Corte Costituzionale, sentenza 21 ottobre 2021 n. 198
Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. l, 2 e 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 5 marzo 2020, n. 13, sollevate dal Giudice di pace di Frosinone, in riferimento agli artt. 76, 77 e 78 della Costituzione; vanno invece dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. l, 2 e 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35, sollevate dal Giudice di pace di Frosinone, in riferimento agli artt. 76, 77 e 78 Cost.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– Intervenuto in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sotto due distinti profili.
2.1.– La prima eccezione denuncia un difetto di rilevanza, poiché, essendo stato commesso in data 20 aprile 2020, l’illecito non ricadrebbe nella sfera applicativa del d.l. n. 6 del 2020, ma in quella del d.l. n. 19 del 2020, abrogativo del precedente; esso, pertanto, non sarebbe soggetto al d.P.C.m. 22 marzo 2020 ma al d.P.C.m. 10 aprile 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale), sostitutivo del precedente.
2.2.– L’altra eccezione assume l’inconferenza dei parametri evocati, atteso che il principio di legalità delle sanzioni amministrative – al quale, in definitiva, il giudice a quo si richiama – non troverebbe la propria copertura negli artt. 76 e 77 Cost., bensì negli artt. 23 e 25 Cost.
3.– Occorre premettere all’esame di queste eccezioni una breve ricostruzione della sequenza normativa mediante la quale Governo e Parlamento hanno affrontato l’emergenza epidemiologica da COVID-19, con specifico riguardo al d.l. n. 6 e al d.l. n. 19 del 2020, oggetto delle questioni di legittimità costituzionale.
3.1.– In data 30 gennaio 2020 il Direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità dichiarava la diffusione del nuovo coronavirus (2019-nCoV) «emergenza di salute pubblica di rilevanza internazionale»; in data 11 marzo 2020 seguirà la più severa dichiarazione di «pandemia», attesa la diffusività globale del virus.
In data 31 gennaio 2020 il Consiglio dei ministri, ai sensi degli artt. 7, comma 1, lettera c), e 24, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione civile), dichiarava lo stato di emergenza sul territorio nazionale per la durata di sei mesi, «in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili».
3.2.– Nel definire la tipologia degli eventi emergenziali di protezione civile, l’art. 7, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 1 del 2018 descrive l’ipotesi di maggiore gravità: «emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24».
L’art. 24, comma 1, del medesimo testo normativo stabilisce appunto che, al verificarsi degli eventi rientranti nella previsione dell’art. 7, comma 1, lettera c), il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza di rilievo nazionale, ne fissa la durata, ne determina l’estensione territoriale «e autorizza l’emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all’articolo 25».
A norma del successivo art. 25, comma 1, «[p]er il coordinamento dell’attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di emergenza di rilievo nazionale si provvede mediante ordinanze di protezione civile, da adottarsi in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea»; tali ordinanze, «ove rechino deroghe alle leggi vigenti, devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere specificamente motivate».
Il comma 4 del medesimo art. 25 prescrive che queste ordinanze siano pubblicate in Gazzetta Ufficiale e il comma 9 assicura avverso di esse la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo.
I poteri di ordinanza in materia di protezione civile sono attribuiti dall’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 1 del 2018 al Presidente del Consiglio dei ministri, «che può esercitar[li], salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione di cui all’articolo 24, per il tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile».
3.3.– Il d.l. n. 6 del 2020 stabiliva, al comma 1 dell’art. 1, che, «[a]llo scopo di evitare il diffondersi del COVID-19, nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio del menzionato virus, le autorità competenti, con le modalità previste dall’articolo 3, commi 1 e 2, sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica»; il comma 2 del medesimo art. 1 conteneva un’elencazione non tassativa delle misure adottabili, in quanto disponeva che, «[t]ra le misure di cui al comma 1, possono essere adottate anche le seguenti […]».
Il successivo art. 2, comma 1, prevedeva inoltre, mediante formulazione “aperta”, che «[l]e autorità competenti, con le modalità previste dall’articolo 3, commi 1 e 2, possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da COVID-19 anche fuori dei casi di cui all’articolo 1, comma 1».
