell’attività divisata, che produce effetto dal momento della presentazione alla PA competente o allo Sportello unico; in altri occorrendo la SCIA vera e propria, con operatività dell’art.19 della legge 241.90; in altri ancora occorrendo invece l’autorizzazione e dunque un provvedimento espresso, salva l’applicabilità dell’istituto del silenzio-assenso. Importante l’art.2, comma 4, che – in tema di autotutela – risolve il dubbio relativo alla dies a quo del termine (18 mesi) assegnato alla PA per agire in annullamento ex art.21.nonies della legge 241.90 (siccome richiamato dall’art.19, comma 3, della medesima legge): esso non decorre dal giorno in cui è intervenuta la SCIA, ma piuttosto dalla data di scadenza del (precedente) termine previsto dalla legge per l’esercizio del potere ordinario di verifica da parte della PA competente sulla SCIA già presentata. In materia edilizia, importante l’art.3 del decreto, rubricato “semplificazione di regimi amministrativi in materia edilizia”, che novella in modo consistente il D.p.R. 380.01 incidendo sui relativi articoli 5 (Sportello Unico per l’edilizia) e 6 (attività di edilizia libera) e soprattutto introducendo il nuovo art.6 bis rubricato “interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata” (c.d. CILA); più in generale, il Capo III del testo unico viene rivisto con eliminazione di ogni riferimento alla DIA e sostituzione con la SCIA.
2017
L’11 maggio viene pubblicata l’ordinanza della III sezione del Tar Toscana n.667 che ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90, nella parte in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo alla PA delle verifiche sulla SCIA, per contrasto con gli artt. 3, 11, 97, 117, co. 1 Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE, e 117 comma 2 lett. m) Cost. Il problema da risolvere è quello concernente l’esposizione del soggetto segnalante ad una incertezza in ordine all’attività che ha intrapreso, assumendola come “liberalizzata”: il terzo, che può avvalersi della tutela di cui al silenzio inadempimento ex art.31 del codice del processo amministrativo, ha infatti a disposizione un anno dalla scadenza dei termini fissati alla PA per intervenire sulla scia, e può sollecitarne l’intervento (attivando il meccanismo del silenzio-inadempimento) a relativo libito in questo arco temporale. Il Collegio, più nel dettaglio ritiene che la non manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale emerga – tra l’altro – dal contrasto tra la norma censurata ed il canone di ragionevolezza delle scelte legislative sancito nell’art. 3 Cost, in relazione all’art. 117, co. 2, lett. m, Cost.. Il Tar rammenta come svariate disposizioni di legge riconducano la normativa nazionale in materia di SCIA ai «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» e che, com’è noto, sono rimessi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m), Cost. (cfr. art. 29, comma 2-quater l. 241/1990; art. 49, comma 4-ter, d.l. 78/2010, conv. con l. 122/2010); e come, nel condividere il suddetto assunto legislativo, la Corte Costituzionale abbia chiarito che tutto il meccanismo della segnalazione certificata di inizio attività costituisca «prestazione specifica» dello Stato nei confronti del cittadino anche laddove viene tutelato «il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima» (Corte Cost., 27.6.2012, n. 164). Tale assunto – prosegue il Collegio – si riferisce evidentemente ai controlli amministrativi sulla legittimità o meno della SCIA che, secondo il Giudice delle leggi, devono essere assistiti dalla previsione legislativa di puntuali limiti temporali, diretti ad assicurare il «sollecito esame» dell’iniziativa denunciata e che, in quanto tali, rientrano nei “livelli essenziali” di tutela della posizione del segnalante ex art. 117, comma 2, lett. m) Cost. Si tratta di una affermazione che – benché espressa dalla Corte con precipuo riferimento ai controlli pubblici d’ufficio di cui all’art. 19 commi 3, 4 e 6-bis – non può non valere anche riguardo alle verifiche amministrative svolte su istanza del terzo, dal momento che, rispetto a queste ultime, la posizione del segnalante presenta le medesime esigenze di sollecita definizione del procedimento inibitorio che le citate norme tutelano quando il procedimento stesso è avviato d’ufficio dalla PA. Senonché – registra il Tar – mentre rispetto a tali controlli ufficiosi il segnalante può contare sulla previsione di specifici termini decadenziali entro cui i controlli stessi devono necessariamente concludersi (e che, come detto, costituiscono “livelli essenziali” ex art. 117, co. 2, lett. m, Cost.), l’art. 19 comma 6 ter non prevede alcun limite temporale alla possibilità che il terzo solleciti il potere inibitorio dell’amministrazione (che è dunque un potere inibitorio ad istanza di parte, e non più d’ufficio) onde il termine per il compimento di tale sollecito resta escluso dal novero dei livelli essenziali di cui all’art. 117 comma 2, lett. m) Cost., configurando una soluzione normativa palesemente irragionevole, poiché omette di disciplinare un elemento indispensabile alla tenuta complessiva del meccanismo semplificatorio introdotto dal legislatore e da quest’ultimo ascritto ai livelli essenziali delle prestazioni garantite su scala nazionale. Rammenta il Tar che – secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza costituzionale – l’art. 117 comma 2, lett. m) Cost. pone, in materia di livelli essenziali, una riserva di legge (relativa, ma) rinforzata «in quanto vincola il legislatore ad apprestare una garanzia uniforme sul territorio nazionale» (viene richiamata Corte Cost., 19.12.2012, n. 297): più in specie, nell’attuazione di tale riserva, il legislatore è tenuto a determinare gli «standard strutturali e qualitativi delle prestazioni da garantire (come detto, in modo uniforme) agli aventi diritto» (il Tar Toscana richiama Corte Cost. 10.6.2010, n. 207; id., 5.4.2013, n. 62; id., 15.1.2010, n. 10), dacché deriva che la riserva stessa, oltre a ripartire le competenze