Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, sentenza 18 novembre 2021 n. 42415
PRINCIPIO DI DIRITTO
Qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da danaro, la confisca viene eseguita, in ragione delle natura del bene, mediante l’ablazione del denaro, comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto, che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario da quest’ultimo conseguito per effetto del reato; tale confisca deve essere qualificata come confisca diretta, e non per equivalente, e non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o prova dell’origine lecita del numerario oggetto di ablazione
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite è la seguente: “se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi come finalizzato alla confisca diretta del prezzo o profitto derivante dal reato anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la “prova” della derivazione del denaro da titolo lecito”.
- Le Sezioni Unite hanno più volte esaminato il perimetro della confisca diretta del prezzo e del profitto del reato consistente in una somma di denaro.
- Per prima, Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli, Rv. 228166, ha affermato che è ammissibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di somme di denaro che costituiscono profitto di reato sia nel caso in cui la somma si identifichi proprio in quella che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa, sia quando sussistono indizi per i quali il denaro di provenienza illecita risulti depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato e che si è cercato di occultare.
Nel valorizzare la fungibilità del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento, tale pronuncia ha escluso che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, ben potendosi apprendere la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta, purchè sia attribuibile all’indagato. La sentenza sottolinea, inoltre, che l’ablazione di quegli attivi monetari o finanziari richiede comunque la sussistenza del rapporto pertinenziale, quale relazione diretta, attuale e strumentale, tra il danaro sequestrato ed il reato del quale costituisce il profitto illecito (utilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa).
- Sul tema della correlazione tra il bene da aggredire con la confisca diretta – e, quindi, con il sequestro ad essa preordinato – e il reato produttivo di utile economico, le Sezioni Unite sono tornate con altra sentenza, secondo la quale, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall’art. 322 ter c.p., costituisce profitto del reato anche il bene immobile acquistato con somme di denaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo (Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007, dep. 2008, Miragliotta, Rv. 238700).
Dopo aver ribadito che “nel concetto di profitto o provento di reato vanno compresi non soltanto i beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto e immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che lo stesso realizza come effetto anche mediato ed indiretto della sua attività criminosa”, quella sentenza ha chiarito che la nozione di profitto del reato “deve essere riguardata in rapporto all’arricchimento complessivo” e ha precisato che “una corretta interpretazione letterale dell’art. 240 c.p., e logico-sistematica dell’istituto della confisca” impone che “qualsiasi trasformazione che il denaro illecitamente conseguito subisca per effetto di investimento dello stesso deve essere considerata profitto del reato quando sia causalmente collegata al reato stesso ed al profitto immediato – il denaro – conseguito e sia soggettivamente attribuibile all’autore del reato, che quella trasformazione abbia voluto”.
Nell’abbracciare “una nozione di profitto estensibile anche ai beni ottenuti indirettamente dal reo attraverso l’utilizzo del profitto stesso”, le Sezioni Unite hanno inoltre fatto espressamente proprio il principio di diritto – già affermato da Sez. 6, 14/6/2007, Puliga, Rv. 236984 – secondo cui, quando il profitto del reato di concussione sia costituito da denaro, è legittimamente operato in base alla prima parte dell’art. 322 ter c.p., comma 1, il sequestro preventivo di disponibilità di conto corrente dell’imputato finalizzato a confisca diretta.
Dopo aver ritenuto di dover superare tanto le decisioni che suggeriscono una interpretazione più restrittiva della nozione di profitto e che sottolineano la necessità di una stretta e diretta correlazione tra il profitto confiscabile e la condotta illecita (Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli, cit.; Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella, Rv. 226490), quanto la dottrina che riferisce il profitto del reato unicamente “al primo rapporto di scambio”, la sentenza in esame ha quindi affermato che il bene costituente profitto di reato è suscettibile di confisca diretta ogni qualvolta esso sia ricollegabile causalmente in modo preciso all’attività criminosa posta in essere dall’agente. Sicchè è necessario “che siano indicati in modo chiaro gli elementi indiziari sulla cui base determinare come i beni sequestrati possano considerarsi in tutto o in parte l’immediato prodotto di una condotta penalmente rilevante o l’indiretto profitto della stessa, siccome frutto di reimpiego da parte del reo del denaro o di altre utilità direttamente ottenute dai concussi”, non risultando comprensibile un’interpretazione degli art. 240 c.p. e art. 322 ter c.p., comma 1, prima parte, “che consenta la confisca del denaro ricevuto dal concessore e non anche del bene immobile acquistato con tale denaro perchè non di diretta derivazione causale dall’attività del reo”.