L’art. 3 regolava quindi l’attuazione delle misure di contenimento, affidandola essenzialmente allo strumento del d.P.C.m.: «[l]e misure di cui agli articoli 1 e 2 sono adottate […] con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale» (comma 1); l’adozione delle misure di contenimento tramite ordinanze contingibili e urgenti del Ministro della salute, dei Presidenti delle Regioni o dei sindaci era prevista in termini puramente interinali e residuali, essendo consentita solo «[n]elle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1» e solo «nei casi di estrema necessità ed urgenza» (comma 2).
L’art. 3, comma 4, del medesimo d.l. n. 6 del 2020 attribuiva rilevanza penale all’inosservanza delle misure di contenimento, qualificandola come contravvenzione di polizia: «[s]alvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale».
3.4.– L’art. 5, comma 1, lettera a), del d.l. n. 19 del 2020, entrato in vigore il 26 marzo 2020, ha abrogato il d.l. n. 6 del 2020 (ad eccezione delle disposizioni civilistiche di cui all’art. 3, comma 6-bis, e delle disposizioni finanziarie di cui all’art. 4, che qui non vengono in rilievo).
Per la clausola di salvezza di cui all’art. 2, comma 3, del medesimo d.l. n. 19 del 2020, «[s]ono fatti salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze» emanati ai sensi del d.l. n. 6 del 2020 e «[c]ontinuano ad applicarsi nei termini originariamente previsti le misure già adottate» – tra gli altri – con il d.P.C.m. 22 marzo 2020, «come ancora vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto».
L’art. 4, comma 1, del d.l. n. 19 del 2020 ha infine depenalizzato l’inosservanza delle misure di contenimento, assoggettandola a sanzione amministrativa pecuniaria, escluse quindi le sanzioni contravvenzionali di cui all’art. 650 del codice penale.
4.– È ora possibile esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa statale.
4.1.– La prima eccezione, che assume il difetto di rilevanza delle questioni concernenti il d.l. n. 6 del 2020, è fondata.
La fattispecie oggetto del giudizio principale viene riferita dall’ordinanza di rimessione alla contestata inosservanza del d.P.C.m. 22 marzo 2020, l’ultimo adottato in base al d.l. n. 6 del 2020.
Tuttavia, la violazione di che trattasi è stata commessa – sempre per indicazione dell’ordinanza di rimessione – il 20 aprile 2020, e a tale data il d.P.C.m. 22 marzo 2020 non aveva più efficacia, avendola perduta in data 14 aprile 2020, a norma dell’art. 8, commi 1 e 2, del d.P.C.m. 10 aprile 2020, attuativo del d.l. n. 19 del 2020.
La fattispecie oggetto del giudizio a quo non è quindi in alcun modo interessata dalle disposizioni del d.l. n. 6 del 2020, poiché verificatasi in un momento nel quale esse erano già state abrogate dal d.l. n. 19 del 2020 e, in attuazione di quest’ultimo, era già stato emanato un d.P.C.m. sostitutivo.
La riprova è fornita dal contenuto stesso del provvedimento opposto, che ha irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria stabilita – nel contesto della depenalizzazione delle violazioni – dall’art. 4, comma 1, del d.l. n. 19 del 2020 («da euro 400 a euro 1.000»).
Un’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. l, 2 e 3 del d.l. n. 6 del 2020 non avrebbe, quindi, alcuna incidenza sul giudizio a quo, nel quale tali disposizioni sono inapplicabili ratione temporis.
Le questioni sollevate nei riguardi dei citati articoli vanno pertanto dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza (ex plurimis, sentenze n. 85 del 2020, n. 159 e n. 20 del 2019, n. 36 del 2016, n. 192 del 2015 e n. 294 del 2011; ordinanze n. 57 del 2018 e n. 38 del 2017).
