Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 29 novembre 2021 n. 20
PRINCIPIO DI DIRITTO
E’ da intendersi devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione sulle controversie in cui si faccia questione di danni da lesione dell’affidamento sul provvedimento favorevole, posto che in base all’art. 7, comma 1, cod. proc. amm. la giurisdizione generale amministrativa di legittimità include i «comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni»; ed inoltre che «nelle particolari materie indicate dalla legge» di giurisdizione esclusiva – quale quella sugli «atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia» di cui all’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm., oggetto del presente giudizio – essa si manifesta «attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela», anche dei diritti soggettivi, oltre che dell’affidamento sulla legittimità dei provvedimenti emessi dall’amministrazione.
Il possibile contrasto di tale principio di diritto – per come sopra affermato in punto di giurisdizione – con l’orientamento certamente prevalente della Corte regolatrice potrà essere vagliato in sede di eventuale impugnazione ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione delle sentenze di questo Consiglio, le quali sono nel frattempo tenute all’osservanza del principio di diritto (salva nuova rimessione) ai sensi dell’articolo 99 cod. proc. amm..
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- La questione di giurisdizione deferita nella presente sede nomofilattica deve essere risolta nel senso che sussiste la giurisdizione amministrativa tanto sulle domande aventi ad oggetto le conseguenze risarcitorie dell’annullamento di un atto amministrativo, in sede di giurisdizione generale di legittimità, quanto nel caso di specie, in cui la domanda risarcitoria sia proposta dal controinteressato soccombente in un giudizio di annullamento di provvedimenti della pubblica amministrazione nella materia «urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio», devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), del codice del processo amministrativo.
- Ingenerale, la giurisdizione amministrativa ha fondamento costituzionale nella dicotomia diritti soggettivi – interessi legittimi (artt. 24 e 113 Cost.), alla quale nell’unità funzionale e non organica della giurisdizione nazionale corrisponde un giudice cui è naturalmente devoluta la cognizione: al giudice ordinario sui diritti soggettivi e al giudice amministrativo sugli interessi legittimi, fatte salve le materie di giurisdizione esclusiva, in cui è concentrata presso quest’ultimo la tutela di entrambe le situazioni, poiché nelle «speciali materie» ex art. 103 Cost. queste si presentano inestricabilmente intrecciate. Come ha statuito la Corte costituzionale (sentenza 26 luglio 2004, n. 204), il riparto ora descritto deriva dal recepimento nella Carta fondamentale dell’assetto venutosi a determinare nell’ordinamento pre-repubblicano. In questo, all’abolizione del contenzioso amministrativo e all’affermazione del principio del giudice unico, ordinario, in «tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione» (art. 2 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E), ha fatto seguito il “recupero” alla giurisdizione degli interessi ex art. 3 della medesima legge, affidati nella legge abolitiva del contenzioso alla cura esclusiva della pubblica amministrazione (e pertanto sottratti «a qualsiasi controllo giurisdizionale»: così la sentenza in esame), con l’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato in base alla legge (31 marzo 1889, n. 5992) e il successivo riconoscimento di quest’ultimo come organo giurisdizionale (ai sensi della legge 7 marzo 1907, n. 62, istitutiva della V Sezione, in coerenza con quanto fu ritenuto dalla Corte di cassazione). La Corte costituzionale ha al riguardo affermato che con il riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo sulla base della posizione giuridica soggettiva la Costituzione «ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive non contemplate dal (modo in cui era stato inteso) l’art. 2 della legge del 1865; così come di questa legge ha, con quello che sarebbe diventato l’art. 113 Cost., recepito il principio – «e fu per questo ritenuta una conquista liberale di grande importanza» – «per il quale, quando un diritto civile o politico viene leso da un atto della pubblica amministrazione, questo diritto si può far valere di fronte all’Autorità giudiziaria ordinaria, in modo che la pubblica amministrazione davanti ai giudici ordinari viene a trovarsi, in questi casi, come un qualsiasi litigante privato soggetto alla giurisdizione … principio fondamentale che è stato completato poi con l’istituzione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato … dell’unicità della giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione» (Calamandrei, Assemblea, seduta pomeridiana del 27 novembre 1947)» (sentenza 26 luglio 2004, n. 204; § 2.2 del “considerato in diritto”).
