Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 05 novembre 2021 n. 32198
GUIDA ALLA LETTURA
La Suprema Corte di Cassazione è stata investita di una questione di massima particolare importanza concernente l’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento, disposto dal giudice a carico di uno dei coniugi a favore dell’altro che “non possieda mezzi economici adeguati” (art.5 L.n. 898 del 1970) in caso di nuova convivenza stabile di quest’ultimo (beneficiario) con un terzo.
In particolare, le Sezioni Unite sono chiamate ad esprimersi sull’operatività o meno dell’effetto estintivo, previsto dalla succitata Legge, nel caso in cui il coniuge beneficiario instauri un rapporto di fatto e non di diritto ovvero “non contragga nuove nozze” e se il medesimo possa eventualmente riespandersi una vola cessata la convivenza con il terzo.
A tal proposito, è doveroso fare una premessa sulla natura e sulla funzione dell’assegno divorzile. L’assegno consiste nell’obbligo, a seguito della pronuncia di divorzio, di uno dei due coniugi di corrispondere all’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Esso assolve ad una funzione solidaristica, alla quale si affiancano quella risarcitoria e compensativa e, per espressa previsione normativa, viene meno se il beneficiario contrae nuove nozze o chiede il riconoscimento di una unione civile.
Chiariti i termini normativi, si passa ora all’esame della vicenda e della annessa questione.
La ricorrente in questione aveva sacrificato la sua vita professionale per prendersi cura della prole e permettere al marito di dedicarsi alla relativa carriera. Ottenuto il divorzio, la donna disoccupata percepiva un assegno di mantenimento erogato dall’ex marito ma una volta iniziata una relazione con un altro uomo dal quale aveva avuto una figlia, l’ex marito (in persona del difensore di fiducia) rivendicava la sospensione dell’assegno in virtù dell’effetto di cui sopra con perdita integrale automatica, sulla scorta di un orientamento rigido e maggiormente condiviso odiernamente anche dalla Corte d’Appello di Venezia che evidenziava come l’effetto compensativo dell’assegno (in ragione dell’obbligo di apporto economico al patrimonio comune del nucleo familiare che sopravvive allo scioglimento del matrimonio, riconosciuto in capo all’ex coniuge) non aveva ragione di esistere.
La donna, infatti, con ricorso sollecitava la Suprema Corte ad una revisione di tale orientamento invocandone una lettura costituzionalmente orientata sulla base dei principi previsti agli articoli 2,3,29 e 30, e dichiarava che la valutazione sarebbe dovuta avvenire in concreto caso per caso, riprendendo un primordiale orientamento poi scardinato da quello odierno.
Il collegio rimettente con ordinanza interlocutoria accoglieva il punto di vista della ricorrente e indicava le ragioni per le quali auspicava un ripensamento che soltanto la Suprema Corte con funzione nomofilattica era in grado di fare. Il collegio rimettente indicava tra i parametri di valutazione del caso quello dell’auto- responsabilità, che si trova ad operare non soltanto per il futuro, chiamando gli ex coniugi che costituiscano con altri una stabile convivenza a scelte consapevoli di vita e a conseguenti perdite di posizioni di vantaggio ma anche per il tempo passato grazie al quale riconosce all’assegno una funzione compensativa.
Rimarcando il rilievo della funzione compensativa dell’assegno, il Collegio rimettente segnalava l’esigenza di fornire una lettura tesa a riconoscere all’assegno una funzione assistenziale a beneficio dell’ex coniuge economicamente più debole, per consentirgli un tenore di vita dignitoso e consentirgli di avere un livello reddituale adeguato per fornire il proprio contributo al patrimonio della famiglia, in virtù anche di sacrifici personali fatti come l’aver abbandonato le proprie aspettative professionali per dedicarsi alla cura dei figli. Ad avviso del collegio rimettente, il principio di auto responsabilità imporrebbe di riconoscere una tutela adeguata all’ex coniuge non solo perché economicamente più debole ma in quanto apprezzabile per i sacrifici personali disposti nell’interesse della famiglia e dell’altro coniuge, che comunque hanno contribuito alla crescita del patrimonio familiare ed alla cura del nucleo familiare. Si riconosce per la prima volta una funzione assistenziale all’assegno divorzile e dunque si allargano le maglie di un suo riconoscimento. Ciò significa una non automatica perdita in caso di divorzio.
Per quanto concerne l’ applicazione in sede di convivenza di fatto, non vi è ombra di dubbio che vi sia una certa parificazione tra una convivenza che sia caratterizzata da connotati di stabilità e continuità con una situazione caratterizzata da un vincolo giuridico anche alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale che ha riconosciuto espressamente convivenze more uxorio ed unioni civili, seppur non nei medesimi termini di pienezza ed assolutezza come per il matrimonio. Invero, l’orientamento più risalente, affermatosi fin dall’entrata in vigore della disciplina introducente il divorzio nel nostro ordinamento, afferma che il diritto all’assegno non cessa automaticamente all’instaurarsi di una nuova, duratura convivenza, ma può essere eventualmente rimodulato dal giudice nel suo ammontare. Ad avviso del collegio rimettente la Legge n.898 si riferisce esclusivamente alla possibilità di nuovo matrimonio e non cita minimamente una convivenza. La mancanza di previsione normativa circa una automatica caducazione del diritto all’assegno all’istaurarsi di una convivenza di fatto non consente il ricorso all’analogia, atteso che il ricorso all’analogia è consentito dall’art. 12 preleggi, solo quando manchi nell’ordinamento una specifica disposizione regolante la fattispecie concreta e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti incolmabile in sede giudiziaria. Tuttavia, la giurisprudenza odierna in generale propende per la cessazione automatica della percezione dell’assegno quando la nuova convivenza integri uno stabile modello di vita comune.
Infatti, riallacciandoci alla decisione dei Giudici d’Appello che seguivano l’orientamento odierno, si afferma che l’instaurazione di una nuova famiglia (seppur di fatto) fa definitivamente venir meno ogni presupposto per la riconoscibilità, rescindendo ogni legame con il tenore di vita caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale. Dunque, secondo i Giudici non vi sarebbe alcuna “solidarietà psot- matrimoniale” con l’ex marito. E’ nella nuova convivenza che il beneficiario dell’assegno divorzile dovrebbe ricercare i legami di solidarietà familiare, incompatibili con il permanere dell’assegno di divorzio in capo all’ex coniuge.
Come detto ab origine, la ricorrente lamentava una situazione economica precaria in quanto disoccupata per rinuncia alla propria ambizione professionale, riusciva a sopravvivere solo con l’assegno divorzile corrisposto dall’ex marito. Inoltre, si ricorda che la medesima aveva avuto una figlia dal nuovo compagno e che tale legame è stato paragonato dai giudici d’ appello a nuove nozze con automatica caducazione del diritto all’assegno.
Sulla base di tale ricostruzione, le Sezioni Unite, ribaltando il precedente orientamento, affermano invece che la caducazione automatica del diritto all’assegno di divorzio a prescindere dalle vicende del caso concreto, è incompatibile con la funzione dell’assegno che non può essere esclusivamente assistenziale ma, come di recente chiarito dalla stessa Corte, anche compensativo-perequativa (cfr. Cass. S.U., n. 18287 del 2018). Con l’assegno divorzile si deve, infatti, garantire il riequilibro della disparità delle condizioni economiche venutasi a creare a seguito dello scioglimento del matrimonio, tenendo conto del contributo prestato alla formazione del patrimonio familiare dai coniugi. Più precisamente, attraverso il riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge. Se tale è il punto di approdo della giurisprudenza di legittimità, appare evidente per la Corte come, mentre la componente assistenziale dell’assegno divorzile debba venir meno con l’istaurazione di una nuova convivenza; ciò non vale per la componente compensativa-perequativa.
Le Sezioni Unite concludono, quindi, statuendo che: “Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche dell’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.
A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.”
D’altronde, non sarebbe giusto che il coniuge che ha sacrificato il proprio percorso professionale a favore delle esigenze familiari perda, a prescindere e automaticamente, qualsiasi diritto ad una compensazione dei sacrifici fatti. In presenza di tali condizioni, l’assegno è un modo per valorizzare e tener conto delle rinunce e degli sforzi fatti, dall’ex coniuge, per favorire la complessiva vita familiare e, in particolare, per facilitare la realizzazione lavorativa o professionale dell’altro coniuge.
PRINCIPI DI DIRITTO
Il Collegio segnala che gli indicati contenuti, per i quali trova affermazione e composizione nelle dinamiche post-matrimoniali il principio di autoresponsabilità in materia di assegno della L. n. 898 del 1970, ex art. 5, comma 6 e successive modifiche, vogliono così che il beneficiario possa godere dell’assegno divorzile non solo perchè soggetto economicamente più debole ma anche per quanto da questi fatto e sacrificato nell’interesse della famiglia e dell’altro coniuge, il tutto per un percorso in cui le ragioni assistenziali nella loro autonomia perdono di forza lasciando il posto a quelle dell’individuo e della sua dignità.