4.2.– Sono rilevanti dunque le sole questioni aventi ad oggetto gli artt. l, 2 e 4 del d.l. n. 19 del 2020, e per esse occorre procedere allo scrutinio di merito, in quanto l’eccezione formulata dall’Avvocatura dello Stato circa la pertinenza degli evocati parametri non è fondata.
Tramite l’evocazione degli artt. 76, 77 e 78 Cost., il giudice a quo ha inteso denunciare la violazione del principio di legalità delle sanzioni amministrative non in sé, ma quale riflesso dell’alterazione del sistema delle fonti, a suo dire determinata dall’impropria sequenza tra decreti-legge e d.P.C.m.
Il nucleo della denuncia è chiaro: le norme primarie censurate (decreti-legge) avrebbero “delegato” le fonti subprimarie (d.P.C.m.) a definire nuovi illeciti amministrativi, sicché – come recita l’ordinanza di rimessione – sarebbe stato «aggirato il principio cardine di cui agli articoli 76 e 77 Cost., per cui la funzione legislativa è affidata al Parlamento, che può delegarla solo con una legge-delega e comunque giammai ad atti amministrativi».
Come questa Corte ha avuto modo di sottolineare, quando è ben individuato il nucleo essenziale della censura, l’eventuale inconferenza dei parametri costituzionali evocati non integra un motivo di inammissibilità della questione, semmai una ragione di non fondatezza (sentenze n. 286 del 2019 e n. 290 del 2009).
Ovviamente, la selezione dei parametri operata dal giudice a quo, mentre non rende inammissibili le questioni così come sollevate, ne delimita tuttavia l’oggetto, che resta pertanto circoscritto al sistema delle fonti, quale delineato dagli artt. 76, 77 e 78 Cost., senza attingere specificamente il problema delle riserve di legge, né quelle poste dagli artt. 23 e 25 Cost., cui l’Avvocatura fa esplicito riferimento, né le altre potenzialmente incise dalle singole misure di contenimento.
5.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. l, 2 e 4 del d.l. n. 19 del 2020 non sono fondate.
6.– Come afferma la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, il d.l. n. 19 del 2020 si è posto l’obiettivo di «sottoporre a una più stringente interpretazione del principio di legalità la tipizzazione delle misure potenzialmente applicabili per la gestione dell’emergenza», e tale obiettivo ha perseguito «con una compilazione che riconduce a livello di fonte primaria il novero di tutte le misure applicabili all’emergenza stessa, nel cui ambito i singoli provvedimenti emergenziali attuativi potranno discernere, momento per momento e luogo per luogo, quelle di cui si ritenga esservi concretamente maggiore bisogno per fronteggiare nel modo più efficace l’emergenza stessa».
In effetti, l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 19 del 2020 stabilisce che, «[p]er contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate, secondo quanto previsto dal presente decreto, una o più misure tra quelle di cui al comma 2»; e il comma 2 precisa, appunto, che, «[a]i sensi e per le finalità di cui al comma 1, possono essere adottate, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso», una o più tra le misure ivi elencate, da intendersi come tipiche, per l’assenza di una clausola di apertura verso indefinite «ulteriori misure», analoga a quella contenuta nell’art. 2, comma 1, del d.l. n. 6 del 2020.
6.1.– La tipizzazione delle misure di contenimento – coerente con l’esigenza di assicurare il corretto rapporto tra fonti primarie e fonti secondarie, soprattutto in relazione alla natura delle censure proposte dal rimettente – è stata accompagnata nell’economia del d.l. n. 19 del 2020 da ulteriori garanzie, sia per quanto attiene alla responsabilità del Governo nei confronti del Parlamento, sia sul versante della certezza dei diritti dei cittadini.