- Nella prospettiva delineata dal proprio precedente la stessa Corte costituzionale ha in seguito precisato che non è vero che la giurisdizione è devoluta giudice ordinario «per ciò solo che la domanda proposta dal cittadino (nei confronti della pubblica amministrazione) abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno», dal momento che il risarcimento non è oggetto di un diritto soggettivo, ma è un rimedio (uno tra quelli previsti dall’ordinamento giuridico) a tutela delle posizioni giuridiche soggettive riconosciuto al singolo (sentenza 11 maggio 2006, n. 191); ed inoltre che il giudizio amministrativo «assicura la tutela di ogni diritto: e ciò non soltanto per effetto dell’esigenza, coerente con i princípi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa» (sentenza 27 aprile 2007, n. 140).
- Del descritto assetto è espressione a livello normativo primario l’art. 7 del codice del processo amministrativo che al comma 1 devolve al giudice amministrativo la giurisdizione nelle controversie «nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni»; e al comma 7 declina il principio fondamentale di effettività (sancito dall’art. 1 cod. proc. amm.) nel senso che esso «è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi».
- Nella dicotomia diritti soggettivi – interessi legittimi si colloca anche l’affidamento.
Esso non è infatti una posizione giudica soggettiva autonoma distinta dalle due, sole considerate dalla Costituzione, ma ad esse può alternativamente riferirsi. Più precisamente, l’affidamento è un istituto che trae origine nei rapporti di diritto civile e che risponde all’esigenza di riconoscere tutela alla fiducia ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata. Dell’affidamento sono applicazioni concrete, tra le altre, la “regola possesso vale titolo” ex art. 1153 cod. civ., l’acquisto dall’erede apparente di cui all’art. 534 cod. civ., il pagamento al creditore apparente ex art. 1189 cod. civ. e l’acquisto di diritto di diritti dal titolare apparente ex artt. 1415 e 1416 cod. civ., il cui denominatore comune consiste nell’attribuire effetti all’atto compiuto dalla parte che in buona fede abbia pagato o contrattato con chi ha invece ricevuto il pagamento o alienato senza averne titolo.
- Sorto in questo ambito, l’affidamento ha ad oggi assunto il ruolo di principio regolatore di ogni rapporto giuridico, anche quelli di diritto amministrativo.
E’ in questo senso la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che, con affermazione di carattere generale, ha statuito che l’affidamento «è un principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività» (Cons. Stato, VI, 13 agosto 2020, n. 5011). Nella pronuncia ora richiamata non si è condiviso l’orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza della Corte regolatrice secondo cui l’affidamento costituisce un diritto autonomo, con conseguente devoluzione al giudice ordinario delle controversie risarcitorie nei confronti della pubblica amministrazione per lesione da affidamento sulla stabilità del provvedimento favorevole poi annullato.
Nella pronuncia in esame si è invece posto in rilievo che, in conformità alla sua origine quale istituto giuridico espressione di un principio più che di una situazione soggettiva, l’affidamento «contribuisce a fondare la costituzione di particolari rapporti giuridici e situazioni soggettive» e che nei rapporti con l’amministrazione essa si traduce nell’«aspettativa del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo rilasciato», che se frustrata può essere fonte di responsabilità della prima.
- Nella condivisibile prospettiva in cui si colloca la pronuncia ora in esame, che pure ha declinato la giurisdizione amministrativa in favore del giudice ordinario, in applicazione dei principi enunciati dalla Cassazione, SS.UU., nelle ordinanze del 23 marzo 2011, nn. 6594, 6595 e 6596, la giurisdizione amministrativa va invece affermata quando l’affidamento abbia ad oggetto la stabilità del rapporto amministrativo, costituito sulla base di un atto di esercizio di un potere pubblico, e a fortiori quando questo atto afferisca ad una materia di giurisdizione esclusiva.
La giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo perché la “fiducia” su cui riposava la relazione giuridica tra amministrazione e privato, asseritamente lesa, si riferisce non già ad un comportamento privato o materiale – a un “mero comportamento” – ma al potere pubblico, nell’esercizio del quale l’amministrazione è tenuta ad osservare le regole speciali che connotano il suo agire autoritativo e al quale si contrappongono situazioni soggettive del privato aventi la consistenza di interesse legittimo.