L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonchè sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno.
Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.
A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.
Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale nè alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì della durata del matrimonio”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – Va esaminata in questa sede la questione oggetto del secondo motivo di ricorso, devoluta all’attenzione delle Sezioni Unite con l’ordinanza interlocutoria, relativa alla sorte dell’assegno di divorzio là dove il coniuge che ne benefici abbia instaurato una convivenza stabile con un terzo, dovendosi stabilire se l’effetto estintivo previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 10, nel caso di nuove nozze del beneficiario trovi automatica applicazione nella distinta ipotesi della famiglia di fatto, e, qualora si escluda l’automaticità dell’effetto estintivo, se e in che modo e misura l’istaurarsi di una nuova convivenza stabile da parte dell’ex coniuge titolare del diritto all’assegno incida sul diritto alla provvidenza economica e sulla sua misura, e infine se il diritto all’assegno possa riespandersi nella sua pienezza o entro che limiti, qualora venga a cessare la nuova convivenza di fatto.
7.1 – La ricorrente espone che, nei nove anni di durata del matrimonio, aveva rinunciato ad un’attività professionale, o comunque lavorativa, per dedicarsi interamente ai figli, e ciò anche dopo la separazione personale dal marito, che aveva potuto, invece, dedicarsi interamente a costruire il proprio successo professionale, quale amministratore e proprietario di una delle più prestigiose imprese di commercializzazione e produzione delle calzature in Italia, con un fatturato all’estero pari a qualche milione di Euro. Non più in età per poter reperire un’attività lavorativa, la deducente aveva vissuto e viveva con i figli dell’assegno divorzile e si era unita all’attuale compagno, da cui aveva avuto una figlia, che, in quanto operaio, percepiva un reddito lavorativo di poco più di mille Euro al mese per di più “falcidiato” dal mutuo per l’acquisto della casa, presso la quale convivevano anche i figli del precedente matrimonio di lei, studenti.
7.2 – La ricorrente sollecita la Corte ad una revisione dell’orientamento, condiviso dalla Corte d’Appello di Venezia, che prevede la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno nel caso che il beneficiario instauri una convivenza di fatto, auspicando un ritorno all’indirizzo precedente, meno rigido, volto ad escludere l’automatismo estintivo dell’assegno divorzile quale conseguenza della nuova convivenza e tale da tenere in adeguata considerazione il profilo compensativo dell’assegno di divorzio, integrato dall’apporto personale dato dall’ex coniuge alla conduzione del nucleo familiare ed alla formazione del patrimonio comune, che sopravvive allo scioglimento del nucleo familiare.
7.3 – Segnala che, secondo una lettura costituzionalmente orientata delle norme, in applicazione dei principi di cui agli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost., deve privilegiarsi un apprezzamento discrezionale del giudice da svolgersi in relazione al caso concreto, ogni qual volta venga in evidenza il carattere compensativo o assistenziale dell’assegno, laddove si può comprendere l’automaticità per i profili perequativi.
- – La questione sottesa al secondo motivo è stata devoluta alle Sezioni unite quale questione di massima di particolare importanza, a norma dell’art. 374 c.p.c., comma 2. Il Collegio rimettente formula l’auspicio che l’esame di essa da parte delle Sezioni Unite sia l’occasione per rimeditare, rimodulandolo nella soluzione da offrirsi, l’indirizzo più recentemente formatosi nella giurisprudenza di legittimità, da cui l’ordinanza di rimessione dissente, sull’incidenza che l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto con un terzo ha sul diritto dell’ex coniuge, economicamente più debole, all’assegno di divorzio.
- – L’ordinanza interlocutoria, n. 28995/2020, fa proprie le istanze alla base del secondo motivo di ricorso e sollecita, proponendo all’attenzione della Corte numerosi argomenti, le Sezioni Unite ad un ripensamento del più recente e rigido orientamento assunto da alcune pronunce a sezioni semplici sul tema.
9.1- Segnala che nell’orientamento di più recente affermazione di questa Corte di cassazione, che ha trovato applicazione nella sentenza dei giudici di appello, si attribuisce dignità piena alla famiglia di fatto che, in quanto stabile e duratura, è da annoverarsi tra le formazioni sociali in cui l’individuo, libero e consapevole nella scelta di darvi corso, svolge, ex art. 2 Cost., la sua personalità. In applicazione del principio dell’auto-responsabilità la persona mette in conto quale esito della scelta compiuta, con il rischio di una cessazione della nuova convivenza, il venir meno dell’assegno divorzile e di ogni forma di residua responsabilità post-matrimoniale, rescindendosi attraverso la nuova convivenza ogni legame con la precedente esperienza matrimoniale ed il relativo tenore di vita.
- 2 – Il collegio rimettente indica le ragioni per le quali auspica un ripensamento dell’indicato orientamento, promananti da un completo scrutinio del canone dell’auto-responsabilità, sorretto dalla necessità dell’interprete di individuarne a pieno il portato applicativo, anche per quelli che ne sono i corollari:
– nel dare disciplina agli aspetti economico-patrimoniali che conseguono alla pronuncia di divorzio, il principio di autoresponsabilità si trova ad operare non soltanto per il futuro, chiamando gli ex coniugi che costituiscano con altri una stabile convivenza a scelte consapevoli di vita e a conseguenti assunzioni di responsabilità e ciò anche a detrimento di pregresse posizioni di vantaggio di cui il nuovo stabile assetto di vita esclude una permanente ed immutata redditività;
– il medesimo principio lavora anche, per così dire, per il tempo passato e come tale sul fronte dei presupposti del maturato assegno divorzile là dove di questi, nel riconosciuto loro composito carattere come da SU n. 18287 del 2018, si individua la funzione compensativa.
9.3 – Rimarcando il rilievo della funzione compensativa dell’assegno, il Collegio rimettente segnala che va colta l’esigenza, piena, di dare all’assegno divorzile una lettura che, emancipandosi da una prospettiva diretta a valorizzare del primo la funzione assistenziale, segnata dalla necessità per il beneficiario di mantenimento del pregresso tenore di vita matrimoniale, resti invece finalizzata a riconoscere all’ex coniuge, economicamente più debole, un livello reddituale adeguato al contributo fornito all’interno della disciolta comunione di vita, nella formazione dei patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge. Dopo una vita matrimoniale che si è protratta per un apprezzabile arco temporale, l’ex coniuge economicamente più debole, che abbia contribuito al tenore di vita della famiglia con personali sacrifici anche rispetto alle proprie aspettative professionali ed abbia in tal modo concorso occupandosi dei figli e della casa pure all’affermazione lavorativo-professionale dell’altro coniuge, acquista il dritto all’assegno divorzile. Il Collegio segnala che gli indicati contenuti, per i quali trova affermazione e composizione nelle dinamiche post-matrimoniali il principio di autoresponsabilità in materia di assegno della L. n. 898 del 1970, ex art. 5, comma 6 e successive modifiche, vogliono così che il beneficiario possa godere dell’assegno divorzile non solo perchè soggetto economicamente più debole ma anche per quanto da questi fatto e sacrificato nell’interesse della famiglia e dell’altro coniuge, il tutto per un percorso in cui le ragioni assistenziali nella loro autonomia perdono di forza lasciando il posto a quelle dell’individuo e della sua dignità.
9.4 – L’ordinanza interlocutoria conclude nel senso che il principio di autoresponsabilità, destinato a valere in materia per il nuovo orientamento di questa Corte di legittimità, compendiato nelle ragioni di cui alla sentenza delle Sezioni unite n. 18287 del 2018, non può escludere automaticamente e per l’intero, il diritto all’assegno divorzile là dove il beneficiario abbia instaurato una stabile convivenza di fatto con un terzo. Il principio merita una differente declinazione più vicina alle ragioni della concreta fattispecie ed in cui si combinano la creazione di nuovi modelli di vita con la conservazione di pregresse posizioni, in quanto, entrambi, esito di consapevoli ed autonome scelte della persona. Sulla indicata esigenza, ben può ritenersi che permanga il diritto all’assegno di divorzio nella sua natura compensativa, restando al giudice di merito, al più, da accertare l’esistenza di ragioni per una eventuale modulazione del primo là dove la nuova scelta di convivenza si riveli migliorativa delle condizioni economico-patrimoniali del beneficiario e tanto rispetto alla funzione retributiva dell’assegno segnata, come tale, dall’osservanza di una misura di autosufficienza.
9.5 – Il Collegio rimettente aggiunge che la funzione retributivo-compensativa dell’assegno divorzile non può altrimenti risentire delle sorti del distinto istituto dell’assegno di mantenimento del coniuge separato che abbia instaurato una convivenza more uxorio con un terzo. La differente funzione dell’assegno di mantenimento del coniuge separato lascia che permanga, nel suo rilievo, il pregresso tenore di vita matrimoniale inteso sia quale parametro cui rapportare l’assegno stesso sia quale ragione destinata ad escludere dell’indicata posta la sopravvivenza in caso di nuova convivenza di fatto dell’avente diritto.
