Corte di Cassazione, Sez. III Civile, ordinanza 03 novembre 2021 n. 31321
QUESTIONI RIMESSE
Va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge 13 aprile 1988, n. 117 -nel testo originario-, nella parte in cui, prevedendo che colui il quale abbia subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento posto in essere dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni possa agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, limita la risarcibilità dei danni non patrimoniali ai soli casi di privazione della libertà personale.
Va del pari dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. a) della legge 27 febbraio 2015, n. 18, nella parte in cui non dispone l’applicazione della modifica introdotta all’art. 2, comma 1, della legge n. 117/1988 ai giudizi in corso per fatti anteriori alla sua entrata in vigore.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Intervenuto giudicato interno sulla responsabilità risarcitoria dello Stato italiano in ordine all’an debeatur, il ricorso verte esclusivamente sulla spettanza del risarcimento del danno non patrimoniale, che è stata negata dalla Corte territoriale con decisione che viene qui impugnata, sotto diversi profili, con i tre motivi.
1.1. Il primo motivo denuncia «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 11 disp. prel. c.c.; della L. n. 18/2015, tutti con riferimento all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.».
Premesso che la Corte d’appello è incorsa in un equivoco nel ritenere che l’appellante abbia inteso attribuire alla novella carattere di interpretazione autentica al fine di sostenerne la retroattività, il ricorrente ribadisce che la legge n. 18/2015 non ha carattere innovativo o costitutivo, avendo invece operato una mera ricognizione ed una corretta “lettura” dei valori già presenti nell’ordinamento interno e sovranazionale, al cui rispetto ha voluto conformare lo statuto della responsabilità civile dei magistrati, eliminando ex tunc l’incompatibilità del sistema con il diritto dell’Unione europea, così come interpretato dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 24.11.2011 resa nella causa C-379/2010.
Richiamato l’art. 1 della I. n. 18/2015 (che dichiara di modificare le norme della l. n. 117/1988 “al fine di rendere effettiva la disciplina che regola la responsabilità civile dello Stato e dei magistrati, anche alla luce dell’appartenenza dell’Italia all’Unione europea”), rileva – altresì- che «l’effettività della tutela giurisdizionale -ossia pienezza ed integralità della misura riparatoria- è un valore fondamentale dell’ordinamento comunitario».
Sotto altro profilo, il ricorrente assume che «all’applicabilità della l. n. 18/2015 non avrebbe potuto, poi, ritenersi ostativa la mancanza di una disciplina transitoria», rilevando che, al contrario, «tale mancanza può intendersi come implicitamente rivelatrice della volontà del legislatore di consentire l’applicabilità della nuova legge ai giudizi in corso, ben potendo la retroattività presumersi».
Deduce, inoltre, che:
– la decisione impugnata, nel ritenere operante la precedente disciplina limitativa del risarcimento, «si pone in irriducibile contrasto con la ratio della stessa legge e, soprattutto, con il diritto europeo»;
– «ad escludere il carattere innovativo della novella sarebbe stato sufficiente considerare il tenore letterale dell’impianto normativo, che […] si è limitato ad apportare al testo previgente interventi selettivi e miranti al fine di rendere la normativa conforme ai parametri costituzionali e sovranazionali»;
– il principio di irretroattività della legge civile troverebbe comunque un limite con riferimento ai «rapporti non esauriti» e, qualora, come nel caso di specie, «il fatto resti identico nella sua disciplina, ossia nella sua riconducibilità alla sfera dell’illecito civile sia secondo il vecchio che il nuovo regime, allora il principio dell’irretroattività non potrebbe operare, trattandosi solo di disciplinare, secondo nuove disposizioni, effetti permanenti del fatto anteriore».
1.2. Il secondo motivo denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2059 c.c., 3 Cost. e 2 l. n. 117/1988, con riferimento all’art. 360, co. 1°, nn. 3 e 4 c.p.c., e censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la richiesta di interpretazione costituzionalmente o convenzionalmente orientata.