Il d.l. n. 19 del 2020 ha invero disposto la temporaneità delle misure restrittive, adottabili solo «per periodi predeterminati», e reiterabili non oltre il termine finale dello stato di emergenza (art. 1, comma 1); ha quindi stabilito che «[i]l Presidente del Consiglio dei ministri o un Ministro da lui delegato riferisce ogni quindici giorni alle Camere sulle misure adottate ai sensi del presente decreto» (art. 2, comma 5), previsione, questa, alla quale si è anteposto in sede di conversione che, salve ragioni di urgenza, «[i]l Presidente del Consiglio dei ministri o un Ministro da lui delegato illustra preventivamente alle Camere il contenuto dei provvedimenti da adottare ai sensi del presente comma, al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati» (art. 2, comma 1); ha infine prescritto la pubblicazione dei d.P.C.m. nella Gazzetta Ufficiale e la comunicazione alle Camere entro il giorno successivo alla pubblicazione (art. 2, comma 5).
6.2.– La tipizzazione delle misure di contenimento operata dal d.l. n. 19 del 2020 è stata corredata dall’indicazione di un criterio che orienta l’esercizio della discrezionalità attraverso i «principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso» (art. 1, comma 2).
In tal senso assume rilievo – giacché supporta sul piano istruttorio la messa in atto della disciplina primaria, rendendone più concreta ed effettiva la verifica giudiziale – quanto stabilito dall’ultimo periodo dell’art. 2, comma 1, dello stesso d.l. n. 19 del 2020, cioè che, «[p]er i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità, i provvedimenti di cui al presente comma sono adottati sentito, di norma, il Comitato tecnico-scientifico di cui all’ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 32 dell’8 febbraio 2020».
La fonte primaria, pertanto, non soltanto ha tipizzato le misure adottabili dal Presidente del Consiglio dei ministri, in tal modo precludendo all’autorità di Governo l’assunzione di provvedimenti extra ordinem, ma ha anche imposto un criterio tipico di esercizio della discrezionalità amministrativa, che è di per sé del tutto incompatibile con l’attribuzione di potestà legislativa ed è molto più coerente con la previsione di una potestà amministrativa, ancorché ad efficacia generale.
6.3.– In sostanza, il d.l. n. 19 del 2020, lungi dal dare luogo a un conferimento di potestà legislativa al Presidente del Consiglio dei ministri in violazione degli artt. 76 e 77 Cost., si limita ad autorizzarlo a dare esecuzione alle misure tipiche previste.
7.– La tipizzazione operata dal d.l. n. 19 del 2020 rivela la sua importanza sul piano del sistema delle fonti proprio riguardo alla misura di contenimento la cui violazione è oggetto del giudizio a quo, cioè il divieto di allontanamento dall’abitazione senza giustificato motivo.
7.1.– Il d.l. n. 19 del 2020, a differenza del d.l. n. 6 del 2020, ha infatti specificamente previsto quali misure di contenimento le «limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni» (art. 1, comma 2, lettera a).
Il d.P.C.m. 10 aprile 2020, nel prevedere, all’art. 1, comma 1, lettera a), che «sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute», e nello stabilire, all’art. 8, comma 1, che tutte le disposizioni in esso contenute «producono effetto dalla data del 14 aprile 2020 e sono efficaci fino al 3 maggio 2020», si è dunque limitato ad adattare all’andamento della pandemia quanto stabilito in via generale dalla fonte primaria.
Il contenuto tipizzato del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri smentisce l’ipotesi del rimettente circa il conferimento di potestà legislativa da parte del decreto-legge. Risulta in tal modo rispettato quanto da questa Corte affermato a proposito dell’individuazione delle fonti primarie, e cioè che, «in considerazione della particolare efficacia delle fonti legislative, delle rilevanti materie ad esse riservate, della loro incidenza su molteplici situazioni soggettive, nonché del loro raccordo con il sistema rappresentativo, una siffatta individuazione può essere disposta solo da fonti di livello costituzionale» (sentenza n. 361 del 2010).
