Massima
Non può ragionevolmente ritenersi precluso l’affidamento condiviso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente fra i coniugi, poiché tale istituto avrebbe altrimenti una applicazione, evidentemente, solo residuale, occorrendo, perché possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore
*Responsabilità civile – Elementi indiziari offerti dal danneggiato e liquidazione globale del danno risarcibile
- Preliminarmente va affermata l’ammissibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., ora equiparato sostanzialmente al ricorso ordinario in forza del richiamo operato dall’ultimo comma dell’art. 360 c.p.c., commi 1 e 3, nel testo novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, nei confronti dei decreti emessi dalla corte d’appello avverso i provvedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio ed alle conseguenti statuizioni economiche, ivi compresa l’assegnazione della casa familiare (Cass., 26 marzo 2015, n. 6132; Cassazione civile, 16 settembre 2015, n. 18194; Cass., 8 aprile 2016, n. 6919; Cass. 7 febbraio 2017, n. 3192; Cass., 11 maggio 2018, n. 11554).
Anche il decreto emesso dalla corte d’appello in sede di reclamo avverso un provvedimento del tribunale, che, nell’ambito del conflitto genitoriale, dispone l’affidamento del minore nato fuori dal matrimonio ai servizi sociali, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., perché al predetto decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, poiché risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di definitività, perché ha un’efficacia assimilabile, “rebus sic stantibus” a quella del giudicato, non rilevando, a sostegno della tesi contraria, che si tratti di un provvedimento di affidamento ai servizi sociali, atteso che ciò non determina alcuna modificazione della qualificazione giuridica del provvedimento (Cass., 12 novembre 2018, n. 28998).
- Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su quanto emerso in ordine alle caratteristiche psicologiche e personologiche del R. e, quindi, della capacità genitoriale del medesimo, da esaminarsi in uno con il suo nucleo familiare come ricostituito, con la nuova compagna e la comune figlia, anche all’esito di rinnovo e/o supplemento di consulenza tecnica d’ufficio; si duole la ricorrente che la Corte di appello aveva omesso di considerare le indicazioni della consulenza tecnica d’ufficio, che aveva tra l’altro rilevato un comportamento contraddittorio del R. sulla relazione con la signora A. e la struttura narcisistica dello stesso, che suggerivano di monitorare nel tempo le condizioni psichiche dello stesso, nonché l’esigenza messa in luce dalla stessa consulente di rivedere la coppia a sei mesi e di rinnovare la consulenza a distanza di 12 mesi dal suo deposito.
2.1 Il motivo è inammissibile, perché si risolve nella richiesta di una revisione delle valutazioni, motivatamente espresse dalla Corte di merito, circa la sufficienza degli elementi acquisiti dall’istruttoria svolta in primo grado (in particolare la consulenza tecnica d’ufficio in quella sede espletata) e la pari idoneità e validità dei due genitori, se singolarmente considerati, ad adempiere alla propria funzione. Valutazione, quest’ultima, che la ricorrente sottopone a critica sotto il profilo della mancata valorizzazione, da parte della Corte di merito, di uno degli elementi che il consulente tecnico d’ufficio aveva indicato nella sua relazione, riguardante alcune caratteristiche del comportamento del R. , come desunte dal medesimo ausiliare del giudice in base all’esame delle parti.
Pare invero agevole osservare come, da un lato, l’elemento non valorizzato dal giudice di merito non integri un “fatto”, cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, fa riferimento, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, bensì un giudizio espresso dal consulente tecnico d’ufficio nel proprio elaborato, d’altra parte nel contesto ampiamente positivo (in ordine alla qualità dei rapporti di entrambe le parti con il figlio) che emerge chiaro dalla disamina del più ampio contenuto dell’elaborato trascritto nel controricorso. Con la conseguenza che fa anche difetto, dall’altro lato, il requisito della decisività, per integrare il quale deve ritenersi che l’esame del preteso fatto avrebbe condotto a una diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 14 novembre 2013, n. 25608).
- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ovvero della elevata capacità reddituale dichiarata dal R. (il quale nel 2015, come da dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2016, aveva dichiarato un reddito complessivo di Euro 70.379,00 lordi), oltre che del modesto reddito della G. . Si duole la ricorrente che la Corte di appello, pur avendo desunto dagli esborsi documentati dagli estratti di conto corrente in atti l’esistenza di fonti ulteriori di reddito rispetto a quelle dichiarate fiscalmente, non ha poi accolto la richiesta di approfondimenti di indagine e di ordinare al R. il deposito dei conti correnti bancari e/o postali dell’ultimo triennio a lui intestati o cointestati o delegati, nonché di estratti conto relativi a depositi di titoli ed ulteriormente disporre, in caso di inadempienza, indagini della Polizia Tributaria anche sull’effettivo tenore di vita e disporre il deposito di tutti i contratti stipulati con la XXX o altre imprese televisive.