9.6 – Segnala infine, a definizione del quadro di riferimento con cui il collegio deve confrontarsi nell’individuare e dare contenuto alle ragioni della sollecitata rimessione, che nessun argomento in chiave di disconoscimento o contenimento della funzione dell’assegno divorzile viene dalla disciplina della convivenza di fatto.
- – Ricostruendo sinteticamente l’evoluzione giurisprudenziale sul punto, emerge che la giurisprudenza di legittimità si è fatta carico, fin dalla prima introduzione della disciplina del divorzio, della necessità di esaminare le conseguenze che possa esplicare sulla sorte e sull’ammontare dell’assegno di divorzio, l’instaurarsi di una nuova convivenza da parte del coniuge beneficiario. Si sono delineati nel tempo tre orientamenti, tutti accomunati dall’attribuire rilevanza giuridica al fatto nuovo della convivenza e dall’affermare la necessità di un accertamento giudiziale in ordine alla stabilità di essa, affinchè potesse spiegare i suoi effetti sul diritto a percepire l’assegno di divorzio.
- – L’orientamento più risalente, affermatosi fin dall’entrata in vigore della disciplina introducente il divorzio nel nostro ordinamento, afferma che il diritto all’assegno non cessa automaticamente all’instaurarsi di una nuova, duratura convivenza, ma può essere eventualmente rimodulato dal giudice nel suo ammontare in considerazione di essa (principio affermato fin da Cass. n. 1477 del 1982, e poi ripreso da Cass. n. 3253 del 1983, Cass. n. 2569 del 1986, Cass. n. 3270 del 1993; Cass. n. 13060 del 2002; Cass. n. 12557 del 2004, Cass. n. 1179 del 2006, che afferma che possono rilevare anche risparmi di spesa derivanti dalla nuova convivenza; Cass. n. 24056 del 2006; Cass. n. 2709 del 2009; Cass. n. 24832 del 2014, che mette in luce, come già altre in precedenza, il carattere precario dei nuovi benefici economici legati alla convivenza, e quindi come essi siano limitatamente incidenti sulla parte dell’assegno che serve ad assicurare le condizioni minime di autonomia economica). Le sentenze, emesse nel fin troppo ampio arco di tempo in cui non è esistita una disciplina normativa organica sulle convivenze more uxorio e sulle unioni civili, qualificavano la contribuzione dei conviventi al tenore di vita familiare in termini di adempimento di una obbligazione naturale e sostenevano che l’onere della prova del mutamento migliorativo delle condizioni patrimoniali del coniuge beneficiario dell’assegno di divorzio in conseguenza dell’instaurarsi della convivenza gravasse sul coniuge onerato del pagamento dell’assegno divorzile.
11.1 – Nel solco di questo primo orientamento, alcune sentenze si spingono ad evidenziare la rilevanza della nuova situazione di convivenza anche in riferimento all’assegno di separazione (v. Cass. n. 5024 del 1997, Cass. n. 17643 del 2007, Cass. n. 16982 del 2018).
11.2 – E’ affermazione ricorrente, all’interno di questo primo orientamento giurisprudenziale, condivisa anche da quella parte della dottrina che in esso si riconosce, il richiamo alla necessità di tener conto del miglioramento delle condizioni economiche del coniuge beneficiario, in virtù della nuova convivenza, ma anche alla necessità di considerare, al contempo, la precarietà del mutamento, la mancanza di garanzie che esso si protragga nel futuro, da cui scaturisce la conclusione che tale nuova situazione di fatto non si possa porre a fondamento della cessazione netta della tutela delle condizioni minime di autonomia economica del coniuge divorziato più debole, finchè questi non contragga nuove nozze, e non passi, dalla tutela assicuratagli dal riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio, alla protezione di una nuova solidarietà coniugale.
- – Un secondo orientamento, che non si pone in realtà in contrapposizione netta col precedente, afferma che il diritto all’assegno divorzile rimane sospeso per tutta la durata della convivenza, entrando in una sorta di quiescenza, ma può riprendere vigore ove venga a cessare la convivenza, operando in questo caso una sorta di reviviscenza: in questo senso già, a proposito di una ipotesi di separazione personale, Cass. n. 536 del 1977. In tempi successivi, il principio è ripreso, e centrato sulla sorte dell’assegno divorzile, da Cass. n. 11975 del 2003 e poi da Cass. n. 17195 del 2011.
- – In tempi più recenti si è affermato, e in breve tempo si è consolidato, sulla base di un buon numero di provvedimenti emessi negli ultimi anni soprattutto della Sesta sezione, e quindi particolarmente sintetici e assertivi, un terzo orientamento, inaugurato da Cass. n. 6855 del 2015 (e ripreso da Cass. n. 2466 del 2016, Cass. n. 18111 del 2017, Cass. n. 4649 del 2017, Cass. n. 2732 del 2018, Cass. n. 5974 del 2019, Cass. n. 29781 del 2020, ai quali possono aggiungersi, in relazione all’incidenza della convivenza instaurata con un terzo da uno dei due coniugi separati sull’assegno di separazione, Cass. n. 32871 del 2020 e Cass. n. 16982 del 2018), che segna una netta cesura rispetto alle posizioni precedenti. Esso afferma che il diritto stesso all’assegno, in seguito all’instaurarsi di una famiglia di fatto (espressione alla quale molte sentenze legano la presenza di figli) o di una stabile convivenza di fatto con altra persona, si estingue automaticamente e per l’intero, cessando per sempre e non prestandosi a rivivere neppure in caso di cessazione della convivenza. Questo orientamento si fonda sul richiamo e sulla valorizzazione estrema del principio di autoresponsabilità: dall’essere il nuovo rapporto di convivenza fondato su una scelta libera e consapevole fa discendere che essa si caratterizzi “per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo” (Cass. n. 6855 del 2015).
- – L’orientamento da ultimo indicato, seguito nella sua decisione dalla sentenza impugnata, è stato salutato con favore da buona parte della dottrina specializzata, che ha sottolineato la sua maggior aderenza ad un contesto sociale profondamente cambiato.
Anche chi si è espresso in senso favorevole non ha mancato di evidenziare però l’opportunità che siano fornite più diffuse e precise indicazioni ai giudici di merito in relazione ai presupposti da accertare per farne derivare una conseguenza rilevante come la perdita del diritto all’assegno.
14.1 – Non tutta la dottrina, peraltro, ha condiviso questa svolta. Non sono mancate voci autorevoli che hanno da subito sottolineato che la soluzione prescelta dal terzo orientamento non fosse convincente sotto il profilo dell’equità, non essendo giusto che il coniuge più debole che ha sacrificato il proprio percorso professionale a favore delle scelte e delle esigenze familiari perda qualsiasi diritto ad una compensazione dei sacrifici fatti solo perchè al momento del divorzio, o anche prima, si è ricostruito una vita affettiva. In particolare, dopo l’affermazione della natura anche compensativa dell’assegno di divorzio contenuta in S.U. n. 18287 del 2018, la stessa autorevole dottrina segnala che è del tutto irragionevole nonchè lesivo in pari misura dei principi di uguaglianza e di libertà, che tale compensazione venga meno in conseguenza delle scelte sentimentali del coniuge debole, dopo la fine della convivenza.
- – Nei cinquant’anni che ormai ci separano dalla prima e contrastata introduzione della disciplina sullo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la società italiana è cambiata profondamente. Nella evoluzione sociale in atto e in continuo divenire, la percezione della indissolubilità del matrimonio intesa come valore comune di riferimento non è più unanimemente diffusa. Sono progressivamente aumentati, nel corso degli anni, i numeri delle separazioni e dei divorzi, si registra una contrazione della durata media delle unioni matrimoniali, e, soprattutto, è aumentato il numero delle convivenze di fatto. Dalle recenti statistiche, richiamate anche dal Procuratore generale nelle sue conclusioni, emerge la drastica diminuzione delle unioni matrimoniali, tanto che il numero delle convivenze di fatto instaurate nel corso dell’anno supera ormai ampiamente il numero di quelle fondate sul vincolo matrimoniale. Ad un modello sociale unitario, che tendeva ad identificarsi nella famiglia indissolubilmente fondata sul matrimonio, si è sostituita una realtà composita, in cui si ha una pluralità di formazioni familiari, la cui pari dignità si fonda sulla Costituzione e deve essere tutelata, siano esse fondate sul matrimonio o meno. Come ricordato dal P.G. nella sua analisi, si è assistito ad una progressiva laicizzazione della società, al venir meno di ogni avversione nei confronti delle convivenze more uxorio, alla emersione della loro tutela. Le molteplici formazioni sociali familiari nel tempo si compongono e talvolta si sciolgono, si intersecano e si sovrappongono, e, quanto meno quando sono presenti dei figli, hanno la necessità di continuare a relazionarsi, ed hanno l’esigenza di trovare nell’ordinamento regole che garantiscano la pacifica coesistenza, di esse in quanto tali e delle persone che le compongono. All’interno di una realtà così composita, le molteplici sfaccettature del panorama giurisprudenziale rispecchiano la tensione verso la difficile ricerca della soluzione di miglior tutela della dignità delle persone, nel momento della crisi della coppia.