- Le conclusioni alle quali le Sezioni Unite erano pervenute con la sentenza Miragliotta sono state ribadite, specificate e approfondite da Sez. U, n. 10561 del 30 gennaio 2014, Gubert, Rv. 258647, con riferimento al profitto derivante da reato tributario e corrispondente all’imposta evasa.
Con tale decisione le Sezioni Unite hanno infatti recepito una nozione di profitto funzionale alla confisca capace di accogliere al suo interno “non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa (…) la trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è quindi di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito. Infatti, il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca e quindi nelle indagini preliminari, ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2, il suddetto sequestro, deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa”.
Sulla base di tale principio, la Corte di cassazione ha espressamente qualificato come risparmio di spesa il profitto causato dal reato tributario e, al contempo, ha ritenuto configurabile la confisca diretta del denaro corrispondente all’imposta evasa, rimasto nel patrimonio della persona giuridica nel cui interesse o vantaggio il reato sia stato commesso, non potendo l’ente considerarsi, salvo il caso in cui costituisca un mero schermo della persona fisica, terzo estraneo rispetto al reato.
- La successiva giurisprudenza di legittimità ha consolidato il principio affermato da Sez. U, Gubert, nel senso che la confisca del prezzo o del profitto del reato rappresentato da una somma di denaro – che si sostanzi, quindi, in un effettivo accrescimento patrimoniale di natura monetaria – non è “per equivalente”, ma, attesa la fungibilità del bene, è sempre confisca diretta (Sez. 6, n. 2336 del 7/1/2015, Pretner Calore, Rv. 262082; Sez. 3, n. 39177 dell’8/5/2014, Civil Vigilanza S.r.l., non mass. sul punto; Sez. 7, Ord. n. 50482 del 12/11/2014, Castellani, Rv. 261199, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la qualificazione come confisca diretta dell’ablazione, disposta con sentenza di patteggiamento per i reati di concussione e peculato, di somma contante rinvenuta e sequestrata nella cassetta di sicurezza della figlia dell’imputato, considerata prestanome di quest’ultimo; in precedenza, nello stesso senso, Sez. 6, n. 30966 del 14//6/2007, Puliga, Rv. 236984, con specifico riferimento a sequestro preventivo a fini di confisca relativo a disponibilità di conto corrente dell’imputato).
Si è in particolare rilevato che, nella ipotesi in cui il profitto del reato sia costituito da numerarlo, cosa fungibile, è legittimo il sequestro delle disponibilità di conto corrente dell’imputato a norma della prima parte e non della seconda parte dell’art. 322 ter c.p., poichè “nella dizione dell’art. 322 ter c.p., il denaro, come cosa essenzialmente fungibile e, anzi, quale parametro di valutazione unificante rispetto a cose di diverso valore rispettivo, non può qualificarsi come cosa di valore corrispondente ed esorbita pertanto dal sistema della confisca per equivalente, la cui funzione è di rapportare il valore in denaro del bene ulteriormente disponibile all’importo del prezzo del reato. Prezzo che nel sistema di questa forma di confisca, che si riferisce anche a beni di per sè estranei sia al prezzo che al profitto del reato, ha in tal caso la sola funzione di parametro di riferimento al valore con fiscabile. Pertanto, la norma dev’essere intesa nel senso che, ove sia impossibile sottoporre a confisca i beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato e nel patrimonio del condannato non vi sia disponibilità di denaro liquido, si ricorrerà alla confisca di beni diversi, eventualmente disponibili, nei limiti del valore corrispondente al prezzo del reato. A fronte di questa interpretazione – è stato quindi dedotto – erroneamente si esclude la configurabilità della confisca, e quindi del sequestro, in relazione al denaro liquido disponibile nel conto corrente dell’imputato sul presupposto che si tratti di profitto e non di prezzo del reato, prescindendo dalla considerazione che la fungibilità del bene, e la confusione delle somme che ne deriva nella composizione del patrimonio, rendono superflua la ricerca della provenienza con riferimento al prezzo o al profitto del reato”.
- Le fondamenta ermeneutiche appena descritte sono state ulteriormente consolidate dalla pronuncia resa da Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437, secondo cui, qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato.