- Seguendo quindi l’insegnamento ricavabile dalle sopra richiamate sentenze della Corte costituzionale deve quindi essere affermata la giurisdizione amministrativa, poiché anche quando il comportamento non si sia manifestato in atti amministrativi, nondimeno l’operato dell’amministrazione costituisce comunque espressione dei poteri ad essa attribuiti per il perseguimento delle finalità di carattere pubblico devolute alla sua cura. Tale operato è riferibile dunque all’amministrazione che “agisce in veste di autorità” e si iscrive pertanto nella dinamica potere autoritativo – interesse legittimo, il cui giudice naturale è per Costituzione il giudice amministrativo (art. 103, comma 1). E ciò sia che si verta dell’interesse del soggetto leso dal provvedimento amministrativo, e come tale titolato a domandare il risarcimento del danno alternativamente o (come più spesso accade) cumulativamente all’annullamento del provvedimento lesivo, sia che si abbia riguardo all’interesse del soggetto invece beneficiato dal medesimo provvedimento. Anche quest’ultimo, infatti, vanta nei confronti dell’amministrazione un legittimo interesse alla sua conservazione, non solo rispetto all’azione giurisdizionale del ricorrente, ma anche rispetto al potere di autotutela dell’amministrazione stessa.
- Non sembra quindi condivisibile interporre nel rapporto amministrativo costituito dal provvedimento un diritto soggettivo, avente ad oggetto l’affidamento alla stabilità del provvedimento medesimo, quale presupposto sostanziale della giurisdizione amministrativa. Attraverso la stabilità del provvedimento e del rapporto con esso costituito il privato beneficiario conserva l’utilità attribuitagli, che nella misura in cui è correlata ad un pubblico potere è e rimane oggetto di un interesse legittimo (da pretensivo a oppositivo, secondo la terminologia invalsa al riguardo).
Non può dunque essere seguita l’impostazione secondo cui quando il potere amministrativo non si è manifestato in un provvedimento tipico ma è rimasto a livello di comportamento la giurisdizione sarebbe devoluta al giudice ordinario; questa è per contro ipotizzabile solo a fronte di comportamenti “meri”, non riconducibili al pubblico potere, a fronte dei quali le contrapposte situazioni giuridiche dei privati hanno consistenza di diritto soggettivo. In tale contesto, non sembra possa sostenersi, in assenza di base testuale, che l’ambito di applicazione dell’art. 7, comma 1, cod. proc. amm. sia circoscritto al solo risarcimento del danno da provvedimento sfavorevole, azionabile dal ricorrente con l’azione di annullamento, mentre nella situazione assolutamente simmetrica alla precedente e del pari inserita nella vicenda relazionale governata dal diritto amministrativo, sussisterebbe la giurisdizione ordinaria per i danni conseguenti all’annullamento del provvedimento favorevole, “degradato” a mero fatto.
- Una recente conferma di quanto finora considerato è ritraibile sul piano normativo dall’art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, così formulato: «(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” [comma aggiunto dall’art. 12, comma 1, lettera 0a), legge 11 settembre 2020, n. 120; di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, recante «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali»]. La disposizione ora richiamata ha positivizzato una regola di carattere generale dell’agire pubblicistico dell’amministrazione, che trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.) e che porta a compimento la concezione secondo cui il procedimento amministrativo – forma tipica di esercizio della funzione amministrativa – non è più contraddistinto dall’assoluta unilateralità del potere, ma è il luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo. Per il migliore esercizio della discrezionalità amministrativa il procedimento necessita pertanto dell’apporto dei soggetti a vario titolo interessati, nelle forme previste dalla legge sul procedimento del 7 agosto 1990, n. 241. Concepito in questi termini il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha quindi portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata; tale dovere comportamentale si rivolge sia all’amministrazione sia ai soggetti che a vario titolo intervengono nel procedimento, qualificando in termini giuridici una relazione che è e resta pubblicistica, sia pure nell’ottica di un diritto pubblico in cui l’autoritatività dell’agire amministrativo dà vita e si inserisce nel corso di un rapporto in cui doveri comportamentali e obblighi di protezione sono posti a carico di tutte le parti. E non sembra, in tale contesto, che i princìpi che regolano il rapporto siano espressione di autonome situazioni soggettive autonome, se non avulse, dalla posizione delle parti; si deve piuttosto ritenere che si tratti di doveri imposti alle parti, e in primis all’amministrazione, a salvaguardia delle situazioni soggettive coinvolte, che, in quanto afferenti a quel rapporto, non mutano la loro natura e la loro consistenza.