- – In un settore della società di così veloce evoluzione e di così profonda incidenza sui diritti e sulla vita delle persone, sarebbe stato auspicabile, ed è stato più volte invocato in dottrina, un intervento del legislatore per attualizzare e rendere maggiormente satisfattiva degli interessi coinvolti la disciplina normativa relativa alle ricadute patrimoniali della crisi coniugale. Finora però l’opportunità di compiere un intervento adeguatore sugli aspetti patrimoniali della crisi non è stata realizzata dal legislatore.
- – In questa situazione, in cui alla giurisprudenza è lasciato il difficile compito della interpretazione della normativa esistente, il più recente orientamento di legittimità recepisce e si fa interprete dei timori, espressi da parte della dottrina, che i legami tra gli ex coniugi possano tradursi in lacci, destinati a durare a tempo indeterminato, che possono impedire la solidità e l’autonomia del percorso ricostruttivo che ciascuno di essi ha diritto di intraprendere, se lo ritiene, all’interno di una nuova realtà familiare.
17.1 – Se questa esigenza è senz’altro condivisibile, e non può essere obliterata, come non può ignorarsi il richiamo al principio di autoresponsabilità contenuto nell’ultimo orientamento di legittimità, tuttavia, la soluzione della questione adottata dalla sentenza impugnata, in piena adesione all’ultimo orientamento giurisprudenziale, nel senso della automatica, definitiva e integrale caducazione del diritto all’assegno divorzile all’instaurarsi di una convivenza stabile da parte del beneficiario, non può essere condivisa, per le ragioni che seguono.
- – L’affermazione, contenuta in Cass. n. 6855 del 2015, e successivamente condivisa da alcune sintetiche pronunce (principalmente ordinanze della Sesta Sezione) e fatta propria dal Procuratore generale nelle sue conclusioni, secondo la quale con l’instaurarsi di una convivenza dotata dei connotati di stabilità e continuità si rescinde ogni connessione con il modello di vita caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale e con ciò ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile (con la sola differenza che nel caso di nuove nozze il diritto viene meno ex lege, mentre in questo caso è necessario un accertamento giudiziale) non è persuasiva nella sua assolutezza, nè quanto alla automatica caducazione del diritto all’assegno, nè nella conseguenza, che essa necessariamente reca con sè, della perdita automatica, in caso di nuova convivenza, anche della componente compensativa dell’assegno.
- – In primo luogo, essa non è confortata dal riferimento normativo, che come indicato è fermo nella sua formulazione originaria, che circoscrive la perdita del diritto all’assegno divorzile solo alla diversa ipotesi delle nuove nozze, e la situazione di convivenza non è pienamente assimilabile al matrimonio, nè sotto il profilo della, almeno tendenziale, stabilità, nè tanto meno sotto il profilo delle tutele che offre al convivente, nella fase fisiologica e soprattutto nella fase patologica del rapporto. In difetto di un intervento riformatore sul punto, il dato normativo espresso di riferimento è pur sempre allo stato costituito dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 10, che prevede che “L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze”.
19.1 – Nulla dice la norma, nè è stata inserita altra apposita norma nella pur recente regolamentazione organica delle famiglie di fatto, contenuta nella L. n. 76 del 2016, sulla sorte dell’assegno di divorzio per l’ipotesi che si instauri una nuova convivenza, diversamente da quanto avviene in altri ordinamenti Europei anche molto vicini al nostro: in Francia l’art. 283 del code civil prevede al comma 1, che l’assegno di divorzio cessi in caso di nuove nozze, e al comma 2, che anche un concubinage notoire faccia cessare di pieno diritto la pretesa dell’ex coniuge all’assegno di divorzio; in Spagna, l’art. 101 del codigo civil, al comma 1, dispone che il diritto all’assegno di divorzio si estingue per la contrazione di nuovo matrimonio o a causa di una convivenza con un’altra persona (por vivir maritalmente con otra persona); in Germania, il principio fondamentale, enunciato dal par. 1569 BGB, a seguito della riforma del 2007, è quello della autoresponsabilità, per cui dopo il divorzio, ciascuno dei coniugi deve, salvo ipotesi particolari, farsi carico del proprio mantenimento).
19.2 – Il progetto di legge in corso di approvazione in Parlamento, approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 14 maggio 2019, prevede, dopo dell’art. 5, comma 6 Legge div. l’inserimento della la previsione secondo la quale: “L’assegno non è dovuto nel caso di nuove nozze, di unione civile con altra persona o di una stabile convivenza ai sensi della L. 20 maggio 2016, n. 76, art. 1, comma 36, anche non registrata, del richiedente l’assegno. L’obbligo di corresponsione dell’assegno non sorge nuovamente a seguito di separazione o di scioglimento dell’unione civile o di cessazione dei rapporti di convivenza”. Tuttavia, l’esistenza di tale previsione, se comprova l’evoluzione del percorso normativo verso l’affievolimento dei legami precedenti alla costituzione di nuove formazioni sociali familiari, conformemente alle scelte operate a livello normativo in altri paesi Europei a noi vicini, depone al contempo nel senso della necessità di un intervento normativo modificativo per arrivare alla perdita automatica del diritto, nell’ambito di un più ampio intervento normativo, che affronti e riequilibri altri aspetti della crisi coniugale e rafforzi la tutela dei conviventi.
19.3 – La mancanza di previsione normativa da cui discenda la caducazione del diritto all’istaurarsi di una convivenza di fatto non consente il ricorso all’analogia, atteso che il ricorso all’analogia è consentito dall’art. 12 preleggi, solo quando manchi nell’ordinamento una specifica disposizione regolante la fattispecie concreta e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti incolmabile in sede giudiziaria (Cass. n. 2656 del 2015, Cass. n. 9852 del 2002): nel caso di specie, non ad un irrimediabile vuoto normativo che necessiti di essere colmato siamo di fronte, ma a regolamentazioni diverse a fronte di situazioni eterogenee sul piano del diritto positivo, che non consentono il ricorso all’analogia. Come ricordato, da ultimo, da Cass. S.U. n. 8091 del 2020, ai sensi dell’art. 12 disp. gen., comma 1, “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.
Considerato che le due situazioni si presentano tuttora obiettivamente eterogenee alla luce della regolamentazione attuale dello scioglimento del matrimonio, da un lato e delle convivenze di fatto, dall’altro non si ritiene che vi siano i presupposti per poter estendere analogicamente l’effetto automatico ed integrale della perdita del diritto all’assegno divorzile, conseguente alle nuove nozze, alla ben diversa e più precaria ipotesi della instaurazione da parte del coniuge beneficiario di una nuova convivenza. Ciò avrebbe la conseguenza di costruire per via interpretativa, con l’uso di una interpretazione analogica in malam partem in assenza di una piena identità di situazioni, la caducazione automatica di un diritto riconosciuto dall’ordinamento.
19.4 – La Corte costituzionale, laddove si è trovata ad esaminare profili di non piena equiparazione della condizione del convivente di fatto con quella del coniuge (sollecitati in genere dalla opposta esigenza, di estendere al convivente le tutele, o le cause di non punibilità previste per il coniuge), da un lato si è sempre mostrata sensibile, in tempi ben precedenti alla regolamentazione normativa delle convivenze (v. Corte Cost. n. 8 del 1996) alla trasformazione della coscienza e dei costumi sociali legata al diffondersi delle convivenze, sollecitando più volte un tempestivo intervento del legislatore per le coppie di fatto, al fine di disciplinare o quanto meno chiarire gli aspetti più problematici del fenomeno dei rapporti affettivi non formalizzati (Corte Cost. n. 138 del 2010, n. 170 del 2014). Ha per contro ribadito (v. Corte Cost. n. 140 del 2009) che ciò non autorizza la perdita dei contorni caratteristici delle due figure riducendone la differenza esclusivamente al dato estrinseco della mancanza della sanzione formale del vincolo. Ha pertanto negato l’esigenza costituzionale di una piena parità di trattamento delle ricadute derivanti dalle due forme di vita in comune, pur richiamando alla piena e pari dignità di entrambe, sottolineando che individuarne la specificità consente anche di evitare di configurare la convivenza come forma minore del rapporto coniugale (nel caso in esame, si discuteva della legittimità costituzionale della mancata estensione al convivente della causa di esclusione della colpevolezza dell’aver agito per salvare sè o un prossimo congiunto da un grave nocumento nella libertà o nell’onore, disciplinata dall’art. 384 c.p., comma 1, evidenziandosi che la decisione coinvolgeva l’estensione di cause di non punibilità, le quali costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, e quindi comportava un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono la norma generale e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria: un giudizio che, nella affermazione della Corte costituzionale, è da riconoscersi, ed è stato riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale, appartenere primariamente al legislatore. La medesima questione è stata risolta di recente dalle Sezioni Unite penali, con sentenza n. 10381 del 2020, che hanno ritenuto applicabile l’esimente anche al convivente di fatto, facendo uso della c.d. analogia benevola).