normative in materia di livelli essenziali, impone al legislatore di prevedere standards minimi uniformi delle prestazioni riconducibili ai livelli stessi. Per il Tar rimettente, nei suddetti standards minimi non possono non rientrare anche i termini per la conclusione dei controlli amministrativi sui presupposti della SCIA, e ciò tanto nei casi in cui l’iniziativa repressiva è avviata d’ufficio dall’Ente pubblico (come del resto già affermato dalla citata sentenza n. 164/2012) quanto nelle ipotesi in cui il procedimento inibitorio sia invece avviato su istanza del terzo, la mancata previsione di tali termini palesandosi idonea a vanificare del tutto la prestazione somministrata dallo Stato al cittadino sotto forma di semplificazione delle procedure abilitative per lo svolgimento di attività (come quella edilizia) non liberalizzate. Se in teoria infatti – prosegue il Tar – la semplificazione dovrebbe consentire di raggiungere il medesimo risultato (assentimento dell’iniziativa privata) con un iter amministrativo più snello di quello ordinario, l’attuale disciplina della scia risulta contraddittoria con tali finalità poiché da un lato invero non assicura sempre una riduzione dell’attività burocratica (dacché il procedimento di verifica dei presupposti della segnalazione può essere avviato più volte a fronte di plurime istanze di soggetti controinteressati); e, d’altro lato, tale disciplina non conduce mai ad una regolamentazione definitiva degli interessi contrapposti nella vicenda amministrativa, residuando sempre un potere-dovere dell’Amministrazione di rimettere in discussione la legittimità originaria dell’intervento segnalato, ogniqualvolta essa riceva all’uopo una domanda di intervento da parte di un terzo. L’esclusione dal novero dei livelli essenziali del termine per l’esercizio del potere sollecitatorio di cui all’art. 19 comma 6 ter rischia poi per il Tar Toscana di pregiudicare l’esigenza di uniformità normativa che caratterizza l’istituto della scia nel suo complesso: si tratta di una opzione legislativa che, data la peculiare natura della riserva posta dall’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. – la quale consente l’intervento regionale sugli aspetti di dettaglio del regime dei livelli essenziali: cfr. Corte Cost. n. 297/2012 – apre la strada a discipline territoriali eterogenee del suddetto termine, con conseguente disomogeneità degli standards di tutela a livello nazionale. Donde, ad avviso del Collegio, l’assoluta illogicità e sproporzione del meccanismo di tutela sine die apprestato dall’art. 19 comma 6 ter alla posizione del soggetto leso dall’altrui scia nonché, in definitiva, un’illegittima compressione dei livelli essenziali delle prestazioni riconosciute al segnalante dalla norma nazionale.
Il 19 luglio esce la sentenza della sezione II quater del Tar Lazio n.8708 alla cui stregua – in materia di condominio – la tutela della sicurezza dell’immobile e dei condomini (norme antisismiche, norme contro i rischi d’incendio e gli infortuni) deve intendersi prevalere sull’interesse legittimo all’abbattimento delle barriere architettoniche delle persone con difficoltà di deambulazione, come previsto tassativamente anche dall’art. 80 d.P.R. n. 380/01. Palesandosi inopponibili, perché non rientra nel relativo ambito di applicazione, gli artt. 1-3 L. n. 13/89 e la Legge n. 104/92, va assunto legittimo per il Collegio negare dunque la SCIA al condominio che, al di fuori di una ristrutturazione o di una nuova edificazione, non rispetta le norme del regolamento edilizio sulla larghezza minima dei gradini.
Il 7 agosto esce la sentenza della sezione II ter del Tar Lazio n.9252, che decide in ordine alla legittimità di un atto con il quale Roma Capitale ha dichiarato l’inefficacia di una SCIA di apertura di attività di somministrazione alimenti e bevande entro un impianto di distribuzione dei carburanti gestito, in regime di affitto di azienda, dalla società ricorrente. Il Collegio premette in proposito che – secondo la giurisprudenza della Sezione, (viene richiamata la sentenza n. 3/2016 e la sentenza n. 11002/2016) – mentre tra le parti private (cedente e cessionario) la circolazione della licenza commerciale (c.d. voltura) è regolata dall’accordo e dalla legge civile, nei confronti della PA il relativo trasferimento non determina novazione o sanatoria di eventuali vizi del provvedimento, che è trasferito nelle condizioni che risultano dalla regolamentazione amministrativa applicabile e dal titolo stesso. Il principale corollario che discende da tale principio è che alla voltura di una licenza commerciale per avvenuto trasferimento della stessa in uno alla cessione dell’azienda o del ramo di azienda cui pertiene non può ricondursi alcuna efficacia “sanante” di eventuali vizi di legittimità del provvedimento che ha costituito il titolo stesso in capo alla cedente. Sempre dalle medesime premesse deriva per il Tar l’ulteriore principio, anche di recente affermato, secondo cui se il titolare di una licenza di esercizio commerciale dispone dell’azienda concedendola in affitto o locazione a terzi (e dunque senza privarsi del titolo), conserva l’interesse a coltivare quel giudizio che abbia eventualmente proposto avverso un atto o provvedimento della PA che incida sul regime amministrativo dell’attività che ha concesso in affitto, tutte quelle volte in cui le ragioni di doglianza attengano ai presupposti oggettivi dello stesso (viene richiamata la pronuncia del TAR Lazio, II ter, 16 giugno 2017) e ciò in virtù della circostanza onde l’affitto di azienda non elide la riferibilità del compendio al proprietario e sotto il profilo della regolamentazione amministrativa si verifica solamente una mera reintestazione della licenza commerciale che comporta che, alla scadenza del contratto di affitto, riacquisito il possesso dell’azienda, il titolare può richiedere al Municipio territorialmente competente la reintestazione dell’autorizzazione (entro 3 mesi successivi, salvo proroga), continuando a svolgere l’attività stessa.