Il ricorrente assume che la norma dell’art. 2 l. n. 117/1988 risulta in palese contrasto con i parametri costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e che costituisce «opzione ermeneutica obbligata» quella di leggere la norma in senso conforme alla Costituzione; rileva, altresì, che (come reso evidente dallo sviluppo della giurisprudenza relativa all’art. 2059 c.c.: segnatamente, Cass., S.U. n. 26972/2008), si impone una lettura adeguatrice sul piano costituzionale, indipendentemente da un’espressa previsione normativa.
Sotto un ulteriore profilo, il ricorrente assume che «la norma in questione avrebbe potuto essere disapplicata per palese contrasto con l’ordinamento comunitario, nell’ambito di una doverosa lettura “convenzionalmente” orientata, tenuto conto della «ineludibile necessità, per ciascun Stato-membro, di assicurare tutela effettiva ai cittadini danneggiati da attività illecita dei propri organi istituzionali, ai fini di una piena e reale tutela della persona e dei suoi diritti fondamentali».
1.3. Col terzo motivo («violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 3, 32, 117 Cost.; dell’art. 2059 c.c.; degli artt. 2 e 3 L 117/88, tutti con riferimento all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.»), il ricorrente lamenta che:
– la Corte d’appello ha erroneamente negato efficacia preclusiva all’ordinanza con cui la medesima Corte, in sede di reclamo, aveva ritenuto ammissibile l’azione ai sensi dell’art. 5 l. n. 117/1988; assume, infatti, che la valutazione di ammissibilità riguardava «tutti i presupposti […] perché la domanda potesse essere delibata, e dunque anche la “ricevibilità” dell’istanza risarcitoria in tutte le sue componenti, compreso il danno non patrimoniale» e aggiunge che «la pregnanza dei relativi accertamenti, compiuti dal giudice del reclamo, seppur incidentalmente, era tale da conferire loro carattere di definitività», rilevando che ciò aveva trovato conferma nel successivo sviluppo dell’istruttoria, che aveva riguardato anche l’accertamento del danno non patrimoniale;
– la Corte territoriale ha erroneamente e immotivatamente ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 l. n. 117/1988, la cui fondatezza è stata invece significativamente confermata proprio dal fatto che la l. n. 18/2015 ha soppresso la limitazione della risarcibilità del danno non patrimoniale, evidentemente qualificandola ingiusta;
– la Corte non ha reso alcuna motivazione in ordine all’ulteriore questione di legittimità costituzionale della l. n. 18/2015, con riferimento alla mancata previsione di una norma transitoria che ne consentisse l’applicazione ai giudizi in corso (dedotta in relazione ai parametri degli artt. 2, 3 e 32 Cost.).
- Le norme di cui il ricorrente assume l’illegittimità costituzionale si identificano nel testo originario dell’art. 2, comma 1, della l. n. 117/1988 -il quale prevede che «chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale»- e nella l. n. 18/2015, che ha disposto, all’art. 2 comma 1, lett. a), la soppressione, nell’anzidetta norma del 1988, delle parole «che derivino da privazione della libertà personale», con conseguente riconoscimento del risarcimento sia per i danni patrimoniali che -senza limitazione alcuna- per quelli non patrimoniali, ma senza prevedere una disciplina transitoria per estendere l’applicazione della modifica ai giudizi in corso, ancorché relativi a fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore.
- Ritiene il Collegio che l’infondatezza dei primi due mezzi di ricorso e del primo profilo del terzo imponga la disamina della questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente con il secondo profilo di quest’ultima: e che quella sia rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di seguito indicati.