19.5 – L’insegnamento della Corte costituzionale, al contrario, induce a ritenere che, laddove la legge ha inteso associare una automatica perdita di tutela all’instaurarsi di situazione, deve prevederlo espressamente, e che anche in presenza di una previsione espressa sia opportuno adottare ogni cautela nell’applicare meccanismi automatici pur previsti dalla legge, qualora essi comportino una contrazione di tutela in ambito familiare, in particolare quando sia coinvolto il superiore interesse dei figli (Corte Cost. n. 308 del 2008, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 155 quater c.c., laddove prevede la perdita del diritto di abitazione nella casa familiare anche in ipotesi di nuova convivenza, ha ritenuto la norma non contrastante con la Costituzione, laddove se ne dia una interpretazione costituzionalmente orientata che esclude ogni automatismo, precisando che l’assegnazione della casa coniugale non possa venir meno automaticamente o di diritto al verificarsi dell’ipotesi della convivenza nè delle nuove nozze senza una verifica della conformità di tale variazione all’interesse della prole).
- – Nè appaiono appaganti nel senso di una automatica perdita del diritto all’assegno di divorzio per il solo fatto di una successiva convivenza di fatto le sintetiche affermazioni contenute nella decisione n. 6855 del 2015 e nelle successive, che si limitano sostanzialmente a richiamare la prima pronuncia, fondando la persuasività del principio essenzialmente sulla reiterazione dello stesso.
- – L’affermazione di una caducazione automatica del diritto all’assegno di divorzio, sia nella sua componente assistenziale, sia nella sua componente compensativa, nella sua integralità ed a prescindere dalle vicende del caso concreto, oltre che mancante di un saldo fondamento normativo attuale, non è neppure compatibile con la funzione dell’assegno divorzile, come delineata attualmente dalla giurisprudenza della Corte (da Cass. S.U. n. 18287 del 2018 in poi) come non esclusivamente assistenziale, ma anche compensativo-perequativa, come segnalato dalla più accorta dottrina matrimonialista, mentre sarebbe stata coerente con l’affermazione della funzione esclusivamente assistenziale dell’assegno, propugnata con un repentino cambiamento di giurisprudenza da Cass. n. 11504 del 2017, dalla quale tuttavia le Sezioni Unite hanno preso le distanze.
- – L’analisi della sorte dell’assegno di divorzio, nel caso in cui il beneficiario instauri una stabile convivenza di fatto, che si faccia interprete del complesso mutamento sociale in atto e sopra menzionato, del quale i contrapposti orientamenti giurisprudenziali sull’argomento e il dibattito dottrinario danno testimonianza, e si collochi nel rispetto dei principi costituzionali, deve prendere le mosse e porsi in linea di coerenza e continuità infatti proprio con la ricostruzione recentemente fornita dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287 del 2018, in ordine alla funzione dell’assegno, non esclusivamente assistenziale ma in pari misura compensativa e perequativa, ed ai criteri per determinarne sia l’attribuzione che la quantificazione, e con la riaffermazione in essa contenuta del principio della solidarietà post-coniugale, nella sua aggiornata lettura di solidarietà del caso concreto.
22.1 – Sulla base di quanto affermato da Cass. S.U. n. 18287 del 2018 (che sotto questo profilo ha condiviso e fatta propria l’esigenza di rinnovamento che era alla base di Cass. n. 11504 del 2017), deve ritenersi un dato ormai acquisito, in ragione della funzione composita dell’assegno divorzile, che debba procedersi al riequilibrio della disparità delle posizioni economiche venutasi a creare a seguito dello scioglimento del matrimonio, non più nell’ottica, ormai definitivamente superata, di agganciare per sempre il tenore di vita dell’ex coniuge al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, dando luogo anzichè alla valorizzazione dell’autonomia, alla costituzione di ingiustificate rendite parassitarie, bensì allo scopo di attribuire all’ex coniuge che non fruisca di mezzi adeguati, e non sia in grado di procurarseli autonomamente e non per sua colpa, un assegno di divorzio che sia commisurato anche al contributo prestato alla formazione del patrimonio familiare e dell’ex coniuge.
22.2. – Da Cass. S.U. n. 18287 del 2018 discendono, come portato ormai acquisito nel diritto vivente e più volte ripreso, successivamente, dalla giurisprudenza di questa Corte (per una effettiva condivisione ed applicazione dei principi espressi da Cass. S.U. n. 18287 del 2018, v. Cass. n. 1882 del 2019; Cass. n. 21228 del 2019, Cass. n. 21926 del 2019, Cass. n. 5603 del 2020, Cass. n. 4215 del 2021, Cass. n. 13724 del 2021, Cass. n. 11796 del 2021) diverse affermazioni da porre alla base dell’esame di qualsiasi questione concernente il diritto all’assegno di divorzio:
– la necessità, perchè sorga e si mantenga il diritto all’assegno, che il giudice accerti la carenza in capo ad uno dei due coniugi di mezzi adeguati (pre-requisito fattuale distinto e più ampio rispetto alla pura e semplice mancanza di autosufficienza economica);
– la nozione di mancanza di mezzi adeguati, parametrata ad un significativo squilibrio nelle posizioni economiche delle due parti, da accertarsi in concreto, anche mediante i poteri ufficiosi conferiti al giudice, ricostruendo la situazione economico patrimoniale di entrambi i coniugi dopo il divorzio, verificando se uno dei due si viene a trovare in una situazione di dislivello reddituale rispetto all’altro e ricostruendo se, all’interno di questo squilibrio, tenendo conto di tutte le altre componenti sopra indicate, sia stato sacrificato un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari: una nozione che non è comprensiva solo di una condizione di bisogno ma atta a ripagare, ove esistenti, le rinunce ad effettive possibilità di carriera e di crescita professionale effettuate da uno dei coniugi, all’interno di un progetto comune, a beneficio dell’unione familiare;
– il tramonto definitivo del criterio di determinazione quantitativa dell’assegno legato al mantenimento del tenore di vita coniugale, in quanto la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dalla legge all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’ex coniuge;
– la necessità di quantificare l’assegno, alla presenza del pre-requisito fattuale, tenendo conto dei vari indicatori riportati nell’art. 5, comma 6, L. Div., da intendersi come parametri equiordinati, e non suddivisi tra criteri attributivi e determinativi: le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, il reddito di entrambi, la durata del matrimonio;
– il riconoscimento della funzione composita dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, non solo assistenziale, ma anche perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà (e, prima ancora, dal principio di pari dignità dei coniugi), e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate per la realizzazione di un progetto comune, e pur sempre qualora nella nuova situazione di fatto non disponga di mezzi adeguati.
- – Così ricostruiti, alla luce delle indicazioni promananti da S.U. n. 18287 del 2018, la funzione dell’assegno divorzile nonchè i criteri per il riconoscimento del diritto all’assegno e per la sua quantificazione, si può passare ad esaminare, in coerenza ed in rapporto di specificazione di quei principi, la questione sottoposta all’attenzione della Corte, ovvero come possa incidere sull’esistenza del diritto all’assegno e sulla sua quantificazione l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto da parte del coniuge beneficiario.
23.1. – L’impossibilità di condividere, per le anzidette ragioni, il più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità, laddove avalla la perdita automatica ed integrale del diritto all’intero assegno di divorzio all’instaurarsi di una nuova convivenza, non conduce infatti ad un mero recupero degli orientamenti più tradizionali.
Non può infatti essere ignorato che la costituzione di una famiglia di fatto, specie se – come anche nel caso in esame – potenziata nella fermezza del suo vincolo dalla nascita di figli, costituisce espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, cui corrisponde anche una assunzione di responsabilità, verso il nuovo partner e il nuovo nucleo familiare frutto di un progetto di vita condiviso (punto di partenza dell’analisi, su cui convergono sia la sentenza n. 6855 del 2015, che le osservazioni del Pubblico Ministero).
Il mutamento della situazione di fatto a seguito di tale scelta libera, consapevole e responsabile dell’ex coniuge non può non essere foriero di conseguenze anche sui rapporti pregressi.
Si tratta quindi di individuare, al di fuori di automatismi non consentiti dalla legge, e contrastanti con la funzione anche compensativa dell’assegno, il punto di equilibrio tra il principio di autoresponsabilità e la tutela della riaffermata solidarietà post-coniugale.
