Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, sentenza 11 ottobre 2021 n. 36959
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il provvedimento di sequestro preventivo di beni ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege
- Il ricorso assegnato alle Sezioni Unite di questa Corte a seguito della rimessione operata dalla Quinta Sezione, pone, come già anticipato sopra, nell’unico motivo di cui si compone, la questione relativa alla necessità o meno che il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca e disciplinato dall’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., sia sorretto da motivazione che, oltre a dare conto del presupposto del fumus commissi delicti, sia anche relativa al requisito del perículum in mora, giacché il solo comma 1 dell’art. 321 (dedicato al cosiddetto “sequestro impeditivo”), richiede espressamente la necessità che la libera disponibilità della cosa da sequestrare possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati, mentre ogni menzione in proposito difetta nel comma
- Nella specie, in particolare, la pronuncia qui impugnata ha rigettato la richiesta di riesame che ha avuto ad oggetto il decreto, in data 22/5/2020, di sequestro finalizzato alla confisca di terreno giacché considerato come profitto del reato di cui all’art. 166 del d.lgs. n. 58 del 1998 in relazione ad attività di investimento finanziario e di gestione collettiva del risparmio in mancanza di autorizzazione (capo b del provvisorio addebito) e di numerosi reati di cui all’art. 640 cod. pen. in relazione a vari episodi di truffa articolatisi, essenzialmente, nell’avere indotto numerose persone a versare sorn rne di denaro prospettando falsi investimenti vantaggiosi (capi d, f, g, h, i, j, I, m, n, o).
Segnatamente, il terreno in oggetto, secondo quanto analiticamente enunciato nel decreto di sequestro, sarebbe stato acquistato dalla indagata ricorrente, per il prezzo di euro 63.500, con assegni circolari emessi sulla base di provviste di denaro provenienti dai conti correnti di persone offese dai reati di truffa suddetti, da ciò, dunque, derivando la natura di profitto del reato di detto bene e la conseguente natura dello strumento cautelare come diretto a garantire la confisca facoltativa (e non obbligatoria, come inesattamente precisato dallo stesso decreto) di cui all’art. 240, primo comma, cod. pen., (inapplicabile. in particolare, essendo la disposizione dell’art. 322-ter cod. pen., che prevede, attraverso il richiamo operato dall’art. 640-quater cod. pen., l’obbligatorietà della confisca del profitto per reati tra cui non è ricompresa la truffa ex art.640, primo comma, ma solo quella di cui all’art. 640, secondo comma, n. 1).
- Ineffetti, come già anticipato sopra in parte narrativa, la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta, sulla questione appena ricordata, ad epiloghi di segno diverso.
2.1. Un primo indirizzo, già ricordato, e comune a pronunce intervenute in ordine a fattispecie caratterizzate dall’estrema varietà dell’oggetto del sequestro (denaro, beni mobili e beni immobili) e dalla indifferenziata natura, sia diretta che per equivalente, della confisca-fine, ha escluso che il giudice debba dar conto, nel disporre il sequestro di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., della sussistenza del periculum in mora indicato dal comma 1, facendo leva, anzitutto, sulla natura “autonoma” di tale figura di sequestro rispetto al sequestro “impeditivo”, rivelata dalla presenza, nella norma, dell’avverbio “altresì” (“il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca”) e dal contenuto della Relazione al codice di rito (ove si specifica infatti la diversità dei presupposti delle due misure); sarebbe così sufficiente la sola verifica dell’inclusione del bene da sequestrare tra le cose oggettivamente suscettibili di confisca, sia facoltativa che obbligatoria, a tenore sia del codice che delle leggi speciali, posto che, in sostanza, la stessa confiscabilità integrerebbe, di per sé, la oggettiva pericolosità del bene (tra le altre, anche in termini meramente tralatici, Sez. 2, n. 2413 del 10/12/2020, dep. 2021, Zaccari e altri, non mass.; Sez.2, n. 50744 del 24/10/2019, Farese, non mass.; Sez. 6, n. 29539 del 01/03/2018, Terzulli, non mass.; Sez. 3, n. 47684 del 17/09/2014, Mannino, Rv.261242; Sez. 6, n. 4114 del 21/10/1994, Giacalone, Rv.200854; Sez. 1, n. 2994 del 23/06/1993, Cassanelli, Rv.194824; Sez. 6, n. 3343 del 25/09/1992, Garofalo, Rv.192862).
La mancanza .di un onere motivazionale sul punto sarebbe inoltre corroborata, secondo ulteriori pronunce (Sez. 2, n. 31229 del 26/06/2014, Borda, Rv. 260367), dalla natura facoltativa del sequestro di cui al comma 2, in ragione dell’impiego del verbo modale “potere” (“…il giudice può..”), tale da differenziare l’istituto da quello del comma 1 che sarebbe invece, obbligatorio, aggiungendosi poi, da altri arresti ancora, che, assente un predetto obbligo motivazionale, il giudice avrebbe “il solo dovere di render conto dell’esercizio del potere discrezionale attribuitogli dal legislatore” (si veda in particolare, Sez. 3, n. 38728 del 07/07/2004, Lazzara, non mass., che, significativamente, per quanto si dirà oltre, appare però valorizzare un elemento affermato anche dall’indirizzo di segno contrario).