Le Sezioni Unite hanno in particolare affermato che “ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica. Non avrebbe, infatti, alcuna ragion d’essere – nè sul piano economico nè su quello giuridico – la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo. Soltanto, quindi, nella ipotesi in cui sia impossibile la confisca di denaro sorge la eventualità di far luogo ad una confisca per equivalente degli altri beni di cui disponga l’imputato e per un valore corrispondente a quello del prezzo o profitto del reato, giacchè, in tal caso, si avrebbe quella necessaria novazione oggettiva che costituisce il naturale presupposto per poter procedere alla confisca di valore (l’oggetto della confisca diretta non può essere appreso e si legittima, così, l’ablazione di altro bene di pari valore). Nè è a dirsi, come parte della giurisprudenza mostra di ritenere, che la confisca del denaro costituente prezzo o profitto del reato, in assenza di elementi che dimostrino che proprio quella somma è stata versata su quel conto corrente, determinerebbe una sostanziale coincidenza della confisca diretta con quella di valore, dal momento che è la prova della percezione illegittima della somma che conta, e non la sua materiale destinazione: con la conseguenza che, agli effetti della confisca, è l’esistenza del numerarlo comunque accresciuto di consistenza a rappresentare l’oggetto da confiscare, senza che assumano rilevanza alcuna gli eventuali movimenti che possa aver subito quel determinato conto bancario”.
- A seguito del duplice pronunciamento delle Sezioni Unite favorevole alla qualificazione come diretta della confisca di denaro costituente prezzo o profitto del reato, la giurisprudenza successiva ha dato con continuità applicazione a quel principio di diritto ogni qualvolta si sia riscontrata una obiettiva “confusione” nel patrimonio dell’indagatolimputato del profitto monetario conseguito quale diretta conseguenza del reato a lui ascritto.
Tra queste sentenze si segnala Sez. 5, n. 23393 del 29/03/2017, Garau, Rv. 270134, secondo la quale il denaro, essendo il bene fungibile per eccellenza, non solo si confonde necessariamente con le altre disponibilità del reato, ma perde anche qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica. Ciò che rileva, quindi, è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, il che legittima sempre la confisca diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo (in senso conforme, Sez. 5, n. 5459 del 18/01/2018, Barbato, non mass.).
- I principi di diritto affermati dalle più recenti sentenze delle Sezioni unite, ed in particolare da Sez. U, Lucci, sono stati posti in discussione da talune decisioni che la Corte di cassazione ha reso in ordine a fattispecie caratterizzate a vario titolo dalla particolarità del fatto concreto o dalla specifica natura dei reati contestati.
La Sesta Sezione ha così ritenuto che, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, è illegittima l’apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio del reo in base ad un titolo lecito, ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, che non risultino allo stesso collegate, neppure indirettamente (Sez. 6, n. 6816 del 29/1/2019, Sena, Rv. 275048). La Corte ha, al riguardo, ammesso “che, nell’ipotesi in cui il profitto del reato sia consistito in una somma di denaro, la confisca diretta possa legittimamente avere ad oggetto un importo di pari entità comunque presente nei conti bancari o nei depositi nella disponibilità dell’autore del reato”, ma ha subordinato tale evenienza alla condizione che “si tratti di denaro già confluito nei conti o nei depositi al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento”, in quanto “solo in tali ipotesi è possibile ragionevolmente sostenere che il denaro è sequestrabile e poi confiscabile in via diretta come profitto accrescitivo, dunque indipendentemente da ogni verifica in ordine al rapporto di concreta pertinenzialità con il reato, perchè tale relazione è considerata in via fittizia sussistente proprio per effetto della confusione del profitto concretamente conseguito con tutte le altre disponibilità economiche del reo. Diversamente argomentando, cioè ammettendo che il vincolo reale possa estendersi anche su importi di denaro indistintamente accreditati sui conti o nei depositi dell’autore del reato, sulla base di crediti lecitamente maturati in epoca successiva al momento della commissione del reato – momento che giuridicamente finirebbe per recidere ogni rapporto di pertinenzialità con il reato – si finirebbe obiettivamente per trasformare una confisca diretta in una confisca per equivalente: in quanto avente ad oggetto somme di denaro sì oggetto di movimentazione sui conti o sui depositi nella disponibilità dell’autore del reato, ma che solo con una inaccettabile forzatura possono essere qualificate come profitto accrescitivo, perchè del tutto sganciate, dal punto di vista logico e cronologico, dal profitto dell’illecito. D’altro canto, se la finalità della confisca diretta è quella di evitare che chi ha commesso un reato possa beneficiare del profitto che ne è conseguito, bisogna ammettere che tale funzione è assente laddove l’ablazione colpisca somme di denaro entrate nel patrimonio del reo certamente in base ad un titolo lecito ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, e non risulti in alcun modo provato che tali somme siano collegabili, anche indirettamente, all’illecito commesso”.