Il 6 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4659 la quale – dopo aver premesso sul crinale processuale che l’inammissibilità dei motivi di appello non consegue solo al difetto di specificità di cui all’art. 101, co. 1, c.p.a., ma (come imposto dall’art. 40 c.p.a., applicabile a giudizi di impugnazione in forza del rinvio interno operato dall’art. 38 c.p.a.) anche alla relativa mancata, distinta indicazione in apposita parte del ricorso a loro dedicata – si sofferma sull’art. 19, comma 6 ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241, aggiunto dall’art. 6, co. 1, lett. c), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, secondo cui “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”); trattasi di una norma che per il Collegio ha portata retroattiva, atteso che anche prima della relativa entrata in vigore la giurisprudenza aveva ritenuto inammissibile una domanda di annullamento di una d.i.a..
Il 16 ottobre esce la sentenza della I sezione del Tar Marche n. 778 alla cui stregua è da assumersi legittima una ordinanza con la quale un Comune, a seguito dell’esecuzione dei lavori – comunicata con SCIA – aventi ad oggetto la realizzazione di un autolavaggio entro l’area di un impianto di distribuzione carburanti, ha adottato un provvedimento inibitorio motivato con riferimento al fatto che è necessario in simili fattispecie il preventivo rilascio del permesso di costruire.
Il 18 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4835 alla cui stregua un intervento edilizio consistente nella demolizione e ricostruzione di un edificio è soggetto a segnalazione certificata di inizio attività. Per il Collegio è dunque da assumersi illegittimo il provvedimento con il quale un Comune ha comunicato ad una società immobiliare il divieto di prosecuzione dell’attività edilizia posta in essere dalla società stessa sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività relativa ad un intervento consistente nella demolizione e ricostruzione di un edificio, ritenendo erroneamente che per detto intervento sia richiesto il permesso di costruire.
Il 30 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 5018 alla cui stregua, nelle ipotesi di ricorso avverso l’annullamento di una denuncia di inizio attività (d.i.a.) adottato a seguito dell’esposto di un vicino, non occorre evocare in giudizio quest’ultimo, trattandosi di procedimento d’ufficio e dovendosi tenere conto del fatto che, in linea generale, il carattere ampiamente discrezionale del potere di autotutela non può essere reso coercibile (nei confronti della PA) su iniziativa del destinatario del provvedimento o di un terzo interessato. Il Collegio precisa poi che affinché il potere di annullamento “tardivo” di una d.i.a. possa dirsi legittimamente esercitato è indispensabile che, ai sensi dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, l’autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga tempestivamente e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la relativa adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati. La conseguenza è che è da assumersi illegittima l’adozione, da parte di un’amministrazione comunale, di un provvedimento repressivo-inibitorio della d.i.a. già consolidatasi oltre il termine perentorio di 30 giorni dalla presentazione della medesima d.i.a. (nel caso di specie, addirittura a quasi 4 anni di distanza) e senza le garanzie e i presupposti previsti dall’ordinamento per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.
Il 20 dicembre esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.5978 che statuisce come la disciplina dettata dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 consenta l’applicazione delle informazioni antimafia anche ai provvedimenti a contenuto autorizzatorio la tendenza del legislatore muovendo, in questa materia, verso il superamento della rigida bipartizione e della tradizionale alternatività tra comunicazioni antimafia – applicabili alle autorizzazioni – e informazioni antimafia applicabili invece ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni, a fronte della sempre più frequente constatazione empirica che la mafia tende ad infiltrarsi, capillarmente, in tutte le attività economiche, e dunque anche in quelle soggette a regime autorizzatorio o a s.c.i.a.. Il Collegio precisa peraltro come in caso di adozione di informative antimafia, la delicatezza della ponderazione richiesta all’autorità amministrativa, intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale che del resto non è da intendersi come un valore assoluto, del tutto slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, atteggiandosi piuttosto a principio strumentale al buon andamento della PA (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo. Quello stesso giorno esce la sentenza della sezione II bis del Tar Lazio n.12542 che dichiara legittimo il provvedimento con il quale un Comune ha ordinato di non eseguire i lavori di una d.i.a. ex art. 23 d.P.R. n. 380/2001 per l’ampliamento a fini residenziali di un immobile e ha dichiarato la stessa priva di efficacia (ed i lavori edili, ove in corso di realizzazione, privi di titolo), che sia motivato tra l’altro con riferimento al fatto che la parte istante, nonostante il formale invito rivoltole dalla PA, non ha provveduto alla corresponsione del contributo di costruzione, del contributo straordinario e dei diritti di segreteria.