3.1 Il motivo è inammissibile. L’esercizio del potere, previsto nella specie dall’art. 337 ter c.c., comma 6, di disporre indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, non trattandosi di un adempimento imposto dalla istanza di parte; l’eventuale omissione di motivazione sul diniego di esercizio di tale potere, pertanto, non è censurabile in sede di legittimità, ove, sia pure per implicito, tale diniego sia logicamente correlabile ad una valutazione sulla superfluità dell’iniziativa per ritenuta sufficienza dei dati istruttori acquisiti ai fini della valutazione complessiva in ordine alle condizioni economiche delle parti, valutazione che peraltro non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare. Tali principi, affermati più volte dalla giurisprudenza di questa Corte con riguardo all’omologo potere di indagine d’ufficio previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5 (cfr. tra molte: Cass., 18 giugno 2008, n. 16575; Cass., 28 gennaio 2011, n. 2098; Cass., 6 giugno 2013, n. 14336; Cass., 12 gennaio 2017, n. 605; Cass., 28 marzo 2019, n. 8744), debbono qui essere ribaditi, essendo pienamente condivisi dal Collegio.
Ciò precisato, si osserva come, nei termini in cui è illustrata, la doglianza di omesso esame della “elevata capacità reddituale dichiarata dal R. ” nella dichiarazione dei redditi del 2016 e quella di omessa valutazione dei “significativi indici in ordine alle condizioni reddituali del R. ” e di omessa esecuzione “degli approfondimenti istruttori richiesti” si mostra diretta in effetti a sindacare inammissibilmente il merito della valutazione espressa dal giudice di merito in ordine alla capacità reddituale delle parti sulla base degli elementi di prova in atti, implicitamente ritenuti sufficienti a tal fine. Nel giustificare tale valutazione, del resto, la Corte di merito non ha mancato di esaminare puntualmente le dichiarazioni delle parti e la documentazione da esse prodotta, inclusi i modelli di dichiarazione dei redditi del R. dal 2015 al 2018 e gli estratti del conto corrente al medesimo intestato, svolgendo anche considerazioni critiche circa la esatta determinazione dei redditi di quest’ultimo, che tuttavia non ha ritenuto idonee, nella valutazione complessiva da compiersi nella specie, a rendere necessario un ulteriore approfondimento istruttorio, tenendo anche conto del sopravvenuto dovere del R. di contribuire al mantenimento dell’altra figlia nata nelle more del giudizio.
- Con il ricorso incidentale il R. lamenta la violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 30 Cost., art. 8 della Convenzione EDU, art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europeae art. 337 ter c.c., per motivazione inesistente, avendo errato la Corte di appello, non tenendo conto delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio disposto in primo grado, che aveva constatato un ottimo rapporto con entrambe le figure genitoriali, nel disporre l’affidamento del minore ai Servizi Sociali sulla base della elevata conflittualità dei coniugi, avendo attribuito le scelte decisionali di straordinaria amministrazione ai medesimi Servizi, peraltro senza un termine finale di tale affidamento, senza dare loro mandato di riferire in esito al percorso di riacquistata genitorialità; il ricorrente si duole, inoltre, che la Corte territoriale non abbia tenuto conto nemmeno degli esiti della relazione dei Servizi Sociali del (omissis) , che non aveva parlato di un pregiudizio per il minore, come invece erroneamente affermato dai giudici di secondo grado, ma aveva evidenziato che, ogniqualvolta i genitori erano stati aiutati a focalizzarsi sui bisogni del minore, avevano dimostrato di sapersi facilmente accordare su questioni inerenti la gestione del figlio in un’ottica di cogenitorialità.
4.1 Il ricorso è fondato.
4.2 In proposito, questa Corte ha affermato che l’art. 337 ter c.c., prevede la possibilità, nell’ambito dei provvedimenti che può adottare il tribunale ordinario riguardanti i figli, nella specie, nati fuori dal matrimonio, di un provvedimento di affidamento familiare, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori e che, all’attuazione di tale provvedimento, anche d’ufficio, provvederà il giudice tutelare cui copia del provvedimento viene trasmessa a cura del pubblico ministero, ciò diversamente dall’ipotesi prevista dalla L. n. 184 del 1983, art. 4, commi 3 e 4, che disciplina l’affidamento familiare del minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, una misura di assistenza alla famiglia, che si trovi nella temporanea difficoltà di provvedere ai propri figli e, in tali ipotesi, nel provvedimento del tribunale per i minorenni, ove manchi il consenso dei genitori o del tutore, deve essere indicata la presumibile durata dell’affidamento, che tuttavia non può superare i 24 mesi e che è prorogabile solo se la sospensione può recare pregiudizio al minore, le modalità di esercizio dei poteri degli affidatari, i modi in cui i genitori e gli altri familiari possono mantenere i rapporti con i minori (Cass., 12 novembre 2018, n. 28998).