3.1. In punto di rilevanza, va considerato, per un verso, che la dichiarazione di incostituzionalità della norma determinerebbe la cassazione della sentenza impugnata – travolgendo la sola disposizione in base alla quale, istruita la domanda in primo grado anche sui danni non patrimoniali, la relativa pretesa è stata respinta dal giudice del merito – e, per altro verso, che il ricorso, che verte ormai appunto esclusivamente sulla risarcibilità dei danni non patrimoniali da attività giurisdizionale diversi da quelli cagionati dalla privazione della libertà personale, non risulta altrimenti accoglibile sulla base delle altre censure articolate dal ricorrente e neppure alla stregua di un’interpretazione di quelle norme costituzionalmente orientata.
Al riguardo, valgano le considerazioni che seguono.
3.1.1. Va premesso che, collocandosi i fatti posti a base della richiesta risarcitoria interamente nell’arco temporale 2004/2007 (compreso fra l’effettuazione della perquisizione e il decreto di archiviazione) e non essendo stato dedotto che i danni non patrimoniali lamentati dal ricorrente si siano verificati in epoca successiva, deve ritenersi che sia le condotte lesive che la produzione dei danni ricadano interamente sotto la disciplina del testo originario dell’art. 2 l. n. 117/1988, vigente ratione temporis; va escluso pertanto che la vicenda, ancorché ancora pendente in sede giudiziale, possa essere considerata “non esaurita” e tale da poter ricadere nel regime novellato dalla l. n. 18/2015; invero, la circostanza che il diritto non sia stato in grado di sorgere (in quanto non riconosciuto dall’ordinamento alla stregua della l. n. 117/1988) al momento in cui si verificarono i fatti lesivi e i danni conseguenti comporta, in difetto di norma espressa o chiaramente interpretabile in tal senso, che lo stesso non possa considerarsi suscettibile di venire ad esistenza successivamente, per effetto di una norma sopravvenuta, nel corso di un giudizio in cui un siffatto diritto non avrebbe potuto essere azionato.
3.1.2. A fronte della mancanza di previsioni espresse di retroattività della legge n. 18/2015, che valgano a derogare espressamente alla regola prevista dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, deve escludersi che la retroattività possa comunque desumersi dalla natura dell’intervento legislativo del 2015.
3.1.3. Ed invero:
– non è condivisibile l’assunto che l’assenza di una disciplina transitoria sia implicitamente rivelatrice della volontà del legislatore di estendere la nuova disciplina ai giudizi in corso, dovendosi evidenziare che proprio l’esistenza di un principio generale di irretroattività comporta che la retroattività ne costituisce un’eccezione e richiede che sia prevista espressamente o, comunque, che sia desumibile in modo univoco dalla natura e dalla finalità della normativa successiva;
– né la circostanza che il legislatore avrebbe effettuato un intervento di tipo “selettivo” sul tessuto della normativa del 1988, al fine di renderla conforme ai parametri costituzionali e sovranazionali (secondo il testo esplicito della disposizione di esordio della novella), può valere a porre in non cale il fatto che le modifiche introdotte dalla legge n. 18/2015 hanno inciso in modo rilevante sulla precedente normativa e -con specifico riferimento a quanto oggetto del ricorso- hanno riconosciuto in termini generali la risarcibilità del danno non patrimoniale, con previsione radicalmente innovativa rispetto alla disposizione che lo limitava alle ipotesi di privazione della libertà personale;
– a maggior ragione, non appare condivisibile l’assunto che non si porrebbe neppure una questione di retroattività, per il fatto che la legge n. 18/2015 non avrebbe natura innovativa o costitutiva, bensì meramente ricognitiva di valori già presenti nell’ordinamento interno e in quello sovranazionale; non giovano al ricorrente né il richiamo alla sentenza resa dalla CGUE nella causa C-379, che non affronta la questione della tipologia dei danni risarcibili e comunque si riferisce espressamente alle fattispecie di responsabilità da violazione del diritto eurounitario e non pure del diritto interno, né il riferimento al principio di effettività della tutela giurisdizionale immanente nel primo di quelli, giacché tale principio non incide sulla discrezionalità del legislatore nazionale nell’individuazione delle categorie dei danni risarcibili.