2018
Il 12 gennaio esce la sentenza della III sezione del Tar Veneto n. 35 che dichiara legittimo il provvedimento con il quale il Comune di Venezia – facendo riferimento ad una disposizione del regolamento edilizio secondo cui, anche ai casi di mero trasferimento in nuovi locali di una attività già in precedenza autorizzata, si applicano le norme che impongono una distanza minima dai luoghi sensibili dei locali ove viene svolto il gioco lecito – ha annullato una scia, presentata per il trasferimento in altra sede di un’attività di tabaccheria ed edicola con installazione di apparecchi per il gioco lecito, che sia motivato con riferimento al fatto che il nuovo punto vendita è posto a distanza inferiore a 500 metri da luoghi sensibili (nella specie, Chiesa Parrocchiale, Scuola primaria, Ufficio postale e Parco pubblico).
Il 16 marzo esce la sentenza della III sezione del Tar Puglia, Lecce, n.443 che dichiara inammissibile un ricorso giurisdizionale tendente ad ottenere l’annullamento di una D.I.A. compendiando essa un atto del privato privo di valore provvedimentale e, in quanto tale, non direttamente impugnabile dai terzi, la dei quali ultimi che se ne assumano lesi realizzandosi attraverso la sollecitazione del potere sanzionatorio o di autotutela da parte della P.A. e, in caso di inerzia da parte di quest’ultima, attraverso l’impugnazione del silenzio rifiuto serbato o l’accertamento dell’illegittimità del comportamento omissivo tenuto dall’Amministrazione stessa, che non si sia attivata per inibire i lavori.
*Il 18 aprile esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.2343 onde le attività soggette al rilascio di autorizzazioni, licenze o a s.c.i.a. soggiacciono alle informative antimafia dovendosi considerare ormai superata la rigida bipartizione e la tradizionale alternatività tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni.
Il 28 agosto esce la sentenza della II sezione del TAR Campania – sede di Salerno, n. 1215 onde non può essere disposta l’archiviazione di una c.i.l.a. perché la parte interessata ha omesso di effettuare, in favore dell’Ente locale, il pagamento dei diritti di segreteria in quanto l’omesso pagamento dei diritti di segreteria integra un vizio regolarizzabile ex post su invito dell’Amministrazione, non essendo idoneo ad elidere in radice la legittimazione degli interventi edilizi eseguiti.
Il 24 settembre esce la sentenza della II sezione del TAR Campania n. 5575 che, ribadendo un orientamento ormai consolidato in materia, dichiara illegittimo un provvedimento di annullamento in autotutela di una DIA adottato a distanza di 15 anni dal relativo perfezionamento, e, quindi, ben oltre il termine di 18 mesi di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 e s.m.i., nonché ben oltre il termine ragionevole di intervento. Rileva inoltre il TAR che il provvedimento di annullamento, nel caso di specie, non era correttamente motivato circa le ragioni di pubblico interesse attuale e concreto, da un lato, e gli interessi privati contrapposti, consolidatisi in virtù dell’affidamento maturato nel privato per effetto del lungo decorso del tempo, dall’altro.
L’8 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 5801 che chiarisce come le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche del volume, dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso. Diversamente, in via residuale, la SCIA è richiesta per i restanti interventi di ristrutturazione c.d. «leggera». Seguendo tale massima, il Collegio ritiene che le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, in quanto determinano una variazione planovolumetrica ed architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzate, necessitino del preventivo rilascio di permesso di costruire
Il 19 novembre esce la sentenza del TAR Campania – sede di Salerno, n. 1648 onde non può essere dichiarata irricevibile una Scia per la realizzazione di opere di manutenzione di un immobile presentata ad un Ufficio diverso dal SUAP. Costituisce infatti principio generale di buon andamento dell’azione amministrativa quello secondo cui, nell’ambito dello stesso plesso, soprattutto quando esso non si strutturi in una complessa ed articolata macchina burocratica, non è possibile che accada che un ufficio in cui esso si articola opponga al privato la mancata disamina di una pratica, per non essere stata quest’ultima presentata all’ufficio competente.
Il 26 novembre esce la sentenza della II sezione del TAR Emilia Romagna n. 905 che ritiene legittimo motivo di revoca in autotutela della presa d’atto di una Scia per l’esercizio di attività di somministrazione alimenti e bevande a seguito della vendita a minori di 14 anni di super alcolici, rilevandosi in detta condotta gestionale dell’esercizio un caso di estrema gravità.
Il 10 dicembre esce la sentenza della VII sezione del TAR Campania n. 7090 che, in tema di titoli edilizi necessari per il montaggio di strutture temporanee stagionali per attività balneari, ritiene non sufficiente una mera Scia, essendo invece necessario un permesso di costruire dal momento che la struttura da realizzare dà luogo a un’alterazione sostanzialmente permanente dello stato dei luoghi, a prescindere dalla rimozione per alcuni mesi l’anno.
2019
Il 7 gennaio esce la sentenza della III sezione del TAR Puglia n. 9 che dichiara illegittimo il provvedimento si sospensione dell’efficacia amministrativa di una Scia adottato dopo il termine di trenta giorni prescritto per l’esercizio del potere inibitorio, dovendo piuttosto far ricorso allo strumento dell’autotutela ove ne ricorrano i relativi presupposti.
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Il 13 marzo esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 45 che dichiara infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241 nella parte quest’ultima norma in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) spettanti alla pubblica amministrazione.