2.2. Un secondo indirizzo, anch’esso accomunante le più diverse tipologie di beni in sequestro, nel pervenire invece all’affermazione della necessità della motivazione sul profilo del periculum, pur premettendo (e ribadendo) che il sequestro strumentale alla confisca, come rivelato tra l’altro dall’avverbio “altresì” e dalla Relazione al codice di rito, è figura autonoma e speciale rispetto al sequestro impeditivo per la cui legittimità non occorrono dunque i presupposti di applicabilità previsti per il secondo e, in particolare, il periculum, essendo invece sufficiente il presupposto della confiscabilità, ha specificato che ciò che si richiede è che il giudice dia ragione del potere discrezionale di cui abbia ritenuto di avvalersi; di qui, in particolare, in connessione con la finalità di non consentire che la cosa confiscabile sia, nelle more del giudizio, “modificata, dispersa, deteriorata, utilizzata o alienata”, l’esigenza (talora ricompresa nella “finalità di evitare la protrazione degli effetti del reato” : tra le altre, Sez. 5, n. 25834 del 22/07/2020, Pensabene, non mass.) di una motivazione che dia ragione di tali circostanze (si vedano, tra le altre, Sez. 6, n. 151 del 19/01/1994, Pompei, Rv.198258; Sez. 6 n. 1022 del 17/03/1995, Franceschini, Rv.201943; Sez. 2, n. 43325 del 09/11/2011, De Biase e altro, non mass.; Sez. 2, n. 46389 del 21/09/2016, Mastrodomenico, non mass.).
In particolare, la sentenza di Sez. 5, n. 6562 del 14/12/2018, dep.2019, Pignataro, ha sottolineato che la locuzione “può” della norma “deve essere riempita di significato laddove ci si trovi di fronte a beni suscettibili di confisca facoltativa e non già di confisca obbligatoria o per equivalente”, essendo in proposito il parametro di riferimento rappresentato dal pericolo che il bene sfugga alla futura ablazione.
In definitiva, per tradurre in termini più espliciti il senso dell’impostazione alla base della opzione esegetica in parola, il pericolo di sottrazione o dispersione giustificherebbe la ablazione del bene in via anticipata, tanto più, ha precisato ancora la pronuncia da Ultimo ricordata, a fronte dei principi di ragionevolezza e proporzionalità tra le esigenze pubblicistiche e quelle che presidiano gli interessi dei singoli, derivanti da postulati delle Corti europee e ripresi anche da queste Sezioni Unite in plurime pronunce (v. le già citate Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, Bevilacqua, R. 226713 e Sez. U, n. 36072 del 19/4/2018, Botticelli, Rv. 273548).
Ed è, evidentemente, in questo stesso senso, che si esclude anche, nella valutazione dell’apposizione del vincolo, “qualsiasi automatismo che colleghi la pericolosità alla mera confiscabilità del bene oggetto di sequestro” (Sez. 3, n. 5530 del 19/11/2019, dep.2020, Guerra; Sez. 5, n. 25834 del 22/07/2020, Pensabene).
- Tanto premesso, e precisato che l’ambito di pronuncia di questa Corte è circoscritto, in dipendenza dell’oggetto del giudizio cautelare di specie, all’art. 240 cod. pen., deve essere affermata la necessità che il provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca dia motivatamente conto della sussistenza, oltre che del fumus commissi delícti, anche del requisito del periculum in mora, da intendersi, tuttavia, in una accezione strettamente collegata alla finalità “confiscatoria” del mezzo, evidentemente diversa da quella “impeditiva” dello strumento del comma 1 dell’art. 321 cod. proc. pen., e alla natura fisiologicamente anticipatoria che il sequestro deve necessariamente assumere, nel corso del processo, rispetto alla stessa confisca.
4.Come emergente dalla ricostruzione sopra effettuata, tutte le pronunce intervenute sul punto appaiono, in realtà, ugualmente e correttamente escludere (se si eccettuano affermazioni, evidentemente incidentali, che, pur nell’ambito del secondo indirizzo, seguitano, come già visto, ad includere un riferimento alla “protrazione degli effetti del reato”) che, ai fini del sequestro del comma 2, il giudice debba motivare sul pericolo che la libera disponibilità della cosa da sequestrare possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati: del resto, va qui aggiunto, ove così non fosse, non solo diverrebbe allora sempre sufficiente ricorrere al solo sequestro impeditivo (con conseguente inutilità della stessa previsione ad hoc del comma 2), ma proprio la stessa distinzione normativa dei due sequestri enfatizzata da quasi tutte le sentenze sopra ricordate verrebbe annullata venendo dimenticati i diversi presupposti e la diversa finalità delle due misure, sottolineata anche dalla Relazione al codice di procedura penale.