3.1.4. Quanto alla sostenuta possibilità di pervenire all’applicazione del nuovo regime sulla base di un’interpretazione adeguatrice o costituzionalmente orientata, a confutazione della tesi del ricorrente deve convenirsi col P.M. che, in senso sostanzialmente conforme a quanto sul punto correttamente motivato dalla Corte territoriale, la stessa è ammessa quando si tratti di adeguare, mercé appunto l’interpretazione, una formula legislativa generica od ampia ai mutamenti economici e sociali intervenuti nel frattempo, ma non anche in contrasto con il chiaro tenore letterale della legge.
3.1.5. Ancora: non risulta condivisibile l’assunto che la Corte territoriale dovesse disapplicare la norma interna limitativa del risarcimento del danno non patrimoniale per palese contrasto con l’ordinamento comunitario od eurounitario, giacché il principio di effettività della tutela giurisdizionale (declinato dal ricorrente alla luce degli artt. 19.1 TUE e 47 della c.d. Carta di Nizza) non consente di individuare, nello specifico, una manifesta contrarietà della disciplina nazionale rispetto al diritto dell’Unione, non essendo da questo tutelato un diritto al risarcimento di qualsiasi danno derivante dall’attività giurisdizionale, ma soltanto di quello cagionato nell’interpretazione delle norme eurounitarie e per di più senza peraltro escludere la limitazione della diretta risarcibilità ad alcune soltanto delle categorie di conseguenze dannose.
3.1.6. Inoltre, neppure si può ritenere che la novella del 2015 abbia semplicemente eliminato un limite alla risarcibilità dei danni non patrimoniali, sicché questa si potrebbe considerare in grado di espandersi automaticamente a tutte le relative tipologie e neppure verrebbe in considerazione una questione di retroattività della norma sopravvenuta: lo stesso impianto originario della norma identificava le categorie dei danni risarcibili e la considerazione, tra questi, di quelli non patrimoniali derivanti da privazione della libertà personale determinava l’oggetto specifico di tutela in via diretta ed immediata, non già mediante limitazione od esclusione all’interno della generica fattispecie del danno non patrimoniale, evidentemente per la valutazione di risarcibilità, propria se non altro di un bene individuato contesto storico, di una ben delimitata categoria di danni conseguenti all’attività giurisdizionale, in bilanciamento di altri valori di rango costituzionale espressamente considerati dalla giurisprudenza anche della Consulta (fin dalla sentenze 18 del 1989 e 468 del 1990).
3.1.7. E, infine, manifestamente infondato l’assunto che la mancata impugnazione del provvedimento di ammissibilità del ricorso emesso dalla Corte d’appello a seguito del reclamo del dott. … determinerebbe un vincolo definitivo in punto di «”ricevibilità” dell’istanza risarcitoria in tutte le sue componenti, compreso il danno non patrimoniale»: il filtro di ammissibilità di cui all’art. 5 l. n. 117/1988 era infatti finalizzato a verificare soltanto la ricorrenza dei presupposti di cui agli artt. 2, 3 e 4 e a valutare se sussistesse manifesta infondatezza della domanda, ossia a effettuare una delibazione preliminare in tal senso, pertanto del tutto inidonea a pregiudicare in alcun modo l’esito del giudizio o a determinare giudicati interni, tanto meno sul merito delle pretese oggetto di causa.
3.2. In punto di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, il ricorrente assume che erroneamente la limitazione dei danni risarcibili è stata ritenuta giustificata in ragione del bilanciamento tra il diritto del danneggiato ad essere integralmente risarcito e il rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, laddove -si sostiene- la limitazione risarcitoria «non ha nessuna connessione» con tali esigenze, soprattutto in un sistema che non prevede la responsabilità diretta del magistrato, bensì soltanto indiretta e con rivalsa soggetta a limiti quantitativi.