La Corte, preliminarmente, opera una ricostruzione del quadro normativo evidenziando che l’art. 19 della L. n. 241 del 1990 prevede che all’immediata intrapresa dell’attività oggetto di segnalazione si accompagnino successivi poteri di controllo dell’amministrazione, più volte rimodulati, da ultimo dall’art. 6 della L. 7 agosto 2015, n. 124. In particolare, il comma 3 dell’art. 19 attribuisce alla PA un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA, dando la preferenza a quelli conformativi, “qualora sia possibile”; mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili “in presenza delle condizioni” previste dall’art. 21-novies della stessa L. n. 241 del 1990. Quest’ultimo, a sua volta, disciplina l’annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi. Il comma 6-bis dell’art. 19 applica questa disciplina anche alla SCIA edilizia, riducendo il termine di cui al comma 3 da sessanta a trenta giorni e prevedendo, inoltre, che, “restano … ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali”.
Il riconoscimento di un potere “in bianco” nel comma 6-ter sarebbe in manifesto contrasto con il principio di legalità-tipicità che caratterizza, qualifica e limita tutti i poteri amministrativi, principio che, com’è noto, ha fondamento costituzionale e va letto non solo in senso formale, come necessità di una previsione espressa del potere, ma anche in senso sostanziale, come determinazione del suo ambito, e cioè dei fini, del contenuto e delle modalità del suo esercizio. Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una – sia pur importante – parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi. Una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all’area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere.
Le verifiche cui è chiamata l’Amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies). Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue. Questa conclusione, secondo la Corte, non può essere messa in discussione dal timore del rimettente che ne derivi un vulnus alla situazione giuridica soggettiva del terzo.
Ritiene la Consulta che il problema della posizione del terzo vada affrontata in una prospettiva più ampia e sistemica che tenga conto dell’insieme degli strumenti apprestati a tutela della situazione giuridica del terzo.
In particolare, nella prospettiva dell’interesse legittimo, il terzo potrà attivare, oltre agli strumenti di tutela già richiamati, i poteri di verifica dell’amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21, comma 1, della L. n. 241 del 1990 (in questo caso “non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge”); potrà sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’amministrazione, ai sensi dell’art. 21, comma 2-bis, della L. n. 241 del 1990, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e seguenti del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia. (Testo A)”, ed espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis. Esso avrà inoltre la possibilità di agire in sede risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (l’art. 21, comma 2-ter, della L. n. 241 del 1990 fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti). Al di là delle modalità di tutela dell’interesse legittimo, poi, rimane il fatto giuridico di un’attività che si assuma illecita, nei confronti della quale valgono le ordinarie regole di tutela civilistica del risarcimento del danno, eventualmente in forma specifica.
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Il 24 giugno esce la sentenza del TAR Campania – sede di Salerno – n. 1117 che dichiara illegittimo il provvedimento di annullamento in autotutela di una Scia adottato senza la preventiva comunicazione, nei confronti del soggetto interessato, dell’avvio del relativo procedimento amministrativo, ex artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990, configurandosi tale adempimento gravante sull’Amministrazione come un dovere procedimentale , che permette un apporto in chiave collaborativa e difensiva da parte del privato, anche in chiave di deflazione del contenzioso giudiziario.
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Il 2 settembre esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 6057 che, in tema di sottoposizione delle attività oggetto di s.c.i.a. alla normativa antimafia, ricorda che l’art. 89, comma 2, del D.Lgs. n. 159 del 2011 prevede espressamente, alla lett. a), che l’autocertificazione, da parte dell’interessato, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione, di cui all’art. 67, riguarda anche “attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla pubblica amministrazione”.
È chiaro quindi, per lo stesso tenore letterale del dettato normativo e per espressa volontà del legislatore antimafia, che le attività soggette a s.c.i.a. non sono esenti dai controlli antimafia e che il Comune ben possa e anzi debba verificare che l’autocertificazione dell’interessato sia veridica e richiedere al Prefetto di emettere una comunicazione antimafia liberatoria o, come nel caso di specie, revocare la s.c.i.a. in presenza di una informazione antimafia comunque comunicatagli o acquisita dal Prefetto.
Nulla infatti impedisce al Prefetto e, anzi, l’art. 89-bis del D.Lgs. n. 159 del 2011 – che ha superato il vaglio di legittimità costituzionale: sent. n. 4 del 2018 della Corte costituzionale – espressamente gli impone di emettere una informazione antimafia, in luogo della comunicazione antimafia liberatoria richiesta dal Comune, laddove accerti la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa, anche quando tale richiesta sia effettuata in ipotesi di s.c.i.a. e/o durante i controlli che concernono le attività ad esse soggette, potendo le verifiche di cui all’art. 88, comma 2, essere attivate anche nel caso di autocertificazione, previsto dall’art. 89, comma 2, lett. a), anche per la s.c.i.a.
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Il 14 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 6975 onde l’annullamento del provvedimento formatosi sulla d.i.a. edilizia, oltre a dover essere preceduto dall’avviso di avvio del procedimento al fine di garantire l’effettiva partecipazione al procedimento del soggetto passivo titolare della posizione giuridica attiva incisa, va accompagnato dal rispetto di tutte le forme sostanziali e procedimentali previste per gli atti in autotutela, ivi compresa la necessità di un tempo ragionevole per porre in essere il provvedimento di secondo grado (ora normatizzato in diciotto mesi) e la comparazione dell’interesse pubblico con l’aspettativa del privato, consolidata dal decorso del tempo e dalla consapevolezza dell’intervenuto assenso tacito nei termini di legge: in difetto dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela, l’attività dichiarata può legittimamente proseguire.
