Cass. pen., III, ud. dep. 20.09.2021, n. 34655
Il tentativo del reato, previsto dall’art. 609 bis c.p., è configurabile a condizione che la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l’agente non ha raggiunto le zone intime (genitali o erogene) della vittima ovvero non ha provocato un contatto di quest’ultima con le proprie parti intime.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Il secondo motivo è inammissibile perché diretto a sollecitare una rilettura dei dati probatori. Premesso che il ricorrente non muove alcuna censura in ordine all’attendibilità della persona offesa, la Corte di appello, così come aveva fatto il primo giudice, ha ritenuto sussistente il tentativo di violenza sessuale, sulla base delle dichiarazioni della donna, la quale ha riferito che, sebbene poco prima avesse rifiutato un approccio sessuale del marito, costui, seminudo, le si mise sopra, mentre si trovava coricata nel letto, strusciando i propri genitali contro i suoi, e, al contempo, premendole sulla faccia un panno imbevuto di acetone. Il fatto, accertato nei termini dinanzi indicati, integra, a ben vedere, il delitto non tentato, bensì consumato di violenza sessuale, perché, sebbene l’intenzione dell’imputato fosse quella di cm consumare con la moglie, non consenziente, un rapporto vaginale completo, in ogni caso vi fu un’invasione nella sfera sessuale della persona offesa, individuabile nello strusciamento dell’organo sessuale maschile sulle parti intime della donna. Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, il tentativo del reato, previsto dall’art. 609 bis c.p., è configurabile a condizione che la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l’agente non ha raggiunto le zone intime (genitali o erogene) della vittima ovvero non ha provocato un contatto di quest’ultima con le proprie parti intime (così, da ultimo,Cass., Sez. 3, n. 17414 del 18/02/2016 – dep. 28/04/2016, F, Rv. 266900), il che, invece, è avvenuto nella specie, a nulla rilevando che l’agente si prefiggesse il compimento di un atto sessuale maggiormente invasivo dell’altrui sfera sessuale.
In ogni caso, il ricorrente confeziona motivi fattuali, tesi ad accreditare una diversa ricostruzione della vicenda, sicché le censure si risolvono nella richiesta di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e nell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti, attività entrambe precluse nel giudizio di legittimità, non potendo la Corte di cassazione ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice del merito, bensì esclusivamente riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
- Il terzo motivo è inammissibile perché generico. Il ricorrente non si confronta con la motivazione, laddove, nell’esaminare il corrispondente motivo di appello, la Corte distrettuale ha negato i presupposti applicativi dell’art. 56 c.p., comma 3, sul presupposto che la desistenza non fu affatto volontaria, come richiede espressamente la norma in esame, ma dovuta alla pronta reazione della persona offesa, la quale, svegliatasi, nonostante l’acetone che fu costretta ad inalare, riuscì a scalciare e a mordere l’imputato, e, quindi, a rinchiudersi nel bagno, da dove telefonò a un’amica, raccontandole l’accaduto e chiedendole aiuto. Si tratta di una motivazione immune da vizi logici e giuridici, che, quindi, merita conferma.