E’ stata altresì messa in evidenza la necessità che il sequestro a fini di confisca diretta di somme di denaro giacenti su conti correnti o di altri strumenti finanziari consegua all’accertamento del nesso di pertinenzialità tra il denaro sottoposto a vincolo ed il profitto del reato (Sez. 6, n. 17997 del 20 marzo 2018, Bagalà, Rv.272906, con la quale la Corte ha annullato con rinvio il sequestro di conti correnti, libretti postali, titoli ed altri strumenti finanziari intestati all’indagato, disposto sulla base del generico presupposto che tali beni fossero provento dell’appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso; Sez. 5, n. 48625 del 24/09/2018, Ratio s.r.l., n. m.).
- In dottrina sono prevalenti le posizioni nettamente contrarie a quelle espresse da Sez. U, Gubert e Lucci.
Si è ritenuto che tali pronunce, modulando il principio nominalistico in funzione del superamento dell’individuazione della riferibilità al reato del denaro oggetto di vincolo a fini di ablazione, si sarebbero spinte fino a recidere l’individuazione di un nesso diretto tra la somma da confiscare e quella costituente profitto del reato, il che comporterebbe la sostanziale trasformazione della misura, da confisca diretta a confisca per equivalente.
Al riguardo, si è sottolineato che, per potersi affermare in ogni caso la natura diretta della confisca del profitto monetario del reato, nella sentenza Gubert si è dovuto ammettere che tale confisca non deve necessariamente ricadere sul denaro immediatamente conseguito col reato, ben potendosi confiscare anche le utilità mediate e conseguenziali.
Le Sezioni Unite avrebbero, per tale via, definito un vero e proprio regime derogatorio alla confisca del profitto monetario, nel quale la naturale fungibilità del denaro consente di superare la pur necessaria individuazione del vincolo di provenienza.
Si è poi osservato che proprio il rilievo svolto da Sez. U, Lucci – secondo cui il denaro non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del reato, ma perde, per il fatto stesso di essere ormai divenuto un’appartenenza del reo, qualsiasi connotato di autonomia e ogni identificabilità fisica – induce a concludere nel senso che la confisca del denaro, ove di quest’ultimo non sia tracciabile l’origine, dovrebbe essere considerata una confisca di valore. In questa prospettiva, la fungibilità caratteristica del denaro non potrebbe comportare l’elisione del requisito della pertinenzialità, in realtà sussistente solo se proprio la somma di denaro vincolata a fini di ablazione è causalmente collegata in via diretta al reato. Sicchè la confisca diretta dovrebbe ritenersi circoscritta ai casi in cui il denaro costituente profitto del reato rimanga identificabile, perchè depositato o custodito senza che si sia determinata confusione con altri attivi monetari del reo, ovvero perchè direttamente reinvestito con modalità che ne consentano la tracciabilità.
Al di là di tali limiti, si verificherebbe una vera e propria trasfigurazione della nozione stessa di profitto del reato, nella quale evaporerebbe il nesso di pertinenzialità, rendendosi possibile la confisca di qualsiasi vantaggio derivante dal reato, a prescindere dal fatto che si tratti di un effettivo e concreto accrescimento patrimoniale.
- Le Sezioni Unite intendono rispondere al quesito posto dalla Sezione remittente dando continuità al principio di diritto affermato, in tema di sequestro a fini di confisca diretta del prezzo o profitto monetario del reato, da Sez. U, Lucci.
In particolare, il Collegio vuole ribadire che, ai fini della confisca diretta del pretium delicti rappresentato da una somma di denaro, è indifferente l’identità fisica del numerarlo oggetto di ablazione rispetto a quello illecitamente conseguito.
Conseguentemente, ritiene necessario precisare che il nesso eziologico di diretta provenienza che lega al reato la somma acquisita dall’autore, lungi dal venir meno, va tuttavia individuato, definito e conformato in relazione alla peculiare natura del denaro e alla disciplina giuridica sua propria.
- Il denaro è bene numerarlo fungibile. Esso è strumento corrispettivo di valore per eccellenza, specificamente destinato alla circolazione e a servire da mezzo di pagamento. Da tali sue intrinseche caratteristiche derivano, ai fini che qui interessano, alcune rilevanti conseguenze giuridiche.
- La prima è che il denaro è bene ontologicamente diverso rispetto a qualunque “utilità” di altro tipo.