Invero, il superamento del termine di 18 mesi previsto dall’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990 per l’esercizio del potere di autotutela, è consentito: a) nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale; b) nel caso in cui l'(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo della parte: nel qual caso — non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa di rimozione — si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco.
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L’11 novembre esce la sentenza della II sezione del TAR Campania, sede di Napoli, n. 5328 che ribadisce l’orientamento secondo cui la denuncia/segnalazione di inizio attività è un atto soggettivamente ed oggettivamente privato ed uno strumento di massima semplificazione quale manifestazione di autonomia privata con cui l’interessato certifica la sussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto del legittimo esercizio dell’attività segnalata alla P.A. L’attività dichiarata può allora essere intrapresa senza il bisogno di un consenso dell’Amministrazione, surrogato dall’assunzione di un’auto-responsabilità del privato nel comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge (cfr. Cons. Stato, A.P., 29.7.2011, n. 15). Per parte sua la Pubblica amministrazione mantiene il potere di verificare la sussistenza in concreto di tutti i requisiti e presupposti per l’esercizio dell’attività comunicata dal privato: quindi, entro il termine legale ogni denuncia/segnalazione può essere assoggettata al potere di verifica della conformità a legge dell’attività denunciata e all’adozione di strumenti inibitori; dopo il decorso del previsto spazio temporale, poiché presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell’autocertificazione, in presenza di una dichiarazione inesatta o incompleta all’Amministrazione spetta comunque il potere di inibire l’attività dichiarata.
Ne consegue che tale innovativo mezzo messo a disposizione del privato per ottenere uno scopo previsto dalla legge presenta necessariamente minori garanzie procedimentali rispetto ad un ordinario procedimento amministrativo attivato su istanza di parte e conclusosi con un atto formale dell’Amministrazione. Ciò, peraltro, non vieta all’Amministrazione, in caso di dubbi sull’esistenza dei presupposti dichiarati nella denuncia/segnalazione di inizio attività ricevuta, di chiedere chiarimenti o delucidazioni, allo scopo di completare la propria istruttoria con un conclusivo provvedimento inibitorio in caso di definitivo accertamento dell’insussistenza di quei presupposti.
Da ultimo, con il D.Lgs. 30.6.2016, n.126 si è proceduto alla nuova disciplina della SCIA, prevedendosi tra l’altro (art.3) che il rilascio della ricevuta della presentazione vale come comunicazione di avvio del procedimento e che è eliminata la previsione generale della possibile sospensione dell’attività intrapresa.
2020
Il 23 marzo esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 2011 onde, in tema di denuncia di inizio attività in materia edilizia, quest’ultima va contestata in giudizio da un terzo entro il termine di sessanta giorni dalla conoscenza del titolo abilitativo, comunque formato a seguito della mancata attività inibitoria del Comune, della sua lesività per il ricorrente in relazione ai vizi lamentati.
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Il 21 luglio esce la sentenza della II sezione del TAR Campania – sede di Salerno – n. 937 in tema di termine per intervenire su una SCIA illegittima.
Osserva il Collegio che, se è vero che, a seguito della presentazione della SCIA, il decorso del tempo determina il consolidamento del titolo, con conseguente necessità della sua preventiva rimozione, in vista dell’assunzione di iniziative sanzionatorie, è altrettanto vero che, per ius receptum, presupposto indefettibile perché la SCIA possa essere produttiva di effetti è la veridicità delle dichiarazioni e la completezza della documentazione a suo corredo, cosicché, in presenza di una SCIA inesatta o incompleta, permane sempre e comunque il potere di inibire l’attività comunicata.
In tale ottica, la conformità dei manufatti alle norme urbanistiche ed edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dell’art. 24 comma 3, d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 35, comma 20, l. n. 47/1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico-edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata.
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Il 6 ottobre esce la sentenza della II sezione del TAR Calabria n. 1553 che torna sul tema della necessità di un’autorizzazione condominiale per opere da realizzare all’interno di un’area di proprietà esclusiva.
Secondo il Tribunale, è illegittimo, per contrasto con l’art. 1102 c.c., il provvedimento con il quale un Comune ha ordinato la sospensione dei lavori previsti in una SCIA, subordinando la relativa ripresa alla trasmissione del verbale di assemblea del condominio di autorizzazione a realizzare le opere, nel caso in cui si tratti di lavori interni ad un edificio residenziale di esclusiva proprietà di un condomino, e dell’apertura di ingresso e installazione di un portoncino nel medesimo edificio; in tal caso, infatti, si tratta di interventi edilizi per la cui esecuzione non necessita la preventiva autorizzazione condominiale.