- Non è pertanto possibile, nel definire il riparto di giurisdizione, circoscrivere la rilevanza dei doveri in esame al diritto comune, dal momento che gli stessi sono invece comuni al diritto civile e al diritto amministrativo, ovverosia ai rapporti paritetici di diritto soggettivo così come a quelli originati dall’esistenza e dall’esercizio in concreto del pubblico potere. A fronte del dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede possono pertanto sorgere aspettative, che per il privato istante si indirizzano all’utilità derivante dall’atto finale del procedimento, la cui frustrazione può essere per l’amministrazione fonte di responsabilità. In altri termini, la mancata osservanza del dovere di correttezza da parte dell’amministrazione in violazione del principio di affidamento può determinare una lesione della situazione soggettiva del privato che afferisce pur sempre all’esercizio del potere pubblico, si manifesti esso con un provvedimento tipico o con un comportamento pur sempre tenuto nell’esercizio di quel potere, e la cui natura quindi resta “qualificata” dall’inerenza al pubblico potere. Si tratta, quindi, di aspettative correlate ad «interessi legittimi (…) concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo» ai sensi dell’art. 7, comma 1, cod. proc. amm. sopra citato, la cui lesione rimane devoluta al giudice amministrativo. Come infatti testualmente previsto dalla disposizione in parola, la giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo non solo nel caso in cui il potere sia stato esercitato, ma anche nel caso contrario di mancato esercizio. Non è conseguentemente possibile scindere sul piano del riparto giurisdizionale le due ipotesi, che peraltro possono in astratto dare luogo a profili diversi di addebito sul piano diacronico (per il fatto ad esempio di avere esercitato il potere tardivamente e di averlo poi esercitato illegittimamente), la cui cognizione va concentrata presso un unico giudice, ovvero quello amministrativo, quale giudice naturale della funzione amministrativa.
- Quanto ora affermato trova conferma nella risalente giurisprudenza di questa Adunanza plenaria. Sin dalla sentenza 5 settembre 2005, n. 6, l’Adunanza ha infatti affermato la giurisdizione amministrativa in relazione ad una domanda di risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale proposta dall’aggiudicataria di una procedura di affidamento nei confronti dell’amministrazione per revoca legittima della gara. Nel precedente ora richiamato l’Adunanza plenaria ha ricondotto all’ambito della giurisdizione esclusiva sulle procedure di affidamento di contratti pubblici istituita dall’art. 6 della legge di riforma della giustizia amministrativa 21 luglio 2000 n. 205 (oggi trasfusa nell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), del codice del processo amministrativo), non solo tutte le questioni di interesse legittimo relative agli atti della fase pubblicistica finalizzata alla conclusione del contratto e prima di tale momento, ma anche «la cognizione, secondo il diritto comune, degli affidamenti suscitati nel privato da tali effetti vantaggiosi ormai venuti meno», nel presupposto che l’amministrazione pur tenuta per legge ad adottare moduli di contrattazione impersonale di stampo pubblicistico è nondimeno soggetta anche alle «norme di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune». E tale orientamento non risulta essere stato smentito dalla Corte regolatrice.
- Il principio affermato nel precedente ora richiamato, così come l’affermazione in esso della responsabilità dell’amministrazione per revoca legittima, per lesione dell’affidamento dell’aggiudicataria sulla stipulazione del contratto d’appalto, è rilevante nel presente giudizio. Con esso si è infatti chiarito che le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l’altro fonte invece di responsabilità per l’amministrazione. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi, anche per violazione degli connessi obblighi di protezione inerenti al procedimento.
