Cass. civ., sez. VI 2, ordinanza 27 settembre 2021, n. 26158
PRINCIPIO DI DIRITTO
Grava sul consumatore il solo onere di denunciare il difetto di conformità, che è da considerarsi assolto nel momento in cui egli comunichi tempestivamente al venditore l’esistenza del difetto di conformità, non occorrendo che venga altresì fornita la prova di tale difetto, né che venga indicata la causa precisa di tale difetto.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
– il Collegio non condivide la proposta di definizione della controversia notificata alle parti e ritiene che il ricorso debba essere accolto per le ragioni di seguito esposte;
– con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 132, comma 3, nonché degli artt. 2728 e 2697 c.c., per avere il Tribunale in funzione di giudice del gravame ritenuto non provato dall’acquirente che il vizio lamentato fosse da riferire al venditore posto che il vizio di rottura del display non era emerso nè al momento della vendita nè nei sette giorni successivi, trattandosi non già di una rottura fisica del televisore, bensì di una striscia orizzontale nella parte centrale dello schermo, alta circa 10 cm, che offuscava la regolare visione dei programmi.
Il codice del consumo, art. 135, comma 2, stabilisce che, in tema di contratto di vendita, le disposizioni del c.c. si applicano “per quanto non previsto dal presente titolo”; l’art. 1469 bis c.c., introdotto dal codice del consumo, art. 142, stabilisce che le disposizioni del c.c. contenute nel titolo “Dei contratti in generale” “si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore”.
Esiste, dunque, nell’attuale assetto normativo della disciplina della compravendita, una chiara preferenza del legislatore per la normativa del codice del consumo relativa alla vendita ed un conseguente ruolo “sussidiario” assegnato alla disciplina codicistica (relativa tanto al contratto in generale che alla compravendita): nel senso che si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo (art. 128 e ss.), potendosi applicare la disciplina del c.c. solo per quanto non previsto dalla normativa speciale (Cass. 30 maggio 2019 n. 14775).
È necessario tuttavia che sussistano i presupposti per l’applicazione del codice del consumo, secondo le categorie da esso predeterminate.
A tal fine, va osservato che il codice del consumo, art. 128, stabilisce che, ai fini dell’applicazione delle norme contenute nello stesso codice, titolo III, capo I, dal titolo “Della vendita dei beni di consumo”, per “bene di consumo” si intende “qualsiasi bene mobile” e per “venditore” si intende “qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1” (contratti di vendita, permuta, somministrazione, appalto etc.).
Alle disposizioni civilistiche dettate agli artt. 1490 c.c. e ss. in tema di garanzia per i vizi dei beni oggetto di vendita si aggiungono, in una prospettiva di maggior tutela, gli strumenti predisposti dal codice del consumo.
Dal combinato disposto del summenzionato codice, artt. 129 e ss., si desume una responsabilità del venditore nei riguardi del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene allorché tale difetto si palesi entro il termine di due anni dalla predetta consegna.
Il difetto di conformità consente al consumatore di esperire i vari rimedi contemplati all’art. 130 cit., i quali sono graduati, per volontà dello stesso legislatore, secondo un ben preciso ordine: costui potrà in primo luogo proporre al proprio dante causa la riparazione ovvero la sostituzione del bene e, solo in secondo luogo, nonché alle condizioni contemplate dal comma 7, potrà richiedere una congrua riduzione del prezzo oppure la risoluzione del contratto.
Resta fermo che, per poter usufruire dei diritti citati, il consumatore ha l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità nel termine di due mesi decorrente dalla data della scoperta di quest’ultimo.
Il Codice del Consumo prevede una presunzione a favore del consumatore, inserita nell’art. 132 comma 3, a norma del quale si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data, salvo che l’ipotesi in questione sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.
Si tratta di presunzione iuris tantum, superabile attraverso una prova contraria, finalizzata ad agevolare la posizione del consumatore: ne deriva che ove il difetto si manifesti entro tale termine, il consumatore gode di un’agevolazione probatoria, dovendo semplicemente allegare la sussistenza del vizio e gravando conseguentemente sulla controparte l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita.
Corollario di questo principio è che il consumatore deve provare l’inesatto adempimento mentre è onere del venditore provare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; solo ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore (Cass. n. 219:27 del 2017; Cass. n. 20110 del 2013).
Il quadro normativo, come illustrato, ha portato la giurisprudenza di questa Corte a ritenere che la responsabilità da prodotto difettoso abbia natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto. Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato – ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005 (cd. codice del consumo), art. 120, come già previsto dal D.P.R. n. 224 del 1988, art. 8 – la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore – a norma dello stesso codice, art. 118 – la corrispondente prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione, o che all’epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnicoscientifiche (Cass. 20 novembre 2018 n. 29828).
D’altra parte è evidente che il venditore, a differenza del consumatore, può avvalersi più facilmente di mezzi organizzativi e delle competenze tecniche che consentono di effettuare la necessaria diagnosi del problema al fine di appurare l’esistenza del vizio.
Del resto, il Codice del Consumo, art. 132, deve essere letto in combinato disposto con la direttiva Europea n. 1999/44/CE sulle garanzie dei beni di consumo, di cui il Codice del consumo costituisce la legge di trasposizione in Italia.
La prefata direttiva CE indica il nucleo essenziale dei diritti del consumatore e, rimarcando il principio di gratuità, stabilisce che “Il venditore è responsabile, a norma dell’art. 3, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene. Se, a norma della legislazione nazionale, i diritti previsti all’art. 3, paragrafo 2, sono soggetti a prescrizione, questa non può intervenire prima di due anni dalla data della consegna. 2. Gli Stati membri possono prevedere che grava sul consumatore, per esercitare i suoi diritti, l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha constatato siffatto difetto”.
Grava, quindi, sul consumatore il solo onere di denunciare il difetto di conformità, che è da considerarsi assolto nel momento in cui egli comunichi tempestivamente al venditore l’esistenza del difetto di conformità, non occorrendo che venga altresì fornita la prova di tale difetto, nè che venga indicata la causa precisa di tale difetto.
Infatti, risulterebbe troppo oneroso per il consumatore, in fase di presentazione della denuncia di non conformità del prodotto, assolvere l’onere probatorio mediante l’allegazione del vizio specifico da cui è affetto il prodotto, ciò che richiederebbe l’accesso a dati tecnici del prodotto nonché un’assistenza tecnica specializzata, che invece si trovano nella più agevole disponibilità del venditore (e che a questi non sarebbe eccessivamente oneroso chiedere di apprestare in occasione della diagnosi della natura del difetto di conformità denunciato) (v. in termini, Cass. n. 13148 del 2020).
Tanto premesso, nel caso di specie, il Tribunale nell’applicare la disciplina relativa ai contratti di consumo, accertata la tempestività della denuncia del vizio denunciato entro due mesi dalla scoperta del vizio e, trattandosi di vizio che si era manifestato entro sei mesi dalla consegna, avrebbe dovuto applicare la presunzione di responsabilità a carico del venditore, a meno che tale ipotesi fosse incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.
A tal fine, non era sufficiente affermare che la televisione era stata controllata prima della vendita e al momento della consegna; era, invece, necessario verificare al momento della denuncia del vizio, la causa che lo aveva generato, facendo ricorso all’assistenza tecnica di cui disponeva la venditrice.
Solo all’esito di tale accertamento, il giudice del gravame avrebbe potuto fare riferimento all’uso anomalo del bene, anche facendo ricorso alle presunzioni.
Il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza cassata e rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di L’Aquila, in persona di diverso magistrato, che nel riesaminare la controversia si atterrà ai principi sopra affermati.