23.2 – L’instaurazione di una nuova convivenza stabile, frutto di una scelta, libera e responsabile, comporta la formazione di un nuovo progetto di vita con il nuovo compagno o la nuova compagna, dai quali si ha diritto a pretendere, finchè permanga la convivenza, un impegno dal quale possono derivare contribuzioni economiche che non rilevano più per l’ordinamento solo quali adempimento di una obbligazione naturale, ma costituiscono, dopo la regolamentazione normativa delle convivenze di fatto, anche l’adempimento di un reciproco e garantito dovere di assistenza morale e materiale (come attualmente previsto dalla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37), benchè non privo di precarietà nel suo divenire, in quanto legato al perdurare della situazione di fatto.
23.3 – Ne consegue che, qualora sia stata fornita la prova dell’instaurarsi di tale stabile convivenza, il cui accertamento può intervenire sia nell’ambito dello stesso giudizio volto al riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio, come nella specie, sia all’interno del giudizio di revisione delle condizioni patrimoniali del divorzio, può ritenersi che cessi, in conseguenza del nuovo progetto di vita intrapreso, che indubbiamente costituisce una cesura col passato, e nell’ambito del quale l’ex coniuge potrà trovare e prestare reciproca assistenza, il diritto alla componente assistenziale dell’assegno, anche se il nuovo nucleo familiare di fatto abbia un tenore di vita che non sia minimamente paragonabile al precedente, e neppure a quello che sarebbe assicurato al convivente qualora potesse integrarlo con l’assegno divorzile.
23.4 – La caducazione della componente assistenziale dell’assegno corrisponde anche alla simmetrica esigenza, anch’essa meritevole di tutela, dell’ex coniuge di non vedersi ingiustificatamente limitato nel suo stesso progetto di vita futura dall’esigenza di continuare a corrispondere l’assegno a chi ha dato vita ad un progetto di vita del tutto distinto da quello precedente, costituendo un nuovo nucleo familiare benchè di fatto all’interno del quale non solo coltiva un rapporto affettivo diverso, ma ha diritto anche all’assistenza.
23.5 – Pur collocandosi l’opzione interpretativa che si ritiene di seguire al di fuori di ogni radicale automatismo in ordine alla radicale e globale caducazione del diritto all’assegno di divorzio in conseguenza della nuova convivenza, la scelta, libera e responsabile, di dar luogo ad un diverso progetto di vita con un nuovo compagno, non è infatti priva di conseguenze, nè sotto il profilo della serietà dell’impegno assunto, nè sotto il profilo delle conseguenze giuridiche che ora ne derivano: avendo instaurato un altro legame con un’altra persona, all’interno della nuova coppia, dal quale derivano reciproci obblighi di assistenza morale e anche materiale, l’ex coniuge non potrà continuare a pretendere la liquidazione della componente assistenziale dell’assegno, perchè il nuovo legame, sotto il profilo della tutela assistenziale, si sostituisce al precedente.
23.6 – In caso si instauri una convivenza stabile, giudizialmente provata, deve ritenersi che essa valga ad estinguere, di regola, il diritto alla componente assistenziale dell’assegno di divorzio anche per il futuro, per la serietà che deve essere impressa al nuovo impegno, anche se non formalizzato, e per la dignità da riconoscere alla nuova formazione sociale. Deve in questo senso recepirsi il nuovo assetto delle relazioni sociali, caratterizzate da una indubbia minor durata nel tempo, che spinge a contenere i legami economici post-matrimoniali, fonte di animosità e del perpetuarsi di conflittualità per altri versi esaurite e talvolta idonei a pregiudicare la possibilità, per gli ex coniugi, di compiere libere e nuove scelte di vita.
23.7 – L’affermazione del venir meno del diritto alla componente assistenziale dell’assegno qualora si intraprenda una nuova convivenza stabile si coerenzia e si bilancia con la previsione normativa di una, per quanto limitata, copertura di tutela per l’ex coniuge nel caso in cui anche il nuovo progetto di vita non vada a buon fine in capo al nuovo convivente: la L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 65, prevede il diritto di ricevere un assegno alimentare dall’ex convivente qualora versi in stato di bisogno.
- – Le considerazioni sopra svolte valgono a giustificare il venir meno della componente assistenziale dell’assegno in caso di nuova convivenza. Non altrettanto può valere per la componente compensativa, ove essa non abbia già trovato la sua soddisfazione dentro il matrimonio, con la stessa scelta del regime patrimoniale, o con gli accordi intervenuti spontaneamente tra i coniugi o mediati dai loro avvocati al momento del divorzio, per risolvere autonomamente le ricadute economiche della crisi matrimoniale. Come osservava anni addietro una attenta dottrina, se il coniuge più debole ha sacrificato la propria esistenza professionale a favore delle esigenze familiari, è ingiusto che egli perda qualsiasi diritto ad una compensazione dei sacrifici fatti solo perchè, al momento del divorzio o prima di esso, si è ricostruito una vita affettiva. La considerazione del contributo dato da ciascun coniuge durante la comunione familiare, in funzione retributivo-compensativa, serve ad evitare, come segnalato da una attenta dottrina, equivoci condizionamenti e commistioni rispetto alle successive opzioni esistenziali dell’interessato, assicurandogli, nel reale rispetto della sua dignità, il riconoscimento degli apporti e dei sacrifici personali profusi nello svolgimento della (ormai definitivamente conclusa) esperienza coniugale. L’adeguato riconoscimento degli apporti di ciascuno dei coniugi alla vita familiare è l’indispensabile condizione per affrontare in maniera autonoma e dignitosa, al di fuori da ogni assistenzialismo, percorsi di vita definitivamente separati.
24.1 – Quanto alla componente compensativa, in caso di nuova convivenza il coniuge beneficiario non perde automaticamente il diritto all’assegno, ma esso potrà essere rimodulato, in sede di revisione, o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, in funzione della sola componente compensativa, purchè al presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati, nell’accezione sopra riportata, si sommi, nel caso concreto, il comprovato emergere di un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell’altro coniuge, che rimarrebbe ingiustamente sacrificato e non altrimenti compensato se si aderisse alla caducazione integrale. Un sacrificio che è proteso solo verso il passato e che solo nella definitiva regolamentazione dei rapporti con l’ex coniuge, in relazione al delimitato arco di vita del matrimonio, può trovare la sua soddisfazione.
- – Per verificare come sia inciso il diritto all’assegno dalla nuova convivenza di fatto, al giudice di merito è quindi in primo luogo demandata la necessità di un rigoroso accertamento giudiziale in relazione alla stabilità della convivenza ed alla sua decorrenza: mentre infatti nella ipotesi delle nuove nozze da quel giorno, per legge, è caducato per l’intero il diritto all’assegno divorzile, nel caso di convivenza di fatto sarà necessario in primo luogo un accertamento giudiziale, che dovrà individuare se si sia costituito un rapporto di convivenza stabile e dovrà anche fissarne nel tempo la decorrenza, ovvero individuare il momento cronologico a partire dal quale possa ritenersi accertato che l’ex coniuge con il nuovo compagno ha avviato questo nuovo progetto di vita, perchè solo a partire da quel momento, in conseguenza del nuovo progetto di vita avviato e dei legami di solidarietà che ne discendono, l’onerato potrà legittimamente pretendere una rimodulazione o che si accerti la cessazione del diritto all’assegno.
25.1 – Quindi, laddove la contrazione di nuove nozze è causa ex se della perdita del diritto all’assegno, in caso di nuova convivenza, in primo luogo va giudizialmente accertato, nel corso del giudizio relativo alle statuizioni patrimoniali conseguenti al divorzio (come nel caso in esame) o nel corso di un autonomo giudizio di revisione delle condizioni patrimoniali, il fatto della nuova convivenza, il suo carattere di stabilità e dovrà esserne stabilita la decorrenza iniziale.
25.2. – A tal fine potrà farsi riferimento, come indica della L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37, alla dichiarazione anagrafica ivi indicata, se effettuata, o ad altri indici di stabilità in concreto (quali, a titolo esemplificativo, l’esistenza di figli della nuova coppia, la coabitazione, l’avere conti correnti in comune, la contribuzione al menage familiare).
- – In base alla regola generale di ripartizione degli oneri probatori (art. 2697 c.c.), sarà il coniuge a carico del quale si chiede venga collocato il diritto all’assegno, nel giudizio relativo alle statuizioni patrimoniali accessorie al divorzio, o il coniuge onerato, nel giudizio di revisione delle condizioni del divorzio da lui introdotto, a dover provare l’esistenza di una nuova convivenza stabile in capo all’altro coniuge, al fine non di escludere il diritto all’assegno ma di contenerne l’ammontare alla sola componente compensativa, ove in concreto esistente.