Non è quindi un accidente che le varie norme penali che ad esso si riferiscono – in particolare nell’ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione, ma non solo traccino una espressa e netta demarcazione tra queste due categorie – “denaro o altra utilità” – allorchè si tratta di individuare le cose e i beni nei quali può consistere il prezzo, il profitto o il prodotto del reato.
Se si esamina tale distinzione nella prospettiva della confisca-misura di sicurezza di cui all’art. 240 c.p., è agevole rilevare che allorchè la norma fa riferimento a “cose”, “beni” e “strumenti”, il denaro, ove rappresenti uno dei suddetti proventi, è genericamente considerato bene soggetto a confisca diretta. Infatti, quando il legislatore ha voluto riservare all’ablazione del denaro una specifica disciplina, lo ha fatto in modo espresso, al citato art. 240 c.p., comma 1 bis, il quale per l’ipotesi ivi descritta prevede che tale ablazione possa avvenire unicamente per equivalente.
- La peculiare natura del “bene-denaro” costituente il prezzo o il profitto del reato conforma i tratti e la disciplina della confisca che lo abbia ad oggetto.
A tale fine, quale numerarlo fungibile destinato ex lege a servire da mezzo di pagamento, esso è infatti ontologicamente e normativamente indifferente all’individuazione materiale del relativo supporto nummario: natura e funzione del denaro rendono recessiva la sua consistenza fisica, determinando la sua automatica confusione nel patrimonio del reo, che ne risulta correlativamente accresciuto.
Per la confisca del prezzo o del profitto del reato che sia consistente in una somma di denaro è quindi irrilevante che il numerarlo conseguito dall’autore – perciò stesso confuso nel suo patrimonio, al pari, del resto, di eventuali altre acquisizioni monetarie lecite – sia materialmente corrispondente a quello sottoposto a confisca.
La somma di denaro che ha costituito il prezzo o il profitto del reato non va dunque considerata, ai fini che ci occupano, nella sua fisica consistenza, ma nella sua ontologica essenza di bene fungibile e paradigma di valore. Se il prezzo o il profitto del reato è rappresentato da una somma di denaro, essa si confonde con le altre componenti del patrimonio del reo e perde perciò stesso ogni giuridico rilievo la sua identificabilità fisica.
Da un lato, quindi, non occorrerà ricercare lo stesso numerarlo – le medesime banconote – conseguito dall’autore come diretta derivazione del reato da lui commesso, e, dall’altro, nessuna rilevanza sarà attribuibile all’eventuale esistenza di altri attivi monetari in ipotesi confluiti nel patrimonio del reo, foss’anche a seguito di versamenti di denaro aventi origine lecita nel suo conto corrente bancario.
Lo scopo della misura non è, infatti, di ritrovare sul conto corrente del reo le stesse banconote ab origine costituenti il prezzo o il profitto del reato, ma di realizzare l’ablazione della somma che sia già entrata nel patrimonio dell’autore a causa della commissione dell’illecito ed ivi sia ancora rinvenibile. Come icasticamente affermato dall’Avvocato generale nella sua pregevole memoria, “la confisca diretta insegue non le banconote, ma la somma di denaro quale entità che incrementa il patrimonio del reo”.
Allo stesso modo, risultano irrilevanti le vicende che abbiano in ipotesi interessato la somma riveniente dal reato, una volta che la stessa- intesa, come per sua natura, quale massa monetaria fungibile – sia stata reperita nel patrimonio del reo al momento dell’esecuzione della misura ablativa o, se del caso, del prodromico vincolo cautelare.
In tale ipotesi, infatti, l’occultamento o il consumo eventuali del pretium delicti, ovvero la sua sostituzione con altro numerarlo – anche di origine lecita – avrebbero ad oggetto un valore monetario già confluito nel patrimonio del reo e divenuto perciò, al pari degli altri dello stesso tipo ivi rinvenuti, una sua indistinguibile componente liquida, tutt’ora esistente al momento della confisca. Mentre l’eventuale trasformazione di quella componente monetaria rileverebbe solo in quanto essa abbia comportato, al momento della cautela reale o dell’ablazione, il venir meno nel patrimonio del reo di qualsivoglia attivo dello stesso genere. Solo in questa ipotesi, che Sez. U, Lucci ha definito “novazione oggettiva”, cioè quando non sia più rinvenuto l’accrescimento monetario derivante dal reato perchè la persona non dispone più di denaro, opererà, nei casi normativamente previsti, lo strumento surrogatorio della confisca per equivalente, attuabile sui beni di diversa natura di cui disponga l’autore del reato.