8.– Al riguardo, non può non ricordarsi che, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del regio decreto 3 marzo 1934, n. 383 (Approvazione del testo unico della legge comunale e provinciale), sollevata in riferimento – tra gli altri – agli artt. 76 e 77 Cost., a proposito delle ordinanze prefettizie contingibili e urgenti, questa Corte ha fatto richiamo alla distinzione corrente tra «“atti” necessitati» e «“ordinanze” necessitate», aventi entrambi come presupposto l’urgente necessità del provvedere, «ma i primi, emessi in attuazione di norme legislative che ne prefissano il contenuto; le altre, nell’esplicazione di poteri soltanto genericamente prefigurati dalle norme che li attribuiscono e perciò suscettibili di assumere vario contenuto, per adeguarsi duttilmente alle mutevoli situazioni» (sentenza n. 4 del 1977).
Ebbene, la tassatività delle misure urgenti di contenimento acquisita dal d.l. n. 19 del 2020 induce ad accostare le stesse, per certi versi, agli «“atti” necessitati», in quanto «emessi in attuazione di norme legislative che ne prefissano il contenuto», sicché non è dato riscontrare quella delega impropria di funzione legislativa dal Parlamento al Governo che il rimettente ipotizza nel denunciare la violazione degli artt. 76 e 77 Cost.
8.1.– Quali atti a contenuto tipizzato, le misure attuative del d.l. n. 19 del 2020 si distaccano concettualmente dal modello delle ordinanze contingibili e urgenti, che viceversa rappresentano il paradigma delle “ordinanze necessitate” (a contenuto libero), seguito dal codice della protezione civile.
Malgrado il punto di intersezione rappresentato dalla dichiarazione dello stato di emergenza, le misure attuative del d.l. n. 19 del 2020 non coincidono, infatti, con le ordinanze di protezione civile, l’emanazione delle quali compete pure al Presidente del Consiglio dei ministri, a norma degli artt. 5 e 25 del d.lgs. n. 1 del 2018.
Lo stesso d.P.C.m. 10 aprile 2020, applicabile nel caso di specie, pur richiamando nella premessa la dichiarazione dello stato di emergenza, fin dal titolo definisce le proprie disposizioni «attuative» del d.l. n. 19 del 2020, e non del codice della protezione civile.
8.1.1.– L’alternatività dei modelli di regolazione non solleva tuttavia un problema di legittimità costituzionale.
Invero, nel riconoscere che la competenza legislativa per il contenimento della pandemia spetta in esclusiva allo Stato giacché attinente alla «profilassi internazionale» ex art. 117, secondo comma, lettera q), Cost., questa Corte ha osservato che il modello tradizionale di gestione delle emergenze affidato alle ordinanze contingibili e urgenti, culminato nell’emanazione del codice della protezione civile, «se da un lato appare conforme al disegno costituzionale, dall’altro non ne costituisce l’unica attuazione possibile», essendo «ipotizzabile che il legislatore statale, se posto a confronto con un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari, scelga di introdurre nuove risposte normative e provvedimentali tarate su quest’ultima», come appunto accaduto «a seguito della diffusione del COVID-19, il quale, a causa della rapidità e della imprevedibilità con cui il contagio si spande, ha imposto l’impiego di strumenti capaci di adattarsi alle pieghe di una situazione di crisi in costante divenire» (sentenza n. 37 del 2021).
8.1.2.– D’altronde, come rilevato anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per l’annullamento di alcuni d.P.C.m. attuativi del d.l. n. 19 del 2020 (parere 13 maggio 2021, n. 850), la legislazione sulle ordinanze contingibili e urgenti e lo stesso codice della protezione civile non assurgono al rango di leggi “rinforzate”, sicché il Parlamento ben ha potuto coniare un modello alternativo per il tramite della conversione in legge di decreti-legge che hanno rinviato la propria esecuzione ad atti amministrativi tipizzati.
9.– Per tutto quanto esposto, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. l, 2 e 4 del d.l. n. 19 del 2020 vanno dichiarate non fondate, poiché le disposizioni oggetto di censura non hanno conferito al Presidente del Consiglio dei ministri una funzione legislativa in violazione degli artt. 76 e 77 Cost., né tantomeno poteri straordinari da stato di guerra in violazione dell’art. 78 Cost., ma hanno ad esso attribuito unicamente il compito di dare esecuzione alla norma primaria mediante atti amministrativi sufficientemente tipizzati.