Sicché, la effettiva divergenza appare in realtà riguardare, non già il rapporto, di sistema, intercorrente tra il sequestro innpeditivo e quello a fini confiscatori, rapportò appunto unanimemente ricostruito da tutte le pronunce in termini di autonomia reciproca, quanto i riflessi che tale autonomia avrebbe in punto di motivazione in particolare del sequestro del comma 2, facendone il secondo indirizzo discendere, per ciò solo, incongruamente, la mera sufficienza di una motivazione incentrata sulla confiscabilità del bene, e trascurando, come si vedrà oltre, la stretta connessione intercorrente tra funzione cautelare e relativo rendiconto giustificativo (ovvero la immanenza alla misura cautelare, anticipatrice di effetti ordinariamente conseguenti alla sentenza, della giustificazione della sua adozione).
- Non può esservi infatti dubbio, anzitutto, sulla natura autonoma del sequestro preventivo a fini di confisca rispetto a quello impeditivo : oltre alle ragioni logico – sistematiche appena sopra ricordate, ne è indice evidente, oltre alla distinta collocazione topografica, all’interno della norma, della prima misura rispetto alla seconda, anche la diversa finalità, rapportata, nel caso del comma primo, all’esigenza di evitare che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, e, nel caso del comma secondo, invece, all’esigenza di assicurare al processo cose di cui la legge preveda la confisca indipendentemente dalla “attitudine” delle stesse a dare luogo agli effetti e alle conseguenze, in termini di aggravamento, protrazione degli effetti, e reiterazione del reato, già considerati dal primo comma.
- E tuttavia, se l’autonomia del sequestro a fini di confisca rispetto a quello impeditivo, ben può giustificare l’affermazione costante secondo cui i parametri di adozione e i conseguenti oneri motivazionali del sequestro di cui al comma 2 non possono ricalcare, evidentemente, quelli del sequestro impeditivo, non per questo la motivazione della misura adottata a fini di confisca potrà sempre esaurirsi nel dare atto, semplicemente, della confiscabilità della cosa, come invece predicato dalle sentenze espressione del primo indirizzo (essendo una tale giustificazione, anzi, sufficiente, come meglio si dirà oltre, solo con riguardo alle cose indicate dall’art. 240, comma 2, n. 2 cod. pen.).
6.1. Che infatti, e innanzitutto, il sequestro a fini di confisca debba essere sorretto da una motivazione è affermazione che non può essere posta in dubbio anzitutto con riferimento al piano letterale della norma considerata.
Se è vero che, a differenza del comma 1, testualmente comprensivo del riferimento ad un “decreto motivato” (evidentemente in relazione ai presupposti rivelati dall’incipit dello stesso comma quanto all’oggetto del pericolo che si vuole evitare), il comma 2 nulla evidenzia sul punto della motivazione, è altresì innegabile che al carattere discrezionale dell’esercizio del potere di ablazione, rivelato dall’impiego del verbo modale (“il giudice può”), ed ancor più sottolineato, oggi, dalla diversa formulazione del nuovo comma 2-bis dedicato ai delitti previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (“il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca”), non possa non coniugarsi l’ esigenza della attestazione della sua giustificazione.
Ciò è quanto, del resto, viene colto da quelle pronunce, annoverabili nel secondo indirizzo che, come visto, proprio su tale elemento fondano un onere motivazionale (quantunque, evidentemente, non esplicitato dalla norma) in ordine al pericolo che, nelle more del giudizio, la cosa venga modificata, dispersa, deteriorata, utilizzata o alienata; ed è quanto, invece, viene sottovalutato da quelle pronunce annoverabili all’interno del primo indirizzo che, pur dando atto del “dovere” del giudice di “rendere conto dell’esercizio del potere discrezionale attribuitogli dal legislatore, hanno, ciononostante, escluso un “obbligo di motivare sul pericolo” senza esplicitare i margini di differenza tra l’uno e l’altro compito.
Non è dato infatti comprendere perché il dovere di rendere conto della scelta ablatoria esercitata dovrebbe essere altra e diversa cosa rispetto all’essenza stessa della motivazione che, già sotto l’aspetto definitorio generalmente accettato, si risolve nella esposizione delle ragioni che giustificano una determinata decisione, e dunque, con riferimento al provvedimento in oggetto, di spiegare, in termini di fatto e di diritto, le ragioni dell’adozione dello stesso.
6.2. L’indice testuale rivelatore dalla natura discrezionale del potere esercitato si coniuga, poi, con il ragionamento sistematico, e, in particolare, come già anticipato, con la necessità che l’esigenza cautelare in sé non possa, quasi per definizione, non essere sorretta da una motivazione sul punto, giacché già il solo fatto che gli effetti di misure limitative di diritti dell’imputato (ordinariamente condizionati all’affermazione di responsabilità o comunque all’accertamento del fatto) vengano anticipati rispetto alla decisione finale, non può non comportare un giudizio quanto meno di tipo prognostico non solo sul piano del fumus del reato ma anche sul piano della necessità di una anticipata esigenza ablatoria, attesa la complementarietà dei due profili.