26.1 – Quanto al contenuto della prova, in virtù del dovere di assistenza reciproca, anche materiale, che scaturisce dalla convivenza di fatto (in base alla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37), deve ritenersi che il coniuge onerato dell’obbligo di corrispondere l’assegno possa limitarsi a provare l’altrui costituzione di una nuova formazione sociale familiare stabile, e che non sia onerato del fornire anche la prova (assai complessa da reperire, per chi è estraneo alla nuova formazione familiare) di una effettiva contribuzione, di ciascuno dei conviventi, al menage familiare, perchè la stessa può presumersi, dovendo ricondursi e fondarsi sull’esistenza di obblighi di assistenza reciproci.
- – Se dalla scelta libera e responsabile di costituire una nuova formazione sociale familiare dando vita a un nuovo progetto di vita condiviso ed autonomo rispetto al passato, derivano le conseguenze indicate sulla componente assistenziale dell’assegno, in applicazione del principio di autoresponsabilità, non trova invece giustificazione, in caso di convivenza di fatto instaurata dal beneficiario dell’assegno, la perdita anche della componente compensativo-perequativa dell’assegno di divorzio, perchè essa non ha alcuna connessione con il nuovo progetto di vita, nè verrebbe in alcun modo all’interno di essa recuperata, in quanto la sua funzione non è sostituita nè può essere sostituita dalla nuova solidarietà che si costituisce nella coppia di fatto.
Questa componente, che costituisce la stima del contributo dato alla formazione del patrimonio familiare e dell’altro coniuge nell’arco di tempo definito del matrimonio, rimarrebbe irrimediabilmente perduta per l’ex coniuge, che pure ha contribuito alla formazione del patrimonio personale dell’altro coniuge, accettando di rinunciare ad occasioni di lavoro o dedicandosi alla famiglia per facilitare la progressione in carriera dell’altro coniuge e la formazione di un patrimonio negli intenti destinato ad essere comune ma rimasto, a cagione dello scioglimento del progetto di vita comune, appannaggio dell’altro coniuge.
- – Come segnalato da una autorevole dottrina, la perdita integrale del diritto all’assegno, anche nella sua componente compensativa, sarebbe stata coerente con l’eventuale consolidarsi del nuovo orientamento sull’assegno di divorzio in funzione esclusivamente assistenziale, inaugurato da Cass. n. 11504 del 2017, e con l’affermazione netta del venir meno del legame di solidarietà tra coniugi conseguente al divorzio ivi contenuta, ma non è coerente con la diversa affermazione della funzione composita e non esclusivamente assistenziale dell’assegno, fatta propria da S.U. n. 18287 del 2018, che ha ribadito l’esistenza di una, seppur aggiornata, solidarietà post-coniugale.
28.1 – Se può quindi ritenersi che dell’assegno di divorzio possa venir meno, in conseguenza dell’instaurarsi di una stabile convivenza di fatto, il diritto alla componente assistenziale, non altrettanto può ritenersi quanto alla componente compensativo -perequativa.
28.2 – Se all’esito del divorzio l’ex coniuge che abbia instaurato una nuova convivenza stabile chieda l’attribuzione dell’assegno di divorzio si dovrà accertare, con onere della prova a carico del richiedente, se la sua attuale mancanza di mezzi adeguati sia da ricondurre o meno alle determinazioni comuni, e ai ruoli endofamiliari assunti di comune accordo, e cioè che si accerti se i coniugi abbiano di comune accordo, pianificato che uno di essi sacrificasse le proprie realistiche prospettive professionali-reddituali agli impegni familiari e casalinghi, così da ritrovarsi, a matrimonio finito, fuori dal circuito lavorativo o comunque in una condizione diversa e deteriore rispetto a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse dovuto rinunciare ad opportunità favorevoli per scelte familiari concordemente adottate.
28.3 – Ai fini probatori, chi agisce per il riconoscimento della componente compensativa dell’assegno dovrà preliminarmente provare la sussistenza del prerequisito fattuale della mancanza di mezzi adeguati nell’accezione sopra indicata e dovrà dimostrare che l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale dei coniugi dipenda dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare (in questo senso Cass. n. 23318 del 2021, che ha ritenuto che il giudice di merito non avesse fatto fedele applicazione di questo principio non avendo accertato se la scelta della donna, titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, di limitarsi ad un impegno part-time fosse determinata dal progetto di vita condiviso con il coniuge, e se tale scelta, foriera di una diminuzione degli emolumenti mensili, fosse o meno irreversibile). Il giudice dovrà poi tener conto della durata del rapporto matrimoniale, quale fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche alla luce dell’età del coniuge richiedente e della conformazione del mercato del lavoro (Cass. S.U. n. 18278 del 2018).
28.4 – Il richiedente potrà avvalersi, eventualmente, del sistema delle presunzioni, nel rispetto del paradigma di gravità, precisione e concordanza (in questo senso Cass. n. 21228 del 2019, che precisa, condivisibilmente, che il giudice di merito non potrà presumere, puramente e semplicemente, che il non aver uno dei due coniugi svolto alcuna attività lavorativa sia da ascrivere ad una scelta comune dei coniugi, e neppure che il non aver svolto attività lavorativa abbia di per sè sicuramente giovato al successo professionale dell’altro coniuge).
28.5 – Il giudice dovrà infine individuare la misura di tale squilibrio, causalmente rapportabile a scelte comuni ed ai ruoli rispettivamente assunti all’interno della famiglia. A questo fine, dovrà tenere in conto, oltre le scelte compiute, in primo luogo il parametro, normativamente indicato dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 e che assume in questo caso particolare rilevanza, della durata del rapporto matrimoniale (in quanto una scelta abdicativa effettuata per un breve periodo di tempo non è così penalizzante, quanto alle possibilità di accesso al mondo del lavoro, rispetto a una scelta protratta nel tempo e rinnovata in molteplici occasioni).
28.6 – Il giudice dovrà anche considerare se l’esigenza di riequilibrio non sia già, in tutto o in parte, coperta ed assolta dal regime patrimoniale prescelto in costanza di matrimonio, giacchè, se i coniugi avessero optato per la comunione legale, ciò potrebbe aver determinato un incremento del patrimonio del coniuge richiedente tale da escludere o ridurre la necessità compensativa (è un esito infrequente, attesa l’attuale “fuga dalla comunione” e l’inesistenza, allo stato, nel nostro ordinamento, di una comunione degli incrementi, che potrebbe risolvere l’esigenza di retribuire il contributo da ciascuno dato alla formazione del patrimonio familiare senza l’apertura di una fase conflittuale al momento del divorzio).
28.7 – Dovrà infine tenere in conto le eventuali attribuzioni o gli introiti che abbiano compensato il sacrificio delle aspettative professionali del richiedente e realizzato l’esigenza perequativa (Cass. n. 4215 del 2021).
28.8 – Se all’esito dell’accertamento indicato, si accerti che alla mancanza di mezzi adeguati si associano rinunce o scelte tra vita professionale e lavorativa pregiudicanti la condizione del coniuge economicamente più debole e non compensate per scelta autonoma dei coniugi al momento dello scioglimento del matrimonio, il coniuge più debole, benchè si sia ricostituito una diversa comunità familiare, avrà comunque diritto ad un assegno atto ad operare il riequilibrio tra le due posizioni, in funzione perequativo-compensativa, parametrato al contributo dato ed alla durata del matrimonio.
- – Una ricostruzione che, nel sottolineare la natura composita dell’assegno, dia spazio ad una caducazione della componente assistenziale in conseguenza della scelta, libera e responsabile, di ricostituirsi un diverso nucleo familiare di fatto, ma al contempo salvaguardi il diritto a percepire la componente compensativa dell’assegno di divorzio, espressione del principio di solidarietà tra i coniugi, può porsi a fondamento di quelle esigenze di tutela, poco numerose ma non per questo irrilevanti, in cui la mancanza di mezzi adeguati emerge a lunga distanza di tempo dal divorzio, eventualmente anche dopo che i tentativi di ricostruirsi una vita con un’altra persona non siano andati a buon fine: in questo caso, il filo della solidarietà post-coniugale, assottigliato dalle scelte della vita ma non per questo del tutto reciso, può servire, in virtù di quel contributo dato in passato alle fortune familiari e mai retribuito, a fondare il diritto ad un assegno, purchè beninteso sussistano gli altri requisiti e con le difficoltà che si accompagnano, sul piano probatorio, ad apprezzare il contributo dato alla formazione delle fortune familiari e dell’altro coniuge a distanza di tempo (v. per una situazione in cui la situazione di difficoltà a fondamento della domanda di assegno è emersa a diversi anni di distanza dal divorzio, Cass. n. 5055 del 2021, che prende in considerazione il fatto che il coniuge con maggiori disponibilità economiche abbia in passato goduto di apporti significativi da parte di quello successivamente impoveritosi).