Il ricorrente evidenzia che, a differenza di quanto previsto da altre normative di settore per le quali la Corte costituzionale ha ritenuto che i limiti alla responsabilità civile andassero esenti da censure di illegittimità in quanto giustificati dall’esigenza di assicurare un equo bilanciamento con valori di rango costituzionale (in proposito richiamando Corte Cost. n. 235/2014 e Corte Cost. n. 182/1985), difettano, in relazione al testo originario dell’art. 2 l. n. 117/1988, “contrappesi” per le vittime di errori giudiziari, essendo pertanto «assurda» la limitazione del ristoro della lesione di beni primari di rilievo costituzionale, con la conseguenza che «la mancanza di ragionevole bilanciamento con i valori costituzionali rendeva la precedente formulazione dell’art. 2 della l. n. 117/1988 costituzionalmente illegittima, sul riflesso che la limitazione dei danni patrimoniali risultava priva di ragionevolezza e plausibilità razionale».
Rileva dunque il ricorrente che quella offerta dalla Corte d’appello costituisce «solo mera parvenza di giustificazione, posto che non vi è alcuna connessione tra “il discredito della funzione giudiziaria” con il diritto del ricorrente a vedersi tutelato il proprio diritto al risarcimento», e ribadisce la necessità di sollevare la questione di legittimità costituzionale, individuandone i parametri di riferimento negli artt. 2, 3, 32 e 117 Cost. (stante -quanto a quest’ultimo- «l’evidente contrasto dell’art. 2 I. n. 117/1988 con il diritto dell’Unione Europea»).
Aggiunge che la Corte d’appello non ha espresso alcuna motivazione «in ordine all’ulteriore eccezione di legittimità costituzionale della legge n. 18/2015, con riferimento alla mancata previsione di una norma transitoria che ne consentisse l’applicazione ai giudizi in corso»; eccezione che mirava «ad ottenere una pronuncia additiva del giudice delle leggi, posto che la questione -correlata a quella dell’immediata applicabilità della nuova legge- era da intendere, in parte qua, come rilievo di incostituzionalità della stessa disciplina ove interpretata nel senso della sua inapplicabilità ai giudizi in corso, per violazione degli artt. 2, 3 ed anche 32 Cost.».
3.2.1. Ritiene il Collegio che, nonostante la congruenza e la coerenza delle argomentazioni della Corte territoriale, le considerazioni svolte dal ricorrente determinino comunque idonee ragioni di dubbio sulla non manifesta infondatezza in ordine alla legittimità costituzionale delle norme sopra individuate, sotto entrambi i profili dedotti ed in riferimento ai parametri degli artt. 2, 3 e 32 Cost., tali da imporre la rimessione delle relative questioni al Giudice delle leggi.
Ciò in quanto:
– con riferimento alla legge del 1988, ci si deve interrogare sulla ragionevolezza, sul piano costituzionale e quale bilanciamento con i principi dell’indipendenza dei magistrati e dell’autonomia e della pienezza dell’esercizio della funzione giudiziaria, dell’esclusione del risarcimento per una categoria dei danni non patrimoniali (quelli non correlati alla privazione della libertà personale), a fronte di una normativa che riconosceva l’idoneità delle condotte individuate dall’art. 2 della I. n. 117/1988 a determinare danni sia patrimoniali che non patrimoniali; in particolare, deve valutarsi se tale scelta normativa fosse giustificata da un ragionevole bilanciamento fra il diritto del soggetto ingiustamente danneggiato da un provvedimento giudiziario ad ottenere l’integrale ristoro del pregiudizio subito e la salvaguardia delle funzioni giudiziarie da possibili condizionamenti, a tutela dell’indipendenza e dell’imparzialità della magistratura (bilanciamento che è stato richiamato, in relazione ad altri profili della medesima normativa, da Corte Cost. 164/2017, anche in riferimento a Corte Cost. n. 2/1968 e n. 26/1987, e da Corte Cost. n. 18/1989 e n. 468/1990);