4.3 Deve, quindi, evidenziarsi che il provvedimento di collocamento del minore presso i Servizi Sociali ha la evidente finalità di precostituire, ove possibile, le condizioni per il ripristino di una condivisa bigenitorialità, tutelando fin da subito il minore e dettando, a tal fine, tutte le disposizioni utili intese nell’immediatezza ad attribuire ai Servizi Sociali un ruolo di supplenza e di garanzia e a fare iniziare ai genitori un percorso terapeutico finalizzato al superamento del conflitto e alla corretta instaurazione di una relazione basata sul reciproco rispetto nella relazione con il figlio.
4.3.1 Ciò nell’osservanza del principio della bigenitorialità che, nell’interesse superiore del minore, va assicurato e che va inteso quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi e nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione (Cass., 8 aprile 2019, n. 9764; Cass., 23 settembre 2015, n. 18817; Cass., 22 maggio 2014, n. 11412).
4.3.2 E nel rispetto degli ulteriori principi stabiliti in tema di affidamento secondo cui l’affidamento “condiviso”, che comporta l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi ed una condivisione, appunto, delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore, si pone non più come evenienza residuale, bensì come regola; rispetto alla quale costituisce, invece, ora eccezione la soluzione dell’affidamento esclusivo (Cass., 8 febbraio 2012, n. 1777) e che non può ragionevolmente ritenersi precluso l’affidamento condiviso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente fra i coniugi, poiché tale istituto avrebbe altrimenti una applicazione, evidentemente, solo residuale, occorrendo, perché possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore (Cass., 18 giugno 2008, n. 16593).
4.4 Ciò posto, le doglianze risultano fondate, anche sul piano motivazionale, atteso che la Corte di appello ha illustrato le ragioni della scelta compiuta nell’interesse del minore, in ragione di una conflittualità accesa ed insanabile, fonte di una paralisi decisionale, ravvisabile in scelte di diversa natura, quali quelle relative al luogo in cui il bambino doveva essere restituito dall’altro genitore, scelte che ovviamente richiedono una tempestiva, anche se ponderata, decisione e che sono state intralciate dalla viva conflittualità dei genitori, ma che, tuttavia, non sembrano decisioni che rivestano quel carattere specifico di rilievo nella sfera personale e patrimoniale del minore su cui va calibrato il rispetto del principio della bigenitorialità.
4.5 La Corte, inoltre, posto che alla regola dell’affidamento condiviso può, dunque, derogarsi solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore, non risulta avere esaminato appieno, sotto tale specifico profilo, la consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio di primo grado, conclusosi con Decreto del 22 febbraio 2017, che pure aveva disposto l’affidamento del figlio minore ad entrambi i genitori con esercizio congiunto della responsabilità genitoriale ed esercizio disgiunto per le sole questioni di ordinaria amministrazione, sulla base di una valutazione di idoneità e di validità di entrambi i genitori, se singolarmente considerati, anche se gravemente disfunzionali come coppia genitoriale, valorizzando, di contro, oltre la irrisolta conflittualità dei genitori, sia il tempo trascorso dalla separazione (otre 4 anni), sia la relazione dei Servizi Sociali del (omissis) , mettendo in evidenza, con specifico riferimento al bambino, che la dinamica che si era creata fra i due genitori era diretta ad “impossessarsi” del figlio per punire l’altro genitore (pag. 3 del provvedimento impugnato) e che il bambino aveva diviso la sua vita in due parti che non comunicavano fra loro, non riferendo ad un genitore quello che faceva con l’altro (pag. 4 del decreto impugnato). Non valutando, di contro, da un lato l’esigenza messa in luce dallo stesso consulente d’ufficio di rivedere la coppia a sei mesi e di rinnovare la consulenza a distanza di 12 mesi dal suo deposito, confermata anche dalle risultanze del consulente di parte, e dall’altro la considerazione svolta dai Servizi Sociali che, ogniqualvolta i genitori erano stati aiutati a focalizzarsi sui bisogni del minore, avevano dimostrato di sapersi facilmente accordare su questioni inerenti la gestione del figlio in un’ottica di cogenitorialità. Il decreto emesso, inoltre, non risulta sufficientemente dettagliato, non essendo stata regolamentata la frequentazione dei genitori da parte del figlio, nemmeno con la previsione della predisposizione di un calendario da parte dei Servizi Sociali, nè essendo stato previsto un graduale allargamento dei tempi di permanenza con il padre e la madre in considerazione dell’eventuale miglioramento dei rapporti tra i genitori, alla luce dei quali considerare la possibilità di ripristinare l’affidamento genitoriale, previo eventuale procedimento di modifica presso il tribunale ordinario da promuoversi da parte dei genitori stessi.
- Per le ragioni di cui sopra, va accolto il ricorso incidentale e va dichiarato inammissibile il ricorso principale; il decreto impugnato va cassato, con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà applicare i principi esposti e dovrà provvedere anche sulla determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Cass. civ., I, sent., 13.09.2021, n. 24635