- Nell’autonomia dei due ordini di regole operanti con riguardo all’esercizio della funzione pubblica, di validità degli atti e di comportamento complessivo dell’amministrazione, si colloca l’affidamento del privato. Quest’ultimo si proietta sulla positiva conclusione del procedimento, e dunque sull’attuazione dell’interesse legittimo di cui il medesimo privato è portatore, ma che diventa in sé tutelabile in via risarcitoria se l’amministrazione con il proprio comportamento abbia suscitato una ragionevole aspettativa sulla conclusione positiva del procedimento. E ciò a prescindere dal fatto che il bene della vita fosse dovuto ed anche se si accertasse in positivo che non era dovuto, come nel caso deciso da questa Adunanza plenaria nel precedente sopra esaminato (l’Adunanza plenaria si è più di recente espressa negli stessi termini, con la sentenza 4 maggio 2018, n. 5).
- Le considerazioni che precedono convergono nel senso di affermare, in coerenza con il fondamento costituzionale di riparto di giurisdizione, che è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione sulle controversie in cui si faccia questione di danni da lesione dell’affidamento sul provvedimento favorevole, posto che in base al richiamato art. 7, comma 1, cod. proc. amm. la giurisdizione generale amministrativa di legittimità include i «comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni»; ed inoltre che «nelle particolari materie indicate dalla legge» di giurisdizione esclusiva – quale quella sugli «atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia» di cui all’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm. oggetto del presente giudizio – essa si manifesta «attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela», anche dei diritti soggettivi, oltre che dell’affidamento sulla legittimità dei provvedimenti emessi dall’amministrazione. Il possibile contrasto del principio di diritto come sopra affermato in punto di giurisdizione con l’orientamento certamente prevalente della Corte regolatrice potrà essere vagliato in sede di eventuale impugnazione ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione delle sentenze di questo Consiglio, le quali sono nel frattempo tenute all’osservanza del principio di diritto (salva nuova rimessione) ai sensi dell’articolo 99 cod. proc. amm..
- Definita la questione di giurisdizione deferita a questa Adunanza plenaria, la Sezione IV ha rimesso alla presente sede nomofilattica alcune questioni di merito, concernenti i limiti entro i quali è ravvisabile un affidamento incolpevole del privato sulla legittimità del provvedimento favorevole poi annullato in sede giurisdizionale.
Per l’ordinanza di rimessione vi sarebbero alcuni fattori condizionanti, costituiti:
– dall’apporto del privato all’emanazione del provvedimento, per cui non vi è affidamento meritevole di tutela se è stato quest’ultimo ad avere indotto «dolosamente o colposamente in errore» l’amministrazione, come nel caso di titolo ad edificare ottenuto sulla base di un progetto «di per sé non assentibile» presentato dallo stesso privato, direttamente o per il tramite di proprio professionista di fiducia;
– dalla conformità della pretesa del privato alla legge, per cui lo stesso «deve risultare titolare di una aspettativa qualificata, basata su una pretesa risultante conforme al quadro ordinamentale applicabile al caso di specie»;
– dalla consapevolezza sulla possibile illegittimità del provvedimento, acquisita dalla notifica del ricorso per il suo annullamento, ottenuta in qualità di controinteressato nel giudizio di annullamento, per cui la sua esecuzione nelle more, prima che il provvedimento si consolidi, avviene «a suo rischio e pericolo», mentre la sentenza di annullamento «non costituisce un evento imprevedibile»;
– dalla necessità di rispettare «il principio di non contraddizione», per cui occorre considerare che l’affidamento tutelabile è addotto dal controinteressato soccombente, al pari dell’amministrazione autrice dell’atto impugnato nel giudizio di annullamento, che dunque riverserebbe a quest’ultima l’onere economico derivante dalla comune soccombenza;
In positivo, l’ordinanza di rimessione sostiene che un affidamento incolpevole va rapportato al tempo trascorso dall’emanazione del provvedimento favorevole, per cui in tanto l’affidamento è tutelabile sul piano risarcitorio in quanto «si sia consolidato nel tempo, con la conservazione della utilità per un lasso di tempo tale da rendere ragionevole la sua stabilità», mentre all’opposto un simile presupposto «difficilmente si può ravvisare quando si ottenga un atto abilitativo di per sé impugnabile e in concreto già impugnato».