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Il 28 ottobre esce la sentenza della sezione II bis del TAR Lazio n. 11025 onde è illegittimo il provvedimento con il quale un Comune ha ordinato la sospensione dei lavori di installazione e/o realizzazione di un impianto solare termico, per la produzione di acqua calda, che sia motivato con riferimento al fatto che, ai fini della esecuzione dei suddetti lavori, è necessaria la previa presentazione di un DIA; infatti, l’installazione di impianti solari destinati alla produzione di acqua calda è considerata, ai sensi del combinato disposto artt. 123, comma 1, 3, comma 1b del D.P.R. n. 380 del 2001, estensione dell’impianto idrico-sanitario già in opera e, dunque, un intervento di manutenzione straordinaria; con la conseguenza che: a) le relative opere possono essere eseguite senza alcun titolo abilitativo, ex art. 6, comma 1e-quater (all’epoca art. 6, comma 2d) del D.P.R. n. 380 del 2001); b) non è necessario presentare la d.i.a., essendo all’uopo sufficiente l’inoltro all’Amministrazione della comunicazione di avvio dei lavori.
2021
Il 12 febbraio esce la sentenza della II sezione del Consiglio di Stato n. 1294 secondo cui in mancanza di una delibera autorizzativa del condominio, non può essere assentita una denuncia di inizio attività che ha comportato la trasformazione di una falda inclinata del tetto in terrazzo a livello, atteso che in tal caso l’area oggetto d’intervento è da intendersi di spettanza condominiale. Infatti, il tetto a falde inclinate svolge una funzione di copertura e di protezione dell’intero fabbricato condominiale senza essere praticabile e rientra, per espressa previsione normativa, nel novero delle parti comuni dello stesso “se non risulta il contrario dal titolo” (cfr. art. 1117, comma 1, n. 1 codice civile); a nulla rileva l’accettazione condominiale per il tramite dell’amministratore in mancanza di un’assemblea totalitaria, unica legittimata a disporre delle parti comuni del fabbricato (art. 1108, comma 3, c.c.).
In particolare, ritiene il Collegio che il Comune, nell’assentire una d.i.a., ha l’onere di verificare se il richiedente sia titolato (e, in particolare, se sia proprietario del bene sul quale si intende intervenire); se è vero infatti che il Comune non è tenuto a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente, è vero anche che ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria.
Rileva altresì il Consiglio di Stato che in materia edilizia, il giudice amministrativo può occuparsi di questioni proprietarie, potendo ai sensi dell’art. 8 c.p.a. accertare, in via incidentale, la sussistenza o non di un diritto soggettivo, ai limitati fini della soluzione della vertenza ad esso demandata in via principale, senza sconfinare nella tutela dei diritti riservata all’Autorità giudiziaria ordinaria, limitandosi a svolgere accertamenti ed eventuali valutazioni critiche sulle situazioni giuridiche quali appaiono dai fatti e dagli atti potendo, per quanto riguarda le proprietà immobiliari, soltanto una sentenza civile accertare l’avvenuta usucapione ventennale o decennale.
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Il 26 febbraio esce la sentenza della I sezione del TAR Lazio – sede di Latina – n. 71 onde è legittimo il provvedimento con il quale un Comune ha annullato in autotutela una Scia, che sia motivato con riferimento al fatto che il progetto allegato contiene rappresentazioni non rispondenti alla realtà e, in particolare, le opere realizzate non sono corrispondenti a quelle rappresentate nei progetti della scia originaria e di quella in sanatoria; in tal caso, infatti, deve escludersi che possa configurarsi in capo alla parte che ha presentato la Scia una posizione di affidamento legittimo.
Questioni intriganti
Cosa distingue la scia dal silenzio-assenso?
- Il silenzio-assenso risponde ad una logica di semplificazione dell’azione amministrativa: l’attività economica privata ha bisogno del preventivo assenso pubblico, che tuttavia può essere reso anche attraverso il mero silenzio, che vale per l’appunto assenso; l’azione pubblica è ex ante e costitutiva, seppure silenziosa; tra la norma e l’effetto si colloca il potere della PA.
- La scia (già dia) risponde invece ad una logica di liberalizzazione dell’attività economica privata, che può essere intrapresa in via immediata e diretta a valle della dichiarazione (segnalazione), e salvo il controllo pubblico a posteriori; l’azione pubblica è ex post ed inibitoria, ovvero repressiva, ovvero ancora conformativa; tra la norma e l’effetto si colloca (non già il potere della PA, ma) un mero fatto, vale a dire la dichiarazione-segnalazione privata. Il potere della PA riaffiora tuttavia a valle della fattispecie, laddove è possibile ex parte publica inibire, reprimere o conformare l’attività privata.
Quali sono le condizioni in presenza delle quali può dirsi operativa la scia?
- deve tenere luogo di atti amministrativi per il rilascio dei quali è previsto il mero accertamento di presupposti e requisiti richiesti dalla legge o da atti amministrativi generali; si discute se la scia sia ammissibile laddove alla PA sia affidata la discrezionalità c.d. tecnica;
- non devono sussistere limiti o contingenti complessivi per il rilascio dei predetti atti autorizzativi surrogabili, né specifici strumenti di programmazione settoriale;
- deve surrogare atti diversi da quelli appannaggio di talune Amministrazioni, e segnatamente di quelle preposte: alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione e all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze (comprese le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco);
- non sono surrogabili gli atti connessi alla normativa per la costruzione in zone sismiche;
- non sono surrogabili gli atti imposti dalla normativa comunitaria;
- non sono surrogabili gli atti connessi a vincoli ambientali, paesaggistici e culturali.
Gli atti espressione di discrezionalità tecnica sono surrogabili a mezzo scia?