- – Quanto alle modalità di corresponsione dell’assegno, è evidente che una corresponsione che abbia funzione esclusivamente compensativa, in una situazione in cui l’ex coniuge debole si è ricostruito una nuova famiglia, mal si concilia con la periodicità a tempo indeterminato dell’assegno, avente ad oggetto una prestazione complessiva non prevedibile, che è correlata ad un assegno che svolga anche funzione assistenziale.
30.1 – Ciò sia sotto il profilo della sua più equa quantificazione, rispetto alla quale, qualora rilevi la sola componente compensativa, occorre procedere ad un calcolo non proiettato verso il futuro, ovvero correlato alla previsione di vita della persona, ma rivolto al passato, ovvero volto a stimare il contributo prestato in quell’arco di tempo chiuso, circoscritto alla durata della vita matrimoniale.
30.2 – Inoltre, l’erogazione periodica a tempo indeterminato costringe gli ex coniugi a mantenere per sempre un rapporto obbligatorio, il cui stesso perdurare può essere fonte di contenzioso futuro e finisce col perpetuare situazioni di dipendenza economica.
30.3 – Lo strumento dell’assegno periodico evidenzia i suoi limiti ove lo si cali nell’attuale realtà sociale che, anche in considerazione del mutato quadro legislativo in tema di divorzio, che ha ne ha velocizzato sensibilmente i tempi, vede non infrequente il fenomeno del succedersi, per lo stesso soggetto, di più esperienze di vita familiare.
30.4 – Sarebbe quindi più funzionale, sia sotto il profilo economico che in un’ottica di pacificazione e di prevenzione della conflittualità, attribuire all’ex coniuge debole, in funzione compensativa, una somma equitativamente determinata, un piccolo capitale di ripartenza, in unica soluzione o distribuito su un numero limitato di anni, sotto forma di assegno temporaneo.
- – Attualmente, però, non è previsto che l’assegno di divorzio attribuito dal giudice possa essere temporaneo, essendone espressamente prevista la somministrazione periodica, a tempo indeterminato. L’art. 5, comma 8 della Legge sul Divorzio riserva all’accordo dei coniugi la scelta di optare per la corresponsione dell’assegno in unica soluzione, salvo un controllo di equità da parte del tribunale, ritenendola una scelta della quale essi devono rimanere arbitri, nel valutare se la soluzione sia economicamente praticabile per l’onerato, e confacente al suo assetto di interessi per il beneficiario.
31.1 – Il progetto di riforma in corso di approvazione in Parlamento prevede invece l’introduzione dell’assegno temporaneo, andando nella direzione già percorsa da numerosi ordinamenti Europei a noi affini, in cui è conferito al giudice il potere di valutare quale sia lo strumento migliore per la definitiva composizione dei rapporti economici post-matrimoniali, e di disporre in tal senso, prevedendo ove la ritenga preferibile all’assegno periodico un assegno temporaneo, o la costituzione di una rendita, mediante il trasferimento di beni immobili o con l’attribuzione di un capitale eventualmente anche rateizzabile, con funzione di definitiva, unitaria definizione economica post-coniugale.
31.3 – La previsione di una prestation compensatoire a liquidazione definitiva dei rapporti, disposta dal giudice, esiste in Francia (artt. 270 e segg. code civil), al verificarsi di circostanze particolari in Svizzera (art. 126 code civil), in Spagna, (in cui l’art. 97 del codigo civil prevede che “El conyuge al que la separacion o el divorzio produzca un desequilibrio economico en relacion con la posicion del otro, que implique un empeoramiento en su situacion anterior en el matrimonio, tendrà derecho a una compensacion que podrà consistir en una pension temporal o por tiempo indefinido, o en una prestacion Cinica, segun se determine en el convenio regulador o en la sentencia”), ed anche in Germania, ove il par. 1585 BGB prevede che il beneficiario possa ottenere, in luogo della contribuzione in forma pecuniaria periodica, una liquidazione capitalizzata, in presenza di un motivo rilevante e purchè l’onerato non ne risulti iniquamente gravato.
- – Deve ritenersi che l’assegno temporaneo non possa, allo stato attuale della normativa, essere imposto per provvedimento del giudice, in quanto esso corrisponde pur sempre alla determinazione dell’importo dovuto in maniera unitaria, benchè con una modalità di erogazione articolata in un arco di tempo: manca della periodicità a tempo indeterminato propria della previsione attuale della strutturazione dell’assegno disposto su ordine del giudice e appare più riconducibile ad una delle modalità attraverso le quali può tradursi la scelta di corrispondere l’assegno una tantum (nel senso che il versamento rateizzato dell’importo non faccia venir meno la natura di corresponsione una tantum dell’assegno, v. Cass. n. 12157 del 2007). Ne discenderebbero peraltro, a legislazione invariata, quelle non indifferenti conseguenze che derivano dall’opzione per l’assegno una tantum: la perdita del diritto al 40% di tfr, alla quota di pensione di reversibilità, alla possibilità di un assegno a carico degli eredi per il percettore. Per contro, sotto il profilo fiscale, ne conseguono conseguenze più favorevoli per il percettore: l’importo corrisposto una tantum è netto e non è tassabile, mentre il coniuge onerato non ha diritto alla deduzione (in questo senso Cass. n. 11022 del 2012). Tutte conseguenze che completano l’opzione verso una chiusura netta e definitiva dei rapporti di tipo patrimoniale tra gli ex coniugi e la cui convenienza va accuratamente valutata nel suo complesso.
- – Emerge l’importanza, allo stato, di un comportamento proattivo dei coniugi nel trovare un accordo sul punto. Il favore per gli accordi come strumento da privilegiare per la risoluzione degli aspetti patrimoniali della crisi post-coniugale, trova fondamento anche nei principi elaborati dalla Commissione che ha elaborato i principi di diritto Europeo sulla famiglia (in particolare, i principi 1.7 al punto 3) e 2.10).
33.2 – E tuttavia, non per questo deve escludersi che il giudice possa avere un ruolo rilevante in questa scelta: a fronte di una domanda volta al riconoscimento, o alla revisione, dell’assegno di divorzio, del quale sussistano i presupposti per la liquidazione della sola componente compensativa, il giudice, in sede di divorzio giudiziale o di giudizio di revisione dell’assegno ben potrà suggerire come soluzione più soddisfacente per entrambi la formula dell’assegno temporaneo e impegnarsi a discuterne con le parti per trovare un accordo soddisfacente per entrambi sul punto.
33.1 – Analogamente potranno adoperarsi gli avvocati e gli esperti di mediazione del conflitto familiare, in sede di negoziazione assistita, di ricorso congiunto, di divorzi presso l’ufficiale di stato civile, grazie al cui impegno le varie forme di divorzio consensuale hanno raggiunto ormai una incidenza di oltre il 70% sul numero complessivo dei divorzi.
33.2 – E’ quindi auspicabile che i mediatori professionali della crisi familiare, siano essi i giudici di merito o gli avvocati e gli altri professionisti specializzati, cui la legge ora dà ampio spazio nel trovare la soluzione migliore per definire in modo incruento la crisi coniugale, si adoperino, là dove la solidarietà del caso concreto si atteggi in funzione compensativo-perequativa, per incrementare il ricorso agli accordi di corresponsione temporanea o in unica soluzione (recentemente, per il riconoscimento della validità delle clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni – mobili o immobili – o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento, v. Cass. S.U. n. 21761 del 2021) che appaiono meglio garantire la pacifica convivenza della pluralità della formazioni sociali familiari.
33.3 – L’accordo nel senso che l’assegno sia commisurato all’apporto dato durante il matrimonio, ed abbia una durata limitata nel tempo, ove un parametro di riferimento importante è proprio quello della durata del matrimonio, appare in linea con l’esigenza di non rinnegare la sopravvivenza di un valore di solidarietà tra i coniugi, valorizzata nella componente compensativa dell’assegno di divorzio, subordinata ad un accertamento in concreto che tale contributo sia stato effettivamente fornito, e consonante con l’esigenza, socialmente avvertita, di responsabilizzare ciascuno all’interno delle nuove comunità familiari e di evitare legami patrimoniali che si intersechino e possano protrarsi all’infinito, senza una idonea giustificazione.
33.4 – Un assegno concentrato nel tempo, e quindi più congruo nell’ammontare mensilmente corrisposto rispetto ad un assegno atto a protrarsi indefinitamente potrebbe forse essere anche più utile a dare all’ex coniuge più debole una spinta di partenza per reimmettersi nel circuito lavorativo e produttivo.
- – In riferimento al secondo motivo, il ricorso va quindi accolto e la sentenza cassata sul punto. Il giudice di merito dovrà attenersi ai seguenti principi di diritto:
“L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonchè sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno.
Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.
A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.
Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale nè alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì della durata del matrimonio”.
Per l’esame degli altri motivi, la causa è rimessa alla Prima Sezione civile della Corte di cassazione.