Con un ulteriore ordine di rilievi l’ordinanza di rimessione si domanda se abbiano rilievo aspetti di ordine soggettivo concernenti la condotta dell’amministrazione, sotto il profilo della «rimproverabilità» del suo operato, consistito nell’emanazione di un provvedimento favorevole a colui che del suo annullamento si duole nei confronti dell’amministrazione stessa. In particolare per l’ordinanza occorrerebbe considerare, in funzione escludente di un affidamento tutelabile, sia la «situazione estremamente complessa» che ha contraddistinto il procedimento di variante urbanistica che ha impresso la destinazione edificatoria all’area poi acquistata dalla ricorrente nel presente giudizio; sia la «‘pervicacia’» con cui il Comune di Numana ha inteso dare una sistemazione alla situazione venutasi a creare in seguito all’annullamento della variante urbanistica e dunque ha «tenuto talmente in conto la situazione in cui versava l’appellata – pur se ella da tempo avvertita della vicenda – al punto da emanare l’illegittimo atto di sanatoria in suo favore», con la conseguenza che quest’ultima «non si può certo dolere» della condotta dell’amministrazione.
- Sulle questioni di merito così sintetizzate deve innanzitutto premettersi che l’affidamento tutelabile in via risarcitoria deve essere ragionevole, id est incolpevole. Esso deve quindi fondarsi su una situazione di apparenza costituita dall’amministrazione con il provvedimento, o con il suo comportamento correlato al pubblico potere, in cui il privato abbia senza colpa confidato. Nel caso di provvedimento poi annullato, il soggetto beneficiario deve dunque vantare una ragionevole aspettativa alla conservazione del bene della vita ottenuto con il provvedimento stesso, la frustrazione della quale possa quindi essere considerata meritevole di tutela per equivalente in base all’ordinamento giuridico. La tutela risarcitoria non interviene quindi a compensare il bene della vita perso a causa dell’annullamento del provvedimento favorevole, che comunque si è accertato non spettante nel giudizio di annullamento, ma a ristorare il convincimento ragionevole che esso spettasse.
- Nella descritta prospettiva, il grado della colpa dell’amministrazione – e dunque la misura in cui l’operato di questa è rimproverabile – va correlato al profilo della riconoscibilità dei vizi di legittimità da cui potrebbe essere affetto il provvedimento. Al riguardo va ricordato che nel giudizio di annullamento la colpa dell’amministrazione è elemento costitutivo della responsabilità dell’amministrazione nei confronti del ricorrente che agisce contro il provvedimento a sé sfavorevole, sebbene essa sia presuntivamente correlata all’illegittimità del provvedimento, per cui spetta all’amministrazione dare la prova contraria dell’errore scusabile. Trattasi pertanto di una colpa valutata in senso oggettivo, pur sempre nell’ambito di una fattispecie di responsabilità a base colposa. Sulla base di questa presunzione, per il danno da lesione dell’affidamento da provvedimento favorevole, poi annullato, la manifesta l’illegittimità del provvedimento favorevole al suo destinatario, che consenta di ritenere che egli ne potesse pertanto essere consapevole è un elemento che incide, per escluderla o attenuarla, la colpa dell’amministrazione.
- Come infatti esposto in precedenza, la tutela dell’affidamento si fonda sui principi di correttezza e buona fede che regolano l’esercizio del pubblico potere ma anche la posizione del privato, con la conseguenza che tale tutela postula che l’aspettativa sul risultato utile o sulla conservazione dell’utilità ottenuta sia sorretta da circostanze che obiettivamente la giustifichino.
Un affidamento incolpevole non è predicabile innanzitutto nel caso estremo ipotizzato nell’ordinanza di rimessione, in cui sia il privato ad avere indotto dolosamente l’amministrazione ad emanare il provvedimento. Altrettanto è a dirsi se l’illegittimità del provvedimento era evidente e avrebbe pertanto potuto essere facilmente accertata dal suo beneficiario, in conformità a una regola di carattere generale, espressamente richiamata in ambito civilistico (art. 1147, comma 2, cod. civ.), secondo cui la buona fede «non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave».