– invero, nell’ambito di un ordinamento giuridico che riconosce massima espansione ai diritti della persona e alla tutela dei suoi valori, non è fuor di luogo dubitare della ragionevolezza della scelta di far dipendere il riconoscimento o l’esclusione del risarcimento per poste afferenti ad una medesima categoria di pregiudizio (quello non patrimoniale) dal solo fatto che l’illecito che ha determinato il danno sia o non sia costituito da un provvedimento limitativo della libertà personale, con totale irrilevanza delle conseguenze, in concreto intervenute, di attività giudiziarie che nelle peculiarità della singola fattispecie possano essersi rivelate particolarmente invasive della sfera dell’individuo e lesive di valori di rango costituzionale; e, d’altra parte, occorre verificare se la tutela dell’indipendenza e dell’imparzialità della magistratura comportasse effettivamente la necessità di escludere in radice il risarcimento per una categoria di pregiudizi (non individuati in base alla natura, ma alla fonte) nell’ambito di un sistema (quale quello poi confermato dalla legge Pinto, la n. 89/2001) che già nel testo del 1988 prevedeva la responsabilità diretta unicamente a carico dello Stato e solo quella indiretta, per di più con rivalsa limitata, per il magistrato autore degli atti e provvedimenti causativi del danno;
– peraltro, per quanto debba convintamente escludersi che la modifica introdotta dalla novella del 2015 possa costituire di per sé sola sicuro indice sintomatico dell’illegittimità costituzionale della norma modificata, non può sottacersi che la scelta effettuata dal più recente legislatore lascia dubitare della correttezza e/o inevitabilità e, quindi, della ragionevolezza del bilanciamento compiuto dal legislatore del 1988 e, in ogni caso, della tenuta di quest’ultimo in riferimento sì a fatti anteriori e così a fattispecie tecnicamente compiute, ma ancora sub iudice;
– se è pur vero che, nella specifica materia del risarcimento del danno non patrimoniale ed in riferimento a ipotesi di danno biologico di lieve entità, il Giudice delle leggi (Corte cost. n. 235/2014) ha avuto modo di riconoscere la ragionevolezza del bilanciamento fra «l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato» e «quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi», deve tuttavia considerarsi che, in quel caso, il bilanciamento è stato individuato in relazione ad una disciplina che, senza escludere il risarcimento, impone soltanto un «tetto» risarcitorio e che il rapporto di vicendevole dipendenza fra il contenimento dei risarcimenti e quello dei premi risulta apprezzabile con immediata evidenza;
– con riferimento alla l. n. 18/2015, l’incertezza sulla legittimità costituzionale (ed il conseguente dubbio di non manifesta infondatezza della relativa questione) segue alla considerazione che, nel momento in cui ha rimosso la limitazione al risarcimento dei danni non patrimoniali, il legislatore della novella non si è posto il problema della sorte dei giudizi pendenti, non prevedendo una disposizione che estendesse la nuova disciplina a fatti verificatisi anteriormente, ma ancora sub iudice; con ciò negando la possibilità di applicare a situazioni ancora giustiziabili il principio di globalità risarcitoria, che pure ha evidentemente poi ritenuto conforme alla mutata sensibilità giuridica e finendo, quindi, per legittimare la perdurante applicazione alle situazioni pregresse di un regime risarcitorio ormai superato sul piano normativo; il che può rilevare, all’evidenza, sotto i profili della disparità di trattamento e della violazione dei principi di effettività ed integralità del risarcimento correlato alla violazione di diritti primari della persona; e, in definitiva, della ragionevolezza di una disciplina, non altrimenti interpretabile, la quale impone che, in relazione a vicende verificatesi interamente nella vigenza del vecchio testo dell’art. 2 l. n. 117/1988 ma ancora non definite in sede giudiziaria, i danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie debbano essere risarciti -ad oggi ed esclusivamente nell’ambito dei giudizi ancora in corso- sulla base di una norma abrogata fin dal 2015 siccome ritenuta non più rispondente alla mutata sensibilità sociale.