- Il denaro rappresenta non solo cosa essenzialmente fungibile, ma anche l’archetipo di bene corrispettivo di valore. Esso è, infatti, parametro di valutazione unificante del valore di cose tra loro diverse. Rispetto ad esso è quindi impossibile – e comunque inutile, logicamente prima ancora che giuridicamente – ricercare in altra somma di denaro un equivalente di valore. Sicchè, nel caso in cui il prezzo o il profitto del reato siano originariamente costituiti da numerarlo, quest’ultimo esorbita dal sistema della confisca per equivalente, la cui funzione è quella di rapportare il valore in denaro del diverso bene disponibile a fini di ablazione a quello dei proventi del reato.
Altrimenti detto, se la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato consistente in una somma di denaro ha necessariamente ad oggetto un determinato valore, non v’è ragione che non possa essere quello stesso valore, se esistente nel patrimonio del reo, a formare oggetto di ablazione diretta. Lo strumento della confisca per equivalente ha, infatti, carattere surrogatorio ed è applicabile nel caso in cui il bene suscettibile di ablazione diretta non sia rintracciabile, rendendosi così necessario confiscare un bene di valore corrispondente. Ma ove il bene oggetto di confisca diretta sia, come il denaro, ex se privo di una propria rilevante identità fisica e sia esso stesso ontologicamente rappresentativo di un valore e di un corrispettivo monetario, non c’è spazio per operare tale sostituzione dell’aliud pro alio.
- Da tutto quanto precede consegue che, contrariamente agli assunti dei critici della più volte citata Sez. U, Lucci, l’esegesi innanzi descritta non determina la recisione del nesso di diretta derivazione causale tra il reato e il prezzo o profitto monetario sottoposto a confisca, bensì la necessaria conformazione di quel rapporto eziologico alla peculiare natura del denaro e alla sua concreta funzione economica.
Per il denaro, il nesso di pertinenzialità col reato non può essere inteso come fisica identità della somma confiscata rispetto al provento del reato, ma consiste nella effettiva derivazione dal reato dell’accrescimento patrimoniale monetario conseguito dal reo, che sia ancora rinvenibile, nella stessa forma monetaria, nel suo patrimonio. E’ tale incremento monetario che rappresenta il provento del reato suscettibile di ablazione, non il gruzzolo fisicamente inteso.
Se correttamente definito e individuato, il rapporto eziologico di derivazione dal reato non viene dunque meno per il fatto che la somma di denaro oggetto di ablazione sia rappresentata da un numerarlo “diverso” rispetto a quello fisicamente conseguito per effetto del reato.
Da ciò derivano le conseguenze di seguito descritte.
- Una volta risolto l’equivoco di fondo che sorregge l’opposta ricostruzione interpretativa – la quale riferisce il rapporto di pertinenza tra il bene e il reato non già all’incremento monetario provocato nel patrimonio del reo, bensì al denaro fisicamente inteso – il rapporto eziologico di causazione che lega il prezzo o il profitto monetario al reato rimane strutturalmente autonomo rispetto alle caratteristiche intrinseche del bene, alla sua fungibilità.
- Perchè il prezzo o il profitto monetari possano essere soggetti ad ablazione diretta, è necessario che il loro effettivo conseguimento da parte del reo (ed il relativo accrescimento patrimoniale) sia provato secondo gli ordinari standard probatori, previsti, dapprima, per l’eventuale adozione della cautela reale e, poi, in termini di certezza processuale, per la confisca.
Rispetto a tale thema probandum l’indagato-imputato gode di tutte le facoltà che l’ordinamento gli riconosce per garantire la pienezza del contraddittorio e il suo diritto di difendersi provando. Non è dunque vero che consentire all’indagato-imputato la prova dell’origine lecita di componenti finanziarie del suo patrimonio al fine di paralizzare la confisca proprietaria del prezzo o del profitto monetario del reato rappresenti l’unica garanzia compatibile con i principi costituzionali e convenzionali che presidiano l’effettività del diritto di difesa, ed in particolare del diritto di difendersi provando.
- Se si ammettesse che la confisca diretta del denaro costituente il prezzo o il profitto del reato si debba arrestare di fronte alla concreta allegazione che gli attivi monetari oggetto di ablazione abbiano origine lecita (cioè che quel denaro, pur facente parte del patrimonio del reo, è cosa diversa da quello conseguito per effetto del reato), si determinerebbero effetti non desiderabili in punto di coerenza di sistema e di funzionalità della misura ablativa.