- L’atteggiamento psicologico del beneficiario può dunque essere considerato come fattore escludente del risarcimento solo in queste ipotesi, ma non anche ogniqualvolta e per il solo fatto che vi sia un contributo del privato nell’emanazione dell’atto, come sembra supporre l’ordinanza di rimessione. Non ogni apporto del privato all’emanazione dell’atto può infatti condurre a configurare in via di automatismo una colpa in grado di escludere un affidamento tutelabile sulla legittimità del provvedimento. Si giungerebbe altrimenti a negare sempre la tutela risarcitoria, tenuto conto che i provvedimenti amministrativi favorevoli, ampliativi della sfera giuridica del destinatario, sono pressoché sempre emessi ad iniziativa di quest’ultimo.
- Va considerato al riguardo che, sebbene al privato sia riconosciuto il potere di attivare il procedimento amministrativo e di fornire in esso ogni apporto utile per la sua conclusione in senso per sé favorevole, egli lo fa all’esclusivo fine di realizzare il proprio utile. E’ peraltro sempre l’amministrazione a rimanere titolare della cura dell’interesse pubblico concreto, alla cui attuazione è tenuta; se dunque l’interessato consegue il provvedimento favorevole, è perché l’amministrazione lo ha ritenuto conforme al primario interesse pubblico. Gli istituti partecipativi introdotti nella più recente legislazione, a partire dalla legge n. 241 del 1990, e la recente positivizzazione dei doveri di correttezza e buona fede non hanno fatto venir meno il carattere unilaterale del provvedimento amministrativo e soprattutto, anche con riferimento ai moduli consensuali, la sua inerenza all’esercizio di un potere correlato alle finalità istituzionali, tipizzate per legge, di cui l’amministrazione è titolare e responsabile.
- Nondimeno, con riguardo a gradi della colpa inferiore a quello «grave», non possono nemmeno essere trascurati i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio. Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui, ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm., l’azione deve essere proposta, e di difenderlo. La situazione che viene così a crearsi induce per un verso ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da questo avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio.
- Non ha invece carattere esimente il fatto che l’amministrazione abbia con pervicacia tutelato la posizione del beneficiario dell’atto nei confronti delle iniziative del ricorrente vittorioso nel giudizio di annullamento, come ipotizza l’ordinanza di rimessione. Come infatti esposto in precedenza, ciò che ha rilievo per configurare un affidamento incolpevole sulla legittimità dell’atto favorevole, la cui frustrazione può essere fonte di responsabilità per l’amministrazione nei confronti del destinatario, è la riconoscibilità dell’illegittimità da parte di quest’ultimo. Pertanto, le ulteriori iniziative adottate dall’amministrazione a difesa del proprio provvedimento lungi dall’escludere un affidamento possono semmai rafforzarlo.
- Del pari non può essere seguita l’impostazione dell’ordinanza di rimessione che dal principio di non contraddizione inferisce la conseguenza per cui non vi potrebbe essere un affidamento tutelabile del destinatario dell’atto, nella sua qualità di controinteressato soccombente nel giudizio di annullamento. L’assunto sovrappone i piani, che invece in precedenza si è precisato essere distinti, della legittimità dell’atto e delle regole di validità ad esso relative, da un lato, e dall’altro lato della correttezza e buona fede del comportamento nell’esercizio del potere pubblico, con le connesse responsabilità dell’amministrazione. Per converso, va escluso l’opposto estremismo per cui ogni atto illegittimo e annullato in sede giurisdizionale è per l’amministrazione fonte di responsabilità nei confronti sia del soggetto originariamente beneficiario, sia del ricorrente vittorioso nel giudizio di annullamento, con la conseguenza che l’amministrazione si troverebbe in tal caso sempre e comunque esposta alle azioni di entrambi i soggetti coinvolti nell’esercizio del potere pubblico.
- Non costituisce, infine, elemento costitutivo dell’affidamento il fattore temporale, che in astratto è configurabile già al momento in cui è presentata l’istanza per il rilascio del provvedimento favorevole. Il tempo trascorso dalla sua emanazione costituisce semmai fattore che fonda l’interesse oppositivo all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio e che peraltro, con le recenti modifiche all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, da originaria regola di comportamento dell’amministrazione, espressa con carattere generale dal principio di ragionevolezza del tempo in cui viene esercitato il potere di autotutela, è stato incorporato nell’ambito delle regole di validità dell’atto, attraverso la previsione di un termine massimo, ora fissato in dodici mesi.
- Può in conclusione affermarsi il seguente principio di diritto: «la responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sia insorto un ragionevole convincimento sulla legittimità dell’atto, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento».