3.2.2. Infine, non rileva che i dubbi di legittimità costituzionale appena affrontati possano in tesi essere superati in base ad argomenti anche coerenti e congrui, come quelli sviluppati dalla Corte territoriale, in base ai quali sostenere la legittimità originaria della limitazione e perfino quella della carenza di una normativa transitoria sull’estensione ai fatti pregressi ancora sub iudice.
Tali argomenti a favore della conformità delle norme alla Costituzione superano il limite della manifesta infondatezza ed attingono, riguardando l’alternativa tra fondatezza ed infondatezza tout court, il merito di una questione di conformità alla Carta fondamentale: la quale, neppure potendo questa Corte prescegliere alcuna altra interpretazione che possa dirsi conforme alla Costituzione, non può essere allora affrontata direttamente dal giudice che quelle norme deve applicare, nemmeno ove potesse condividere la soluzione offerta nella gravata sentenza, se non al prezzo insostenibile di eludere l’obbligo di legge di rimetterne la risoluzione alla Consulta.
Va infatti esclusa, per quanto detto, anche un’interpretazione delle norme richiamate che ne implichi un’applicazione conforme a Costituzione, visto che in via interpretativa non si scorge alcun modo per evitare la conclusione dell’inestensibilità, ai giudizi in corso per fatti anteriori alla novella, della risarcibilità dei danni non patrimoniali da attività giurisdizionale pure non derivanti da privazione della libertà personale.
Pertanto, non si vede altra scelta che rimettere la risoluzione delle questioni al Giudice delle Leggi, unico titolare dell’attribuzione di valutare la legittimità costituzionale delle norme, ove la loro non conformità alla Carta risulti suscettibile di dubbi che, come nella specie, non si palesino manifestamente infondati e non siano superabili in via di interpretazione.
- Restano impregiudicate le questioni di conformità delle stesse norme, oggetto di rimessione alla Corte costituzionale, ai parametri sovranazionali invocati dal ricorrente: sicché esse potranno essere prese in esame in punto di ammissibilità e persistente rilevanza e, se del caso, nel merito solo all’esito della risoluzione del relativo incidente potranno essere prese in esame, nella misura in cui ne restino coinvolti i medesimi profili.
- Inconclusione, deve ritenersi rilevante e non manifestamente infondata -in relazione agli artt. 2, 3 e 32 Cost.- la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, I. 13 aprile 1988, n. 117 (nel testo originario, anteriore alla novella di cui appresso), nella parte in cui esclude il risarcimento del danno, cagionato nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, non patrimoniale non derivante da privazione della libertà personale, nonché della I. 27 febbraio 2015, n. 18, nella parte in cui non ha previsto l’applicazione della modifica introdotta dall’art. 2, comma 1, lett. a), ai giudizi ancora in corso e per fatti anteriori alla sua entrata in vigore: e deve di conseguenza disporsi, ai sensi dell’art. 23 l. 11 marzo 1952 n. 87, la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con gli ulteriori adempimenti di cui in dispositivo.
- Q. M.La Corte, visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge 13 aprile 1988, n. 117 -nel testo originario-, nella parte in cui, prevedendo che colui il quale abbia subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento posto in essere dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni possa agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, limita la risarcibilità dei danni non patrimoniali ai soli casi di privazione della libertà personale;
dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. a) della legge 27 febbraio 2015, n. 18, nella parte in cui non dispone l’applicazione della modifica introdotta all’art. 2, comma 1, della legge n. 117/1988 ai giudizi in corso per fatti anteriori alla sua entrata in vigore;
sospende il presente giudizio, mandando alla Cancelleria l’espletamento degli incombenti di cui all’ultimo comma dell’art. 23 della legge n. 87/1953 e, dunque, la notifica della presente ordinanza alle parti in causa, al Procuratore generale presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché la comunicazione della stessa ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione sul perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.