In tale prospettiva, pertanto, affermare, come è, nella sostanza, delle sentenze annoverabili all’interno del primo orientamento, che possa bastare sempre, in caso di sequestro finalizzato alla confisca, la motivazione in ordine alla riconducibilità del bene tra le categorie di cose oggettivamente suscettibili di confisca, significa semplicemente motivare ciò che è richiesto, né più né meno, ai fini della misura finale, in tal modo annullando ogni divaricazione tra il piano cautelare e il piano del giudizio, sì che, davvero, la mera confiscabilità finirebbe, inammissibilmente, per giustificare ipso iure il sequestro.
Sicché, anche la mancanza, nelle ipotesi del comma 2 dell’art. 321, a differenza di quanto previsto nell’incipit del comma 1, di una specifica formulazione del presupposto su cui imperniare l’adozione del provvedimento e, conseguentemente, la sua motivazione, è dovuto proprio alla finalità specifica della confisca, le cui diverse tipologie (solo per fermarsi all’art. 240 cod. pen., coevo all’epoca di conio dell’art. 321 comma 2) e il cui diverso possibile oggetto avrebbero reso non praticabile (se non attraverso appunto il richiamo alla mera locuzione di “cose di cui è consentita la confisca”) una specificazione delle diverse esigenze anticipatorie calibrate proprio sulla ragione della confisca stessa.
Né, in tale contesto, l’avverbio aggiuntivo “altresì” del comma 2, valorizzato in senso riduttivo dal primo orientamento, può assumere alcun significato di esclusione di un onere motivazionale del giudice (che semmai sarebbe stato più propriamente il risultato dell’impiego di un avverbio avversativo) dovendo invece, più pianamente, intendersi che, accanto al sequestro impeditivo, il giudice può, “inoltre” (sinonimo, questo, appunto, di “altresì”), disporre anche il sequestro a fini di confisca.
Ed anzi, proprio la differente formulazione dei commi 2 e 2 -bis conduce, ancor più, a ripudiare la opzione riduttiva, abbracciata dal primo orientamento, di una motivazione confinata nella mera individuazione della confiscabilità del bene, invece sufficiente, alla luce della differente formulazione della norma, proprio per il sequestro introdotto dal legislatore con riguardo ai reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.
6.2.1. Non possono, del resto, essere sottaciuti, sul punto, i rilievi, avanzati anche in dottrina, sulle conseguenze che una esegesi riduttiva dell’onere motivazionale del provvedimento di sequestro a fini di confisca potrebbe comportare sul piano dei principi costituzionali e, in particolare del principio di presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, secondo comma, Cost. e di cui all’art.6, par. 2, CEDU: evidenti sarebbero infatti gli aspetti problematici di una soluzione ermeneutica in ragione della quale il provvedimento cautelare prescindesse da una concreta prognosi in ordine alla conseguibilità della misura ablativa finale, così non scongiurandosi la possibilità, esattamente antitetica al predicato costituzionale appena ricordato, che la misura cautelare possa incidere sui diritti individuali più di quanto non lo possa la pronuncia di merito; in altri termini, la risposta afflittiva, quale è anche quella propria della confisca, dovrebbe, si è condivisibilmente detto, costituire il contenuto delle sole pronunce emesse a seguito di un giusto processo sul fatto colpevole e mai di provvedimenti disposti prima della soluzione giudiziaria definitiva.
6.2.2. Né si può trascurare come, solo aderendo ad una scelta impositiva di un obbligo motivazionale del provvedimento di sequestro a fini di confisca anche in ordine al periculum, si potrebbe assicurare, come già osservato dalla sentenza di Sez. 5, n. 6562 del 14/12/2018, dep.2019, Pignataro, la corrispondenza a quell’ineludibile esigenza di rispetto dei criteri di proporzionalità la cui necessaria valenza, con riferimento proprio alle misure cautelari reali, e in consonanza con le affermazioni della giurisprudenza sovranazionale, questa Corte ha ritenuto di dovere a più riprese rimarcare al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata (Sez. 5, n. 8152 del 21/10/2010, Magnano, Rv.246103; Sez. 5, n. 8382 del 16/01/2013, Caruso, 254712; Sez. 3, n. 21271 del 07/05/2014, Konovalov, Rv.261509; Sez. 2, n.29687 del 28/05/2019, Frontino, 276979) tanto che, sia pure con riferimento al sequestro probatorio, e tuttavia all’interno di una medesima, simmetrica, ratio, anche queste Sezioni Unite hanno riconosciuto l’importanza, nella valutazione dell’an e del quomodo della scelta ablativa, del cosiddetto test di proporzione (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv 226713; Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548).