- Tutto ciò precisato in termini generali, nel caso di specie deve sottolinearsi –e di ciò dovrà tener conto la sezione remittente- che la domanda risarcitoria per lesione dell’affidamento sulla legittimità del provvedimento amministrativo è stata proposta non già dal destinatario di quest’ultimo, ma dalla sua avente causa.
La ricorrente signora Bacchilega non ha partecipato al procedimento di adozione della variante urbanistica che ha reso edificabile l’area poi da essa acquistata. Al momento dell’acquisto del terreno la medesima ricorrente poteva dunque confidare sulla destinazione impressa da tale variante, salvo che, in punto di fatto, non risulti accertato, che la stessa potesse essere a conoscenza dei profili di illegittimità della variante che hanno poi portato al suo annullamento; circostanza questa su cui non si traggono elementi nell’ordinanza di rimessione. Sotto il profilo finora evidenziato, ed in relazione ai danni dedotti nel presente giudizio, sembrerebbero dunque profilarsi tutti gli elementi idonei a ritenere che, attraverso l’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica da parte del Comune, possa essersi ingenerata nella ricorrente la ragionevole convinzione sulla destinazione edificatoria dell’area e che perciò fosse equo il prezzo di acquisto come area edificabile anziché come terreno agricolo. Della differenza tra i due valori l’amministrazione comunale può dunque essere ritenuta responsabile, al pari del venditore, secondo gli ordinari strumenti di tutela civilistica.
- Né l’eventuale responsabilità dell’amministrazione comunale può essere esclusa dalla eventualmente concorrente responsabilità del venditore. Si può al riguardo osservare che diversi sono i titoli di responsabilità: quella dell’amministrazione si fonda sull’apparenza ingenerata al di fuori di ogni rapporto con l’acquirente, e dunque sul piano extracontrattuale; quella del venditore per il difettoso risultato traslativo riposa su un titolo contrattuale (sulla possibilità di ravvisare un concorso di diversi soggetti nel medesimo fatto illecito per diversi titoli di responsabilità si rinvia alla consolidata giurisprudenza di legittimità: Cass. civ., SS.UU., 18 dicembre 1987, n. 9407; I, 3 dicembre 2002, n. 17110; III, 8 gennaio 1999, n. 108; 16 dicembre 2005, n. 27713; ord. 17 gennaio 2019, n. 1070). Il concorso di cause è a sua volta fonte di responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 2055, comma 1, cod. civ., dal che discende la facoltà di scelta del danneggiato di rivolgersi ad uno solo dei condebitori solidali, il quale, ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, potrà poi agire in regresso nei confronti dell’altro.
In ogni caso, sarà la Sezione rimettente, cui va restituito il giudizio ai sensi dell’art. 99, comma 4, cod. proc. amm., ad accertare, alla luce delle considerazioni svolte da questa Adunanza plenaria, se e in che misura al momento dell’acquisto dell’area vi fossero circostanze escludenti un affidamento ragionevole sulla sua edificabilità, quale impressa dalla variante urbanistica poi annullata.
- Per quanto concerne l’ulteriore posta risarcitoria data dall’inutile attività edificatoria intrapresa dalla ricorrente, e dagli oneri da questa sostenuti per la demolizione, costituisce invece profilo rilevante, in conformità alle considerazioni di carattere generale svolte sopra, verificare quando la signora Bacchilega abbia avuto conoscenza del contenzioso che ha poi portato all’annullamento della variante urbanistica e in via derivata dei titoli ad edificare rilasciati sulla base di quest’ultima. A questo riguardo nei propri scritti conclusionali la ricorrente sostiene di non avere avuto conoscenza del giudizio di annullamento prima del 2010, e dunque a circa due anni di distanza dall’acquisto dell’area, per effetto dell’estensione nei suoi confronti del contraddittorio ordinata in primo grado dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche (con ordinanza collegiale in data 27 maggio 2010, n. 338); l’originaria ricorrente aggiunge che il Comune di Numana non avrebbe fornito la prova di una conoscenza in epoca anteriore.
- Anche sul profilo di fatto in questione la Sezione rimettente, cui è inoltre rimessa la regolamentazione delle spese di giudizio, dovrà dunque svolgere i necessari accertamenti.