Sotto il primo profilo, il metodo probatorio della confisca diretta, basato sul rigoroso accertamento del nesso eziologico di derivazione dal reato dell’accrescimento patrimoniale monetario conseguito dall’autore del fatto delittuoso, assumerebbe caratteristiche diverse dall’attuale previsione codicistica. Esso sarebbe, infatti, soggetto ad una innaturale ibridazione con le modalità di accertamento del presupposto della sproporzione, proprie della confisca di prevenzione e di quella “allargata”. Verrebbe infatti ad essere riconosciuta al reo – nei confronti del quale è stato dimostrato l’effettivo conseguimento del pretium delicti, entrato pertanto nel suo patrimonio – una eccezione probatoria, finalizzata alla giustificazione della provenienza del denaro oggetto di ablazione, fondata sull’allegazione che nella componente patrimoniale attinta dalla misura sono confluite disponibilità monetarie di origine lecita.
Gli effetti pratici di un tale approccio risulterebbero amplificati dal fatto che nella confisca diretta la distribuzione dell’onere probatorio è naturalmente diversa rispetto alle confische “di sproporzione”. In queste ultime è l’interessato a dover giustificare la legittima provenienza delle sue risorse per sottrarsi all’ablazione, mentre alla confisca diretta, contrariamente a quanto suggerito nell’ordinanza di rimessione, è estranea qualunque forma di presunzione ed è l’accusa a dover dimostrare l’effettivo conseguimento del prezzo o del profitto monetario del reato da parte del suo autore.
L’esegesi che si contesta avrebbe, dunque, per effetto di porre a carico del pubblico ministero – in tutti i casi in cui il reo ha visto provato l’effettivo conseguimento da parte sua del denaro costituente prezzo del reato, ma ha avuto cura di occultare lo specifico numerarlo o di rendere non tracciabile la sua circolazione – l’ulteriore e alternativo onere di rinvenire proprio quel denaro, ovvero di dimostrarne le vicende che hanno condotto alla sua sostituzione o trasformazione in beni della stessa o diversa natura. Tutto ciò in spregio del fatto che la commixtio nummorum col patrimonio del reo, e la conseguente perdita di autonoma identificabilità degli attivi monetari che vi sono soggetti, si verifica in via automatica tanto per il denaro provento di reato che per gli altri asset monetari di origine lecita confluiti in quel patrimonio al momento della misura ablatoria.
Sicchè il più volte descritto fenomeno di confusione attrae tutte quelle componenti liquide nel patrimonio monetario del reo e giustifica che su tale patrimonio venga eseguita la confisca diretta dei proventi del reato rappresentati da somme di denaro.
- L’ordinanza di rimessione ricorda correttamente che secondo la giurisprudenza di questa Corte l’applicabilità del principio di legalità penale in tema di confisca è conseguente alla valutazione della natura giuridica dell’ablazione, affidata all’individuazione della funzione ad essa assegnata dall’ordinamento e da essa concretamente assicurata. Sicchè ove la confisca assolva una funzione afflittivo-punitiva, la stessa dovrà essere considerata alla stregua di una pena, nel senso che al termine assegna la CEDU, e il soggetto che la subisce deve poter godere delle garanzie di cui agli artt. 25, 27 Cost., artt. 6, 7 CEDU e art. 2 c.p.. Nel caso in cui, invece, la confisca assolva ad una finalità di prevenzione, di mero riequilibrio, la stessa non è soggetta alle indicate garanzie. (Sez. U, Lucci, cit.; Sez. U, n. 4880 del 26/4/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262602).
Ebbene, come innanzi ricostruita, la confisca diretta dei proventi monetari del reato non ha carattere afflittivo e, tantomeno, sanzionatorio. A tale riguardo, in effetti, non ha tanto rilievo la sua formale collocazione tra le misure di sicurezza, quanto il fatto che essa assolve unicamente una finalità ripristinatoria. L’ablazione ha ad oggetto, infatti, solo l’effettivo accrescimento monetario direttamente prodotto nel patrimonio del reo dal dimostrato conseguimento da parte sua del prezzo o profitto del reato consistente in una somma di denaro.
- Del resto, se il nesso di diretta derivazione dal reato dovesse essere unicamente riferito alla somma di denaro fisicamente conseguita dal reo o, al più, esteso a quella risultante in via immediata dalla sua trasformazione tracciabile (i cosiddetti succedanei, già considerati da Sez. U., Miragliotta, cit.), la confisca diretta del denaro sarebbe limitata a rarissime e del tutto marginali ipotesi, a veri e propri casi di scuola.