Va infatti rammentato che il principio di proporzionalità, costantemente richiamato dalla giurisprudenza della Corte EDU nella valutazione delle ingerenze rispetto al diritto di proprietà tutelato dall’art. 1, Prot. 1, CEDU (si veda, al riguardo, Corte EDU, Grande Camera, del 5/1/2000, Beyeler c. Italia; Corte EDU, Grande Camera, del 16/7/2014, Alisic c. Bosnia e Erzegovina, nonché, nella declinazione della residualità della misura, Corte EDU del 21/2/1986, James e altri c. Regno Unito), costituisce anche uno dei principi generali del diritto dell’Unione (Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 3/12/2019, C-482/17) ed è espressamente sancito dall’art. 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza, secondo cui possono essere apportate limitazioni all’esercizio dei diritti sanciti dalla suddetta Carta (quale, nella specie, il diritto di proprietà riconosciuto dall’art. 17), purché tali limitazioni siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
Anche secondo la giurisprudenza costante della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (da ultimo, Corte giustizia, 03/12/2019, C-482/17), il principio di proporzionalità «esige che gli strumenti istituiti da una disposizione di diritto dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerli (sentenza dell’d giugno 2010, Vodaone e a., C-58/08, EU:C:2010:321, punto 51 e giurisprudenza ivi citata)».
Tale principio è stato inoltre espressamente richiamato nel Regolamento 2018/1805 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca in materia penale. In particolare, l’art. 1, par. 3, prevede che “nell’emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, le autorità di emissione assicurano il rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità”. Il medesimo parametro è evocato, inoltre, dalla Direttiva 2014/42/UE del 3 aprile 2014 relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea. In particolare, al considerando n.17, si prevede che “nell’attuazione della presente direttiva con riguardo alla confisca di beni di valore corrispondente ai beni strumentali al reato, le pertinenti disposizioni potrebbero essere applicate se, alla luce delle circostanze particolari del caso di specie, tale misura è proporzionata, considerato, in particolare, il valore dei beni strumentali interessati.”
Ed ancora, il successivo considerando n. 18 prevede che “nell’attuazione della presente direttiva, gli Stati membri possono prevedere che, in circostanze eccezionali, la confisca non sia ordinata qualora, conformemente al diritto nazionale, essa rappresenti una privazione eccessiva per l’interessato, sulla base delle circostanze del singolo caso, che dovrebbero essere determinanti”, pur aggiungendosi, poi, essere opportuno che “gli Stati membri facciano un ricorso molto limitato a questa possibilità e abbiano la possibilità di non ordinare la confisca solo quando essa determinerebbe per l’interessato una situazione critica di sussistenza.”
In definitiva, dunque, solo una soluzione ermeneutica che vincoli il sequestro preventivo funzionale alla confisca ad una motivazione anche sul periculum in mora garantirebbe coerenza con i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare reale, evitando un’indebita compressione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti, quali il diritto di proprietà o la libertà di iniziativa economica, e la trasformazione della misura cautelare in uno strumento, in parte o in tutto, inutilmente vessatorio.
Vale ribadire, in definitiva, che «il requisito di proporzionalità della misura, che, nell’ambito dei valori costituzionali, è espressione del principio di ragionevolezza, contiene in sé…quello della “residualità” della misura: proprio la necessaria componente della misura di “incisione” sul diritto della persona di disporre liberamente dei propri beni senza limitazioni che non derivino da interessi di altro segno maggiormente meritevoli di tutela (come quelli pubblici, connessi al processo penale, di accertamento dei fatti) contiene necessariamente in.sé l’esigenza che al ‘sequestro possa farsi .ricorso solo quando ‘allo stesso risultato (nella specie l’accertamento dei fatti appunto) non possa pervenirsi con modalità “meno afflittive”» (Sez. U, Botticelli, cit.).
6.3. Quanto appena detto pone anche le logiche premesse per l’individuazione dei parametri generali del periculum ai quali la motivazione del sequestro preventivo a fini di confisca deve rispondere. Se, infatti, il decreto di sequestro deve spiegare, in linea con la ratio della misura cautelare reale in oggetto, per quali ragioni si ritenga di anticipare gli effetti della confisca che, diversamente, nascerebbero solo a giudizio concluso, la valutazione del periculum non potrà non riguardare esattamente un tale profilo, dando cioè atto degli elementi indicativi del fatto che la definizione del giudizio non possa essere attesa, posto che, diversamente, la confisca rischierebbe di divenire, successivamente, impraticabile.
Ciò che comporta, tuttavia, la diversa modulazione del contenuto motivazionale del provvedimento a seconda, non già, come pur predicato da alcune delle sentenze del secondo indirizzo sopra ricordate, della diversa tipologia formale della confisca cui il sequestro è finalizzato (se, cioè, definita, dalla legge, come obbligatoria ovvero come facoltativa) ma, in linea con quanto spiegato sino ad ora, dei riflessi del necessario giudizio prognostico sull’an del sequestro.