- si, dal momento che a partire dal 1993 non è più richiesto che l’accertamento dei presupposti che sottendono l’attività segnalanda avvenga al di fuori dei casi in cui siano richieste “prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche-discrezionali”;
- no, in quanto si segnala in modo certificato l’inizio di un’attività per i cui presupposti la legge continua a parlare di “accertamento” ex parte publica, e dunque devono ritenersi esclusi tutti i casi in cui l’attività economica da intraprendersi abbia quale presupposto “valutazioni” a carattere tecnico discrezionale, come tali opinabili (perché giudizi) e non accertabili (come semplici fatti).
Cosa distingue la scia dalla dia edilizia in termini di concreto inizio dell’attività segnalata / denunciata?
- nella scia l’attività oggetto di segnalazione può essere iniziata contestualmente alla presentazione della scia stessa;
- nella dia edilizia, l’attività oggetto di denuncia può essere iniziata (inizio dei lavori) non prima di 30 giorni dopo aver presentato la denuncia.
Quali sono stati gli elementi a sostegno e quelli contro la dia (poi scia) intesa quale atto amministrativo tacito?
- A sostegno: l’originaria formulazione, che si esprimeva in termini di capacità della dia di sostituire l’atto di consenso, in tal modo configurando un atto amministrativo di consenso adottato, per così dire, per bocca del privato, e capace di legittimarlo all’attività economica divisata; la possibilità, fino a che il legislatore non lo ha escluso (legge 124 del 2005), di intervenire sulla dia in autotutela, così presupponendone la natura di atto amministrativo di primo grado sul quale potere incidere con un altro atto amministrativo di secondo grado (annullamento o revoca); la possibilità – del pari – di annullamento della dia da parte del GA, all’uopo sollecitata da un terzo interessato, a palesare ancora una volta come quello che annulla il giudice amministrativo non potrebbe che essere un atto amministrativo;
- Contro: dia e silenzio-assenso sono previste in norme differenti, e devono dunque atteggiarsi in modo differente anche per ciò che concerne la relativa natura giuridica, muovendo la prima da una mera denuncia, e la seconda da una vera e propria istanza del privato, che soggiace nel caso del silenzio assenso ad un regime autorizzativo con esito provvedimentale stilizzato per silentium non predicabile invece per la dia, al cospetto della quale il legislatore ha piuttosto inteso abrogare lo stesso regime autorizzativo (liberalizzazione);
Quali sono stati gli elementi a sostegno della dia (poi scia) intesa quale atto privato?
- si tratta di atto che proviene da un soggetto privato, e non da una PA;
- ha ad oggetto una attività liberalizzata: è vero che si è al cospetto di una fattispecie complessa a formazione progressiva, ma il baricentro va fissato sull’atto iniziale del privato, e all’esito delle verifiche della PA (gli unici atti rinvenibili, meramente eventuali, sono quello inibitorio, quello conformativo e quello di rimozione degli effetti) la legge ricollega all’intera fattispecie l’effetto di legittimare il privato allo svolgimento della divisata attività, che dunque deve assumersi liberalizzata e, auspicabilmente, priva di interventi diretti ex parte publica;
- il riferimento all’”autotutela”, anche prima della legge 124 del 2015, viene visto in senso atecnico o, meglio, nell’ottica del mero riferimento ai presupposti di esercizio di un potere che non è propriamente di autotutela (difettando un provvedimento di primo grado sul quale incidere), quanto piuttosto un atto del privato ed una connessa attività che prende avvio e che al limite va inibita, ne va ordinata la rimozione degli effetti o va conformata.
Come si articola la tutela del terzo dinanzi alla dia/scia presentata dall’interessato ed al conseguente inizio dell’attività ad essa riconnessa?
- la scia è atto abilitativo tacito della PA: il terzo deve impugnare tale atto amministrativo tacito nel consueto termine di 60 giorni che decorre da quando gli viene comunicato il perfezionamento della fattispecie abilitativa, se riceve tale comunicazione, ovvero – come è più probabile che accada – da quando ha avuto contezza dell’atto tacito (e del consenso implicito) della PA all’iniziativa del privato denunciante. Si tratta di un vero e proprio ricorso classico demolitorio che aggredisce proprio l’atto implicito ad effetto abilitativo riconducibile alla PA competente, e non il relativo mancato esercizio dei poteri inibitori, conformativi o repressivo-sanzionatori da parte della stessa. Per il terzo l’attività intrapresa dal privato non è consentita, ovvero è consentita ma richiede un titolo abilitativo espresso (ad esempio, il permesso di costruire in luogo della dia edilizia). La giurisdizione appartiene al GA in sede di giurisdizione esclusiva, anche in forza dell’art.133, comma 1, lettera a), n.3 del codice del processo amministrativo, che fa riferimento all’azione avverso il silenzio della PA ex art.31 nonché ai “provvedimenti espressi” in materia di scia ex art.19 della legge 241.90 (ma in questo caso, il provvedimento è tacito e non espresso);
- la scia è atto soggettivamente ed oggettivamente privato (è ormai la posizione del legislatore ex art.19, comma 6.ter, della legge 241.90): in questo caso manca un atto da aggredire in sede demolitoria e si configurano tre possibili alternative: b.1) azione di accertamento dell’insussistenza dei presupposti e dei requisiti che giustificano la scia; b.2) azione di stimolo della PA, che viene inutilmente sollecitata ad esercitare il potere discrezionale inibitorio e confermativo, con possibilità di impugnarne successivamente il silenzio serbato; b.3) azione di stimolo della PA, che viene inutilmente sollecitata ad esercitare il potere vincolato repressivo, con possibilità di impugnarne successivamente il silenzio serbato.