La dottrina ne ha puntualmente individuati alcuni: per esempio, il denaro contante riversato sul conto corrente a saldo zero, ovvero su quello destinato a ricevere unicamente proventi criminosi. Altre, quale la tracciatura preventiva delle banconote prezzo di corruzione o profitto di estorsione rinvenute ancora in possesso del consegnatario al momento del sequestro, emergono dall’esperienza giudiziaria.
Definire residuali i casi nei quali si avrebbe certezza che un attivo monetario è confiscabile in via diretta – in quanto fisica derivazione dal reato e distinguibile da altri asset liquidi dei quali il reo possa concretamente allegare l’origine lecita – sarebbe un eufemismo.
Negli altri casi, la confisca del denaro dovrebbe sempre essere ritenuta una confisca di valore e potrebbe operare solo in ragione delle eccezionali ipotesi in cui quello specifico strumento ablatorio è consentito. Ma ciò, oltre a contraddire l’innanzi descritta, ontologica natura del denaro, caratterizzato dall’essere destinato a circolare rapidamente e in forma per lo più anonima quale strumento di pagamento e parametro di valore, comporterebbe evidenti ricadute negative sul piano della coerenza stessa del sistema, il quale verrebbe a fondarsi principalmente, in casi così rilevanti e frequenti, sullo strumento ablativo surrogatorio, normativamente riservato a un ristretto numero di fattispecie penali, laddove, al contrario, quello di carattere generale avrebbe di fatto un’applicazione del tutto residuale.
- Al quesito sottoposto alle Sezioni Unite deve dunque conclusivamente rispondersi nei seguenti termini: “Qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l’ablazione del denaro, comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto, che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario da quest’ultimo conseguito per effetto del reato; tale confisca deve essere qualificata come confisca diretta, e non per equivalente, e non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita del numerarlo oggetto di ablazione”.
- Venendo all’esame dei motivi di ricorso, va rilevato che il primo è privo di fondamento.
In questa sede il ricorrente non contesta il fumus del delitto di traffico di influenze illecite oggetto di imputazione provvisoria, che gli viene attribuito in relazione all’avvenuto conseguimento, come prezzo della mediazione illecita verso i pubblici ufficiali e per remunerarli in relazione al compimento di atti contrari ai loro doveri di ufficio, della somma complessiva di 175.000 Euro.
Il vincolo cautelare tutt’ora applicato sulla somma che residua dalla riduzione disposta dal Tribunale in sede di riesame deve dunque ritenersi conforme al principio di diritto sopra affermato, poichè il sequestro preventivo disposto a fini di confisca diretta ha colpito denaro, rinvenuto su conti correnti intestati al ricorrente e nella sua effettiva disponibilità, che rappresenta l’accrescimento patrimoniale monetario da lui conseguito quale prezzo e profitto del reato oggetto di contestazione provvisoria, senza che possa rilevare a tale scopo l’allegazione dell’origine lecita delle somme depositate su quei conti correnti.
- Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto aspecifico, poichè non si confronta in alcun modo con l’ordinanza impugnata, là dove tale provvedimento testualmente evidenzia che la condotta contestata al ricorrente in questa sede “è diversa sotto il profilo fattuale da quella riportata nel precedente sequestro e relativa ad una specifica vicenda tributaria seguita dallo studio C. ed in relazione alla quale venivano rappresentati fatti diversi da quelli reali per indurre i denuncianti a corrispondere un dato onorario”. Circostanza questa che esclude il verificarsi in questa sede di qualsivoglia preclusione per medesimezza del fatto.
- Il terzo motivo è pure inammissibile, poichè meramente reiterativo di analoga doglianza alla quale il Tribunale ha già offerto corretta e congrua risposta, rilevando che nel caso in esame la contestazione riguarda una relazione coi pubblici ufficiali realmente esistente, e non solo vantata, sicchè le condotte oggetto di imputazione, realizzate nel dicembre 2016, già erano suscettibili di integrare la fattispecie di cui all’art. 346 bis c.p., quale risultava dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, entrata in vigore il 28 novembre 2012.
- Il quarto e ultimo motivo è anch’esso inammissibile, poichè l’art. 346 bis c.p., non è reato proprio del pubblico agente, prevede che il prezzo della mediazione illecita possa essere corrisposto da un privato ad altro privato e non esclude che entrambi possano direttamente ricavare dal medesimo reato un diverso profitto.
- Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.