6.3.1. Nessun utile parametro può infatti essere rappresentato dalla qualificazione formale della confisca come obbligatoria (per la quale, secondo l’indirizzo ricordato, nessun obbligo motivazionale si porrebbe) o, invece, come facoltativa (per la quale sola, invece, il giudice sarebbe tenuto a motivare):e ciò non solo perché una tale distinzione appare riposare semplicemente sulla scelta normativa di qualificare in un senso o nell’altro le predette misure non in base alle loro caratteristiche, spesso coincidenti, in ambedue le ipotesi, nei presupposti e nella funzione, bensì in ragione della tipologia di reato cui collegare le stesse, ma soprattutto perché, appunto, non congruente rispetto al criterio di valutazione rappresentato dalla anticipata apprensione di un bene che, ove il giudizio si definisse favorevolmente, non potrebbe essere confiscato, in tale valutazione ben potendo rientrare anche cose definite dal legislatore come obbligatoriamente confiscabili.
Non può sfuggire, in proposito, sotto il primo profilo, come, in un panorama già da tempo contraddistinto dalla natura “proteiforme” della confisca (tanto che già, con la preveggente sentenza n. 29 del 1961, la Corte costituzionale osservava che la confisca poteva “presentarsi, nelle leggi che la prevedono, con varia natura giuridica”, potendo essere “disposta per diversi motivi e indirizzata a ‘varia finalità, sì da assumere, volta per volt, natura e funzione o ‘di pena, o di misura di sicurezza, ovvero anche di misura giuridica civile e amministrativa”), al progressivo incremento, negli ultimi anni, all’interno del codice e delle leggi speciali, delle ipotesi prescrittive di tale misura, imposto dalla considerazione della necessità di adottare risposte sanzionatorie di sicura dissuasività ed afflittività, abbia corrisposto, a fronte di misure caratterizzate dalla medesima struttura e finalità, la configurazione di tali ipotesi come di confisca obbligatoria ovvero facoltativa semplicemente in dipendenza del titolo di reato collegato, così rendendosi ardua la stessa individuazione di una “dogmatica” della confisca.
Non è un caso che le Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv.264436, nel cercare di individuare una ratio comune alle varie confische, abbiano, ancora nel 2015, fatto riferimento a «un caleidoscopio di istituti, ciascuno dei quali iscritto in un differenziato regime, fortemente condizionato dalla specifica natura della res da assoggettare alla misura, dal reato cui la cosa pertiene, e, da ultimo ma non certo per ultimo, dagli esiti del processo in cui la confisca viene applicata».
Emblematico appare in proposito, con riguardo alle cose che siano, come il terreno oggetto del sequestro nella specie disposto, profitto del reato, il raffronto tra l’art. 240, primo comma, cod. pen. e l’art. 322-ter, primo comma, cod. pen. (al quale, come si è già ricordato sopra, rimanda anche l’art. 640-quater cod. pen., riguardante i reati di cui agli artt. 640, secondo comma, n.1, 640-bis e 640-ter cod. pen.): infatti, mentre alla stregua dell’art. 240, comma primo, la confisca appare configurata dal legislatore come facoltativa (“…il giudice può ordinare la confisca…”), secondo quanto invece disposto dall’art. 322-ter, la confisca è strutturata come obbligatoria (“…è sempre ordinata la confisca..”).
Ma è soprattutto il secondo profilo evidenziato a rendere artificiosa e foriera di conseguenze illogiche ogni distinzione tra confisca obbligatoria e facoltativa, non comprendendosi perché, per restare al caso del sequestro di un bene quale profitto del reato, la prescrizione che imponga la confisca del bene all’esito del giudizio e unicamente a seguito di una pronuncia di condanna o di applicazione della pena dovrebbe, per ciò solo, nel caso di cui all’art. 322-ter cod. pen., esentare il giudice della cautela, a differenza di quanto richiesto dall’art. 240 cod. pen., dall’onere di spiegare perché, ancor prima che tali condizioni si realizzino, il bene debba essere sequestrato, in tal modo finendosi, infatti, per eludere un presupposto posto dal legislatore a garanzia, come già spiegato sopra, del principio di presunzione di non colpevolezza.
Del resto, va aggiunto, anche a volersi fondare sulla sola caratterizzazione normativa della misura, il fatto che la confisca sia stabilita come “obbligatoria” non basterebbe, evidentemente, a rendere “obbligatorio” anche il sequestro dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. se non altro perché, sulla base di detta norma generale e onnicomprensiva, il giudice, come già osservato, “può”, e quindi non “deve”, adottare la misura cautelare.
6.4. Sicché, in definitiva, affermare, come si rinviene in alcune pronunce sopra ricordate, che la motivazione del provvedimento di sequestro di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., dovrebbe sempre risolversi nel dare atto della confiscabilità della cosa perché già tale caratteristica sarebbe indice di pericolosità oggettiva del bene (tra le altre, in particolare, Sez. 2, n. 31229 del 26/06/2014, Borda, Rv.260367, e Sez. 2, n. 9829 del 2006, Miritello, Rv.233373), significa, da un lato, e in correlazione con la già ricordata natura “proteiforme” della confisca, trascurare la diversità sostanziale delle ipotesi per le quali il legislatore ha previsto la confisca di beni, peraltro non sempre incentrata sulla pericolosità del bene quanto, piuttosto, in numerosi casi, espressiva, semplicemente, di intento sanzionatorio (come è ad esempio per le ipotesi di confisca “per equivalente”: v. Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv.255037) e, dall’altro, pervenire ad una non consentita sovrapposizione della misura cautelare, da una parte, e di quella definitiva, dall’altra.
- Se, dunque, il criterio su cui plasmare l’onere motivazionale del provvedimento di sequestro in oggetto va rapportato alla natura anticipatrice della misura cautelare, deve ritenersi corretto, con riferimento, come nel caso di specie, al sequestro che abbia ad oggetto cose profitto del reato, l’indirizzo che afferma la necessità, sia pure facendola impropriamente rientrare nell’alveo dell’esigenza di evitare la protrazione degli effetti del reato (in realtà già insita nel sequestro impeditivo), che il provvedimento si soffermi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato.
Una esigenza, questa, rapportata appunto alla ratio della misura cautelare volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo, di cui non si può non cogliere il parallelismo rispetto al sequestro conservativo di cui all’art. 316 cod. proc. pen. che, analogamente, e con riferimento, tuttavia, alla necessità di garantire l’effettività delle statuizioni relative al “pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato”, presenta le stesse caratteristiche di preservazione della operatività di dette statuizioni, anch’esse condizionate alla definitività della pronuncia cui accedono.
E proprio in relazione al sequestro conservativo deve allora ricordarsi come queste Sezioni Unite abbiano -chiarito, risolvendo un .contrasto giurisprudenziale sull’estensione del giudizio prognostico richiesto ai fini della valutazione di tale presupposto, che per l’adozione del sequestro conservativo è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen., non occorrendo invece che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore, necessario solo a fronte di un patrimonio già di per sé adeguato (Sez. U, n. 51660 del 25/09/2014, Zambito Rv.261118; in termini conformi, da ultimo, Sez. 2, n. 51576 del 04/12/2019, Cavacece, Rv.277813).
In particolare, si è spiegato che «le garanzie mancano quando sussista la certezza, allo stato, dell’attuale inettitudine del patrimonio del debitore a far fronte interamente all’obbligazione nel suo ammontare presumibilmente accertato; si disperdono, quando l’atteggiamento assunto dal debitore è tale da far desumere l’eventualità di un depauperamento di un patrimonio attualmente sufficiente ad assicurare la garanzia a causa di un comportamento del debitore idoneo a non adempiere l’obbligazione. I due eventi, come chiaramente espresso dall’art. 316, con la formula disgiuntiva rilevano (o possono rilevare) autonomamente».
E del resto, sempre queste Sezioni Unite, sia pure affrontando il profilo del periculum relativo al sequestro impeditivo, hanno, ancora, sottolineato la rilevanza della necessità di evitare che «il trascorrere del tempo possa pregiudicare irrimediabilmente l’effettività della giurisdizione espressa con la sentenza irrevocabile di condanna» (Sez. U, n.12878 del 29/01/2003, Innocenti, Rv.223723), da qui, dunque, potendosi ricavare una ulteriore conferma, in generale, della insostenibilità di opzioni esegetiche che, sostanzialmente limitando l’onere motivazionale al solo aspetto del fumus, finiscono per obliterare la funzione precipua della cautela reale.
- Indefinitiva, dunque, è il parametro della “esigenza anticipatoria” della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che, naturalmente, potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculum, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio.
- Il criterio qui indicato spiega anche perché, invece, con riguardo alle cose “la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione costituisca reato” (art. 240, secondo comma, cod. pen.), sia sufficiente dare, semplicemente, conto, della confiscabilità del bene: difettando infatti, per legge, per la intrinseca pericolosità derivante dalle sue caratteristiche, il presupposto della confisca rappresentato dalla sentenza di condanna o di applicazione della pena, l’esigenza anticipatoria verrà a ridursi alla sola attestazione della ricomprensione dell’oggetto tra quelli, appunto, di natura “illecita”, giacché già solo tale requisito finisce, con ogni evidenza, per esaurire la dimensione “cautelare” connessa alla misura finale.
- E’ significativo, inoltre, come l’assetto di cui si è data sin qui spiegazione risulti in piena sintonia con le affermazioni contenute nella decisione di queste Sezioni Unite n. 40847 del 30/05/2019, Bellucci, Rv.276690, divenendo così, la conclusione qui indicata, una soluzione, per così dire, “obbligata”. Con tale pronuncia, intervenuta in ordine a contrasto insorto sull’ambito di applicabilità dell’art. 324, comma 7, cod. proc. pen., le Sezioni Unite, nell’affermare che il divieto di restituzione previsto da tale norma riguarda le sole cose soggette a confisca obbligatoria di cui all’art. 240, secondo comma, cod. pen., ovvero di cui alle norme speciali che a tale previsione codicistica facciano riferimento, hanno infatti circoscritto la portata del divieto di restituzione alle cose intrinsecamente pericolose per le quali la restituzione resta dunque esclusa sia nella fase cautelare che all’esito del giudizio di merito.
Significativamente, le Sezioni Unite hanno precisato che «solo la confisca delle cose oggettivamente criminose prescinde…dalla sentenza di condanna e può trovare applicazione anche nel caso di estinzione del reato» aggiungendo che, con il divieto di restituzione di cui all’art. 324, comma 7, cod. proc. pen., l’ambito e gli effetti del riesame vengono «a concentrarsi sull’accertamento dell’illiceità intrinseca del bene in sequestro, mentre diviene irrilevante la verifica della motivazione del sequestro o della convalida», ben diversa essendo «la situazione negli altri casi di confisca obbligatoria, nei quali la confiscabilità del bene dipende pur sempre dall’accertamento dell’esistenza di un’attività vietata» sicché «postulare il divieto di restituzione per un bene la cui detenzione o il cui uso non presenta profili di illiceità ha l’effetto di privare di rilevanza lo stesso giudizio di riesame, il che si pone in una logica antitetica rispetto a quella che ha spinto le Sezioni Unite di questa Corte (Sentenza n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv.226713) ad affermare la necessità che il sequestro, anche se probatorio, sia sempre supportato da adeguata motivazione circa le finalità del vincolo (orientamento più di recente ribadito da Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv.273548)».
10.1. Deve solo precisarsi che, con riferimento invece alle cose che costituiscono il prezzo del reato, il sequestro di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. che abbia ad oggetto le stesse non si sottrae all’onere motivazionale di cui si è già detto atteso che, pur non essendo necessario, ai fini della confisca diretta, un giudicato formale di condanna, è pur sempre richiesta, come del resto ricordato dalle stesse Sez. U Bellucci, nel ripercorrere il tracciato nomofilattico sviluppatosi a partire dalle pronunce di Sez. U, n. 5 del 25/03/1993, Carlea, Rv.193119, e Sez. U, n. 38834 del 10/07/2008, De Maio, Rv.240565, sino a Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv.264434, una pronuncia in tal senso, anche se il processo sia poi stato definito con una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione; di qui la necessità, anche in tal caso, all’interno di una medesima ratio, della giustificazione delle ragioni che impongono la anticipazione della misura rispetto a tale momento finale.
- Indefinitiva, dunque, alla sufficienza, nel solo caso delle cose, per così dire, intrinsecamente “illecite”, di una motivazione che, con riguardo al sequestro ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen., dia conto semplicemente della natura del bene, corrisponde, sul versante della valutazione invece operata in sede di riesame, il divieto, in ogni caso, e dunque anche in ipotesi di annullamento della misura reale, di restituzione delle stesse; viceversa, laddove si tratti di cose che tale qualità non possiedano, alla necessità di una motivazione che espliciti, sia pure, come detto, secondo “stilemi” adeguati alla fase processuale interessata, la ragione dell’anticipazione della misura finale rispetto ai presupposti che condizionano l’adozione della confisca, non può non corrispondere, in sede di riesame, la piena espansione degli effetti dell’annullamento della misura reale.
- Deve, dunque, essere formulato il seguente principio di diritto: “Il provvedimento di sequestro preventivo di beni ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege“.
- Sulla base di tale principio, il provvedimento impugnato deve allora essere annullato per violazione di legge; l’ordinanza del tribunale del riesame, infatti, intervenuta, come detto nell’ambito di un sequestro di un bene quale profitto del reato, nel rispondere alle deduzioni difensive sul punto, ha affermato che il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca non presuppone alcuna prognosi di pericolosità connessa alla libera disponibilità delle stesse, aggiungendo che la confiscabilità della cosa ne determinerebbe al tempo stesso l’oggettiva pericolosità.
Se, quindi, da una parte, il tribunale ha correttamente escluso la ricorrenza, nel caso di sequestro a fini di confisca, dei presupposti che sorreggono la diversa misura del sequestro impeditivo, dall’altro, adottando invece una non corretta equivalenza tra confiscabilità tout court del bene e non necessità di motivazione, ha contravvenuto alla necessità di spiegare, in conformità alla corretta esegesi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., le ragioni della necessità di adozione dell’ablazione provvisoria del terreno prima della pronuncia di condanna e, con essa, della statuizione di confisca, così incorrendo nel vizio di violazione di legge denunciato.
La ordinanza deve quindi essere annullata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria, sezione del riesame, per nuovo giudizio.